#Ora che non siamo pi�� bambini
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RACCONTO DI NATALE : IONA
Iona entrò in casa tutta arrabbiata. Sua nonna, che come sempre aspettava con ansia il suo arrivo sulla porta di casa, se ne accorse subito. Appena entrata Iona butto lo zaino per terra con un plateale gesto di stizza come fanno i bambini quando vogliono attenzione e a passi pesanti e con la faccia rabbiosa attraversò il salotto diretta nella sua stanza. ”Iona, cori i to nonna chi ti succidiu?” la nonna chiese mentre la vedeva passare davanti con il muso lungo lungo ad evidenziare una terribile rabbia. La piccola fece ancora qualche passo poi si girò di scatto facendo oscillare tutti i suoi capelli ricci da destra a sinistra, quando si fermò, con la voce stridula e gli occhi quasi pieni di lacrime grido “io non ci torno più in quella scuola di stronzi! Non ci torno più neanche se mi ammazzano” e girandosi di scatto se ne uscì dal salotto singhiozzando in modo ancor più plateale e sbattendo la porta. Entrò nello stesso momento la madre di Iona, carica di sacchetti pieni di frutta e verdura sbuffando per la fatica. “Catina, ma chi ci succidiu a to figghia?” chiese la nonna angosciata dal pianto della nipote. La madre di Iona sbuffò mettendo sul tavolo della cucina la spesa. “nenti Mà, u sai chi è esagerata” “na visti mai accussi ncazzata…” insiste la nonna preoccupata. “nenti Mà: cosi i carusi. Oggi in classe sceglievano chi doveva iniziare la recita di Natale, ed erano rimasti lei e Ginu, u figghiu du pisciaru…” “beddu chiddu…” commentò la nonna che quando insegnava aveva avuto il padre come scolaro. “...allura Iona ha recitato la poesia meglio di lui e la maestra ha scelto lei; Gino si è arrabbiato e si è alzato in classe e ha detto che non si poteva far recitare la poesia ad una che ha le orecchie come a quattara ill’assu i coppi; tua nipote che è permalosa gli ha risposto e ne è venuto fuori un putiferio perché Gino la voleva picchiare, ma figurati si Iona si potta i coppi a casa (figurati se non li restituisce) “ “fici bonu - rispose la nonna seria seria - non le doveva dire quello che ha detto, lo sai quanto Iona si vergogni delle sue orecchie, se ne è fatta un complesso” “si deve abituare all’ idea, non e che da grande le orecchie scompaiono – rispose la madre che aveva fretta, ed aggiunse per chiudere la discussione - Ha detto la sua maestra se poi l’aiuti a fare le ali degli angioletti della recita, io vado che ho la riunione, prepara qualcosa per stasera” bevve un sorso d’acqua e usci di corsa. La nonna restò dietro la porta di Iona e dopo un minuto bussò “Iona, vuoi qualcosa? Posso entrare? “ “NO! – urlo rabbiosa Iona – non voglio vedere nessuno, malanova a quannu me matri mi fici sto ricchi i Dumbo” “Iona cori da nonna nun fari accussi, chiddu.. Ginu… è bastasi nun ta pigghiari..” “iddu u dici, ma l’otri u pensanu: si misiru tutti a ridiri quannu dissi chi haiu i ricchi come l’asu i coppi…” “non ta piggjiari sciatu mei, tu si bedda, intelligenti….” “ e chi ricchi i n’elefanti” grido ancora più rabbiosa Iona.
Si mise a piangere abbracciata al suo cavallino bianco e nascosta sotto le coperte nel suo letto. Aveva chiuso anche le persiane, così tutta la stanza era nella penombra, ma a lei, nel buio delle coperte, non le interessava essere vista o vedere qualcuno. Era arrabbiatissima, ma ancor di più era disperata. Si ricordò la prima volta quando, mentre stavano guardando il film Dumbo all'asilo, tutti i suoi compagni si misero a ridere girandosi vero di lei; o di quando si doveva comprare gli orecchini e tutti quelli che provava erano orribili tanto da sembrare, da come pendevano, i piccoli babbi natale di cioccolata che appendeva all’albero di Natale. Inoltre ogni volta che litigava con qualcuno ecco che subito venivano fuori le sue orecchie che a seconda dei casi erano o “i ricchi d’elefanti”, o “i manici da quattara”, o “u radar ill’aerupottu”, “i ricchi du scimpanzè”, o le chiedevano se sentiva le formiche camminare nel Sahara. Nessuno dei suoi compagni di classe la guardava come i maschi guardano le bambine e se prendeva qualche bel voto tutti a dire che il bel voto dipendeva dal fatto che chi aveva le orecchie grandi aveva più spazio per il cervello…. Non ne poteva più! Più lei si impegnava per essere brava, per essere la migliore ed essere apprezzata, più tutti a tirare fuori le sue maledette orecchie per farla sentire una scimmia. Perché le avevano dato quelle orecchie? lei non era diversa dalle altre bambine, perché tutti la giudicavano per come era fuori e non per quello che era veramente? Erano tutti stronzi! Gesù bambino non doveva portare regali a nessuno, perché erano tutti cattivi con lei!
