#San Michele delle Grotte
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Esposizione di vesti antiche e vestito matrimoniale a divozione per la festa di San Michele delle Grotte
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Favara, festa del papà 2023. Papà e figli insieme a scuola tra giochi e tradizioni all'Istituto Brancati
“FESTA DEL PAPÀ TRA GIOCHI E TRADIZIONI” è il titolo della manifestazione che si è svolta venerdì 17 marzo scorso alla scuola dell’infanzia di “Via Grotte” dell’ Istituto Comprensivo “V. Brancati”, in occasione dell’imminente festa di San Giuseppe, al fine di riscoprire le tradizioni, potenziare il senso di appartenenza ad un patrimonio culturale da valorizzare, salvaguardare e tramandare. Grazie al grande spazio disponibile in palestra, sono stati organizzati giochi di una volta e giochi di squadra che hanno coinvolto i papà degli alunni che hanno partecipato con loro grande entusiasmo. Si è trattato di un’ occasione di vera condivisione e di gioia pura per grandi e piccini. I bambini hanno dedicato ai loro papà poesie e canzoni mimate. Dopo il saluto e i ringraziamenti della dirigente scolastica Prof.ssa Carmelina Broccia è seguita la benedizione a tutti i presenti impartita dal parroco Don Michele Termine. Il momento conclusivo della giornata è stato caratterizzato dalla degustazione della tradizionale “Minestrata di San Giuseppe” dei tipici “panuzzi” e di piatti dolci e salati. Read the full article
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Gli eroi al Tempo del Pipistrello
Mai come al tempo del Corona Virus, mi pare che siamo i nostri eroi. E gli eroi che ci siamo scelti sono a grande maggioranza gente d’azione, gente che macina fatti, che produce gesti, spesso eclatanti.
E allora in questo momento di forzata inazione ci sentiamo spersi. I nostri modelli ci sembrano incongrui, con i loro proclami, i loro muscoli, il loro ingegno, le loro armi.
E se proviamo a guardare a modelli d’inazione non li comprendiamo, perché li abbiamo frequentati poco negli ultimi millenni.
Incapaci di attendere, di fermarci, di lasciarci vivere, dobbiamo resuscitare il piccolo eroe che è in noi per sentirci ancora protagonisti e continuare nel solco della grande tradizione di gente che i fatti li fa.
Ed ecco che sembrano accadere due cose, nel tempo del vrus, una più antropica e l’altra più segno dei tempi.
La prima è che riempiamo gli spazi vuoti, fino a farli traboccare. Al vuoto, alla vertigine, al guardare in faccia il nulla, opponiamo specchi e azioni distraenti. Facciamo perfino cose mai fatte, non importa, basta fare, perché abbiamo imparato per millenni che solo chi fa esiste. Che sia cucinare o fare giardinaggio, leggere o fare sport indoor, poco cambia, ma che la giornata resti un calendario di cose fatte. È una droga, forse la più potente e insidiosa. Percepiamo un’ora in cui è successo poco, in cui abbiamo prodotto poco come un’ora sprecata.
Perfino il Papa dice approfittate di queste ore sospese. Che brutta parola “approfittare”, non vuol dire solo trarre profitto, cioè mercificare, oggettivare il tuo essere perché frutti, costantemente, ma approfittare è un verbo che ha anche echi da conquista, da colonialismo del proprio tempo, lasciare segni, lasciare presenze di sé, una furberia, una malizia.
Se, quando il tempo del virus sarà finito, ci guarderemo indietro e al posto di vedere un buco, una voragine, vedremo un pieno, la somma delle nostre azioni, vorrà dire che siamo stati bravi, che abbiamo vinto. Che abbiamo approfittato. Che una volta di più noi, come i nostri eroi, anche con le catene ai polsi, non ci fermeremo. Ma è davvero così?
La seconda reazione è meno legata alla nostra memoria evolutiva, al modello del “chi si ferma è perduto” o a quello ancora più antico del correre perché non abbiamo denti abbastanza grandi; ed è invece più espressione nostro tempo. Cioè stiamo imparando a spostare sempre di più la vita nel virtuale. Il tempo del virus non ci costringe necessariamente a ricorrere al virtuale, ma il nostro bisogno di azione e distrazione ci porta verso il mondo dello specchio di Alice, lì almeno qualcosa accade. Lì ho ancora la possibilità di fare, di dire, di incontrare, di emozionarmi.
Se quindi col primo movimento, l’antico richiamo all’azione dei nostri eroi, reagiamo per incapacità di vivere il vuoto, la sospensione, col secondo movimento, la fuga nella tecnologia, esprimiamo la nostra contemporaneità: siamo figli della tecnica, d’altronde, di questo lungo tempo tecnologico, come ci hanno insegnato i filosofi del Novecento.
Sappiamo che esiste una terza via. Ne siamo intessuti, ma ci spaventa. Esempi semplici sono le pause in musica, il respiro, il sonno. Sappiamo che un suono ha bisogno di silenzio perché possa esprimersi, ma tendiamo ad ascoltare blocchi compatti di note, in cui non c’è aria. Sappiamo che bisogna chiudere gli occhi e respirare profondamente, ma tendiamo a fare respiri brevi tutto il giorno. Sappiamo che il sonno è fuori dal nostro controllo, nel sonno ci abbandoniamo, e questo territorio non a caso nel Novecento è diventato materia di indagine, di nuova narrativa, di speculazione razionale, perché non possiamo tollerare che esista un tempo o un luogo in cui non stiamo dicendo nulla, non stiamo manifestandoci, non significhiamo.
Come affrontiamo i giorni della pausa, il tempo del pipistrello, come mi piace chiamarlo, ci dirà anche se siamo stati in grado di ascoltare.
Ho paura che ancora una volta li giudicheremo per quanto invece abbiamo prodotto. Ci diremo che anche in tempo di immobilità, la peste dell’inazione non ci ha colto. Possono aggredirci con il peggiore dei virus, ma noi siamo e restiamo Ulisse, Rambo, Achille, Sherazade, Casanova. Noi siamo la somma delle azioni di forza con cui abbiamo bucato la trama delle nostre ore. C’è un male sopra ogni male da cui siamo immuni ed è l’abbandono.
Lasciarsi penetrare dai fatti intorno, lasciare che entrino senza un moto violento di opposizione, lasciare che risuonino dentro di noi, concederci il tempo per ascoltare, per capire, per fare nostri quei fatti violenti là fuori, è l’esercizio più difficile.
Stendersi sul tappeto e ascoltare il silenzio senza credere che ci porterà alle follia, meditare sul numero di morti, trovare dentro di noi il nervo della compassione e sentirlo vibrare, lasciarci agire dallo sconforto, ci pare una violenza nella violenza. Ma è così?
Se questo tempo ci vieta di essere attivi, sociali e produttivi, piuttosto gli volteremo le spalle e grazie alla tecnica, saremo di nuovo attivi sociali e produttivi, nel regno del virtuale. Sia benedetta la tecnica che ci ha permesso di costruirci questo specchio iper-connesso nel quale poterci sempre riconoscere. Perché lo specchio del mondo reale, adesso, ci sta mostrando una immagine di noi che non ci piace, distorta. E allora il make-up dell’inter-faccia garantirà il miracolo. Se non posso essere ciò che ho deciso di essere nel mondo, sarò ancora me stesso nel virtuale. Sarò perfino la versione muscolare di me, potenziata: agirò piuttosto e mostrerò agli altri attori quanto sono attivo.
Sarà un momento ulteriore, cioè un momento in cui una volta di più e persino meglio abbiamo dimostrato a noi e agli altri chi siamo, non interrompendo mai quel flusso di identità che ci fa credere di essere ciò che siamo.
