#Mark Levinson stereo
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savageonwheels · 2 years ago
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2023 Lexus RX 350 Limited
The super popular Lexus RX 350 is still a luxury leader, but the price may be putting it into Premium Luxury territory.
Restyled RX 350 still fills luxury SUV prescription, but … Luxury and utility are ubiquitous with the Lexus RX 350, otherwise known as the unofficial soccer mom car of suburbia. This SUV that started out more as a tall wagon when introduced in the U.S. market in 1998 has been the best-selling luxury vehicle here for the past 10 years. Here’s why. It is Toyota reliable, offers AWD for safety in…
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choiceaudio · 11 months ago
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carsthatnevermadeitetc · 4 years ago
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What a difference 65 years makes juxtaposition of Dodge Hi-Way Hi-Fi, 1956 & Lexus IS Wax Edition, 2021. Dodge offered an in-car gramophone option between 1956 and 1962. More recently Lexus have made a one-off IS fitted with an in-car record player in association with Pitchfork magazine. It is large enough accept to a full-size 12-inch record. The analogue signal it produces is fed through the car's 17-speaker Mark Levinson-branded stereo system via an upgraded amplifier. Lexus and Pitchfork brought together DJ and producer MC Madlib and artist and producer KAYTRANADA to create a double-single on vinyl and debut it in the Lexus 
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domenicomicelicardiologo · 3 years ago
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Le sospensioni romanzo di Domenico Miceli Amazon libri Leggi estratto
Domenico Miceli
      Le sospensioni
               Indipendently Published
    PREFAZIONE
   E' un romanzo che si legge tutto d'un fiato sia perchè fin dall'inizio risulta particolamente avvincente  sia perchè scorrevole nella forma che per il richiamo, in premessa, che l'autore fa di un grande evento del nostro tempo, il trapianto di cuore.
Il protagonista del racconto è, quindi, non a caso, un cardiochirurgo, non come medico però, ma come paziente trapiantato  e che, come tale, viene a confronto, nella nuova condizione, con se stesso e con gli intricati interrogativi del suo animo.
Ed è in questo ambito che l'autore si consegna a chi legge il libro, oltre che come competente in campo medico-scientifico, come un approfondito conoscitore dell'animo umano e delle piu' complesse dinamiche esistenziali, attraverso una narrazione gradevole, senza difficoltà di gestione e perciò avvincente.
Con questa pubblicazione l’autore �� alla sua prima esperienza letteraria, che risulta ben riuscita e di cui può ritenersi soddisfatto.
 Emilia Servidio
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         Quando il californiano Shumway e il sudafricano Barnard s’incontrarono alla University of Minnesota nei primi anni ’60, erano soltanto giovani medici di belle speranze che conducevano esperimenti sugli animali. Le loro ricerche erano all’avanguardia, ma neppure nei loro sogni più sfrenati avrebbero immaginato che di lì a pochi anni sarebbero entrati nella storia della medicina come i padri del trapianto di cuore.
Ai tempi, gli Stati Uniti ponevano ostacoli politici, sociali e religiosi a questo tipo di operazioni, mentre Barnard, sfruttando le conoscenze maturate proprio in America, riuscì nel suo paese natale a eseguire il primo trapianto di cuore umano il 3 dicembre 1967. L’organo fu espiantato da una ragazza di venticinque anni vittima di un incidente d’auto e impiantato nel petto di Louis Washkansky, un droghiere ebreo di sessantacinque anni affetto da cardiopatia in stadio avanzato e irreversibile.
Washkansky morì dopo soli diciotto giorni. Colpa del rigetto, il nemico numero uno dei trapianti, che fu neutralizzato soltanto nel 1983, quando l’FDA approvò l’uso della ciclosporina, farmaco immunosoppressore che impediva il riconoscimento del cuore trapiantato come nemico, consentendone il funzionamento. Questa è la prima pagina di una storia che a oggi registra più di seimila trapianti di cuore nel mondo.
   Come è facile immaginare, donare o ricevere un cuore si carica di significati che vanno al di là della semplice tecnica.
Il cuore, dicono, è molto di più che il miocardio rivestito dal pericardio: è un organo sovraccarico di simboli in quanto reputato sede dei sentimenti, delle emozioni, degli affetti e, in un momento successivo alla concitazione del dare e del ricevere, accende complesse e interessanti interpretazioni e sviluppi, costruendo un ponte ideale tra il trapiantato e il donatore. Ma io a tutto questo non avevo mai creduto, perlomeno non ci pensavo più di tanto: per me il cuore era un pezzo da sostituire e basta.
Mi chiamo Michele Santonicola, ho cinquantasette anni e di mestiere cambio cuori.
  uno
         Una mattina montai sulla mia Lexus fiammante e, come tutti i giorni, mi diressi in ospedale.
Ottocentotrentacinque watt di potenza per diciassette altoparlanti: la musica dell’impianto stereo Mark Levinson era a palla e m’avvolgeva col suo effetto discoteca. Era mia abitudine stordirmi di note per non pensare a nulla mentre guidavo. Giunto al parcheggio, a malincuore troncai le prime note di un pezzo di De André.