Non c’era niente da fare, si disse la nonna, Iona era più testarda di suo padre e non avrebbe ragionato per un bel po'. La nonna si intristì. Le orecchie erano state per Iona sempre un problema. Avevano cercato di farle superare questa sua fobia, ma lei era invece diventata sempre più sensibile a quello che lei pensava fosse un suo irrimediabile difetto. Era arrivata a farsi crescere i capelli e a cotonarli per nascondere le orecchie o anche d”estate quando il caldo era troppo per tenere la folta capigliatura libera sulle spalle, portava tutti i generi di cappelli che le permettessero di nascondere le grandi orecchie. La nonna era demoralizzata se a questa età era così sensibile, figurarsi a vent’anni quando la bellezza per una ragazza in cerca d’amore diventava una questione di vita o di morte. Senti un tonfo venire dal salotto. Andò a vedere, ma non trovò nulla di strano, solo quando guardò il presepe capi che l’angelo sopra la capanna era caduto. Andò a prenderlo accanto all’asino. Lo girò per aggiustare il filo che lo teneva in alto sulla capanna. “Signuri mei, ci vurria nu miraculu pi Iona…” penso amareggiata. Rimise l’angelo a posto e lo guardò. L’angelo ruotava mostrando ora il volto ora le ali con l’aureola, ora il volto, ora le ali con l’aureola. “un miracolo…” si disse di nuovo la nonna e sorrise. Andò al telefono e compose un numero, quando la maestra di Iona rispose la salutò e continuò “Senti na cosa Lucia, avemu fari nu miraculu……”
“forza, ca mettiti l’ ali” Iona allargo le braccia mentre la nonna le sistemava sulla schiena due ali dorate. Le mise poi un cerchietto in testa da cui partiva un’aureola dorata. Le acconciò i capelli in modo che il cerchietto non si vedesse e nel fare questo lascio scoperte le grandi orecchie. “no nonna si vedono le orecchie “ disse Iona spaventata. “No, devono andare cosi per l’aureola, se no si vede il cerchietto…” Iona cercò uno specchio per guardarsi ma nello sgabuzzino della sacrestia della chiesa dove si trovavano, non ce n’era. Non capiva perché lei si dovesse vestire li dentro mentre i suoi compagni di classe erano nello stanzone in fondo alla sacrestia. Le avevano spiegato che lei doveva uscire per prima e recitare la poesia con una candela in mano nel buio della chiesa e poi sarebbero arrivati i compagni su due file vestiti da angioletti cantando Tu scendi dalle stelle. “le orecchie si devono vedere – fece la nonna seria – cosa ti ho detto?’” “che Gesù ci deve fare un miracolo – rispose Iona automaticamente - deve..” “non lo dire - fece sottovoce la nonna – devi dirlo a mezzanotte dopo la poesia, chiudi gli occhi e lo chiedi a Gesù, è il suo compleanno non potrà negartelo e poi sarà tutto buio, non ti vedrà nessuno” quest’ultimo argomento convinse Iona più della possibilità del miracolo a cui non sapeva se credere o meno. Quando fu il momento le luci si spensero e lei lentamente uscì dalla sacrestia camminando nella chiesa buia fino al centro della navata con una candela accesa in mano. Una volta nel mezzo della chiesa si guardò intorno, ma nel buio non riusciva a scorgere nessuno e si sentì meglio perché forse, anche gli spettatori della recita non avrebbero notato le sue orecchie; la maestra Lucia le porse il microfono e lei incomincio a recitare.
Oggi è una notte molto speciale Perché è la santa notte di Natale In questa notte stellata e bella Gli angeli portano la lieta novella Oggi è nato il nostro salvatore Figlio di Dio e del suo amore Da un bue e un asinello è scaldato Da tutti i pastori è qui adorato Venite a guardare tutti quanti il piccolo bambino qua davanti Venite adoriamo il pargolo divino Venite preghiamo Gesù bambino L’amore di Dio guarda i nostri cuori non gli importa come siamo fuori E in questa notte di pace e bontà Gridiamo al mondo la gran novità Che anche se non hanno le ali Tutti i bambini son tra loro uguali Non conta il colore o dove son nati Non conta se ricchi oppure affamati agli occhi dell’amore non c’è differenza nel cuore di Dio nessuna preferenza Tutti i bimbi del mondo sono fratelli perchè Dio li vede tutti quanti belli
Finita la poesia Iona chiuse gli occhi e dentro di se incomincio a pregare “Gesu bambino sono stata brava, ho sempre fatto i compiti e ho aiutato la mamma, ti prego fammi di diventare le orecchie come quelle dei miei compagni, non voglio più essere diversa da loro.” Intanto sentiva i compagni che entravano cantando, quando furono vicini a lei piano piano le passavano davanti e la baciavano su una guancia. Le luci si alzavano e lentamente la chiesa si illuminava. Sentì che i genitori ridevano ed apri gli occhi e li vide che tutti battevano le mani o che facevano le foto con i telefonini. Lei si guardo intorno disorientata da tanto clamore e si girò a vedere i suoi compagni che erano sui gradini che portavano all’altare. Restò a bocca aperta: avevano tutti delle orecchie uguali alle sue, che uscivano dalla testa larghe e tonde. “mamma mia che ho fatto?” Pensò e si toccò le sue per vedere se Gesù bambino nel fare il miracolo le avesse dato delle orecchie normali rendendola ancora una volta diversa, ma le sue orecchie erano rimaste come erano. Penso che nel passare tutti i suoi compagni l‘avevano baciata, anche quel runzuni di Gino gli aveva stampato un bacio sulla guancia, forse per dirle che le volevano bene e che se avevano le stesse orecchie, non era per prenderla in giro, ma perché non la pensavano diversa da loro. Iona era felice, si girò sorridendo a guardare il pubblico: anche se le orecchie dei suoi compagni sembravano di gesso colorato, Gesù era stato bravo, aveva fatto un miracolo e poi, come diceva la nonna, tutti hanno delle orecchie di cui si vergognano, alcune si vedono ed alcune sono nascoste, ma è quando tutti le possono vedere senza farci caso e noi non ci vergogniamo più di averle, che incomincia il Natale.
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LA VITA E' BELLA...SE SAI COME ESSERE FELICE
A volte i peggiori nemici della nostra felicità siamo… noi stessi. Ci sono cattive abitudini dalle quali dipendono comportamenti che hanno il potere di appesantire le nostre giornate senza che neppure ce ne rendiamo conto. Per fortuna non è difficile liberarsene: basta qualche piccolo accorgimento e un po’ di attenzione per spazzarle via e rendere più semplice la vita. Vediamo qualche strategia di pensiero positivo che ci aiuti a uscire dalle gabbie mentali.
