#Perito Bolzano
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michaeldemanega · 5 days ago
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Bau.recht x 2: Gerichtsgutachter im Zivilrecht und Strafrecht
Im Bauwesen landen Streitigkeiten immer häufiger vor Gericht – sei es wegen Baumängeln, Verzögerungen oder Vertragsstreitigkeiten. Bauprojekte sind oft komplex und teuer, sodass Fehler oder Unstimmigkeiten schnell zu zivilrechtlichen Auseinandersetzungen führen, die mintunter verheerend sein können. Kommt es zu hingegen zu einem Bauwerksversagen, bei dem Sicherheit und Menschenleben gefährdet…
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giancarlonicoli · 4 years ago
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17 set 2020 08:52
GOMBLOTTO! ECCO COME HANNO FREGATO SCHWAZER (E DONATI) – IL PERITO DEL GIP: IL VALORE ANOMALO DEL DNA PUÒ ESSERE STATO DETERMINATO DALLA MANOMISSIONE DELLE PROVETTE – LA TESTIMONIANZA DEL MARCIATORE CONTRO IL GIGANTE RUSSIA E DUE MEDICI DELLA IAAF (FIORELLA E FISCHETTO, CHE DIRÀ, A PROPOSITO DI SCHWAZER: “STO CRUCCO DEVE MORI’ AMMAZZATO”) E QUELLE PROVETTE INCUSTODITE – GRAMELLINI: “NESSUN COLPEVOLE SERIO SI SAREBBE COMPORTATO COME ALEX PROPENDO PER LA SUA INNOCENZA”
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Massimo Gramellini per corriere.it
A farmi propendere per l’innocenza di Alex Schwazer nel suo secondo pasticciaccio di doping è che nessun colpevole serio si sarebbe comportato come lui. Se fosse stato minimamente astuto — come noi ci si immagina che siano i veri colpevoli — quest’uomo dal cognome ingorgato di consonanti si sarebbe limitato, fin dalla prima volta in cui fu colto in castagna, ad ammettere le sue colpe e a chiedere perdono al sistema, come hanno fatto decine di altri atleti, bombati e pentiti, e oggi regolarmente riabilitati.
Invece Alex, da vera testa dispari, ammise di essersi dopato una prima volta, ma estese la confessione alla sporcizia circostante, rompendo l’omertà che governa lo sport come ogni altro genere di consesso umano, dove vige la regola che i panni sporchi si lavano in famiglia e il capro espiatorio, sottoposto alla gogna per arginare lo scandalo, deve accettare in silenzio il proprio destino.
Alex Chisciotte si difese rovesciando le parti in commedia, cioè trasformandosi in un paladino della lotta al doping: proprio lui, e proprio alla vigilia di un’altra Olimpiade, quella di Rio, dove evidentemente non faceva comodo a molti che andasse.
Game over
E adesso, anziché confidare nella prescrizione della memoria di cui godono tutti gli scandali nel nostro Paese, insiste nel rievocare, a suo rischio e pericolo, quelle antiche vicende. Certo, la bizzarria della provetta che girò mezza Europa prima di essere esaminata — rivelando un contenuto di testosterone troppo basso per migliorare davvero le prestazioni e adesso, pare, una dose eccessiva di Dna — ci fa dubitare anche dell’intelligenza dei suoi eventuali nemici.
Se avessero davvero voluto tendergli una trappola, perché la organizzarono in modo tanto approssimativo? Questa storia si trascina da anni e minaccia di durare almeno fino a quando un regista non si deciderà a farne un film. Ma che Alex risulti vittima oppure colpevole, la sua epopea è la prova che ormai neppure nel male esiste un briciolo di professionalità.
Giuseppe Toti per corriere.it
Sono più di quattro anni di battaglia legale, quasi tre di udienze preliminari al Tribunale di Bolzano e tre perizie ad avere spalancato le porte all’ipotesi del complotto contro il marciatore Alex Schwazer (oro olimpico ai Giochi di Pechino 2008e attualmente squalificato a 8 anni per la positività al doping nel 2016) e il suo allenatore Sandro Donati.
Il lunghissimo lavoro di analisi compiuto su atleti in attività e popolazione comune dal colonnello Giampietro Lago, comandante del Ris di Parma e genetista incaricato dal Gip di Bolzano Walter Pelino di fare luce sul «giallo» più clamoroso nella storia dello sport degli ultimi anni, ha condotto a due risultati. Il primo: ha escluso che il valore anomalo e abnorme di Dna presente in uno dei due campioni di urina (1200 picogrammi per microlitro nella provetta B) prelevata a Schwazer durante il controllo a Racines dalla Iaaf, l’1 gennaio 2016, possa essere giustificato dalla fisiologia umana.
Né è spiegabile con il super allenamento, tantomeno con patologie di vario genere (mai accusate da Schwazer in nessuno dei tantissimi controlli antidoping subiti). Il secondo risultato, in pratica, è una diretta conseguenza del primo. Ossia: quel valore anomalo del Dna può essere stato determinato dalla manomissione delle provette.
L’epilogo della storia è atteso nelle prossime settimane e arriverà al termine di un percorso tortuoso e tormentato, che vide la sua genesi in tempi non sospetti, quasi cinque anni fa. È il 16 dicembre quando Schwazer si presenta in aula a Bolzano e testimonia contro il gigante Russia e due medici della Iaaf (Fischetto e Fiorella, condannati in primo grado e assolti in appello: in un’intercettazione telefonica del 2016 Fischetto dirà, a proposito di Schwazer: «Sto crucco deve mori’ ammazzato»). Immediatamente dopo la conclusione dell’udienza parte l’ordine della Iaaf di controllare Schwazer il giorno di Capodanno. E questo accade. Con un «piccolo» particolare: sul foglio del prelievo destinato al laboratorio antidoping di Colonia c’è scritto Racines, il luogo dove è stato effettuato il prelievo.