Quando Circe ferma Ulisse, il tempo dell’inazione, ci dice il poeta, trasforma gli eroi in porci. Nella caverna, come quella di un pipistrello, la maga immobile stava forse solo offrendo all’eroe dell’azione l’unico momento di vera valorialità: fermati e rifletti, lascia che le cose risuonino dentro di te, che quello che hai fatto diventi sensi possibili e non venga divorato da una ltro fatto, più eclatante del precedente; lascia che la pausa ti spezzi, lascia che il mistero della caverna raggiunga la tua polpa, fatti modificare, prova posture nuove, pensati diverso da ciò che sei. Ma no, tutto ciò che Ulisse sente è “diventa una bestia”, e fugge verso il suo piccolo mondo di azione. (A me l’episodio ricorda un rituale sciamanico, in cui l’uomo diventa il suo animale totemico, cioè di nuovo entra in connessione con un sé più profondo e meno ovvio, si comprende come un altro sé).
Ci siamo allattati al seno di Ulisse, abbiamo imparato come legarci al palo della nostra tecnica pur di non sentire le sirene dell’inazione, e alla sola idea di non dire, ci sentiamo già un po’ maiali, non uomini, grufolanti, insignificanti.
E se fosse invece proprio il tempo dell’insignificanza? Se fosse che dobbiamo comprendere quanto insignificanti possano essere le nostre azioni, le nostre piccole vite affannate?
Quanto insignificanti siamo in confronto alla vertigine di un sistema vita che esisteva miliardi di anni prima di noi e che esisterà in qualunque forma anche molto dopo che saremo passati?
Un Virus che venga da una caverna.
Con le Caverne abbiamo sviluppato da millenni un atteggiamento di sospetto. Un po’ perché da lì veniamo e la spinta evolutiva ci fa andare in direzione opposta al luogo delle nostre origini, ma perché nelle caverne in cui la luce e il suono fanno fatica a penetrare si annida i mistero. E allora nelel grotte abbiamo collocato il confine della nostra psiche e del nostro mondo spirituale. C’è una grotta che guarisce, quella di Lourdes, una grotta del Vampiro, quella di Dracula, una grotta per San Michele che sconfigge il diavolo (molte in verità), un elenco infinito e da palermitano non posso non ricordare la grotta in cui si esercita il culto della santa patrona, Rosalia. E se posso prendere il piccolo culto locale come esempio, il dato più rilevante della vicenda della Santuzza non è che guarisca dalla peste. Così come i miracoli di Gesù non sono se non il segno esteriore di un messaggio. Il dato è che – secondo tradizione – una ragazza abbia saputo vivere in una grotta. Anzi vivere la grotta. Scendere in una piega del continuo geografico e in una sacca del tempo lineare degli uomini per ascoltare l’altro.
Ora certo, ognuno di noi non è né un arcangelo, né una santa, né un eremita, né una apparizione miracolosa. Ma siamo tutti messi davanti la bocca di una caverna. Qualcuno diceva che a guardare a lungo il vuoto, si rischia che il vuoto prima o poi guaderà dentro di te.
Certo esiste un rischio, ma non è ugualmente un rischio aver già compreso tutto, derubricare il mistero di questi giorni a una lista della spesa di compitini ben eseguiti? Non è un rischio enorme anche avere già una strategia di gesti possibili per andare oltre? Non è un rischio guardare così avanti da non avere avuto il tempo di ascoltare il presente?
Siamo i nostri eroi. Quelli che ci guardano dalle collezioni dei grandi musei. Un quadro dietro l’altro, un capolavoro seguito da uno ancora più magistrale. Uno stordimento dei sensi, un treno di immagini davanti a cui passare. Ma come ogni collezionista sa, il rischio è non sostare più davanti ad un’opera perché ti penetri, ma possederne una serie per arginare la paura della tela, di quello squarcio di senso che l’opera apre davanti a noi.
Sappiamo qual è il prezzo dell’essere eroi. E siamo disposti a pagarlo. Ma se non abbiamo scelto di esserlo, se non abbiamo mai voluto esserlo, se non siamo disposti a fare narrativa significante di ogni nostro passo, se vogliamo tentare di ricomprendere la nostra piccola esistenza al di là del confine dell’azione, forse questo è il momento.
Se non siamo eroi, chissà se saremo finalmente uomini? Chissà che sarà essere uomini senza essere eroi.
#coronavirus#virus#eroi#eroica#azione#agire#pausa#riflessione#significato#mistero#rischio#cura#caverna#pipistrello#paura
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La clericalata della settimana è del consigliere comunale di Trieste Fabio Tuiach che
ha presentato una mozione urgente che invita l’amministrazione a vietare il prossimo Pride, ritenuto offensivo verso la “Fede cattolica”, e a chiedere alla diocesi di organizzare un “rosario pubblico riparatore all’abominio del gay pride”
Il consigliere (già Forza Nuova, eletto con la Lega e ora passato al gruppo misto) nella mozione ha proposto in alternativa, se non è possibile imporre il divieto, di far svolgere il corteo in un “luogo isolato” e di “far chiudere tutte le strade adiacenti per evitare che i cittadini vengano in contatto con questa manifestazione”.
A seguire gli altri episodi raccolti questa settimana.
Il consiglio comunale di Genova ha approvato una proposta per garantire agevolazioni e benefici nella fruizione dei servizi pubblici solo alle famiglie iscritte in un apposito “registro comunale”, istituito lo scorso settembre, che comprende solo coppie sposate con figli ed esclude tutte le altre forme di famiglia.
Undici parlamentari del Movimento 5 Stelle hanno presentato un emendamento al decreto Semplificazioni per modificare la legge sul biotestamento, che rischia di rendere più complicato il deposito delle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat).
Alcuni politici hanno attaccato Vladimir Luxuria per l’apparizione nel programma Alla Lavagna!, accusandola di promuovere fare propaganda “gender” tra i minori. Il deputato Paolo Tiramani, capogruppo della Lega nella Commissione di Vigilanza Rai, ha parlato di “lezioni di transgenderismo a bambini di appena 10 anni”, mentre il senatore leghista Simone Pillon ha annunciato un’interrogazione alla Vigilanza Rai sull’accaduto.
A Bari i consiglieri comunali di opposizione Giuseppe Carrieri e Michele Caradonna si sono scagliati contro l’acquisto, da parte del comune, di 200 copie del libro Che cos’è l’amor, dedicato a identità di genere, discriminazioni contro donne e gay, educazione sessuale. Il testo verrà distribuito solo alle scuole che ne faranno esplicita richiesta.
Il consiglio comunale di Collegno (TO) ha deliberato l’erogazione di un contributo di 50mila euro a favore di una parrocchia della zona, per finanziare il nuovo impianto di riscaldamento.
In occasione della festa di san Sebastiano, patrono della polizia locale, diversi comuni hanno organizzato o promosso riti religiosi, alla presenza di rappresentanti istituzionali e di esponenti delle forze dell’ordine. Tra i vari casi, segnaliamo Bari, Castellana Grotte (BA), Foggia, Ispica (RG), Latina, Molfetta (BA), Nettuno (RM), Raffadali (AG), Viadana (MN).
A Napoli la Lega ha indetto un flash mob contro la decisione del liceo “Umberto” di promuovere il progetto “DiversaMente”, volto ad affrontare temi come omofobia e omosessualità.