FERMIAMO GLI AUTOMATISMI – L’obiettivo sta nel superare i meccanismo automatici che spesso generano pensieri negativi dei quali finiamo per non accorgerci neppure. Ad esempio, quando usciamo di casa spesso non ci rendiamo neppure conto di aver chiuso la porta a chiave: lo facciamo tutti i giorni e il gesto non richiede la nostra attenzione. Lo stesso accade, quando ci sentiamo delusi e frustrati, con i pensieri negativi: la nostra mente li genera “in automatico”, impedendoci di riflettere in modo oggettivo sulle situazioni, avvelenandole ancora di più.
SMETTI DI PENSARE – Ti è mai capitato di metterti a dieta e, prima ancora di cominciare, il cibo si trasforma in un pensiero fisso? Lo stesso accade con una preoccupazione o una insicurezza. Il primo passo sta nel fare di tutto per rimuovere quel pensiero fisso dalla mente. Meglio dedicarsi al lavoro, a un’attività interessante, in qualcosa che ci coinvolga e catalizzi la nostra attenzione. Proibito anche parlarne ad altri: è concesso un piccolo sfogo, ma che duri pochi minuti, giusto il tempo di esteriorizzare il problema e distaccarsene. IMPARA A ESPRIMERE LA RABBIA – Tenersi sempre dentro collera e frustrazioni è sbagliato e controproducente. A differenza dal punto precedente, un motivo di risentimento o la convinzione di aver subito un torto non deve essere repressa, ma comunicata in modo calmo e assertivo. Subire tutto ingoiando la collera è una pessima abitudine che genera rancori e che ha un effetto deleterio anche sulla salute. PARLA POSITIVO – Le nostre frasi fin da quando siamo bambini cominciano spesso con la parola “non“: non correre, non gridare, non mangiare cioccolato. Il semplice fatto di esprimere un concetto positivo invece che negativo è un piccolo ma significativo cambiamento. Ad esempio, per riprendere i concetti dei divieti citati prima, possiamo dire a noi stessi: cammina con calma, parla serenamente o mangia frutta fresca. Il fatto di parlare in positivo ha il potere di mettere in primo piano l’obiettivo che si vuole raggiungere invece di esprimere una proibizione. Se proprio il pensiero che ci disturba la mente non ha nulla di positivo, ad esempio davanti allo specchio esclamiamo alla nostra immagine: “Che stanchezza stamattina!”, aggiungiamo subito una notazione di alleggerimento: “Sono stanco, ma ieri sera mi sono proprio divertito”, oppure “Sono esausto, ma dopo la palestra sono molto più tonico”. NON CEDERE AL DISORDINE – E’ stato dimostrato che vivere in un ambiente disordinato genera un disagio psicologico e porta persino ad aumentare di peso. Il fatto di trovarsi in una casa accogliente e gradevole migliora la qualità della vita: prendiamoci un po’ di tempo, almeno ogni tanto per osservare la realtà che ci circonda e per fare ordine nelle stanze e negli armadi. Scopriremo che molti oggetti sono inutilizzati da mesi: potrebbe valere la pena eliminarli, creando nuovo spazio. EVITA I PARAGONI CON GLI ALTRI – I confronti con il nostro collega, con l’amica o con la vicina di casa sono una trappola insidiosa: come dice il proverbio, l’erba del vicino è sempre più verde. Invece di invidiare la loro posizione economica, la nuova auto o la vacanza che hanno in programma, focalizza l’attenzione su quello che di positivo accade a te: hai fatto una bella gita durante il weekend, oppure hai migliorato la tua performance in palestra. Ti pare di non avere nulla di speciale di cui gioire? Approfittane per farti un piccolo regalo o per organizzare qualcosa di piacevole per la prima occasione. DORMI A SUFFICIENZA – Una sana routine del sonno è un’abitudine salutare che fa bene al corpo e alla mente. Il cervello si rigenera mentre dormiamo: il senso di continua stanchezza che la mancanza di sonno porta con sé è un malessere che si può evitare facilmente. E’ opportuno andare a dormire alla stessa ora, evitando le attività stressanti nei momenti che precedono il riposo. Meglio anche astenersi dall’uso di pc e cellulari prima di andare a letto: se per leggere utilizzi un e-reader, imposta l’illuminazione sulla prevalenza di toni gialli o rossi, che non abbassano i livelli di melatonina.
IMPARA AD ACCETTARE TE STESSO - E' inevitabile avere pensieri e sentimenti negativi, oppure essere portatori di qualche aspetto del fisico o del carattere che non ci piace. Possimao cercare di identificare il problema e di lavorare per un cabiamento, ma in alcuni casi non si può fare nulla: non ci resta che accettare il fatto e volerci bene anche per i nostri difetti.
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Due giorni in out station
Deux jours en out station
Da mercoledì a giovedì ci trasferiamo in un “out station” sorta di dipendenza della parrocchia ancora più dentro il bush dove c'è una comunità. Viaggeremo nuovamente in jeep ma questa volta solo per 50km…però tutta di strada sterrata. Ma questa volta il viaggio si farà di giorno e goderemo il paesaggio. La partenza è prevista dopo le 11 anche perché prima il father che ci accompagnerà ha un incontro parrocchiale… Dopo colazione approffitiamo di aver un po di tempo per fare un giro fino alla croce memorial della missione. È un posto bellissimo sulla roccia…evviva posso dire che ho raggiunto una cima!!!