Ma le regole antidoping in materia sono altre: nessuna indicazione deve essere riportata che possa far risalire all’identità dell’atleta oggetto del test. L’ispettore del controllo, dipendente della ditta privata Gqs di Stoccarda, riporta sul verbale di avere consegnato lui i campioni, a mano, il 2 gennaio, al laboratorio di Colonia. Sei mesi più tardi, però, a Rio de Janeiro, davanti ai giudici del Tas, salta fuori la verità: l’ispettore ammette infatti di avere lasciato le provette presso la ditta Gqs intorno alle 15.30 dell’1 gennaio.
Dunque i campioni sono rimasti incustoditi per ben 15 ore negli uffici in cui almeno 6 persone hanno libero accesso, prima di partire per Colonia il 2 mattina. E così la catena di custodia è già saltata. Il primo esame sulle urine dà esito negativo ma la Iaaf richiede al laboratorio una seconda analisi da svolgere con un metodo diverso e più meticoloso al termine del quale il laboratorio trova una piccola quantità di testosterone. Il 13 maggio informa la Iaaf che mette il risultato in un cassetto per più di un mese e lo comunica a Schwazer solo il 21 giugno, quando i Giochi sono ormai alle porte.
Il 17 gennaio 2017 si apre il processo penale a Bolzano: il pm Giancarlo Bramante e il Gip Walter Pelino richiedono alla Iaaf l’urina, ottenendo un rifiuto. Dopodiché si rivolgono al giudice tedesco per opporsi. Quando il giudice di Colonia accoglie la richiesta, i magistrati italiani si sentono raccontare che possono dare solo l’urina A perché di urina B sono rimasti solo 6 millilitri e per l’esame del Dna ne occorrerebbero 10.
Il perito del tribunale italiano, il colonnello Lago, scoprirà che di urina B ce n’era il triplo di quanto dichiarato e che per cercare il Dna bastava un solo millilitro. Il 7 febbraio 2018 Lago va a Colonia per prendere l’urina e il direttore del laboratorio, spalleggiato dall’avvocato della Iaaf, tenta di rifilargli non l’urina B sigillata ma un’anonima urina contenuta in una fialetta di plastica. Dietro la prospettiva di una denuncia penale, il direttore consegna la vera urina B, quella sulla quale si troverà la principale anomalia.
Ora il giudice Pelino invierà il fascicolo al pubblico ministero Giancarlo Bramante, titolare dell’inchiesta e il pm dovrà decidere se chiedere il rinvio a giudizio di Schwazer oppure l’archiviazione. In quest’ultimo caso, l’atleta avrebbe in minima parte giustizia, giacch�� non ci sarebbe comunque la possibilità di un nuovo processo in sede sportiva. Una decisione di archiviazione, accompagnata da adeguate motivazioni, potrebbe però aprire per Schwazer e per il suo allenatore Donati la strada a un procedimento risarcitorio.
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FAGGIOLI, Massimo. Vaticano II: a luta pelo sentido. São Paulo: Paulinas, 2013
*Arthur Carvalho Moraes
1.       INTRODUÇÃO
 Após mais de 60 anos do fim do Concílio Vaticano II, muito se discute sobre o que representa, de fato, esse acontecimento para a Igreja Católica. Alguns o consideram na linha de continuidade da grande Tradição da Igreja, reputando-o como um capítulo a mais na história milenar e cristalizada do catolicismo. Outros têm-no na linha de uma descontinuidade, considerando existir uma Igreja pré-conciliar e outra pós-conciliar, haja vista as grandes rupturas operadas por esse evento ecumênico.
Como uma tentativa de interpretação do que foi, realmente, o evento conciliar, configura-se a obra Vaticano II: a luta pelo sentido, do professor Massimo Faggioli. Enquanto historiador, o autor situa-se no intermédio entre as duas grandes interpretações acima elencadas, apresentando ambas visões e tentando estabelecer uma posição conciliatória que leve em consideração os aportes que cada traz à teologia atual.
Além de historiador da Igreja, o autor Massimo Faggioli é professor de Teologia e Ciência da Religião na Villanova University, na Filadélfia (Estados Unidos). Tendo recebido seu pós-doutorado na Universidade de Turim em 2002 e lecionado em grandes universidades da Europa, tais como Universidade de Bolonha, Modena e Bolzano, mudou-se, em 2008, para os Estados Unidos, onde, além da atividade acadêmica, escreve regularmente para jornais e periódicos sobre a Igreja, religião e política, como as revistas Commonweal e La Croix International, e ministra frequentemente palestras públicas sobre a Igreja e sobre o Vaticano II. Sobre esse último tema, insta ainda consignar que o prof. Faggioli é co-presidente do grupo de estudos “Estudos do Vaticano II”.
Profundo conhecedor, portanto, do tema sobre o “Concílio Vaticano II”, o autor escreveu, em 2012, a obra ora analisada Vatican II: The Battle for Meaning, a qual ganhou tradução para o português, em 2013, quando foi publicada pelas editoras Paulinas com o título Vaticano II: a luta pelo sentido.
A estrutura do texto é a seguinte: 1) apresentação da edição do português elaborada pelo teólogo José Oscar Beozzo, em que, além de expor os elementos estruturantes do livro, faz importante apontamentos acerca da recepção conciliar na realidade latino-americana, onde as Conferências do CELAM tiveram importante papel na aplicação, fiel e criativa, da nova teologia delineada nos documentos do concílio; 2) Seis capítulos, em que percorre a historiografia desde a realização do Vaticano II até as macroquestões atuais que pairam sobre esse evento e sua herança; 3) Epílogo, em que, realizado todo o percurso histórico desenvolvido no livro, o autor arremata que, no presente, há uma abundância de informações acerca do Vaticano II, que, sem resolver a questão da interpretação coerente e compartilhada dos documentos do concílio, aponta para a contínua necessidade de se aprofundar a leitura histórica do que aconteceu no Vaticano II, mas também depois do Vaticano II. Segue-se a conclusão do autor uma vasta lista bibliográfica, muito proveitosa, sobre o Concílio Vaticano II, dividida por temas: “história do Vaticano II”, “revistas, diários e memórias”, “comentários”, “recepção do Vaticano II” e “interpretações teológicas do Vaticano II”.