Ero un bell’uomo, alto, dal ciuffo bianco e liscio che cascava su fronte e occhi, che con gesti talvolta casuali ma più spesso studiati riportavo di continuo al suo posto. Le donne mi guardavano con ammirazione, soprattutto in ospedale – pazienti, mogli e figlie di pazienti, infermiere, colleghe –, anche se sapevo di attrarre il gentil sesso soprattutto per il ruolo: basti pensare a quanto fascino possono esercitare le mie mani, quelle di uno che prende un cuore in mano, lo manipola, lo aggiusta, lo cambia. Come un dio disceso tra i mortali.
Da piccolo avevo un debole per i lavori manuali: ero figlio unico e trascorrevo molti pomeriggi da solo in casa. Il mio divertimento era smontare tutto quel che mi capitava per le mani: frullatori, orologi da tavolo, lumetti. Ero spinto da un’innata curiosità per tutto ciò che si poteva fare a pezzi e provare poi a ricostruire, ma mio padre, direttore dell’ufficio postale di Bisceglie, che ogni mattina usciva con me alle sette e trenta per portarmi a scuola, era molto severo. Quando trovava qualcosa di rotto mi metteva in punizione – niente fumetti per una settimana o niente dolce a fine pranzo.
Facevo il secondo anno del classico quando uno zio ebbe una malattia al cuore. Sentendone parlare in casa, avevo manifestato l’intenzione di fare il medico. Annuncio al quale s’era aggiunto il commento di mamma.
- Il medico è un professionista che non muore mai di fame, Michè. E se ci sa fare può garantire a sé e alla sua famiglia una vita più che agiata.
Già, non era stato esattamente un impulso umanitario a spingermi verso quel corso di studi, ma la prospettiva del successo economico – peraltro non facilissimo da conquistare, vista la lunghezza del corso e l’impegno che avrei dovuto profondere. Ma ce l’avrei messa tutta pur di fare una vita da ricco.
Così mi ero iscritto a Medicina a Roma e la passione per il cuore continuò a pompare motivazione e voglia di darci dentro: papà, felicissimo di avere tirato su un figlio medico (si chiama ascensore sociale, no?), con la liquidazione mi avrebbe poi aiutato a perfezionarmi in Cardiochirurgia in Francia, dove avrei conosciuto veri e propri maghi del cuore, che usavano il bisturi come una bacchetta dai poteri prodigiosi.
Anche mio padre sottolineava i vantaggi economici della mia scelta e con lungimiranza aggiungeva: - Il mondo va verso la superspecializzazione. Se farai il cardiochirurgo, impara alla perfezione una sola cosa. E punta a far dire alla gente che per quel problema specifico tu e soltanto tu sei l’eccellenza. Vedrai quanto profitto te ne verrà.
Rimasi in Francia due anni, per poi rientrare a Roma dove m’attendeva il professor Cammilli, che fu maestro di chirurgia ma soprattutto di vita. La cardiochirurgia è vedere, osservare, e poi fare, e il professor Cammilli ripeteva che, tra le operazioni che si potevano compiere sul cuore, le più semplici, o per meglio dire le meno complesse, erano il trapianto cardiaco e i bypass coronarici, detti pontage, la prima cosa che in terra d’Oltralpe insegnavano agli specializzandi.
Perciò fin dall’inizio avevo cavalcato i due filoni, impegnandomi a dare di me l’immagine di un meccanico di sala operatoria: sia interventi alle coronarie, anche a cuore battente con tecnica mininvasiva, ovvero con un taglietto anziché con la segatura verticale dello sterno – su questo mi ero particolarmente specializzato, seguendo i consigli paterni –, sia i trapianti di cuore.
   A Roma avevo un direttore del dipartimento di chirurgia, in pratica un mio superiore, anche se non l’ho mai riconosciuto come tale. Gli andava a genio ricoprire un ruolo squisitamente gestionale, così m’aveva affidato la responsabilità del Centro Trapianti, un’unità operativa detta dipartimentale, sulla quale riferivo a lui giusto per questioni generali.
Avevo un confortevole studio con bagno e doccia collegato a un ambulatorio dove due volte a settimana visitavo i pazienti in privato, generalmente prima e dopo l’intervento. Approfittando delle visite per suggerire la possibilità d’essere operati da me a pagamento, sempre in ospedale, saltando la lista d’attesa, potevo quadruplicare lo stipendio mensile, toccando i venti, venticinquemila euro, mentre il trapianto cardiaco, che non è eseguibile in regime privato anche per le implicazioni legate alla gestione successiva, mi serviva come bandiera, cioè per mettermi in mostra e alimentare la mia reputazione. E per rimpinguare quindi il conto in banca. Ricordo il mio primo trapianto di cuore: quando avevo avuto tra le mani, freddo di frigorifero, il pezzo di muscolo da impiantare, non avevo provato emozione, se non quella legata alla gloria e al denaro che m’avrebbero garantito quelle masse troncoconiche. Il mio comportamento, pur rispettoso della legge e del fisco, ma eticamente non irreprensibile, non riduceva la mia clientela, ma la moltiplicava.