Tornando vediamo che l'incontro è ancora in corso, e ne approffitiamo per riposare un po. Sono le 13.30 quando l'incontro finisce e a questo punto mi sa che pranzeremo prima di partire… African time! Sono le 14.45 e partiamo…siamo in orario: sono dopo le 11 ;o)
Quando arriviamo nella out station sono le 16 e c'è un bel gruppetto ad aspettarci. Anna che ha conosciuto il movimento nel 1991 ha messo su un gruppo della Parola di vita, ed è una bella testimonianza lì. Commuove pensare che lì in quella zona rurale lontana da tutto, senza mezzi e di grande povertà è arrivato la spiritualità dell'unità e si vive il Vangelo. Ci sono tanti bambini, una quindicina e per mezzora ci sentiamo 30 occhi addosso per ogni mossa che facciamo, ma appena entrano in confidenza giochiamo per una paio d'ore con loro, imparano velocemente i nostri nomi per interpellarci a lanciare loro la palla; una palla fatto di sacchetti di plastica l'uno dentro l'altro…. Noi invece facciamo fatica a ripetere i loro nomi e ridono di cuore ai nostri tentativi!
In quel posto c'è la chiesa con una saletta dove sono stati portati qualche materassi per la notte, e una capanna che serve di cucina. C'è un fuoco già accesso e l'immancabile polenta bianca sta già cucinando. Ci sono anche 2 polli che stanno mangiando grano…dopo cena vediamo che ne è rimasto solo uno, servirà sicuramente per il pranzo di domani… Se a Bulawayo eravamo rimaste impressionate della povertà qui fa ancora più impressione…ma nonostante quella c'è una grande generosità nell'accoglierci e si coglie che fra di loro c'è tanto aiuto reciproco e una grande fede. Ci tocca anche la gioia, i bambini giocano felici, c'è sempre una canzone e danza pronta per far festa.
Il giorno seguente facciamo l'incontro con loro, scambio di tante esperienze da parte di chi conosce già, e tante domande da chi partecipa per la prima volta. L'incontro dura 6 ore con un intervallo per il pranzo. Ad un certo punto con i bambini che oggi sono in 22, ci distinguiamo e con loro facciamo il dado dell'amore. Ho portato con me tanti disegni fatti delle gen3 di Loppiano e gli li do. I disegni non bastano per tutti, e qualcuno rimane senza, ma la gioia è di tutti e sono orgogliosi di fare la foto con i disegni in mano. E subito si mettono a loro volta a fare disegni da portare in Italia per le gen3.
La nostra visita si conclude con la messa celebrata dal Father che è venuto a prenderci, per tutta la comunità è una grande festa perché di solito hanno la messa solo una volta al mese, se non ogni due mesi, quando il sacerdote fa il giro delle 41 out station legate alla parrocchia. Le altre domeniche si trovano per la liturgia della parola. Sono le 18 ed ormai il sole è calato, è ora di salutarci. È un grazie reciproco che non finisce… I bambini si mettono in fila e diamo loro ancora una caramelle, e ci diamo un abbraccio. Salutiamo anche le signore e il cuore si stringe a lasciare questa famiglia. I saluti si prolongano lungo la strada; infatti tutti salgono nella cassa della jeep per approfittare del passaggio, siamo più di una trentina in piedi…e man mano che la jeep si ferma ad ogni incrocio con un sentiero che si nota appena nella notte scendono poco a poco le persone con un ultimo “Bye bye”!
De mercredi à jeudi nous nous transferons dans une “out station” dépendance de la paroisse qui se situe encore plus dans le bush où se trouve une petite communauté. Nous voyagerons de nouveau en jeep mais cette fois seulement 50km sur route en terre. Mais cette fois le voyage se fera de jour et on va pouvoir profiter du paysage. Le départ est prévu après 11h car le father qui nous accompagnera a une rencontre de la paroisse. Après le petit déj nous profitons du temps libre pour faire une ballade jusqu'à la croix mémorial de la mission. C'est un bel endroit avec des rochers… Youpie j'ai rejoins un sommet!
De retour nous voyons que la rencontre est encore en cours, et nous en profitons pour un peu de repos. Il est 13.30 quand la rencontre finit et à ce point on dînera encore ici avant de partir… African time! Il est 14.45 et nous partons, mais nous sommes dans l'horaire : après 11h ;o)
Quand nous arrivons à la out station il est 16h et il y a un beau groupe qui nous attend. Anna qui a connu le mouvement en 1991 a créé un groupe de la Parole de vie et elle est un grand témoignage là. C'est émouvant de savoir que là en cette zone rural en pleine brousse, loin de tout, sans moyens et dans une grande pauvreté est arrivée la spiritualité de l'unité, et des personnes vivent l'Évangile. Il y a beaucoup d'enfants, une quinzaine et durant la première demi-heure on sent 30 yeux qui nous suivent dans tous nos mouvements, mais à peine ils ont confiance on joue avec eux pendant presque deux heures. Ils apprennent rapidement nos noms pour pouvoir nous interpeller de leur lancer la balle, une balle faite de cornets en plastique les uns dans les autres… Nous par contre on a de la peine à retenir leurs noms, et ils s'esclaffent de rires à chacun de nos essais!
Dans cet endroit il y a l'église avec une salle séparée où ont été déposés des matelas pour la nuit, et une hutte avec un toit de paille qui sert de cuisine. Il y a le feu allumé et l'immanquable polenta blanche est déjà en train de cuire. Il y a aussi deux poules qui picorent du grain, après souper nous n'en voyons plus qu'une…qui servira sûrement pour le dîner de demain. Si à Bulawayo nous sommes restées impressionnées par la pauvreté ici ça fait encore plus impression…mais malgré cela il y a une grande générosité pour nous accueillir et on sent aussi une grande aide réciproque entre eux, et une grande foi. La joie nous touche également, les enfants jouent avec joie et il y a toujours une chanson ou danse prête !