 2.       DESENVOLVIMENTO
 No primeiro capítulo Uma breve história do debate sobre o Vaticano II, o prof. Faggioli apresenta o impacto que o evento conciliar trouxe para a Igreja, a ser notar pela lenta e progressiva (e também, por vezes, problemática) recepção do concílio nos diferentes âmbitos da Igreja. Considerando a sua complexidade e seu caráter ecumêmico, é muito importante a questão da hermenêutica do concílio, perpetuada por um longo debate histórico e teológico.
Nesse sentido, o autor apresenta o status quaestionis desse tema, a começar pelo debate que ocorreu no próprio seio do evento conciliar até os dias atuais. Durante a realização do evento, percebeu-se o Vaticano II foi o primeiro concílio realmente mundial. A passagem a esse novo estágio do catolicismo muito deveu aos movimentos precursores do concílio (movimento bíblico, litúrgico, ecumênico etc.), que possibilitaram um verdadeiro ressourcement, perpetrado pelos padres conciliares. Nos primeiros anos subsequentes (1965 a 1980), viu-se que os debates não haviam terminado. Se, por um lado, os bispos participantes do evento visavam a aplicar o Concílio em suas igrejas locais, a maioria dos teólogos, por outro, produzia inúmeros comentários sobre os textos dos documentos. Nesse período histórico, vê-se também a movimentação de uma pequena minoria “conservadora” que rejeitou o concílio e criou a “Fraternidade de São Pio X” pelo arcebispo Marcel Lefebvre, excomungado em 1976.
Na década de 80, a política doutrinal da Santa Sé, com a eleição do Papa João Paulo II e a nomeação do cardeal Ratzinger como Prefeito da Congregação para a doutrina da Fé, começou a influenciar mais decisivamente o alcance do Concílio. Nesse período, é salutar citar a codificação do Código Canônico de 1983 e o Sínodo dos Bispos de 1985, convocado para celebrar o 20º aniversário de conclusão do concílio. Esse último, em seu relatório final, preconizou que “o concílio deve ser entendido em continuidade com a grande tradição da Igreja [...]. A Igreja é una e a mesma através de todos os concílios” (Relatório final do Sínodo Extraordinário de 1985, I.5).
A década de 90 e o início dos anos 2000 foi o momento, de um lado, da realização da mais importante pesquisa histórica do Concílio Vaticano II, levado a cabo por Giuseppe Alberigo, que teve a sua conclusão somente em 2001, com a publicação de A história do Vaticano II, em 5 densos volumes. Por outro lado, com o pontificado de Bento XVI, iniciado em 2005, houve o recrudescimento da uma atitude crítica de Roma para com o concílio, quando foram publicados alguns documentos que não só “suavizavam” os avanços conciliares sobre a eclesiologia e a interpretação do subsistit in da Lumem Gentium, mas também que autorizavam o uso mais amplo da missa tridentina e retiravam a excomunhão dos quatro bispos sagrados pelo cismático Marcel Lefebvre.  
No segundo capítulo Questionando a legitimidade do Vaticano II, o autor apresenta dois extremos ideológicos que colocaram em dúvida a legitimidade do Concílio Vaticano II. De um lado, posicionam-se os “católicos liberais”, que, de um entusiasmo inicial, foram, pouco a pouco, se desencantando com a lentidão das reformas a serem efetuadas e com os vis��veis retrocessos operados nos anos seguintes ao evento.
Do outro lado, estavam os “católicos tradicionais”. Esses partidários mostraram oposição, quando ainda o Concílio estava acontecendo, em relação a vários pontos: reformas litúrgicas, renovação bíblica, eclesiologia “do povo de Deus”, reforma da cúria romana, ecumenismo, liberdade religiosa e a relação entre Igreja e mundo moderno. Diferentemente do outro extremo, eles não questionavam a interpretação dada aos documentos, mas a própria validade do concílio enquanto tal. De início, haviam sido convencidos por Paulo VI em participar da “unanimidade moral” do concílio. Depois, contudo, passaram a lutar contra o evento, visto como um capítulo catastrófico na igreja, que, cedendo para o espírito modernista de seu tempo, estava provocando uma grande crise dentro do catolicismo.
Essa minoria tradicionalista permaneceu, em sua maior parte, fiel à Igreja Católico. Contudo, uma parte menor, capitaneada pelo arcebispo Lefebvre, decidiu romper com a Igreja, considerando que Paulo VI, ao impor novos dogmas derivados da cultura moderna, deixou de ser formalmente papa (sedevacância). Consideravam que o Vaticano II foi guiado não pelo Espírito Santo, mas por um espírito liberal-protestante-maçônico. Assim, assumindo o mito de uma “manobra norte-europeia”, supostamente perpetrado pelo grupo de padres da Alemanha, Áustria, Suíça, França, Holanda e Bélgica, fundaram a “Fraternidade de São Pio X”.
O arcebispo Lefebvre via a liberdade religiosa como a principal meta do liberalismo e a reforma litúrgica como introdutora da “missa de Lutero”. Opunha-se à ideia de tradição e revelação, alargadas pelo Segundo Concílio Vaticano, e, assim, à relação da Igreja com a história. Por fim, lamentou o fato dos padres conciliares não terem promulgado um documento que condenasse, explicitamente, o que considerava o erro de seu tempo, qual seja, o comunismo. Lefebvre não se definiu como herege. Contudo, em 1988, é excomungado pelo Para João Paulo II, por ter caído em desobediência ao sagrar 4 bispos para sua fraternidade.
No terceiro capítulo Vaticano II: além de Roma, o escritor aborda os reflexos que o concílio possuiu não só para a Igreja além da europa (nos continentes americano, africano, asiático e oceânico), mas também aos que estão fora do catolicismo, haja vista seu caráter ecumêmico e inter-religioso. Sob esse último aspecto, o concílio foi visto como um ponto de partida para a aproximação entre, de um lado, a Igreja Católica e, do outro, não só as Igrejas Protestante, mas também as outras tradições religiosas.
O prof. Faggioli analisa também o papel que tiveram duas importantes revistas de teologia, quais sejam, concilio e communio, no delineamento de uma nova reflexão teológica no período pós-conciliar, voltada ao homem do seu tempo, que superasse os “velhos manuais”. Contudo, divergências doutrinárias logo levaram as duas a rivalizarem. Em oposição à postura de diálogo e comunhão defendia pela Concilio, a revista Communio trouxe uma visão neoagostiniana, defendendo a importância da revelação recebida pelos cristãos em Cristo e o ressourcement como método para a reflexão teológica.