E i soldi arrivavano. Un costante flusso di quattrini per solleticare l’ego e soddisfare i desideri. Dagli abiti griffati ai ristoranti stellati, per non fare menzione della mia più grande passione, le auto: cambiavo vettura ogni due anni e la curavo con diligenza maniacale. Bastava un graffio per portarla dal carrozziere o un rumorino per fiondarmi in assistenza.
Avevo una figlia, Andreina, graziosa, ventidue anni, che studiava Lettere moderne e ora faceva l’Erasmus in Gran Bretagna, con la quale avevo un buon rapporto. E avevo un figlio, Federico, di tre anni maggiore della sorella; gli mancavano due esami alla laurea in Medicina e chissà perché voleva fare il medico legale: ragazzo intelligente ma viziato. Due figli che non ho saputo o potuto educare, lasciandoli in balìa di una pessima madre, e che si rivolgevano a me soprattutto per denaro e regali – al pari di Luciana stessa. La nostra famiglia era simile a un puzzle che raramente si componeva e che, se tornava tutt’intero, bastava voltarsi un attimo per ritrovarlo disintegrato.
Avevo l’appuntamento fisso del tennis. Giocavo due o tre volte alla settimana. Sempre contro il maestro: mai e poi mai confondersi con gli altri iscritti al circolo. Lo pagavo profumatamente perché fosse disponibile per partitelle in notturna.
Avevo Luciana, mia moglie, una coetanea che avevo conosciuto tanti anni prima a Roma. Dirigeva un’agenzia immobiliare e si trattava bene: shopping nelle boutique di via Cola di Rienzo, gioiellerie, estetista tutte le settimane, tornei di bridge, ma anche volontariato – proprio come molti vip, che a mio avviso lo fanno per perdonarsi e farsi perdonare lussi e capricci. La nostra relazione era logora da un pezzo. Vivevamo separati in casa, dove avevo ricavato la mia oasi in uno studiolo con una poltrona letto. Il nostro rapporto era di natura burocratica e si limitava a qualche riflessione su piccole incombenze di routine. Di sesso neanche a parlarne: già da un pezzo non c’era più spazio per quello. Talvolta ci si accordava sugli impegni per il fine settimana, per esempio per vedere quelli che definivo falsi amici, agli occhi dei quali, per esplicita volontà di Luciana, ci presentavamo come una coppia ancora solida e innamorata. Soltanto su una cosa eravamo d’accordo: lagnarci dell’uso spericolato che Andreina faceva dell’American Express su a Londra.
Luciana l’avevo conosciuta curiosando nella sua agenzia immobiliare. Ricordo fosse un sabato mattina. Bella e briosa, s’era presentata bene, col sorriso che solo i venditori più scafati sanno sfoggiare. Poi aveva fatto il resto da sola, intuendo come un fidanzato prima e un marito cardiochirurgo poi le avrebbe assicurato prestigio e danaro, che era quel che cercava. Nel frattempo, al momento del matrimonio, la casa ai Parioli ce l’aveva messa lei. Le ho sempre rimproverato la cura ossessiva del corpo, superiore persino a quella che io usavo con le mie auto, chiedendomi come facesse a buttare circa settecento euro ogni mese in estetista, massaggi, palestra, creme, tinte, messe in piega – una cifra che potevamo permetterci ma eccessiva in termini assoluti –, per poi condividere il talamo nuziale, fin quando c’era stata una condivisione, incollandosi al viso un’orrida maschera idratante la maggior parte delle notti.
   - Buongiorno, Anna.
Anna Vinciguerra, la caposala, era sempre la prima ad arrivare in ospedale. Una presenza storica.
- Buongiorno, professore.
Gli specializzandi del trimestre erano in piedi davanti alla porta dello studio, mentre sulle sedie, assieme alla mamma e alla fidanzata, c’era Alessandro, un giovane da tempo in lista per il trapianto. L’università ci assegnava ciclicamente tre specializzandi in cardiochirurgia per frequentare reparto e sala operatoria. In quel periodo c’erano due ragazzi e una ragazza e, come di consueto, anche in quel terzetto c’era qualcuno più incline alla ricerca che alla pratica. Ne approfittavo per fargli selezionare aggiornamenti dalle riviste scientifiche, che mi tornavano utili per le relazioni ai convegni a cui dovevo partecipare per mantenere il mio ruolo.
Dopo aver rivolto un cenno di saluto al ragazzo e alla famiglia, feci entrare gli studenti.
- Professore… - esordì Ludovico, lo scienziato di turno, quello che alla sala operatoria preferiva la biblioteca e i database sulla Rete - Alessandro aspetta di parlare con lei. È stato chiamato perché è arrivato il cuore, però…
- Però? - chiesi mentre leggevo la mail di Anita, la mia segretaria, con l’elenco delle visite private del giorno dopo.