Le jour suivant nous faisons la rencontre avec eux, échange d'expériences de la part de qui connaît déjà, et demandes pleines d'intérêt de la part des nouveaux. La rencontre dure en tout 6 heures avec une pause pour dîner. À un certain moment avec les enfants, qui sont 22, nous faisons un programme à part faisant le dé de l'amour. Vu que j'ai porté avec moi des dessins faits par les gen3 de Loppiano je les leur donne. Ils sont insuffisants pour le nombre d'enfants, et quelqu'un reste sans…mais la joie est de tous et ils sont fiers de faire la photo con les dessins bien en vue. A leur tour ils se mettent a faire des dessins pour que je porte en Italie.
Notre visite se conclut avec la messe célébrée par le Father qui est venu nous prendre, c'est une grande fête pour toute la communauté qui en général a la messe seulement une fois par mois, ou chaque deux mois, quand le prêtre visite les 41 out station liées à la paroisse. Les autres dimanches ils se trouvent pour la liturgie de la Parole. Il est 18h et désormais le crépuscule est arrivé. Il est temps de nous saluer, c'est un merci réciproque qui ne finit pas. Les enfants se mettent en file, et nous leur donnons à chacun encore un caramel, et nous les embrassons un à un. Nous saluons aussi les adultes, et le coeur se sert à laisser cette famille… Mais les salutations se prolongent au long de la route. En effet tous profitent de la jeep pour faire un bout de chemin, et nous partons à plus de 30 personnes debout à l'arrière de la jeep, qui se vide au fur et à mesure qu'on s'arrête à chaque croisement avec un sentier qu'on distingue à peine dans la nuit. Et penser que ce matin ils ont parcouru cette distance à pieds pour participer à la rencontre… Les personnes descendent avec un dernier “Bye bye”.
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Lui, Lei e i cornetti (continuazione di Lei,Lui e le paste)
Lui, ad ogni cornetto che gli passava davanti portato dal nastro che li riceveva dall’impastatrice, si diceva che non era stata la serata che pensava.” Per carità, è andato tutto bene, ma alla fine ho rovinato tutto” Ripenso a lei che arrivava con il suo vestito nero e la gonna un palmo sopra il ginocchio, il bolerino nero che circondava e nascondeva il suo petto che a quanto aveva capito viveva come un ingombro esistenziale. Poi il viaggio verso Santa Teresa con lei che ricordava con Gino, suo ex compagno di classe la professoressa di latino e tutti gli scherzi che le facevano. Infine la festa, le strade piene di gente, di bancarelle, chioschi per mangiare, per bere, musicisti da strada, giocolieri, intrattenitori: un caos colorato piacevole e divertente. Arrivati nella piazzetta dove si esibivano i Beddi, al suono della tarantella lei si era messa per prima in mezzo alla piazza a ballare trascinando tutti quanti a seguirla. Sorrise, le piaceva come ballava, come se la gravità non esistesse e tutto quel seno, quel sedere , quei fianchi che per lei erano solo un terribile ingombro, in quel momento perdevano peso , forma, volavano seguendo la musica in un modo inconsciamente sensuale. Ma più di tutto, il suo corpo, più che sesso, ispirava gioia, allegria, come se lei potesse regalare a tutti, e soprattutto a lui, vita e gioia per la vita. Era questo che a lui piaceva. Nel girare nella piazzetta lo aveva trascinato con lei e lui si era messo a ridere divertito a vedere lei felice, ad essere stranamente, anche lui felice. Questo con d’otra (quell’altra) non era mai successo. Poi la corsa verso il posto del concerto di Venuti e per non perderla le aveva preso la mano e se l’era tirata dietro come da bambino correva tirando il filo dell’aquilone sulla spiaggia facendolo alzare leggero nel cielo azzurro; lei gli dava lo stesso senso di felicità, di gioia, di libertà, proprio li, in mezzo a tutti. Era felice, perché c’era lei, perché lei era la felicità che provava. Ma al ritorno tutta quella sua felicità l’aveva persa e non capiva perché, non capiva cosa gli era successo.
Lei camminava verso casa e nelle strade vuote i suoi tacchi rimbombavano come chicchi di grandine sull’ asfalto. “Ma buttana da miseria buttana – esclamo seccata e dopo qualche secondo continuo - non è stata la serata che immaginavo minchia! o meglio era andato tutto bene, la serata era diventata bellissima, con le strade piene di tutta quella gente, tutte quelle bancarelle, quella musica, quei colori, quel vociare, quegli spettacoli ad ogni angolo e c’era lui che mi stava dietro come se in tutto quel casino esistessi solo io. E’stato bello quando ci siamo messi a ballare e quando mi ha preso la mano e mi ha fatto largo tra la gente per arrivare davanti al palco dove cantavano. Mi ha lasciato la mano solo quando siamo tornati in macchina. Ecco lì è cambiato. In macchina è rimasto zitto, se non parlavo io era un mortorio. Poi arrivati al paese mi chiede se mi deve accompagnare ed io gli dico di no, perché se mi accompagnava tutti i vicini di casa mia chissà cos’avrebbero detto. Lui risponde “Va bene” chiude la macchina e mi saluta, senza chiedermi di domani, senza neanche provare a darmi un bacio, a dirmi una parola, come se io fossi stata uno qualunque dei suoi amici, ma minchia e chi sugnu mpestata?”. Si fermò a guardare la strada vuota come a riflettere, poi continuò a camminare lentamente. “Mi voleva dire qualcosa, è stato lì a cercare delle parole mentre lo guardavo fino a che non mi ha detto “ciao” cinque minuti per dirmi “Ciao” e se dovesse farmi la dichiarazione, quanti mesi gli servivano?” Si fermò di nuovo pensando a lui però non riusciva ad arrabbiarsi contro di lui. “Mi voleva dire qualcosa, se mi avesse detto che mi voleva bene, domani avremmo incominciato una nuova vita, invece si è perso nel momento più importante: tutti jo i capitu chiddi paccioschi!!….” sbotto. Si fermò nuovamente. “C’è qualcosa - si disse alla fine nella sua ansia di trovare un motivo che ne giustificasse il comportamento e confermasse ancora una volta il suo amore – c’è qualcosa che lo blocca. Ma io cosa posso fare? deve essere lui a fare qualcosa” Guardo la strada vuota con mille pensieri che andavano e venivano “Ma tu lo ami ? – si chiese – se lo ami minchia gli devi fare vedere che sei il bignè che non ha la crema acida: se lo ami devi fare qualcosa, se no la vostra vita sarà sempre come questa strada: vuota e fredda!”. Si sentì d’improvviso sola nel mezzo del silenzio della notte.