La redazione
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�� Canon EOS 250D Taken on 18/04/2022. * Beyond Puglia’s crowded hotspots, there are nature reserves, dramatic caves, medieval quarters and several hundred miles of coastline to enjoy. Take, for example, Gravina In Puglia. This crumbling medieval town sits beside one of the 'gravine', or ravines, that score the landscape on the border between Puglia and Basilicata. Hewn from the rock on which they stand, many of the buildings are worth seeking out; a special mention goes to the church of San Michele delle Grotte. The iconic bridge was used as a film location for the James Bond film 'No Time To Die'. 🎬 The big attraction for outdoorsy types is the nearby Alta Murgia national park, a protected plateau. 𝗛𝗼𝘄 𝘁𝗼 𝗴𝗲𝘁 𝘁𝗵𝗲𝗿𝗲: 🚆 Take a train from Bari to Altamura with 'Ferrovie Appulo Lucane'. Then change for Gravina In Puglia. ______________________________________ #GravinaInPuglia #Puglia #Italia #Italy #AltaMurgia #ParcoNazionaleAltaMurgia #Bari #Apulia #SudItalia #SouthItaly #JamesBond #NoTimeToDie #FilmLocation #BestItalianSites #BestPugliaPics #Puglia_Super_Pics #WeAreInPuglia #AMePiaceIlSud #TravelAndLeisure #TravelInItaly #Wanderlust #TravellingThroughTheWorld #WorldTravelPics #Map_Of_Italy #Italy_Lovers #ScattiItaliani #ItaliaInFoto #PromozioneDelTerritorio #MeravigliedItalia #MadeInItaly (at Gravina in Puglia) https://www.instagram.com/p/CeLOgZVKdUb/?igshid=NGJjMDIxMWI=
#gravinainpuglia#puglia#italia#italy#altamurgia#parconazionalealtamurgia#bari#apulia#suditalia#southitaly#jamesbond#notimetodie#filmlocation#bestitaliansites#bestpugliapics#puglia_super_pics#weareinpuglia#amepiaceilsud#travelandleisure#travelinitaly#wanderlust#travellingthroughtheworld#worldtravelpics#map_of_italy#italy_lovers#scattiitaliani#italiainfoto#promozionedelterritorio#meraviglieditalia#madeinitaly
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Il borgo di Irsina è un autentico tuffo nel passato. Al confine tra Puglia e Basilicata, è forse uno dei borghi più antichi della Lucania. Fondato in epoca greco-romana, fino al febbraio del 1895 si è chiamato Montepeloso, dal greco plusos (terra ricca e fertile), poi trasformatosi nel latino pilosum. L’attuale toponimo invece pare derivi da Irtium, cioè irto, ripido, scosceso. I Saraceni distruggono l’antica Montepeloso nel 988 d.C. Una volta ricostruita, nel 1041 diventa teatro di una feroce battaglia tra Bizantini e Normanni conosciuta ancora oggi come la battaglia di Montepeloso. Con la vittoria dei Normanni, Montepeloso passa nelle mani di vari signori, divenendo prima una delle dodici baronie normanne della contea, poi ducato, di Puglia e, dal 1123, sede vescovile. Gli Svevi controllano Montepeloso fino alla battaglia di Benevento (1266), che porta all’ascesa degli Angioini in tutta l’Italia meridionale. Il borgo diventa poi feudo prima degli Orsini Del Balzo, degli Aragonesi, della famiglia genovese dei Grimaldi e, infine, dei Riario Sforza, ultimi signori di Montepeloso. Cosa vedere a Irsina: le tradizionali case grotte Il centro storico di Irsina sorge su uno sperone roccioso circondato da possenti contrafforti che ripercorrono idealmente l’antico tracciato delle mura medievali. Gli irsinesi scavarono questa roccia per secoli, trasformandola prima in semplice riparo e poi in vere e proprie dimore per le proprie famiglie. Ancora oggi infatti si possono ammirare, disseminate nel centro storico, le affascinanti case grotte, simili in tutte e per tutto ai sassi di Matera e abitate dalla popolazione fino a poco tempo fa. La più bella e meglio conservata, oggi tutelata dal FAI, è sicuramente la casa grotta Barbaro, scavata direttamente dentro due spelonche rocciose, che si sviluppa addirittura su due livelli. Alcune di queste case grotte formano dei veri e propri cubicoli sotterranei che a volte prendono la forma di vere e proprie gallerie. Cosa vedere a Irsina: la cattedrale di Santa Maria Assunta Ricostruita in stile romanico dopo il feroce assalto dei Saraceni del 988, l’edificio è stato sostanzialmente rifatto in forme barocche nel corso del Settecento e consacrata definitivamente nel 1802. Oltre alla bella cripta romanica e il coevo campanile perfettamente conservati, la facciata si sviluppa in forme barocche napoletane con al centro un portale riccamente decorato. Tra le opere d’arte degne di note custodite al suo interno si segnalano il fonte battesimale in marmo rosso e il Crocifisso ligneo della scuola del Donatello, entrambi del 1454, e la bellissima statua di Sant’Eufemia, recentemente attribuita al Mantegna. Cosa vedere a Irsina: la chiesa di San Francesco e il museo Janora Altrimenti chiamato castello di Federico II, anche questa duecentesca chiesa viene restaurata in forme barocche, nel corso del XVIII secolo. Da non perdere all’interno i pregevoli affreschi umbro-senesi (XIV secolo) che adornano la cripta, un settecentesco crocifisso ligneo e una seicentesca statua di San Vito. I locali dell’adiacente convento cinquecentesco ospitano oggi il museo Civico, con la collezione archeologica, di oltre 1600 oggetti, donata alla città dallo storico irsinese Michele Janora. Tra i reperti si segnala senza dubbio lo splendido cratere a figure rosse raffigurante la lotta tra Bellerofonte e la Chimera del IV secolo a.C. Cosa vedere a Irsina: la Madonna del Carmine e la Madonna della Pietà All’interno della chiesa della Madonna del Carmine sono da vedere le tele seicentesche del pittore lucano Andrea Miglionico raffiguranti rispettivamente San Michele Arcangelo e la Madonna del Carmine, un’Annunciazione (1622) di Pietro Antonio Ferro e una tela del Seicento con le Nozze di Cana. Al di fuori del centro storico in direzione del bosco di Verrutoli, a sud, sorge infine la piccola e suggestiva chiesa della Madonna della Pietà, le cui origini si perdono forse all’XI secolo, quando l’area era di proprietà del monastero benedettino di Santa Maria dello Juso. L’edificio, circondato dalla splendida cornice naturale che ammanta di fascino l’intero territorio irsinese, merita sicuramente una visita per lo splendido portale tardorinascimentale di marmo intagliato e impreziosito con motivi geometrici, floreali e zoomorfi perfettamente conservati. Scoprire Irsina: il fascino senza tempo del P’zz’cantò Una delle eccellenze del borgo lucano di Irsina è sicuramente quella rappresentata dal tradizionale gioco del P’zz’cantò, conosciuto in altri borghi europei come il gioco della Torre Umana. Il gioco è da sempre un catalizzatore sociale potentissimo, scrigno inestimabile di conoscenza e di cultura. La tradizione ludica delle torri umane nasce intorno al XVII secolo nel piccolo borgo catalano di Castell. Durante la dominazione spagnola questo gioco si diffonde nell’Italia centro meridionale trovando le