Sobre o alcance do Vaticano II para fora de Roma, é importante destacar que, durante o concílio, atuaram como observadores ecumênicos representantes das mais variadas igrejas não-católicas, que colaboraram como peritos não-oficiais para a redação de alguns documentos conciliares, em especial os que diziam respeito às questões ecumênicas. Imoportantes teólogos não-católicos participamtes (entre os quais, destacam-se John Moorman, Edmund Schlink, Oscar Cullmann e George Lindbeckderam), cada um a seu modo próprio, manifestaram contentamento, de uma maneira geral, com a reorientação ecumênica e a postura dialogal que a Igreja Católica adotou na relação com as igrejas não-católicas.
Para além da Europa, o Vaticano II marcou o começo de uma “Igreja mundial”, que possuísse a cara da realidade das Igrejas Locais. Na América Latina, o catolicismo foi profundamente marcado pela Teologia da Libertação, a qual, com base em uma eclesiologia do “Povo de Deus” e uma teologia bíblica fundada na história da libertação dos pobres, colocava-se socio-politicamente mais consciente com as estruturas desiguais no 3ª mundo. O autor comenta que a abertura teológica que o concílio trouxe favoreceu a elaboração, entre os anos 1968 e 1975, dessa nova teologia na américa latina.
Para isso, as Conferências Episcopais Latino Americanas – CELAM, quais sejam, Medellín (1968), Puebla (1979), Santo Domingo (1992) e Aparecida (2007), tiveram papel singular, preocupadas em uma recepção fiel, mas também uma aplicação criativa do “espírito” do Vaticano II. Os bispos latino-americanos, alinhados com alguns teólogos importantes, tais como Jon Sobrino e Leonardo Boff, estavam preocupados em ler os “sinais dos tempos” no ambiente histórico-cultural particular em que viviam. O prof. Faggioli comenta que, apesar das condenações oficiais do Vaticano iniciados em meados da década de 80, o legado dessa teologia continua ativo, trazendo impactos que atravessaram fronteiras geográficas e metodológicas.  
Em relação ao continente africano, no lugar da teologia tradicional da salus animarum (“salvação das almas”) e da plantatio ecclesiae (“expansão da Igreja”), desenvolveu-se uma teologia de adaptação e inculturação. Em um continente em que o período pós-conciliar coincidia com o processo de descolonização e criação de uma hierarquia católica local, o foco da recepção africana do concílio foram os temas da evangelização, inculturação, diálogo religioso, ecumenismo e atuação sociopolítica da Igreja no continente. É, assim, que houve importantes adaptações litúrgicas, tais como no canto, nos instrumentos musicais e nos hinos.
Na Ásia, por sua vez, a característica mais forte da recepção do concílio foi a inculturação da fé cristã, tendo como matizes, em primeiro lugar, o diálogo inter-religiosos com as outras religiões pré-judaicas e, em segundo, o ecumenismo. No continente oceânico, a especificidade da contribuição, segundo o autor, é mais difícil de identificar. Contudo, vale lembrar que os bispos australianos foram os primeiros a aceitarem, durante o concílio, o uso do breviário no vernáculo e a estabelecerem orientações para a liturgia no inglês e no latim.  
No quarto capítulo A Igreja e o mundo: agostinianos e tomistas, o autor defende, como tese principal, que o debate entre as diferentes hermenêuticas do Segundo Concílio Vaticano, antes de ser oriundo de diferenças ideológicas ou políticas (“liberais” vs. “tradicionais”) ou da suposta existência de uma “teologia teológica” oposta à “política doutrinal” da Cúria Romana, deveu-se em virtude de diferentes perspectivas teológicas sobre cristologia, eclesiologia e, mais profundamente, a relação entre Igreja e Mundo. Na linha teológica, portanto, os debates se polarizaram entre, de um lado, os neoagostinianos e, do outro, os neotomistas, a primeira mais interessada em permanecer fiel a uma mensagem mais tradicional, e a segunda preocupada em “traduzir” a mensagem evangélica ao homem moderno.
Os neoagostinianos possuíam uma visão pessimista acerca do mundo e da humanidade. Pautando-se nos ensinamentos de Santo Agostinho, acreditavam que a Igreja era uma “ilha de graça” em um mundo entregue ao pecado. Nesse sentido, a Igreja deveria manter um equilíbrio teológica entre natureza e graça e, não adotar uma consciência ingênua na natureza e um otimismo excessivo ao mundo moderno.
Joseph Ratzinger, importante expoente da corrente neoagostiniana, defendia que a renovação do concílio não era uma adaptação medíocre a uma mentalidade moderna, mas representava a recuperação da própria fonte da teologia, qual seja, o dever missionário para com o mundo. O julgamento de Ratzinger estava muito pautado na crítica ao otimismo espantoso que se via na Gaudium et Spes, assim como na centralidade, para a fé cristã, do dualismo existente entre o “Reino de Deus” e a “ordem histórica”, o que o fez refutar qualquer tipo de teologia da libertação ou teologia política.
Os neotomistas, por outro lado, mantêm uma visão mais otimista sobre a criação, os seres humanos e sua história. Para eles, a defesa do lugar da história e do pluralismo é central na teologia. Não se poderia desprezar, portanto, os novos fatos do catolicismo moderna, tais como a expansão missionária, o pluralismo das civilizações humanas, o movimento ecumênico e o apostolado do laicato, como novos loci theologici para a teologia do séc. XX, conforme defendia o dominicano Marie-Dominique Chenu, importante adepto da tendência neotomista. Para esse teólogo, a distinção entre natureza e graça, defendia pelos neoagostinianos, era inadequada no pensamento de Santo Tomás de Aquino, porque negligenciava a autonomia criada e a inteligibilidade do mundo da natureza, do homem e da história. Acreditava também que o “fim da era constantiniana” (acordo entre poder político e poder espiritual) exigia uma mudança da relação entre teologia e história.