Lui spennellava i cornetti per fargli venire durante la cottura una crosta dolce e lucida. Lo faceva in modo automatico senza far caso a quello che faceva, con la mente persa dentro di se. “Io volevo dirle qualcosa – pensò rabbioso – io volevo dirle che lei mi piace, che sto iniziando a volerle bene, ma quando eravamo li, mi sono ricordato di tutte quelle volte che salutavo a d’otra e facevamo i programmi per giorno dopo. E’ stato come rivederla di fronte, come pensare che alla fine anche Concetta sarebbe diventata un'altra Lorenza e che non ne valeva la pena, era inutile, sentire cose e dire parole che alla fine sarebbero diventate solo aria, aria fritta. Io volevo dirle qualcosa, ma non lo so….” e più cercava di spiegarsi quello che gli era successo, più si confondeva e si perdeva nel pensare a quello che era capitato con la sua ex e a quello che avrebbe voluto succedesse con Concetta. E più ci pensava e ci girava intorno, più si rendeva conto che era passato il momento giusto e che la magia di quella sera non sarebbe più tornata. Mai più. “Ma chi fai ? -gli grido il padre – chissi docu non l’ha spennellare” Tornò alla realtà di colpo e vide che davanti aveva un cornetto rettangolare che imbottivano di Nutella e che non doveva apparire lucido ma coperto di zucchero al velo. Ebbe uno scatto di rabbia, prese il cornetto è lo lanciò contro il muro imprecando. Suo padre lo guardò stupito. Pazientemente andò a prendere il cornetto contro il muro e a pulire, poi si voltò verso di lui e forse gli stava anche dicendo qualcosa, ma guardando alle sue spalle disse solo “Ti vonnu” e con il mento gli indicò la porta. Lui si girò e vide Concettina sulla porta, i piedi uniti come quelli delle bambole e la borsa tenuta con entrambi le mani che le scendeva fin quasi alle scarpe nuove. Lei sorrise “Non mi hai dato i cornetti” ed allargò le labbra sorridendo come fanno i bambini. Lui l’osservò e gli sembrò normale che lei fosse li, non poteva essere altrove perché lui la pensava, la cercava, la desiderava, le parlava. L’amava. Restò a guardarla. Era come se d’improvviso qualcuno, nel buio dei suoi pensieri avesse acceso la luce e nel mezzo di un nulla, bianco e infinito c’era solo lei così per come la vedeva. Ora tutto gli appariva chiaro, semplice, lineare. Si mosse lentamente, prese un sacchetto, mise dentro due cornetti, un paio di tovaglioli, le andò vicino e le prese la mano “Veni” le disse e lei lo seguì fuori. Attraversarono la strada e percorsero pochi metri nel vicolo che immetteva sul lungomare e si sedettero su una panchina che guardava verso il mare che in quella notte senza luna era una macchia nera dove si vedevano solo le lampare delle barche che pescavano i calamari. Lui aprì il sacchetto e le porse un cornetto caldo.
Lei, mentre lui la portava verso la panchina, pensava che aveva fatto bene a tornare. Si lotta solo per chi si ama e lei aveva deciso di lottare, lui le doveva dire cosa aveva perché se no quella serata non aveva senso, e quello che lei sentiva non aveva senso, e tutto quel mondo che era attorno alla luce del lampione sotto cui c’era la panchina, non aveva senso o un motivo per essere. “Minchia non puoi lasciarmi così – si era detta mentre tornava in pasticceria – non puoi farmi illudere e poi mandarmi a casa senza neanche dirmi se ci saremmo rivisti, senza un sorriso, una carezza, un bacio, qualcosa…..”. Ma nello stesso tempo ora lo guardava preoccupata perché l’aveva visto tirare con rabbia quel cornetto contro il muro, ed aveva capito che lui dentro aveva qualcosa che lo faceva soffrire e che era stata quella cosa a bloccarlo, a renderlo incapace di completare quella serata bellissima. Senti pena per lui e tutto il suo animo prese fuoco pensando che lui stava soffrendo per lei. Questo le bloccò lo stomaco cosi quando sulla panchina lui le diede il cornetto lei gli diede un piccolo morso e poi gli disse “lo mangio dopo….” e lo guardò negli occhi sorridendo.
Lui notò che aveva gli occhi lucidi e capì che anche per lei quel distacco era stato sbagliato e malgrado tutto aveva avuto più coraggio di lui nel tornare per ricominciare. Prese il tovagliolo che c’era nel sacchetto e le pulì un angolo della bocca sporca di zucchero al velo, poi si piegò e la bacio. Sentì le sue labbra calde, morbide, dolci per lo zucchero, ma forse erano dolci di loro e quasi tremavano ma restavano li a fondersi con le sue a diventare una unica cosa come doveva essere; l’amico la sotto gli disse di metterci anche un po’ di lingua tanto per rendere la cosa più piccante, ma lui si sentiva di aver fatto già abbastanza stronzate per quella sera e lasciò stare abbracciandola. Senti il suo profumo francese che sapeva di miele, strinse tutte le paure di lei con le sue e queste si sciolsero come zucchero nell’acqua e si senti ancora felice come quando la portava in mezzo alla gente nella festa o quando la vedeva ballare. “tu si divessa Cuncetta: è pi chistu chi ti vogghiu beni” le disse stringendola perché lei era diversa da quell’altra, lei era Concetta, era un'altra vita, un altro amore, quello per sempre.