sue massime espressioni a Ferrandina, Melfi, Brindisi di Montagna e a Scalea, dove persino in una tela con la Madonna della Pietà è raffigurato questo gioco, al tempo stesso un ballo, di torri umane. Questo nostro desiderio innato di superare i limiti umani si è infine tradotto in quello che a Irsina è oggi chiamato P’zz’cantò. Ogni anno, a fine maggio durante la festa della Pietà, per le strade di Irsina gruppi di circa tredici persone, chiamati per l’occasione pizzicantari, con estrema attenzione formano torri di tre piani salendosi con i piedi sulle spalle a vicenda, secondo lo schema 7+4+2. Una volta formata, la torre sfila per le vie del borgo della Basilicata girando su se stessa, mentre i pizzicantari si danno il ritmo cantando filastrocche in dialetto, cercando di non perdere l’equilibrio, evitando così il crollo della propria torre. https://ift.tt/3gEdeiq Cosa vedere nel borgo di Irsina, in Basilicata Il borgo di Irsina è un autentico tuffo nel passato. Al confine tra Puglia e Basilicata, è forse uno dei borghi più antichi della Lucania. Fondato in epoca greco-romana, fino al febbraio del 1895 si è chiamato Montepeloso, dal greco plusos (terra ricca e fertile), poi trasformatosi nel latino pilosum. L’attuale toponimo invece pare derivi da Irtium, cioè irto, ripido, scosceso. I Saraceni distruggono l’antica Montepeloso nel 988 d.C. Una volta ricostruita, nel 1041 diventa teatro di una feroce battaglia tra Bizantini e Normanni conosciuta ancora oggi come la battaglia di Montepeloso. Con la vittoria dei Normanni, Montepeloso passa nelle mani di vari signori, divenendo prima una delle dodici baronie normanne della contea, poi ducato, di Puglia e, dal 1123, sede vescovile. Gli Svevi controllano Montepeloso fino alla battaglia di Benevento (1266), che porta all’ascesa degli Angioini in tutta l’Italia meridionale. Il borgo diventa poi feudo prima degli Orsini Del Balzo, degli Aragonesi, della famiglia genovese dei Grimaldi e, infine, dei Riario Sforza, ultimi signori di Montepeloso. Cosa vedere a Irsina: le tradizionali case grotte Il centro storico di Irsina sorge su uno sperone roccioso circondato da possenti contrafforti che ripercorrono idealmente l’antico tracciato delle mura medievali. Gli irsinesi scavarono questa roccia per secoli, trasformandola prima in semplice riparo e poi in vere e proprie dimore per le proprie famiglie. Ancora oggi infatti si possono ammirare, disseminate nel centro storico, le affascinanti case grotte, simili in tutte e per tutto ai sassi di Matera e abitate dalla popolazione fino a poco tempo fa. La più bella e meglio conservata, oggi tutelata dal FAI, è sicuramente la casa grotta Barbaro, scavata direttamente dentro due spelonche rocciose, che si sviluppa addirittura su due livelli. Alcune di queste case grotte formano dei veri e propri cubicoli sotterranei che a volte prendono la forma di vere e proprie gallerie. Cosa vedere a Irsina: la cattedrale di Santa Maria Assunta Ricostruita in stile romanico dopo il feroce assalto dei Saraceni del 988, l’edificio è stato sostanzialmente rifatto in forme barocche nel corso del Settecento e consacrata definitivamente nel 1802. Oltre alla bella cripta romanica e il coevo campanile perfettamente conservati, la facciata si sviluppa in forme barocche napoletane con al centro un portale riccamente decorato. Tra le opere d’arte degne di note custodite al suo interno si segnalano il fonte battesimale in marmo rosso e il Crocifisso ligneo della scuola del Donatello, entrambi del 1454, e la bellissima statua di Sant’Eufemia, recentemente attribuita al Mantegna. Cosa vedere a Irsina: la chiesa di San Francesco e il museo Janora Altrimenti chiamato castello di Federico II, anche questa duecentesca chiesa viene restaurata in forme barocche, nel corso del XVIII secolo. Da non perdere all’interno i pregevoli affreschi umbro-senesi (XIV secolo) che adornano la cripta, un settecentesco crocifisso ligneo e una seicentesca statua di San Vito. I locali dell’adiacente convento cinquecentesco ospitano oggi il museo Civico, con la collezione archeologica, di oltre 1600 oggetti, donata alla città dallo storico irsinese Michele Janora. Tra i reperti si segnala senza dubbio lo splendido cratere a figure rosse raffigurante la lotta tra Bellerofonte e la Chimera del IV secolo a.C. Cosa vedere a Irsina: la Madonna del Carmine e la Madonna della Pietà All’interno della chiesa della Madonna del Carmine sono da vedere le tele seicentesche del pittore lucano Andrea Miglionico raffiguranti rispettivamente San Michele Arcangelo e la Madonna del Carmine, un’Annunciazione (1622) di Pietro Antonio Ferro e una tela del Seicento con le Nozze di Cana. Al di fuori del centro storico in direzione del bosco di Verrutoli, a sud, sorge infine la piccola e suggestiva chiesa della Madonna della Pietà, le cui origini si perdono forse all’XI secolo, quando l’area era di proprietà del monastero benedettino di Santa Maria dello Juso. L’edificio, circondato dalla splendida cornice naturale che ammanta di fascino l’intero territorio irsinese, merita sicuramente una visita per lo splendido portale tardorinascimentale di marmo intagliato e impreziosito con motivi geometrici, floreali e zoomorfi perfettamente conservati. Scoprire Irsina: il fascino senza tempo del P’zz’cantò Una delle eccellenze del borgo lucano di Irsina è sicuramente quella rappresentata dal tradizionale gioco del P’zz’cantò, conosciuto in altri borghi europei come il gioco della Torre Umana. Il gioco è da sempre un catalizzatore sociale potentissimo, scrigno inestimabile di conoscenza e di cultura. La tradizione ludica delle torri umane nasce intorno al XVII secolo nel piccolo borgo catalano di Castell. Durante la dominazione spagnola questo gioco si diffonde nell’Italia centro meridionale trovando le sue massime espressioni a Ferrandina, Melfi, Brindisi di Montagna e a Scalea, dove persino in una tela con la Madonna della Pietà è raffigurato questo gioco, al tempo stesso un ballo, di torri umane. Questo nostro desiderio innato di superare i limiti umani si è infine tradotto in quello che a Irsina è oggi chiamato P’zz’cantò. Ogni anno, a fine maggio durante la festa della Pietà, per le strade di Irsina gruppi di circa tredici persone, chiamati per l’occasione pizzicantari, con estrema attenzione formano torri di tre piani salendosi con i piedi sulle spalle a vicenda, secondo lo schema 7+4+2. Una volta formata, la torre sfila per le vie del borgo della Basilicata girando su se stessa, mentre i pizzicantari si danno il ritmo cantando filastrocche in dialetto, cercando di non perdere l’equilibrio, evitando così il crollo della propria torre. Tutto il fascino della pietra e della storia rivive nel magico borgo di Irsina, in Basilicata, dove si possono ammirare monumenti ed edifici antichi.