- Però se ha un attimo volevo esporle sinteticamente il risultato di questo lavoro uscito su «Lancet» a proposito delle suture chirurgiche riassorbibili, che ho esplicitato in dieci diapositive.
Mi porse un pacchetto di fogli A4.
- Metti qua. - Mi ravviai i capelli mentre lanciavo uno sguardo a Carmen, una specializzanda molto volitiva, col carattere giusto per sostenere, anche fisicamente, molte ore consecutive in sala operatoria. - Guarderò con calma e ne riparliamo.
Provavo un’istintiva simpatia per gli studenti che, come ero stato io da giovane, preferivano dedicarsi alla manualità, alla pratica. Certo, l’aggiornamento è una reale necessità per un medico e non potevo farne a meno se volevo presenziare ai convegni; tuttavia imparare, come diceva Cammilli, a buttare le mani, ritenevo dovesse essere l’aspirazione suprema per un cardiochirurgo.
- Be’ - dissi - una volta tanto un trapianto che non si farà di notte. Tra espianto e impianto si farà al massimo il pomeriggio. Chi di voi si vuole lavare? - aggiunsi usando la tipica locuzione del chirurgo che s’accinge all’intervento.
Ovviamente si fece subito avanti Carmen.
   Il trillo del cordless nella tasca del camice.
- Professore.
- Federico.
Era il mio braccio destro. Mi informava che era già partita l’équipe destinata a prelevare e portare a Roma il cuore. L’organo veniva da Cagliari e apparteneva a una donna di trent’anni deceduta per un incidente d’auto. L’aereo militare doveva già essere stato avvisato del volo da compiere, mentre in Sardegna, dopo l’accertamento della morte cerebrale ma con persistenza di attività elettrica del cuore, chiedevano ai familiari il consenso per far rivivere un altro essere umano grazie all’organo del loro congiunto. Il trapianto di cuore non rappresenta la guarigione, bensì trasforma un malato in un altro tipo di paziente, alla mercé di farmaci, controlli continui, dubbi o sospetti su sintomi di rigetto, prevenzione delle infezioni e altro, il tutto con l’obiettivo di guadagnare anni di vita.
Con Federico stabilimmo gli ultimi preparativi e, mentre l’équipe dell’espianto era già al lavoro in Sardegna, mi accertai dell’organizzazione della sala operatoria per l’impianto. Dopodiché, alla presenza dei tre studenti, feci entrare Alessandro coi familiari. Come tutti quelli che aspettavano un cuore nuovo, lo conoscevo bene. Veniva sempre a salutarmi dopo i controlli: trentaquattro anni e occhi neri e profondi come un pozzo, che mi fissavano in maniera talvolta inquietante. Una di quelle persone che sapeva nascondere il dolore dietro una finta sicurezza; però, quando ci salutavamo, aveva l’abitudine di girarsi sulla soglia della porta e guardarmi, come fosse sul punto di chiedere qualcosa che poi non chiedeva mai.
Il colloquio fu breve.
I pazienti in lista d’attesa si preparano con un lavoro preventivo che contempla anche un percorso psicologico e chiarisce loro che la legge proibisce di rendere noti i dati del donatore. Si predispose subito il necessario per portare Alessandro in sala operatoria. Dal momento dell’espianto all’impianto non devono trascorrere più di quattro ore. Col volo militare Cagliari-Roma saremmo ampiamente rientrati nei tempi. A quel punto le due équipe via telefono si coordinano: non appena arriva il segnale OK CUORE, il torace del ricevente viene aperto per accogliere l’organo che sta volando da lui.
due
         Centrale Acquisti, Procedure di Approvvigionamento Appalti e Lavori: era scritto a iniziali maiuscole su una targa appesa sotto il simbolo dell’università, sulla porta in fondo al corridoio. Se il nome era grandioso, altisonante, l’ufficio era piccolo, appena sufficiente per due scrivanie dotate di computer, in un casermone grigio con un balconcino da cui si intravedevano il Lungarno di Firenze e il fiume che luccicava sotto il cielo opaco. I tavoli erano ingombri di carte e un unico telefono su un tavolino separava il posto di lavoro di Marta Ripoli da quello della collega Agnese.
Nel corridoio lastricato di piastrelle verde chiaro, fra tre armadietti metallici e la fotocopiatrice Xerox, c’era la porta della stanza del dottor Attilio Bisaglia, il dirigente responsabile. Aveva poco più di sessant’anni. Nativo di un paese dell’Abruzzo, era un po’ rustico nei modi ma sempre rispettoso delle colleghe. Sotto la scorza era un uomo buono e Marta ne apprezzava la capacità di mettere a fuoco i problemi. Un funzionario sensibile quanto bastava alla puntualità e alla regolarità delle pratiche, ma senza rigidezze mentali: non si impuntava mai sull’orario della presenza ma guardava al risultato. Un uomo intelligente che mostrava padronanza della macchina amministrativa. Bisaglia era il primo ad arrivare e l’ultimo ad andar via, e aveva solamente una cosa a cui teneva e che ripeteva come una litania: la qualità di un ufficio pubblico è inversamente proporzionale agli squilli che il telefono fa prima che venga sollevata la cornetta. Un principio che costringeva Marta e Agnese a non lasciare mai sguarnite le postazioni della stanza.