Outro dominicano, o francês Yves Congar, um dos mais importantes teólogos do Concílio, considerou que o Concílio Vaticano II, ao trazer a importância da história para a Revelação de Deus, livrou a Igreja do pensamento “agostiniano político”, pelo qual a validade das estruturas e atividades temporais se pauta na sua conformidade com a justiça sobrenatural.
Para dar uma posição mais oficial a esse debate, o recém eleito Papa João Paulo II, em comemoração ao 20º aniversário do encerramento concílio, convocou um Sínodo Extraordinário dos Bispos, realizado em 1985, com o intuito de discutir o papel do Vaticano II na Igreja pós-conciliar e desenvolver alguns princípios hermenêuticos para a recepção do concílio. Desde os questionários enviados aos patriarcas e aos presidentes das conferências episcopais, via-se que a intenção do sínodo, pautado nas hipóteses pessimistas de Ratzinger, era discutir os limites da recepção do Vaticano II.
Nesse sentido, muitos pesquisadores acreditam que o sínodo dos bispos, apesar das respostas pré-sinodais e das intervenções durante o sínodo, representou um retrocesso nos ganhos conciliares, pois muitas noções desenvolvidas pelo Vaticano II foram supressas ou silenciadas a partir de então. Exemplo é a expressão “Igreja como povo de Deus”, preterida pelo acento da Igreja como “mistério”. O Sínodo dos Bispos acentua, ainda, a Teologia da Cruz na Gaudium et spes, em contraposição à visão otimista da relação da Igreja com o mundo.
Pode-se resumir, portanto, que o Sínodo dos Bispos, além de fortalecer a tendência teológica neoagostiniana como parâmetro para a interpretação do Concílio, foi a primeira e mais importante intervenção da Cúria Romana, sob comando do Papa João Paulo II, em reorientar a recepção do concílio para o que aquele desejava: avanço nas questões ad extra (ensinamento social, ecumenismo, diálogo inter-religioso) e retrocesso nas questões ad intra (eclesiologia...).
No capítulo quinto O choque de narrativas, o autor aborda a elaboração do mais importante estudo e pesquisa historiográficos desenvolvidos sobre o Concílio Vaticano II, que desembocou na publicação da obra, em 5 volumes, História do Vaticano II e que instaura uma nova fase na recepção do concílio, qual seja, a da reconstrução histórica. Para entender o que, de fato, aconteceu no Concílio Vaticano II, o historiador Guiseppe Alberigo, a partir de 1988, reuniu pesquisadores de todos os continentes do mundo para, em um estudo multidisciplinar, responder à perguntar “qual o verdadeiro curso do Concílio Vaticano II e qual a sua importância?”. A originalidade e importância dessa pesquisa se radica no fato dela ter utilizado fontes primárias do concílio, quais sejam, atas oficiais, diários e documentos não oficiais dos participantes e correspondências trocadas.
Nessa nova fase, marcada também com a eleição do Papa Bento XVI em 2005, foi criado um novo ambiente teológico que recrudesceu o movimento conservador e começou a questionar a legitimidade da pesquisa coordenada por Alberigo. Focando especialmente em dois pontos do Concílio Vaticano II (a colegialidade dos bispos e o subsistit in da Lumen Gentium), os críticos acusaram o historiador de escrever a história não com base nos documentos finais, mas baseado em uma interpretação ideologicamente tendenciosa e “modernista” do espírito do Vaticano II.
O Papa Bento XVI também reforçou, em seu pontificado, o primado papal frente à colegialidade dos bispos, característica da eclesiologia da iurisdictio (do Vaticano I). Diminui ainda a força de outros aspectos da eclesiologia do vaticano II, tais como a Igreja como Povo de Deus, a Igreja como sacramento do Reino de Deus no mundo e o ecumenismo. Sobre o subsistit in, presente na Lumen Gentium n. 8, a qual preconiza que “a Igreja de Cristo [...] subsiste na Igreja Católica”, a Congregação para a Doutrina da Fé, durante o pontificado de Bento XVI, publica “respostas a questões relativas a alguns aspectos da doutrina sobre a Igreja”, que reinterpreta o subsistit in, no sentido de identificar a Igreja de Cristo com a Igreja Católica, diminuindo, assim, o espaço para o ecumenismo.
A eclesiologia não foi a única reforma da Igreja atacada durante essa época. Vários pontos da liturgia delineada na primeira constituição conciliar aprovada, a Sacrosanctum Concilium, também foram abandonadas. A missa em latim, por exemplo, segundo o Missal de São Pio V é reintroduzia nessa época.
No sexto e último capítulo intitulado Macroquestões do debate sobre o Vaticano II, são abordados três últimos temas bastante atuais, que abrangem e são capazes de resumir as discussões teológicas em torno do concílio, quais sejam, i) o Vaticano II como ponto de partida ou chegada; ii) a dinâmica intertextual dos documentos conciliares; e iii) o papel da história para a Igreja e a Teologia. Quanto ao primeiro ponto, o autor explana que duas visões se rivalizam. A primeira defende que o Vaticano representou o fim de um processo de renovação, que é baseada na letra (essa posição enfatiza o texto do documento), enquanto que a segunda se posiciona no sentido de que o concílio é o começo de uma renovação, pautada na ideia de que aquele é além da mera letra dos documentos, mas configura um sopro do Espírito Santo.
A respeito da dinâmica intertextual dos documentos conciliares, a questão central é: levando-se em consideração que o Vaticano II representa um corpus de documentos, qual o primeiro passo na hermenêutica do concílio para se compreender o seu valor teológico? Uma primeira posição defende que a Constituição Dogmática Dei Verbum, a qual delineia como ocorrem a Revelação de Deus e sua recepção na história da humanidade, desempenha papel de eixo central a partir do qual se interpretam os outros documentos. A segunda abordagem enfatiza a importância da linguagem, que, portanto, evidencia a necessidade de se estudar a formação histórica de cada documento, assim como seus gêneros literários e estilo. Assim, não há a proeminência de um ou outro documento, já que o próprio concílio, como um todo, é um “texto” a ser interpretado de modo orgânico.