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Azienda Agricola Caliandro Francesco Domenico
L’azienda della famiglia Caliandro nasce tra gli ulivi secolari dell’Alto Salento, un territorio affascinante, crocevia di culture e sintesi tra Oriente ed Occidente. Qui tra il 700 e l’800 d.c. si rifugiarono i monaci Basiliani che, in fuga dalle persecuzioni iconoclaste perpetrate dall’Impero Bizantino, elessero a propria dimora e luogo di culto le grotte carsiche che costellano il territorio. Nacque così la “Lavra” salentina, quel "cammino stretto", quell’anfratto naturale scavato nella roccia, che i monaci hanno ravvivato con la loro presenza e man mano trasformato da rifugio remoto a volano culturale ed economico, recuperando i terreni e promuovendo la coltivazione del nobile ulivo. In questo scenario, a ridosso della ridente Ceglie Messapica, “città d'arte e terra di gastronomia” si sviluppano i circa 10 ettari dell’uliveto di famiglia. Qui le secolari volute dell’Ogliarola e della Cellina di Nardò fanno da cornice a piante più giovani di Cellina e Leccino per un totale di circa 1.300 piante. Dopo un passato di conferimento delle proprie olive a diversi frantoi della zona, Francesco e Pietro hanno deciso di valorizzare il proprio prodotto chiudendo la filiera con l’imbottigliamento dell’olio e con la creazione di un brand. Nasce così l’idea dell’olio “Lavra” un monocultivar Cellina di Nardò dal forte legame con il territorio, con la sua storia che strizza l’occhio ad Oriente e con quella terra rossa d’argilla e di calore che ammalia l’occhio e riscalda il cuore, meravigliando. Il Lavra è un extravergine che si distingue per equilibrio ed eleganza. Dal profumo affascinante ed avvolgente, dove i nitidi sentori di mandorla sono ingentiliti da note floreali e speziate. Al palato si presenta con gusto leggero e delicato ma di grande freschezza. Il suo amaro contenuto lo rende molto versatile e il suo piccante raffinato e persistente gli dona brio. Un extravergine di alta qualità in grado di impreziosire ogni piatto. Indirizzo: Via Regina Elena 11 72018 San Michele Salentino (BR) Telefono: Tel. +39 3482440042 Email: [email protected] Social: https://www.facebook.com/olioLavra/ SCHEDA TECNICA DETTAGLI OLIO Nome olio Lavra Cultivar Cellina di Nardò Località provenienza olive Ceglie Messapica Tipo di Frangitura Ciclo continuo Acidità 0.16 Perossidi 5.4 Polifenoli n.d. Litri di olio prodotto 2.000 Sistema di qualità no Read the full article
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Capri. Punta Tragara ・・・ 📷 @puntatragarahotel 📍 #capri #napoli ⠀ Capri è situata nella parte estrema meridionale del golfo Partenopeo, 5 km a ovest di punta Campanella. Nella penisola sorrentina, la quale si prolunga verso l’isola di Capri con la catena dei Lattari e ne è separata dallo stretto di Bocca Piccola. Dal punto di vista amministrativo, è divisa in due comuni – Anacapri e Capri -corrispondenti ai due altipiani che caratterizzano la morfologia insulare. Il centro di Capri, posto a 142 metri , su un ripiano tra le rupi calcaree di San Michele e del Castiglione, è collegato con il porto di Marina Grande grazie ad una funicolare: quello di Anacapri, invece, è ubicato a 275 metri, sul pianoro nord-occidentale del monte Soprano. La costa, fronteggiata a sud-est dai ben noti faraglioni, è in prevalenza alta e frastagliata e interessata da numerose grotte (del Bove Marino, della Ricotta, dei Polpi, dell’Arco di Betlemme, Bianca , Rossa, Verde, dei Preti, Tragara, dell’Arco, delle Felci, del Belvedere, dell’Arsenale, ecc), tra le quali spicca la Grotta Azzurra, nota sin dall’antichità, come testimoniano alcuni avanzi di costruzione romana. Il clima è temperato-caldo, con ventilazioni frequenti e con moderata aridità, e consente lo sviluppo di una rigogliosa e assai varia flora, che conta più di 800 specie. Grazie alla sua favorevole posizione geografica, a poca distanza dalla metropoli partenopea e dalla penisola sorrentina, cui è collegata quotidianamente da aliscafi e motonavi, l’isola di Capri ha potuto beneficiare assai rapidamente di una rilevante espansione e diversificazione della propria economia. Quest’ultima, infatti, pur dominata dalle attività turistiche, si avvale di una discreta attività agricola (agrumi, vite, ortaggi, frutta, olivo) e peschereccia e di un artigianato locale molto dinamico e produttivo. 🐬🐬🐬 📝 #ig_italia #italia #capriisland #puntatragara #tragara #sorrento #amalficoast #sorrentocoast #sea #panorama #amalfi #positano #pool #pooldesign #exclusive (presso Capri, Italy) https://www.instagram.com/p/B2BKvRHIS_W/?igshid=1esqh3ze2655a
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Festa di San Michele delle Grotte a Gravina in Puglia.
L’8 Maggio di ogni anno è luogo delle celebrazioni e della Festa di San Michele delle Grotte a ricordo della miracolosa apparizione di San Michele in una grotta del Monte Gargano.
Sanda Michele aiutn Tu
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As belezas de Gravina in Puglia. (em Chiesa Rupestre San Michele delle Grotte) https://www.instagram.com/p/B0-pMS7ICwG/?igshid=cig0byes20b8
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This is Gravina Puglia❤ #grotte #grottedigravina #sanmicheledellegrotte #gravinainpuglia #Puglia #piu_puglia #fotoperpassione📸 #fotos #photoshop #phototraveling #photographer #landscapephotos #italia #italie #followers #instagram #instatravel #blogger #fotoblogger (presso San Michele delle grotte di Gravina in Puglia) https://www.instagram.com/p/BxWiUs2hnAh/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=yisucka1sdwq
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Monte Sant’Angelo, dove il cherubino è un bimbo con la spada scintillante. Gita in un luogo fuori dal tempo, un’utopia, tra boschi da “Signore degli Anelli” e desideri di rinuncia
Questo paese si raggiunge attraverso due strade. Una è più veloce e diretta, l’altra è più lenta e attraversa la suggestiva foresta umbra. Prendete quest’ultima e percorrete i chilometri di curve che, sempre all’ombra di alberi nodosi e antichi, in un paesaggio che sembra letteralmente scaturito dalle pagine del Signore degli Anelli (o di qualsiasi altra saga medievale). Non a caso, perché questa zona della Puglia è ancora considerata una terra di magia, punteggiata di miracoli e percorsa dalle note di canzoni popolari che rievocano le leggende della corte federiciana. Una terra in cui il sacro e il profano si mischiano all’ombra dei campanili, camminando mano nella mano in processione; una terra di santuari, ormai più popolati di turisti che di pellegrini.
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Monte Sant’Angelo in una fotografie di Daoine Sidhe. Le altre immagini sono scattate dall’autrice, Ilaria Cerioli
Monte Sant’Angelo, arroccato a 800 metri, domina dalla sua sommità l’orizzonte. Da una parte si staglia il Tavoliere e la Foresta umbra, dall’altra il celeste brillante del mare aperto. La sensazione predominate è quindi quella di trovarsi in cielo, intento a volteggiare nell’aria calda dell’estate. Quando vi si arriva quel che colpisce immediatamente è la presenza di antiche architetture in pietra, massicce e arcaiche, megalitiche. Case altissime si alzano nella parte vecchia di Monte, ma pure nella zona nuova; più defilate, quasi sperdute tra i muri intonacati che nascondono più umili e moderni mattoni rossi, eppure orgogliosamente sull’attenti. Inutile dire che non si può non provare una grandissima invidia per coloro che possono godere, dai balconcini in ferro battuto che si vedono lassù, del panorama.