Lei lo strinse, “meno male che tinn’accuggisti, se no ti cacciavo in gola i cornetti” gli disse sorridendo, ma sentiva che gli occhi si erano riempiti di acqua e lo strinse più forte perché non voleva che lui se ne accorgesse o solo perché gli piaceva sentirlo caldo caldo attaccato a quegli airbag che le facevano da seno. Si strinse contro di lui così come si stringeva il suo cuscino nelle notti quando era triste, si sentiva sola e avrebbe voluto qualcuno accanto e si sentì felice perché questo qualcuno finalmente lo aveva trovato.
Lui la strinse più forte, felice che lei avesse avuto più coraggio di lui e fosse tornata a dargli una seconda possibilità “questo - si disse - lo fa solo chi ama veramente, lei non ha bisogno delle parole per dirmelo..” Restarono così, stretti l’uno attaccato all’amore dell’altro con l’umido che saliva dal mare e il profumo dei cornetti caldi chiusi nel sacchetto e rimasti schiacciati tra il petto di lui e quello di lei
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“Vorresti che l’uomo diventasse immortale?”: il questionario di Nabokov per la donna doc. T.S. Eliot, invece, s’impegnava a far pubblicare il romanzo lesbo
È uscito un altro pezzo da novanta dell’editoria griffata Faber&Faber: The letters of TS Eliot. Volume 8, £ 50,00. L’editore che fu di Eliot ne appronta l’edizione completa delle lettere. Anzi non proprio, alcune sono state scartate, le trovate qui (tseliot.com). Opera meritoria, quella inglese. Opera di pietà non solo per la storia, ma per l’uomo.
Voglio dire. Perché in Italia gli editori persistono ed insistono coi tomi monumentali ma trascurano il lato umano, talvolta umanoide e paranormale, del letterato, quello che viene fuori (se esiste) dalle sue lettere private? Una prima risposta plausibile. Siamo un popolo inguaribilmente spirituale, non ce ne f***e nulla di come si arriva a partorire l’opera. Che drammi ci sono dietro, per dire. Un italiano non capisce che se vuoi scrivere una buona biografia puoi mettere insieme fino a tre volumi e aggiungere due appendici dove copi l’elenco delle donne che frequentava lo scrittore, a pedaggio (non invento, prendere il volume terzo e ufficiale dedicato a Graham Greene).
Oppure, altro lato della medaglia. Siamo gente, al contrario, talmente crassa e materialista da dare per scontato che gli scrittori (i poeti, poi!) siano citrulli e le loro lettere un’esibizione inutile.
*
Fate voi. Io decreto in una biblioteca londinese occupata da ragazze velate, ché i brit sono nei grattacieli a sonnecchiare le finanze, che le lettere di Eliot sono di estrema qualità.
*
Scrive così ad esempio in una missiva inclusa nell’ultimo volume (e notare che Faber&Faber ancora rimanda l’edizione delle prose sapendo di contare sui devoti lettori di epistolari, e per Eliot ci sono ancora ventisette anni da coprire): “Sono discretamente d’accordo che ci siano in giro troppi libri, e che per la maggior parte questi siano poi troppo lunghi. C’è la tendenza dei libri a dire con sovraccarico di parole quel che si può dire in poche pagine, nessun dubbio al riguardo. E questo significa deterioramento della lettura in generale tra il pubblico, il quale diventa un bovino ruminante: può solo nutrirsi con chili d’erba, ma rifiuta cibo più concentrato e leggero”. Scritto a un articolista, poi, quindi senza riserve ipocrite come nel caso che si rivolgesse e a un lettore – anzi con tocco di rimprovero, perché chi più degli articolisti dice cose inutili e bazzecole.
*
Rimedio. Proposta consueta di almeno una poesia sulla prima pagina dei giornali. Poi, più sessualità in tutti i libri, e guardate che anche un fringuello infreddolito come Eliot faceva quel che poteva nel lanciare la letteratura erotica con Faber&Faber, mentre l’editore aveva riserve per Nightwood di Djuna Barnes (Adelphi 1983; libro del 1936 arrivato da noi con Bompiani nel 1962, altro che santa Inquisizione). Ebbene Eliot ribadiva all’editore: dobbiamo farlo. Anche se è storia che parla di una lesbica. Mentre Geoffrey Faber scrive a Eliot di essersi “sempre sforzato, nel privato, di evitare di ingigantire il sesso”, la risposta del poeta è secca. “Non vedo gran senso in tutto ciò. All’opposto, tentare di mettere il sesso al suo posto è di per sé segno di instabilità”.
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Insomma. Queste lettere di Eliot, 1100 pagine da sommare alle 7600 già pubblicate, ci stordiscono per il valore e il segno di grazia e il morso con cui ti stringono e ti annullano. Perché quel che conta è lo stile di Eliot. Sebbene ripetitive nel dare suggerimenti e avvisi a colleghi e e scrittori, queste lettere ci indicano nientemeno che una lezione di condotta e gentilezza, una posa che non si rifiuta mai ad un aiuto invocato. Una dimostrazione, hanno scritto i giornali UK, di grazia posta sotto pressione.
Non lo so. Mi viene da credere che forse in Italia non ci meritiamo figure simili. Non riusciremmo a capirle. È vero che anche Eliot aveva i suoi vezzi – ad esempio, fece domanda per essere ammesso nel Servizio e giustamente fu negletto perché non affidabile (in effetti rimase un americano).