Por fim, o autor aborda a questão de como a história humana se torna fonte real da teologia para a Igreja. De uma concepção metafísica (literalmente, “além da natureza”), para uma teologia da “história da salvação”, o valor epistemológico da história remonta à questão de como a Igreja trata o passado, a Tradição, as mudanças de perspectiva teológica. Essa questão acaba desembocando, consequentemente, no mesmo debate se o Concílio Vaticano II é uma continuidade ou uma descontinuidade com a história anterior. O prof. Faggioli recorda que tratar o Vaticano II como continuidade o constituiria como exceção na história dos concílios, haja vista que até Trento, símbolo da Tradição mais correta da Igreja, no qual muitos tradicionalistas se apegam, significou mudança da “falta de clareza” da tradição teológica anterior.
 3.       CONCLUSÃO
 Após o exaustivo e denso estudo do prof. Faggioli, pouco há o que criticar ou acrescentar. É importante frisar que o livro se coloca como uma leitura histórica que vai desde a abertura do Concílio até o final da primeira década do 3º milênio. Nesse sentido, apresenta a história das interpretações do Vaticano II sem se deixar determinar por nenhuma visão político-ideológica, como fazem alguns dos teólogos que tentam interpretar o evento conciliar. O prof. Faggioli consegue produzir, assim, uma pesquisa cuidadosa que apresenta as múltiplas “narrativas” que se digladiam nesse tema.
Dentro dessa perspectiva mais historiográfica, o prof. Faggioli, de uma maneira geral, defende que o Vaticano II é um concílio tanto de continuidade quanto de descontinuidade. Isso porque, se, por um lado, por mais inovador que tenha sido o Vaticano II, ele não rompeu com a Tradição da Igreja, os documentos aprovados mostram, por outro lado, profundas reformas ad intra e ad extra na Igreja, em sua teologia, estrutura e apostolado.
Contudo, no último capítulo, quando aborda as “macroquestões” do concílio, o prof. Faggioli pende para a interpretação da descontinuidade do concílio. Comenta que: “supor uma continuidade perfeita entre o Vaticano II e a tradição anterior colocaria o Vaticano II na categoria de exceções da história dos concílios da Igreja” (FAGGIOLI, 2013, p. 192). Para defender essa tese, explana que todos os concílios ecumênicos representam descontinuidade na história da Igreja. Eles funcionam como “acontecimento”, que irrompe na história da Igreja e que, por si só, representam novos caminhos. O que ocorreu com o Vaticano II é que tal característica se tornou mais aguçada haja vista seu caráter verdadeiramente mundial.
De fato, o Vaticano II trouxe uma guinada teológica e nas ações pastorais da Igreja. A Igreja que chegou ao Vaticano II não é mais a mesma depois de 1965. Isso não quer dizer que o referencial último da Igreja tenha mudado. Cristo é o mesmo: o alfa e ômega, princípio e fim (cf. Ap 1,8). Porém, a forma como a Igreja tem respondido a essa revelação de Deus tem caminhado.
Modena e Souza concordam com essa argumentação:
Ao analisar os documentos conciliares, percebe-se o quanto foi significativa a decisão pela descontinuidade de algumas concepções teológicas e de algumas opções disciplinares. Os pontificados das últimas décadas e o dos dias hodiernos, não por acaso, insistem em pregar a misericórdia, em querer dialogar com as diferentes religiões, ou mesmo tocar as feridas da humanidade. Tais atitudes são expressões concretas de um rico legado deixado pelo Vaticano II, que dogmaticamente nada de novo definiu, mas que compreendeu que a condenação não combina com o jeito de amar do Deus de Jesus (MODENA; SOUZA, 2019, p. 57).
Esses autores, contudo, advertem a respeito de uma leitura equivocada do Vaticano II de “descontinuidade e ruptura”. Recordam que o Vaticano II não discordou de nenhum dogma estabelecido, não anulou nenhum ensinamento magisterial e não rompeu, assim, com a Tradição da Igreja (cf. MODENA; SOUZA, 2019, p. 55). O prof. Faggioli, de igual forma, condena os “paraconcílios”, constructos forjados por uma interpretação tendenciosa e afetada. “É verdade que, no período pós-conciliar do Vaticano II, a teologia católica às vezes se permitiu um ‘paraconcílio’ e esqueceu o verdadeiro. Isso é verdadeiro para os dois lados” (FAGGIOLI, 2013, p. 191).
Nesse sentido, é equivocado se considerar que há apenas rupturas no Concílio Vaticano II. Os movimentos precursores do Vaticano II (ecumênico, bíblico, litúrgico, social e missionário) são prova do contrário. Contudo – e nisto os autores estão corretos –, o Vaticano II representa um sopro, inédito e inovador, do Espírito Santo na Igreja Católica.
O que talvez pudesse ser complementado à pesquisa do prof. Faggioli é a eleição, em 2013, de Francisco como papa da Igreja, o que tem trazido a cada dia novos impulsos à aplicação do Segundo Concílio Vaticano. Contudo, considerando que o livro foi publicado em 2012, os novos rumos para os quais Francisco tem direcionado a Igreja podem ser examinados pelo autor em uma 2ª edição ampliada.
Até o prof. Faggioli complementar sua obra, duas características do pontificado de Francisco já podem ser apontadas. Como apoio a essa tarefa, utiliza-se o artigo Fronteiras eclesiais no pontificado de Francisco, escrito por Elias Wolff e Raquel Colet, ainda no prelo do n. 93 da Revista de Cultura Teológica, da Pontifícia Universidade Católica de São Paulo.
Uma primeira característica do Papa Francisco que representa o aggionarmento do Vaticano II é a sua eclesiologia, especialmente a relação que entende entre o Papa e os bispos. Ao apresentar-se como “Bispo de Roma”, demonstra como entende o primado papal. Na exortação apostólica Evangelii Gaudium, Francisco considera que a Igreja Local é “o sujeito primário da evangelização” (EG 30), recuperando a autoridade de cada bispo em sua igreja (EG 16. 31) e das conferências episcopais (EG 32). Os bispos, assim, devem estar “à frente”, “no meio” e “atrás” do povo para “promover uma comunhão dinâmica, aberta e missionária” (EG 31) (cf. WOLFF; COLET, 2019). Esse é um perfeito ensinamento que pode ser extraído da Lumen Gentium, conforme se pode vislumbrar em seu n. 23:
E cada um dos Bispos é princípio e fundamento visível da unidade nas suas respectivas igrejas, formadas à imagem da Igreja universal, das quais e pelas quais existe a Igreja católica, una e única. Pelo que, cada um dos Bispos representa a sua igreja e, todos em união com o Papa, no vínculo da paz, do amor e da unidade, a Igreja inteira.