Monte Sant’Angelo non è solo una bella cartolina. Monte Sant’Angelo è per esempio un centro importante per i culti Micaelici, ben inserito all’interno di un percorso sacro che collega i santuari dedicati all’arcangelo Michele. Dal celeberrimo Mont Saint-Michel normanno giù giù, fino al cuore pulsante del Mediterraneo. In un documento datato tra VII- IX secolo, il Liber de apparitione Sancti Michaelis in Monte Gargano, si narra ad esempio della sua miracolosa apparizione al vescovo Maiorano. In un altro anonimo del X-XI secolo, la Vita Sancti Laurentii episcopi Sipontini, dedicato alla narrazione della vita di San Lorenzo, vescovo di Siponto, si riporta invece l’epoca delle prime apparizioni. C’è un salto temporale tra le date di questi primi testi e le precoci notizie di miracoli, le quale paiono attestate a partire dal V secolo d.C. Che sia una dimostrazione del fatto che la grotta era nota già ai primi cristiani, agli albori del Tardo Antico? Oggi Monte Sant’Angelo e la sua grotta vantano numerosi visitatori, provenienti da tutte le parti del mondo. Alcuni arrivano in auto, altri in pullman. Qualcuno a piedi, riscoprendo gli antichi percorsi della via Langobardorum (o via Francesca) e della via Franchigena. Proprio quest’ultima era, nella prima metà del IX secolo, la strada più frequentemente scelta dai devoti, che vi giungevano dai territori longobardi e da quelli posti al di là delle Alpi (J.M. Martin, Le culte de Saint Michel en Italie méridionale daprés les actes de la pratique. VI-XII siècles, in Culto e insediamenti micaelici nell’Italia meridionale fra tarda antichità e Medioevo, a cura di C. Carletti e G. Otranto, Bari, 1994, p. 378). Non è quindi un caso che ancora oggi una spartana “Casa del pellegrino” sia posta a guardia dell’ingresso del paese, e che nelle botteghe artigiane si possa acquistare oggetti e simboli di questo turismo spirituale.
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Una tradizione secolare, questa, tanto che in Puglia giunsero San Tommaso d’Aquino, Santa Caterina da Siena e San Francesco d’Assisi. Anche per questo Monte Sant’Angelo è entrato a fare parte, il 25 giugno 2011, del Patrimonio culturale mondiale, tutelato dall’UNESCO. Nel gennaio 2014 è giunto poi il riconoscimento della National Geographic Society, che ha classificato la grotta di San Michele Arcangelo all’ottavo posto nella speciale classifica delle grotte più belle del mondo. Che tutto ciò sia una conferma della predilezione dell’arcangelo Michele all’apparizione nelle grotte, meglio se splendide come quella di Monte Sant’Angelo? Che Michelino ami il buio misterioso degli anfratti è testimoniato dalla tradizione agiografica, ricchissima di spazi bui e notturni, ricchi di acque e di pietre scintillanti. Tutti elementi che, a ben pensarci, rappresentano una rilettura in chiave cristiana di culti assai più antichi (S. Laddomada, Frequentazioni di grotte naturali nell’antichità, in Riflessioni Umanesimo della pietra, Martina Franca, 1983, p. 83- 86).
Non è neppure casuale che sia proprio l’arcangelo Michele, e non il leggiadro Raffaele o il rassicurante Gabriele, a scendere tra i comuni mortali: nei secoli bui, quando il cristianesimo si confrontava ancora con culti pagani, ma soprattutto con l’arianesimo dei barbari, il cherubino che doveva far sentire ai fedeli il battito d’ali di Dio, riecheggiante nella grotta garganica, non poteva infatti essere altri che un angelo guerriero; un milite di Dio abituato a lottare con Satana, in grado di simboleggiare la concreta e sanguinosa vittoria del Dio dei cristiani sui falsi Dei pagani. Guardiamolo bene questo cherubino.
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Nonostante venga definito bonariamente col nomignolo di Michelino, l’arcangelo non si propone affatto con l’immagine di un santo umile e pacifico. Al punto che, nella solenne processione del 29 settembre, un bambino lo impersona sfilando vestito con piccole ali e grande spada scintillante. Michele è del resto una divinità importante, tanto da essere riconosciuta anche nella cultura araba (Mīkāʾīl in arabo: ميخائيل, o Mīkīl ﻣﻴﻜﻴﻞ è infatti citato nel Corano come “colui che non ride mai”, di pari rango rispetto a Jibrīl (Gabriele). Dunque, altro che piccolo e paffuto angioletto michelangiolesco; qui siamo alle prese con un pezzo da novanta della tradizione cristiana.
Mentre scendo le scale, procedendo verso il cuore del santuario, mi diverto a leggere le numerose epigrafi impresse nella pietra (per le iscrizioni si veda San Michele e il suo santuario. Via sacra Langobardorum. Ed. Bastogi Foggia 1997). Alcune sono mani o impronte di scarpe, altre sono simboli universali e globalizzati come il Tao, altri ancora sono i nomi (qualcuno in alfabeto runico, tanti in latino, in lingua germanica e longobarda). Inoltrandosi nel reticolo di strade che dal santuario portano al quartiere medievale si incontrano poi diverse testimonianze architettoniche “strane”, che raccontano dell’inesausto processo di passaggio di potere: dalle dinastie longobarde al regno normanno, dagli svevi agli angioini e agli aragonesi. In una successione di genti che ha lasciato tracce evidenti del passaggio, non solo nella tradizione culturale ma anche in quella culinaria. Se capitelli, chiese e castello definiscono le tappe di questa lunga storia di dominazione, il quartiere Juno, con le abitazioni in grotta, racconta invece la vita di chi passava con indifferenza da un padrone a un altro. Per loro non c’era alcun problema. Del resto, come ci insegna il Manzoni, per gli umili una lingua straniera significa sempre sopruso.
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Rimango colpita dal fatto che anche i turisti, di solito chiassosi e ingombranti, con zaini e macchine fotografiche, bambini e cani al guinzaglio, aste per i selfie e telefonini in mano, sembrano condizionati dal silenzio, che è la vera particolarità del luogo. Nessuno osa alzare la voce, chiamare un famigliare o chiedere insistentemente un rinfrescante gelato; pure i cani paiono temere di disturbare troppo con i loro guaiti. Su tutti e tutto la presenza muta e severa delle suore clarisse, con i loro volti tutti quadrati e terreni incorniciati dal velo. Così, mentre a pochi chilometri si brinda in spiaggia negli happy hours, a Monte Sant’Angelo si riflette sul valore della preghiera, dell’umiltà e della rinuncia. Sto per partire e tornare verso il mare, ma negli occhi rimangono gli stralci di Paradiso di questa terra. Scampoli di cielo appaiono e scompaiono magicamente, tra tetti e terrazzini, schiaffeggiando con il violento azzurro del palmo il mio viso.
Sto percorrendo gli ultimi metri e mi sento stanca. Del resto questo paese è faticoso da visitare, con la sua planimetria sfalsata sembra di percorrere le strade del castello dei destini incrociati. Il suo centro storico è infatti un alveare di botteghe artigiane nascoste, di laboratori e abitazioni private; un vero labirinto, punteggiato da piazze assolate, odore di piscio di cane e murales con l’immagine di Falcone e Borsellino. No, Monte Sant’Angelo non è un luogo facile da visitare; e nemmeno da abitare. È un paese di montagna, con gente dura e abituata al capriccio delle stagioni, alla carenza di acqua e al destino della migrazione. E in fondo tale e quale al passato rimane, nonostante gli impianti moderni finalmente costruiti, che permettono una qualità della vita dignitosa eppure come estranea alla realtà di questo mondo.
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Monte Sant’Angelo è oggi una sede universitaria, con tanto di campi sportivi, di scuole, di teatro e di auditorium. Con tutto questo armamentario di edifici e di contemporaneità ci si illude di contrastare le forze profonde, le stesse che da sempre trascinano via lontano centinaia, migliaia, di compaesano. Tanti cognomi di qui si ritrovano in Sud America, tanti altri nelle grandi città del Settentrione. Probabilmente vi rimarranno, e altri se ne aggiungeranno. Anche per questo è significativa una targa che scorgo su di un muro scrostato. Vi leggo: Sì come sa di sale lo pane altrui. Proprio il pane a forma di ruota è una delle specialità della zona insieme alle orecchiette e alle cartellate, o alle ostie con miele e mandorle. I dolci grezzi, simili a quelli della tradizione araba, ricordano che siamo pure sempre frutto di una contaminazione culturale. Monte Sant’Angelo è un’utopia, una scommessa. Una prova di resistenza verso il futuro perché ai freddi inverni di Monte ora i giovani preferiscono il clima mite della pianura e la confusione al silenzio. o un lavoro alla disoccupazione. Oggi, infatti, come un tempo le nuove generazioni progressivamente lasciano la loro terra, i loro affetti. Non sono più uomini con valigie di cartone, contadini o gente povera, ma ragazzi e ragazze che, nonostante lauree e tutoli di studio, sono costretti a emigrare in cerca di migliori opportunità.