*
In definitiva, Eliot fu uomo complesso, uno che nelle lettere scriveva di tutto, ricette per insalate, appunti da Henry James, spunti sull’amore animale (“senza l’amore di Dio che informa ed intensifica ed eleva gli affetti umani, non ci distinguiamo dagli affetti animali”) e sull’affetto umano: “tra due persone, quali che siano, e più intime tra loro più notevole la cosa, interviene questo – un irrisolvibile elemento di ostilità. Attrazione e repulsione giungono a fare i conti tra loro e questo compone l’affetto permanente”.
*
Siccome però le lettere di Eliot sono sovrastimate per malinteso senso patriottico albionico, voglio proporvi un saggio di cosa scrivono gli altri. Prima traduco una missiva di Ted Hughes (Faber&Faber 2007). Sentimento del cielo dove in una riga parli di botte e encomi, alla fine un apprezzamento ironico delle amicizie altrui. E il destinatario della lettera era una specie di Virgilio inglese, Stephen Spender (1909-1995).
Poi un pezzo girovago di Nabokov alla moglie Vera. Si erano sposati nel ’25, lui aveva 26 anni e lei 24 ma che freschezza nella lettera, che è della fine del ’26 (stampa Penguin, 2014).
*
Nota per ragazze incazzose cui gli spasimanti mandano foto di uccelli e loro a dire ‘vogliamo le lettere d’amore come le nostre nonne’. Le lettere d’amore del Novecento non sono l’equivalente delle vostre diatribe fallofore su whattsapp, mi dispiace molto ma è così una volta si scriveva nella certezza che non esiste solo l’arnese e la sua amica, e che anche la penna secerne inchiostro glorioso.
Andrea Bianchi
***
Ted Hughes a Stephen Spender, 16 novembre 1985
Ho sempre pensato che i tuoi primi lavori fossero la poesia più viva del tempo, e penso sia ancora vero. Uno dei loro problemi (delle poesie) è che divennero troppo noti all’epoca. Ma questo avvenne, ne sono certo, per una ragione molto valida, e ora la generazione dei tuoi figli risentiti e invidiosi o sta tirando le cuoia o sta acquistando lumi di buon senso, è chiaro. Questo penso. La tua poesia era ‘viva’ nel senso che eri nudo davanti a te stesso, i livelli della tua percezione, primitivi immediati, si mostrano agevolmente sulla superficie della tua scrittura. Cosa che non accade in Louis McNeice e in WH Auden occorre solo nelle poesie mezzo-sonnambule – This lunar beauty.
Ma la stessa cosa (almeno per me) si manifesta in tutto il tuo scrivere ed è ancora molto forte nei pezzi diaristici recenti. Questi sono i miei favoriti. Mi sarebbe piaciuto che tu l’avessi fatto per tutta la tua vita. Non tanto per una questione di immagini ma di tono – atmosfera, una presenza.
Ora mi aspetto che invece di essere aggiogato per tutti i giorni ad Auden in pubblico, tu ti aggioghi a lui anche nei cieli – è vero siete entrambi Pesci ma avete la luna in Gemelli, un fatto curiosisismo.
Ted Hughes
***
Vladimir Nabokov a Berlino a Vera Slonim nella Foresta Nera, sanatorio di san Biagko, Berlino 11 luglio 1926
Tigrotta,
Ho finito la carta da lettere – devo usare i fogli protocollo e non mi fa sentire libero. (…) Con Raisa ho composto le domande per un questionario che ti spedisco con preghiera di farci caso. (…) Mia dolce, solo quando tornerai ti dirò quanto tu mi sia mancata, senza fine – ma ora non dovresti saperlo – “mi sto divertendo un mondo” – e devi rimetterti in forze. Mia dolce, la piccola scatola da lettere color rosso ginger sta per esplodere, è grassissima, tanto di guadagnato per te invece. Ma le rose sono scomparse dal mio tavolo: sono durate più di un mese. Per qualche ragione ora sono stato a pensare che la vita sia lo stesso cerchio di un arcobaleno – ma possiamo vederla solo in parte, nell’arco colorato. Mia dolce…
V.
Questionario per immodesti e curiosi (per nessuno obbligatorio)
1- Nome patronimico e ultimo nome
2- Pen-name e se ne hai molti segna quello favorito
3- Età ed età favorita
4- Attitudine verso il matrimonio
5- E verso i bambini
6- Professione e professione favorita
7- In che secolo vorresti vivere
8- E in che città
9- Da che età hai i primi ricordi e quali sono
10- La religione esistente che più si avvicina al tuo modo di vedere
11- Che tipo e genere di letteratura preferisci
12- Libri favoriti
13- Opera d’arte favorita
14- Attitudine verso la tecnologia
15- Apprezzi la filosofia? Come studio, passatempo…
16- Credi nel progresso
17- Aforisma favorito
18- Lingua favorita
19- Su quali fondamenta poggia il mondo?
20- Quale miracolo compiresti, se potessi
21- Cosa faresti se ricevessi improvvisamente un monte di denaro
22- Attitudine verso la donna moderna
23- E verso l’uomo moderno
24- Virtù e vizio che preferisci e disapprovi in una donna
25- E in un uomo
26- Cosa ti dà il miglior piacere?
27- E la peggior sofferenza?
28- Sei gelosa?
29- Attitudine verso le bugie
30- Credi nell’amore?
31- Attitudine verso le droghe
32- Il sogno che non hai dimenticato
33- Credi nel fato, nella predestinazione?
34- La tua prossima reincarnazione?
35- Paura della morte?
36- Vorresti che l’uomo diventasse immortale?
37- Attitudine verso il suicidio
38- Sei anti-semita? Sì, no, perché?
39- “Ti piace il formaggio?”
40- Veicolo favorito
41- Attitudine verso la solitudine
42- E verso la nostra cerchia di amicizie berlinesi
43- Dalle un nome
45- Menù ideale
L'articolo “Vorresti che l’uomo diventasse immortale?”: il questionario di Nabokov per la donna doc. T.S. Eliot, invece, s’impegnava a far pubblicare il romanzo lesbo proviene da Pangea.
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