Quel casermone, quel corridoio e quella stanza erano da anni il mondo di Marta, il luogo dove, immersa in un mare di numeri e testi in burocratese, trascorreva più di metà della giornata.
   Marta Ripoli aveva quarantasei anni e non li dimostrava. Biondina, esile, bassina. Un po’ maniaca del cibo – non mangiava fritture né carni rosse, il colmo per una fiorentina d.o.c.; soltanto pollo, verdure, frutta, orzo, farro e legumi in genere.
Viveva sola per scelta, a pochi isolati dai genitori. In fondo Firenze è piccola. Non che li trascurasse. Anzi, li sentiva tutti i giorni e una domenica sì e una no andava a pranzo da loro, ma alla sua età riteneva giusto mantenere una affettuosa distanza. Esserci per loro, sì, ma senza esserne condizionata. E comunque i genitori erano poco più che settantenni, per fortuna senza particolari acciacchi o bisogni.
Marta aveva conseguito la maturità classica con un’ottima votazione in un istituto cattolico, esperienza che l’aveva avvicinata alla religione. La domenica non saltava una messa e riceveva sempre l’eucaristia. S’era iscritta a Giurisprudenza, scelta influenzata dalla lunga frequentazione di Bruno, figlio di notaio, che era stato il suo fidanzato. Finché un giorno il papà di Marta per caso non aveva scoperto un messaggino sospetto sul Nokia del giovanotto, a seguito del quale la ragazza, inflessibile, troncò ogni rapporto.
Nel frattempo Marta aveva trovato un buon impiego nell’amministrazione dell’università, dove ormai stava per conseguire il ruolo di dirigente con la prospettiva di prendere il posto del dottor Bisaglia. Con gli uomini aveva ormai chiuso: d’altro canto non cercava occasioni per incontrarne, stando dal lunedì al venerdì in ufficio di giorno e la sera a casa, consacrando il fine settimana alle pulizie e alla spesa. E, mentre pareva sorda al ticchettio del proprio cuore, gli anni passavano.
Tuttavia una sera, da casa, incuriosita da un banner azzurro e rosa comparso sullo schermo del computer, Sei single? cerchi l’anima gemella?, aveva cliccato e s’era divertita davanti all’articolato panorama umano che un sito di incontri dal nome anglosassone le snocciolava. Giovani, molto giovani, meno giovani, bellocci, bruttini, nerd, ragionieri, di tutto un po’ insomma. Le donne non pagavano l’iscrizione e così, per scacciare la noia delle sere d’inverno, s’era buttata e aveva iniziato a descriversi, stando attenta a falsificare alcuni dati – un po’ presa dallo sciocco timore d’essere in qualche modo individuata, un po’ per scrupolo di coscienza. Sapeva che nella maggior parte dei casi avrebbe pescato uomini con un’unica reale intenzione: il sesso, senza complicazioni sentimentali né tante storie. Che poi, quand’anche fosse comparso il principe azzurro, come si poteva distinguere il vero dal falso attraverso uno schermo?
Un po’ alla volta aveva preso coraggio. Più per trastullarsi che con l’obiettivo di trovare un fidanzato. Marta aveva impostato filtri di ricerca – età, livello di istruzione, professione, residenza, caratteristiche fisiche, addirittura gusti e dettagli – come il fatto di essere un fumatore, o bevitore abituale o occasionale: per dire, le piacevano quelli con un velo di barba incolta. Così prese a collegarsi ogni sera, senza però partecipare attivamente né rispondendo alle decine di richieste, cuoricini, bacetti, inviti che piovevano da ogni parte, come era fatale che avvenisse quando una graziosa nubile di mezz’età si mette in vetrina.
Era andata avanti così per settimane, finché, mentre continuava a dirsi in cuor suo che stava lì solo per divertirsi un po’, dopo avere scartato una ventina di pretendenti, si concentrò su un quintetto di uomini sopravvissuti alla sua meticolosa scrematura: erano gli unici che apparissero interessanti e che, almeno in apparenza, le ispirassero fiducia.
Due erano di Roma, uno della provincia di Bologna, uno proprio di Firenze e l’ultimo, un certo Guido, di Parma. Guido decise di scartarlo, non essendole andato a genio una specie di servizio fotografico che, piazzato lì per farsi conoscere meglio, lo ritraeva in atteggiamenti da spaccone, con giubbotti da biker e bolidi a due e quattro ruote sullo sfondo di infinite campagne.
Eppure, una sera fu lui che la cercò. Un pallino rosso pulsava accanto al nome di Guido.
 Buonasera!
Chi sei?
Chi sei tu che vieni a guardare il mio profilo da qualche giorno? Di dove sei?
 Marta non voleva scoprirsi, così mentì.
 Mi chiamo Ada, abito a Pisa
Io sono Guido, ho quarantanove anni e vivo a Parma. Raccontami qualcosa di te. Vivi sola? Lavori?