Ilaria Cerioli
*In copertina: Raffaello, “San Michele sconfigge Satana”, 1518
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Curriculum dell’Associazione di Promozione Sociale
Riconosciuta dalla Regione Emilia-Romagna
Ferrara Film Commission
Sede sociale c/o Museo Collezione Mario Piva
Via Cisterna del Follo 39, 44121 Ferrara, Italy.
CF: 93089090380
www.ferrarafilmcommission.it
Facebook: https://www.facebook.com/FFCferrara/
Instagram: https://www.instagram.com/ferrarafilm_commission/?hl=it
2015
28 maggio: Costituzione dell’Associazione Culturale Ferrara Film Commission.
28 agosto: Patrocinio alla mostra " La stella di Comacchio, Sophia Loren e il Delta del Po", una esposizione allestita nelle sale di Palazzo Bellini a Comacchio, dal 28 agosto al 31 ottobre.
Tra i curatori il socio della FFC Andrea Samaritani, fotografo, regista, artista di Cento.
7-8 settembre: Partecipazione a FARETE, meeting point delle imprese , Quartiere Fieristico di Bologna. 19 Settembre: Costituzione dell’Associazione di Promozione Sociale Ferrara Film Commission.
21 ottobre: Iscrizione nel registro regionale delle Associazioni d Promozione Sociale
2016
20 gennaio: Collaborazione con il Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara per l’evento “AL CINEMA COL MAESTRO”, una giornata di proiezioni dedicata a Claudio Abbado. Collaborazione con Corina Kolbe ,studiosa e critica di musica classica e lirica, socia onoraria della FFC.
25-26 gennaio: Supporto organizzativo, reperimento location e delle comparse per il videoclip “RAP RENDERIZZATO”, del videomaker Fabrizio Oggiano.
29-30 gennaio: Supporto organizzativo e logistico, reperimento comparse e location per il film “VIRUS,EXTREME CONTAMINATION”, del regista Domiziano Christopharo.
26 maggio: Supporto e patrocinio dell’evento musicale/cinematografico “MUSICFILM-L’UNIVERSO DELLE COLONNE SONORE”, Cinema Teatro San Benedetto, Ferrara.
31 maggio- 1-2-3-4-5 giugno: Supporto organizzativo per la prima edizione del FERRARA FILM FESTIVAL
Supporto e patrocinio alla mostra “SANDRO SIMEONI-pittore CinematoGrafico”, spazio d’Arte L’Altrove, Ferrara. Curatore: Luca Siano.
18-22 ottobre: Supporto organizzativo, reperimento attrezzature, tecnici, attori secondari e location per la realizzazione del cortometraggio “UN PADRE” del regista romano Roberto Gneo.
16 novembre: Proiezione del film “LA MADRE DISTRATTA ” del regista Ferdinando De Laurentis, Cinepark Apollo. Ferrara.
2017
13-14-15 gennaio: Organizzazione del FERRARA-ROMA FILMCORTO, una rassegna di cortometraggi in collaborazione con il Roma FilmCorto Festival, Sala Estense, Ferrara e della mostra fotografica “UN PADRE- Backstage fotografico del corto Un Padre di Roberto Gneo”, Grotte del Boldini. Ferrara.
4-5 e 11-12 marzo: Supporto organizzativo, reperimento attori, locations e tecnici per la realizzazione del cortometraggio “ELABORAZIONE DI UNA MADRE” del film maker Edoardo Pappi.
21 marzo- 6 aprile: Organizzazione della mostra “SANDRO SIMEONI:Pittore CinematoGrafico”, Salone d’Onore del Palazzo Municipale di Ferrara. Curatori: Luca Siano e la dott.ssa Francesca Mariotti.
La mostra è trasferita dal 8 al 18 aprile presso la Sala Centro Polifunzionale di Fiscaglia loc. Migliarino.
4 aprile: Organizzazione di “SERATA TARKOVSKIJ”, una serata dedicata al regista russo Andreij Tarkovskij, incontro con la regista Donatella Baglivo e proiezione del suo docufilm “UN POETA NEL CINEMA, Sala Estense, Ferrara.
5 aprile : Proiezione del film “… E DOPO CADDE LA NEVE”, incontro con la regista Donatella Baglivo. Incasso della serata devoluto a Emergency per interventi mirati nella zona del sisma che ha colpito il centro Italia nel 2016, presso la Sala Centro Polifunzionale di Fiscaglia loc. Migliarino.
6 aprile: Proiezione del film “… E DOPO CADDE LA NEVE”, incontro con la regista Donatella Baglivo. Incasso della serata devoluto a Croce Rossa Italiana sezione di Ferrara per interventi mirati nella zona del sisma che ha colpito il centro Italia nel 2016, presso la Sala Estense, Ferrara.
23 e 25 maggio: “IL CINEMA DI GIANNI CELATI”, proiezione dei docufilm di Gianni Celati dedicati al territorio di Ferrara e al Delta del Po, Cinema Santo Spirito, Ferrara. Relatori: il ricercatore universitario presso University College Cork, Irlanda, Michele Stefanati e il critico cinematografico, Presidente Onorario della FFC, Paolo Micalizzi.
10-11 settembre: Supporto organizzativo, reperimento attrezzature, comparse e figuranti, location per la realizzazione del cortometraggio “ LEITMOTIV” dei registi Alessandro Rocca e Martina Mele.
22 novembre: Proiezione del film “PIERPAOLO ” del regista madrileno Miguel Angel Barroso Garcia , Cinema Multisala Apollo. Ferrara, con la presenza del regista e dell’ attore protagonista David Parenti.
05 dicembre: Serata in memoria del regista e docente UniFe Vitaliano Teti, membro fondatore della Ferrara Film Commission, con proiezione del film “INSEGUENDO IL CINEMA CHE SPACCA I CUORI” co-regia di Vitaliano Teti e Alessandro Raimondi, alla Sala Boldini, Ferrara. Saranno presenti famigliari ed amici del prof. Teti, l’ass.re Massimo Maisto, Gabriele Caveduri(Direttore UCICINEMAS Ferrara, protagonista del film), Paolo Micalizzi( critico e storico del cinema. Presidente onorario Ferrara Film Commission).
2018
12-13 gennaio: II edizione Ferrara-Roma FilmCorto, una rassegna di cortometraggi in collaborazione con il Festival Internazionale Roma FilmCorto.
14 gennaio : I edizione di Ferrara Film Corto: un concorso dedicato al registi e film makers di Ferrara e provincia.
18-19 marzo: Supporto organizzativo, reperimento attrezzature e location per la realizzazione dei cortometraggi “ L'EDICOLANTE " e " L'ALBERO DEI LIMONI"” dei registi Alessandro Rocca e Martina Mele.
18 maggio: "MEMORIAL FOLCO QUILICI ", una giornata interamente dedicata al grande regista e documentarista Folco Quilici, con proiezione all'Apollo Cinepark di Ferrara, al mattino per gli studenti di I e II grado delle scuole di Ferrara e alla sera per tutti, del film "Oceano" e incontro pubblic, nella Sala Arengo del Palazzo Municipale di Ferrara, con Brando Quilici, Anna Quilici ( rispettivamente figlio e moglie di Folco) e con Fausto Grisi, (Producer film Folco Quilici) e Riccardo Grassetti, direttore della fotografia dei film di Folco Quilici.