Recepcionando os ensinamentos do Vaticano II, Francisco reforça esse entendimento do papel dos bispos, suavizando a sua própria potestas de Romano Pontífice. “Não convém que o papa substitua os episcopados locais no discernimento de todas as problemáticas que sobressaem nos seus territórios” (EG 16).
Outra característica de Francisco que mostra que os efeitos do Concílio Vaticano II têm se multiplicado é a sua disposição em prol do ecumenismo e do diálogo inter-religioso. Analisando as fronteiras religiosas, o Papa Francisco reconhece as que são componentes da identidade eclesial, mas também transpõe aquelas que impedem a comunhão na fé cristã. Tem sido, por exemplo, bastante inovador seu incentivo ao diálogo com o pentecostalismo. Suas iniciativas têm dado importante impulso para as afirmações das Declarações conciliares Nostra Aetate e Unitatis redintegratio. Nesse sentido, Elias Wolff e Raquel Colet destacam três características de Francisco.
No diálogo inter-religioso, três elementos o distinguem dos seus predecessores: é o primeiro papa a fazer uma viagem com características fundamentalmente inter-religiosas, indo a Myanmar e Bangladesh, em dezembro de 2017; expressa um convicto apoio ao diálogo com os muçulmanos, apoiando a criação de uma Comissão Palestina para o diálogo com o Pontifício Conselho para o Diálogo Inter-religioso; e, na encíclica Laudato si, vincula estreitamente o diálogo inter-religioso com a doutrina social da igreja, convocando todos os credos a uma corresponsabilidade por uma “ecologia integral” (WOLFF; COLET, 2019).
Depois de um pontificado mais “duro”, por assim dizer, do papa Bento XVI, que trouxe cautelas na aplicação dos avanços do Vaticano II, Francisco tem sido um novo e diferente capítulo à história conciliar. Graças à sua vontade, seu intenso trabalho e seu entendimento teológico, Francisco tem colocado em prática muito dos ensinamentos conciliares. Em Francisco, encarna-se o mesmo projeto de aggiornamento e diálogo com o mundo que se viam, respectivamente, em João XXIII e Paulo VI.
 BIBLIOGRAFIA
 CONCÍLIO VATICANO II. Constituição Dogmática Lumen Gentium. São Paulo: Paulinas, 2006
FAGGIOLI, Massimo. Vaticano II: a luta pelo sentido. São Paulo: Paulinas, 2013.
FRANCISCO, Papa. Exortação Apostólica Evangelii Gaudium. São Paulo: Paulus/Loyola, 2014.
MODENA, Hernane; SOUZA, Ney. Igreja testemunho da misericórdia, do diálogo e do encontro no mundo contemporâneo. In: SOUZA, Ney (org.). Vaticano II: história, teologia e desafios. Curitiba: CRV, 2019. p. 19-87.
WOLFF, Elias; COLET, Raquel. Fronteiras eclesiais no pontificado de Francisco. Revista de Cultura Teológica, São Paulo, ano XXVII, n. 92, p. 184-208, jan./jun. 2019.
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michaeldemanega · 6 days ago
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Gutachter im Strafprozess | perito forense nel processo penale
Register der Sachverständigen am Ordentlichen Landesgericht Bozen, Eintragungsnummer 45, Eintragungsdatum 17/02/2025. Kategorien: Ingenieurwesen und verwandte Spezialisierungen (Art. 67, Durchführungsbestimmungen zur Strafprozessordnung). Albo Periti, Tribunale Ordinario di Bolzano, numero iscrizione 45, data di iscrizione 17/02/2025. Categorie e specializzazioni: Ingegneria e relative…
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giancarlonicoli · 5 years ago
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13 SET 2019 10:00
“POSSO ASPETTARE, L’HO FATTO PER ANNI…VOGLIO DIMOSTRARE LA MIA INNOCENZA” – PARLA ALEX SCHWAZER DOPO CHE IL GIUDICE HA DECISO DI RINVIARE LA SENTENZA - SCONTRO DURISSIMO TRA PERITI E L’AGENZIA ANTIDOPING WADA: NELLE PROVETTE DNA NON COMPATIBILI CON QUELLI DELL'EX MARCIATORE. IL COMANDANTE DEI RIS IPOTIZZA "LA MANIPOLAZIONE – IL TECNICO SANDRO DONATI PROMETTE FUOCO E FIAMME": SE SI ARRIVA ALLA FINE, CHIEDERÒ IL RISARCIMENTO. E DIRÒ TUTTO SE QUALCUNO NON MI METTERÀ UNA PISTOLA IN BOCCA PRIMA"
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Foto di Ferdinando Mezzelani per Dagospia
Valerio Piccioni per la Gazzetta dello Sport
Quattro ore. Un lungo match senza esclusione di colpi. Da una parte le istituzioni sportive: Iaaf e Wada. Dall' altra l' atleta: Alex Schwazer. In mezzo la perizia del comandante del Ris, Giampietro Lago, che spiega, argomenta, risponde nell' udienza dell'«incidente probatorio».
Alla fine del corpo a corpo giuridico-scientifico, il gip Walter Pelino ascolta le richieste delle parti e si riserva di decidere sulla richiesta della difesa di Schwazer di un'«estensione della perizia» per irrobustire ancora la tesi dell' anomalia e della «manipolazione», parola che per la prima volta Lago pronuncia fra le ipotesi possibili (le altre sono l' eventuale aumento per assunzione di doping o per il super allenamento, tesi però non supportate da altri controlli, e un' eventuale patologia).
L' avvocato Gerhard Brandstaetter chiede anche una rogatoria internazionale per l' acquisizione delle famose mail scambiate fra consulenti e legali Iaaf, pubblicate dagli hacker di Fancy Bears, quelle in cui si cita a un certo punto la parola «plot», complotto, riferendola ad Alex Schwazer. Il gip prenderà una decisione che potrebbe arrivare fra due settimane.