 Benché Marta rispondesse senza sbottonarsi troppo, sera dopo sera prese confidenza con quel tizio. Un po’ le ispirava fiducia. Aveva letto un libro, Le ho mai raccontato del vento del Nord, dell’austriaco Daniel Glattauer, romanzo epistolare nell’era di Internet che narrava di una relazione virtuale coltivata via mail, e propose a Guido di passare dalla chat alla posta elettronica. Il cambiamento sgonfiò gran parte dei suoi scrupoli: cavarsi fuori dalla enigmatica e immateriale giungla di quel sito le fece tirare un sospiro di sollievo. E le diede una teorica garanzia di esclusività del rapporto di Guido con lei.
Dopo un po’ la donna cominciò ad aprirsi con lui, fino al giorno in cui Guido le diede il numero telefonico e la conversazione continuò sia per mail sia a voce.
La voce del tizio di Parma le piaceva.
   Fu per un venerdì di marzo che fissarono un incontro. Il loro primo appuntamento. Finalmente si sarebbero visti di persona.
- Guarda! - disse Marta con emozione ad Agnese, che sottobraccio aveva due corpose pratiche. Le mostrò la foto di un uomo moro, dalla barba curata, gli occhi penetranti e il sorriso vivace. Era in sella a una Ducati di grossa cilindrata.
- È lui?
Marta annuì.
- Guido. Fa il consulente finanziario. Ha, tipo, rapporti con banche, aziende, industriali, cose così.
- Ma l’hai visto da vicino?
- No, non ancora. Però ci scriviamo ogni giorno. E parliamo un sacco al telefono. Sai, è molto occupato. Ma stasera lo vedrò da vicino!
Mah, pensò Agnese, le avrà dato di volta il cervello!
Però non aveva resistito e s’era collegata anche lei, in forma anonima, al sito di incontri, presa com’era stata dalla curiosità, e lo aveva trovato – lui, l’uomo di Marta. In effetti, Guido Ceroni era un bel quarantanovenne che si descriveva come commercialista, consulente bancario, amante delle motociclette; e sportivo, tennista, sciatore e altro ancora. Era di Parma. Ma è mai possibile, si disse Agnese, che in tutta Firenze non ce ne fosse uno più o meno così ma in carne ed ossa? Agnese con gli uomini aveva chiuso da un pezzo, e pure precocemente. Sulla soglia dei quaranta, fisico rotondetto e sorriso da educanda, ispirava immediatamente simpatia. Era stata una ragazza madre e ora sua figlia Sofia faceva il secondo anno di liceo. Vivevano a casa della mamma di Agnese, rimasta vedova da qualche tempo. Agnese aveva un fratello carabiniere, Francesco, di tre anni più piccolo.
Dopo quella prima dolorosa relazione, consumata con un soggetto poco affidabile, Agnese non aveva avuto più uomini. Rimasta traumatizzata dal padre di Sofia, che s’era dileguato lasciandola sola con la bimba e un fardello di domande e rimorsi, dopo qualche tentativo andato a vuoto lei non l’aveva più cercato. Alla piccola aveva detto che il genitore era scomparso senza lasciare traccia, in un incidente in mare, giurando a se stessa che un domani le avrebbe dato altre spiegazioni. Nel frattempo era stata assunta all’università. Si rammaricava d’aver rinunciato al sogno di quando faceva l’istituto d’arte, cioè disegnare abiti, anche se abbozzava ancora figure su carta. Sfruttava i rari tempi morti dell’ufficio per impugnare la matita e schizzare linee, aspettando la pausa caffè per mostrare i bozzetti a Marta, ormai sua amica del cuore.
   Era stata una discreta giornata.
Firenze aveva respirato quel pomeriggio. Il cielo era stato limpido, senza un ricciolo di nuvole che fosse uno, con l’aria profumata nei limiti di quanto può esserlo in città. Dopo il tramonto già da due settimane soffiava da ovest un vento appena frizzantino come un prosecco, che ricordava come l’inverno fosse alla fine e la primavera alle porte.
Marta era scappata dall’ufficio per il parrucchiere.
Che mi metto?, pensava.
Optò per un completo pantalone, visto che Guido sarebbe venuto in motocicletta e avevano programmato una corsa a Fiesole. La serata era adatta e, come primo rendez-vous, non era affatto male una cenetta in collina.
Alle venti in punto lo vide da lontano.
Aveva riconosciuto lui e la Ducati nera dalle foto che s’erano scambiati e le parve più avvenente di come s’aspettava. Notò l’aspetto curato: giubbottino di pelle marrone, camicia bianca che dava luce al viso, pantalone di velluto a coste e la barba leggera che le era piaciuta da subito e che, avrebbe scoperto, Guido aveva il vezzo di carezzare di continuo. Marta aveva letto su «Focus» che nel linguaggio del corpo l’uomo che si tocca di continuo la barba è un uomo innamorato. Però, pensò mentre gli andava incontro, forse sto correndo troppo…
- Ehi…
- Ehi.