Moderatori ed intervistatori: Paolo Micalizzi (critico cinematografico, Presidente Onorario FFC) e Carlo Magri (videomaker, docente UniFE e Socio Onorario FFC) . Un evento organizzato con il patrocinio e il sostegno del Comune di Ferrara e dell'Assessorato alla Cultura.
4 giugno: Patrocinio per la presentazione del saggio di Filippo Schillaci - "Il Tempo Interiore. L'Arte della Visione di Andreij Tarkovskij".
Un evento organizzato dall'Associazione Culturale Olimpia Morata.
Moderatori ed intervistatori: Paolo Micalizzi (critico cinematografico, Presidente Onorario FFC) e Carlo Magri (videomaker, docente UniFE e Socio Onorario FFC) .
- Luglio-Agosto- Settembre: Supporto organizzativo, reperimento locations, attori, comparse e figuranti per la realizzazione del lungometraggio “ HUMAN REVOLUTION " dei registi Mattia Bricalli e Nicola Bonetti.
1-2-3-4 novembre: Organizzazione della mostra "GOOD VIBRATIONS",I protagonisti della musica tra fotografie, decollage e jam sessions, Porta degli Angeli di Ferrara.
Un evento dedicato alla memoria di Fabio Possanza, socio FFC, apprezzato fotografo e artista.
In collaborazione con Studio Archeo900 e l'associazione Evart e con il patrocinio del Comune di Ferrara.
13 e 20 novembre : "MEMORIAL FLORESTANO VANCINI ", due giornate di proiezioni dedicate al regista ferrarese Florestano Vancini nel decennale dalla scomparsa, con proiezione alla Sala Boldini di Ferrara, al mattino per gli studenti di I e II grado delle scuole di Ferrara dei film " LA NEVE NEL BICCHIERE" e " I LUNGHI GIORNI DELLA VENDETTA" e alla sera per tutti, dei film "AMORE AMARO" e "LA NEVE NEL BICCHIERE ", con la presenza dell'attrice Anna Teresa Rossini e di Gloria Vancini figlia del regista.
Moderatore ed intervistatore: Paolo Micalizzi (critico cinematografico, Presidente Onorario FFC). Un evento organizzato con il patrocinio e il sostegno del Comune di Ferrara e dell'Assessorato alla Cultura e di Ascom Confcommercio
14 dicembre: Proiezione alla Sala Boldini del docufilm " LA MORTE LEGALE", con la presenza dei registi Silvia Giulietti e Giotto Barbieri e con il patrocinio del Comune di Ferrara e di Amnesty International.
2019
25 gennaio: Organizzazione di FERRARA-ROMA FILM CORTO, terza edizione della rassegna durante la quale sono stati presentati alcuni corti che hanno partecipato alla X edizione del Festival Internazionale Roma Film Corto, i vincitori e una selezione proposta da Roberto Petrocchi, Direttore Artistico del Festival, presso la Sala Estense, Ferrara.
26-27 gennaio: Organizzazione della Seconda edizione del Festival , da quest’anno Nazionale, FERRARA FILM CORTO, il cui scopo è di valorizzare l’opera cinematografica breve realizzata da autori indipendenti italiani e stranieri residenti in Italia partecipanti al concorso omonimo, presso la Sala Estense, Ferrara.
26 marzo: Proiezione del film THE DANCE OF THE HEARTS, del regista Luciano Silighini Garagnani, presso la Sala Estense, Ferrara, alla presenza del regista, degli attori del film: Roberta Nicosia , Davide Artiko , Ivan Brusa e della scrittrice Lisa Lambertini.
13 aprile: Proiezione del film IL MIO AMICO NANUK, di Roger Spottiswoode e Brando Quilici, presso Apollo Cinepark, Ferrara.
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La contrada Badia Colli si aggiudica il primo premio con “Jurassic Win”
CUPRA MONTANA, 7 ottobre 2018 – La giornata di sabato (6 ottobre) si è chiusa all’insegna del successo almeno sotto il profilo musicale con il concerto di Piero Pelù, artista seguitissimo e capace di entusiasmare la folla con le sue canzoni. C’è da dire che per questa edizione della Sagra, come per molte altre, le condizioni meteo non hanno giocato a suo favore, con nuvolosità diffusa e brevi piogge, che forse hanno scoraggiato gli indecisi, tant’è che sabato sono stati venduti circa 5.700 biglietti. Ma la Sagra dell’Uva non si sviluppa solo con i concerti e la musica o il buon cibo; la tradizione passa anche attraverso la visitata mostra fotografica al Torrione di Levante (Corso G. Leoaprdi) e intitolata “Vino, vigneti e cantine. Ieri e oggi”.
Nel particolare spazio delle stupende Grotte di S. Caterina (Musei In Grotta) e passata la promozione dell’immagine vitivinicola curata con le degustazioni dei nostri vini migliori, e con l’appuntamento “Il Grande Verdicchio” che quest’anno ha sviluppato il tema “Cupra Montana e i Comuni del Verdicchio”, cioè una degustazione di comparazione tra le produzioni dei comuni dei Castelli di Jesi, nella quale hanno goduto i palati dei numerosi intervenuti a questo eccellente simposio.
Ultima nota sulla giornata di sabato è quella di alcuni giovani che alle ore 7.30 di oggi (7 ottobre) stavano ancora cercando la propria auto: tutta colpa dell’ampio territorio comunale di Cupra Montana non certo del Verdicchio, pare che questi fossero … addirittura astemi!
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Oggi (7 ottobre) l’appuntamento è iniziato con la parte istituzionale che si è svolta con la classica sfilata dei Gonfaloni, preceduta dalla Banda “Don Niccolò Bonanni” e dal Gruppo Folk Massaccio di Cupra Montana; poi alle ore 15.30 di questa giornata conclusiva della Sagra è partita la grande sfilata di festosi e colorati Carri Allegorici intorno l’anello del paese: la premiazione di questi c’è stata alle ore 17.30 e secondo questa classifica: 1° contrada Badia Colli con “Jurassic Wine”, più il Premio Adriano Morichelli; 2° contrada San Giovanni con “Nemo più ce n’émo più beemo”, più premio migliori attori; 3° contrada San Bartolomeo con “Ansè, Grèta e il vincantesimo”; 4° Centro Storico con “L’unisbronz“; 5° contrada San Michele con “Teletubbies”, che ha anche vinto il premio “migliori costumi”.
Anche il concorso per lo stand più bello ha avuto un vincitore che è quello realizzato dalla Azienda Vinicola Vallerosa Bonci e intitolato “Vistagram”. Alle ore 18.00 in Piazza IV Novembre sono iniziate le “Degustazioni in piazza”, e contestualmente Luca Barbarossa è salito sul palco di Piazza Cavour attirando il pubblico presente alla Sagra, poi per oltre un’ora e mezza, tutti hanno potuto apprezzare le sue canzoni più famose. A fine concerto la buona musica è continuata con il gruppo “Controtempo” (ore 21.30), l’intermezzo dovuto alle estrazioni della lotteria della Sagra 2018 e alle 22.00 gli attesi fuochi pirotecnici che hanno calato il sipario su questa 81a edizione della Sagra dell’Uva di Cupra Montana.
(o. g.)
foto Giuseppe Taruchi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
CUPRA MONTANA / SAGRA DELL’UVA, CANTANTI&CARRI ALLEGORICI: L’EDIZIONE CHIUDE IN BELLEZZA La contrada Badia Colli si aggiudica il primo premio con “Jurassic Win” CUPRA MONTANA, 7 ottobre 2018…
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