L' udienza si era aperta con un colpo di scena. La Wada ha presentato un documento relativo a un altro controllo su Schwazer (del 27 giugno 2016) in cui il laboratorio di Losanna certifica la presenza di livelli di Dna molto alti, addirittura di 14.000 picogrammi/millilitro. Un modo per dimostrare la regolarità dei livelli trovati dal perito nel controllo sulle due provette del 1° gennaio 2016.
«Ma da dove viene tutto questo? - ha reagito Brandstaetter -. Un' analisi cominciata in agosto 2017 e di cui il perito, il giudice, le parti non sapevano niente. Questo è un boomerang, un autogol!». La Wada ha chiesto che venisse acquisito il documento e il Gip si è riservato di decidere. Ma sulla cifra dei 14.000, pure il perito si è mostrato molto scettico: «Possiamo stimare un valore 100.000 al momento in cui si è raccolta l' urina. Si tratta di un numero completamente fuori dalla realtà visto che i valori medi della popolazione sono fra 80 e 100».
Il fatto è che la posta in gioco è altissima. Ci sono passaggi della storia che evidenziano diversi dubbi sulle garanzie per l' atleta nella procedura dei controlli antidoping. E forse è questo che preoccupa di più Iaaf e Wada, l' idea che il caso possa scardinare il sistema. Il tema centrale resta quello dei valori molto alti di concentrazione del Dna trovati, peraltro a distanza di due anni, nell' urina di Schwazer.
L' analisi probabilistica della perizia illustrata da Lago parla di una marcata tendenza al «decadimento» dei valori: più passa il tempo e più i livelli si abbassano. «Del 70% dopo un anno e di quasi il 90% in un anno», spiega Lago. Nel caso di Schwazer, però, il dato è già molto alto e arriva quasi a 1200.
Perché? Emiliano Giardina, perito della Iaaf, pressa Lago: «Quella è un' analisi probabilistica, ma nel 15% dei casi il valore non si abbassa, ma si alza.
Come fa a escludere che si possa verificare un caso del genere?».
Lago giudica questa ipotesi «possibile ma assai improbabile». E il perito di Schwazer, Giorgio Portera, nota che i casi in cui si abbassa il livello di concentrazione sono quelli con valori bassi. La difesa dell' olimpionico cita poi i «nuovi» controlli su Schwazer, compiuti in questi dati dal perito, che danno, pure con «urina fresca», numeri molto inferiori a quelli registrati analizzando il campione della positività, quello raccolto il 1° gennaio del 2016.
Lo scontro dilaga anche sull' interpretazione di un altro dato, quello della differenza fra campione «A» e campione «B», analisi e controanalisi, con la seconda provetta che ha il livello di 3,69 volte maggiore. Per Marco Consonni, consulente legale della Wada che ha commentato dopo la fine dell' udienza, «la questione della differente concentrazione del Dna nei due campioni di urina è una non questione.
È noto e conforme alla letteratura scientifica che sono le ripetute attività di congelamento e scongelamento di apertura e chiusura dei flaconi che portano a un decadimento della concentrazione del Dna. Queste attività hanno interessato maggiormente il flacone A rispetto al flacone B che è dedicato ad altri fini. Il consulente tecnico ha analizzato solo i possibili effetti di congelamento nel tempo, ma non le operazioni ripetute di congelamento e scongelamento che hanno interessato solo residualmente il campione B. La tesi che questa differenza proverebbe una manipolazione è completamente da escludersi e le due consulenze tecniche hanno confermato che i campioni sono dell' atleta». Il riferimento è all' assenza di un secondo Dna, che Lago ha scritto come primo punto della perizia, pur non dichiarando impossibile l' ipotesi di un Dna «invisibile».
E la difesa di Schwazer è andata all' attacco anche sull' esito degli esami compiuti da Lago, che ha diviso campioni A e B analizzando soggetti di diverse età, non riscontrando sostanziali differenze fra i risultati. Insomma, la storia continua. E la sensazione è che non finirà tanto presto.
DONATI: «DIRÒ TUTTO, SE PRIMA NON MI METTERANNO UNA PISTOLA ALLA BOCCA»
Da la Gazzetta dello Sport
«Io credo nella giustizia, altrimenti non sarei qui», dice alla fine della serata di Bolzano Alex Schwazer, dopo un' udienza che dura come una delle "sue" cinquanta chilometri. «Posso aspettare, l' ho fatto per anni, non sarà qualche mese a cambiare. Io non sono qui per cambiare la mia vita, la mia vita va avanti a prescindere. Ma per dimostrare la mia innocenza.
Certo, voi adesso tornate a casa e magari pensate ad altro, io domani avrò ancora questa storia in testa». La Wada ha prodotto un documento con la certificazione di un valore altissimo in un precedente controllo, quello effettuato il 27 giugno del 2016, proprio pochi giorni prima la dichiarazione della positività.
«Senza garanzie, senza le parti presenti, senza periti del giudice. L' istituzione mi ha tolto due medaglie, per salvarsi si tira fuori di tutto. Ma io ho fiducia, più passa il tempo e più ci sono altri elementi. Non è stato trovato il secondo Dna? In due anni, lo si è detto, si può farlo sparire». Con lui, ancora una volta, c' è l' allenatore che ha creduto più di tutti alla sua seconda vita sportiva: «Senza Sandro Donati non saremmo qui a combattere per la verità».
E proprio Donati va all' attacco.
«Il documento della Wada?
Nei controlli disposti dal perito del Gip su Schwazer, nelle ore mattutine, le stesse in cui fu effettuato il prelievo del primo gennaio, si è registrato un tasso di concentrazione del Dna di 3,5 o 6,5 picogrammi/millilitro. Nel documento portato da Losanna, si può stabilire - lo ha detto il perito - un valore a urina appena raccolta di 140.000 picogrammi/millilitro! Vi rendete conto della differenza».
Donati rilancia ancora: «Se si arriva alla fine, io chiederò il risarcimento. E dirò e spiegherà tutto, tutto, se qualcuno non mi metterà una pistola in bocca prima».
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