Sorrisero timidi e l’imbarazzo si accampò tra di loro, finché Marta non si lasciò guidare sottobraccio in una passeggiata prima di partire per Fiesole.
Guido parlava molto: a volte la lasciava andare, a volte le stringeva il braccio, come a sottolineare coi gesti il senso del discorso. Le parlava del lavoro frenetico ma non privo di soddisfazioni; di come fosse single da un paio d’anni dopo una burrascosa relazione con una donna sposata; dei genitori, in particolare del padre padrone che esercitava da avvocato e non aveva mai accettato che il figlio non avesse raccolto l’eredità dell’avviato studio legale di famiglia, dove comunque gli aveva messo a disposizione una stanza per il suo studio di consulenza finanziaria.
Nella corsa in motocicletta verso il ristorante, stretta ai fianchi di Guido, Marta sentiva la consistenza del torace sotto il giubbotto, l’energia del motore, la salita tutta curve, il venticello. Il cibo fu per lei un dettaglio – assaggiò gli antipasti, elogiò la squisitezza della minestra, rifiutò la carne, gustò appena un sorso di vino –, essendo tutta la serata concentrata sul racconto che di se stessa faceva a Guido. Così ripercorse la propria vita, dall’adolescenza agli studi, passando per il rapporto coi genitori. Per Marta era scattata la penosa fase in cui la mamma e il babbo avevano bisogno di lei più di quanto lei ne avesse di loro, ma era contenta d’essere andata a vivere da sola.
Fu il turno di Guido per tornare a parlare e si lanciò in considerazioni sulla Rete e i suoi vantaggi, a suo avviso superiori agli svantaggi.
- Non so chi, ma qualcuno ha detto che accedere a Internet è come entrare in uno stanzone pieno di fili che ti conducono dappertutto, ma dove qualcuno ha spento la luce.
- Un bel rebus quindi.
- Sì, ma se sai cercare bene, trovi.
L’uomo aveva accolto senza pregiudizi la novità degli appuntamenti al buio, notando come il web avesse rivoluzionato il concetto d’incontro.
- Pensa - diceva - una volta prima ci si incontrava, ci si conosceva e poi ci si dava un appuntamento per approfondire. Ora ci si può conoscere virtualmente, incrociare eventuali interessi comuni, poi alla fine si decide se fare il salto e incontrarsi. Un ribaltamento epocale!
- Questo ha anche le sue insidie, però.
- Già. Prendi noi. Per quante settimane ci siamo sentiti al telefono, scambiati foto, curiosità personali, opinioni, ma poi? E se la realtà fosse stata diversa? Lo sai che esistono i falsi profili? Per estorcere danaro, per truffare, per giocare sulla illusione delle persone, sulla mancanza d’affetto.
- Non è il nostro caso. Siamo stati prudenti l’uno con l’altra, quasi guardinghi.
Guido annuì.
- Devo confessarti che tante cose che mi dicevi di te le ho controllate, pensa un po’, proprio on line.
- Ah, non ti fidavi allora? - fece lei fingendo d’essere indignata. - A dire il vero ho fatto anch’io così. Mica mi potevo fidare ciecamente.
Lui si carezzò la barba.
- Uno a uno e palla al centro.
- Lo zero a zero è noioso, no?
- Insomma abbiamo avuto qualche giusta perplessità. È anche simpatico dircelo.
- È vero - concluse Marta. - Ma non pensi che si sia fatto tardi? Perché non m’accompagni a casa?
Era quasi mezzanotte e le strade erano vuote. In pochi minuti di motocicletta furono di nuovo a Firenze. Guido le disse che aveva prenotato una stanza in un albergo in centro, non lontano da casa di Marta, così il giorno dopo si sarebbero rivisti. Si prospettavano quasi due giorni pieni per conoscersi meglio.
Marta era felice: voleva sottrarsi al trito e ritrito sali da me a bere una cosa? con tutte le sue forze, sia per il suo carattere che per le sue convinzioni religiose. E poi aveva già dovuto scontare il rimorso d’avere bazzicato un sito dalle finalità non proprio edificanti, ben sapendo che la fauna maschile che avrebbe trovato non sarebbe stata nella maggior parte dei casi affidabile. E poi le piaceva l’idea del corteggiamento, il piacere cristallino di non concedere tutto subito. Si chiese chi avesse detto: in amor vince chi fugge.
Insomma, un bacetto e via, al giorno dopo.
  tre
          Il bicchierino di plastica del caffè ancora scottava tra le dita mentre studiavo l’iPhone: tre chiamate perse, sette messaggi Whatsapp, cinque mail. Non sapevo cosa fosse la noia. Dando la precedenza ai messaggi di Anita, accesi la Winston blu, la mascherina chirurgica abbassata sul collo. Il sofà in finta pelle dell’anticamera della sala operatoria pareva un’ancora di salvezza, una zattera su cui adagiarsi per qualche minuto.
Era il momento della giornata che preferivo.
Non ero in sala operatoria, dunque non dovevo stare attento e concentrato come un raggio laser, ma non ne ero del tutto fuori, là dove la vita continuava e il mondo ingoiava la folla che andava di fretta – ovunque gente al telefono o col grugno tuffato nello smartphone, perduta nel traffico, nei bar, nei negozi, negli uffici, nelle strade, nelle case con un televisore che dipingeva le finestre di luce azzurrina, mentre il pomeriggio scorreva lento, e i bambini facevano i compiti sul tavolo della cucina.
Tutto era andato come di norma.
La parte centrale dell’intervento era finita, i pezzi erano stati rimessi al loro posto, il lavoro successivo lo avrebbero fatto gli altri – ricuciture, sistemazioni, terapia intensiva. Tra poco sarei uscito e avrei ricevuto i familiari del giovane nel mio studio, dove ero atteso da una birra e un tramezzino. Nessun problema su cosa dire loro e come dirglielo: conoscevo a memoria il copione. Spensi la sigaretta.
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lexusofhuntsville · 3 years ago
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The 2021 Lexus IS 350 is a sleek, sporty sedan with luxury features inside and out. Lexus made some changes to the IS 350 for the 2021 model year with upgrades to the exterior, including new slimmer headlights, redesigned rocker panels, and full-width taillights. Inside, the Lexus IS 350 has a new infotainment system with Apple CarPlay, Android Auto, Amazon Alexa, and an upgraded optional Mark Levinson stereo system. Lexus also added to the vehicle's standard active safety systems.
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audiovenue · 7 years ago
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Yesterday’s arrival from Mark Levinson was Indeed the No. 519 digital player. #marklevinson #ml #no519 #preamp #preamplifier #dac #519digitalplayer #spotify #qobuz #tidal #deezer cdplayer #bluetooth #bowersandwilkins #bowerswilkins #bandw #bw #800d3 #devialet #440pro #bw800 #440core #audiophile #highendaudio #audiophiles #music #stereo #londonhifi #berkshirehifi #hifi #hifishop #ealing #maidenhead #sl6 #w5 (at Audio Venue)
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hifilounge · 4 years ago
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New Products On Demo From Fyne, Chord, Franco, Levinson, Arcam, JBL & PrimaLuna!
Hi All,
Hope everyone is safe and well, over the last couple of months it has been pretty frantic in here which I am very thankful for but one of the casualties has been that I haven’t had any time for an blogs and updates on the latest goings on at HFL.
As we said before even a world pandemic doesn’t appear to stop HiFi and over the last month or so we have had some exciting new demo products come in so I normally would write a quick blog about each but as the year draws to an end I thought I would just do a post covering everything new we have here so please see below for a real Santa bag of HiFi treats and if anything interests you please feel free to get in touch.
Fyne Audio 501SP Speakers
I’m a big fan of the original Fyne Audio F501’s, they really are unbeatable for the money and Fyne have done it again with their new higher end version, the F501SP, at under £3000 they really are brilliant and are well worth a listen if you are looking for speakers at this price point.
https://hifilounge.co.uk/product-category/brands/fyne-audio/f500-series/
Chord Ultima 6 Stereo Power Amp.
So we have the Chord Reference Ultima 2’s and Ultima Pre here which I love but at nearly £50k they are not going to fit everyone’s budget so we have now added the Ultima 6 Stereo Power amp to our demo lineup which absolutely sings and at £5995 is a tad more affordable.
https://hifilounge.co.uk/product-category/brands/chord-electronics/chord-electronics-full-size/
Franco Serblin Accordo Essence Speakers
Franco Serblin speakers have been a bit of a revelation to me in 2020, I am totally captivated by the Ktema but we now have the Accordo Essense on permanent demo which completes the full range of Franco Serblin speakers for customers to listen to, they are extremely musical and natural sounding and obviously stunning to look at, there really are a lot of speakers out there but the Franco Serblin Speakers really do stand out in a crowded market place.
https://hifilounge.co.uk/product-category/brands/franco-serblin/
Levinson TT no 5105 Turntable
So we have just taken in the new Mark Levinson no 5105 Turntable, beautifully engineered and at £5399 not ridiculous money, I’m just deciding which cartridge to fit to it, probably a Dynavector of some kind, maybe an XX2 but this will be well worth a listen up against the Rega Planar 10, new SME Model 6 and the Michell Orbe, we really are spoilt for choice when it comes to quality turntables. 
https://hifilounge.co.uk/product-category/brands/mark-levinson/
Arcam ST60 Streamer
We also now have the new Arcam ST60 streamer on demo which caters for all the major streaming services and is a Roon endpoint and at £1199 really is cracking value, I’ve been using it for a few demo’s lately and really does sound good so will be a great way to get in to streaming without breaking the bank or a nice upgrade from something like a BlueSound Node 2i.
https://hifilounge.co.uk/product-category/brands/arcam/arcam-hda-range/
JBL L82 Classic Speakers
I love our JBL Classic 100’s so I’m really pleased to have added the smaller and cheaper at £1999 JBL82’s to our lineup, they really is nothing like this range from JBL, unashamedly retro but sound excellent which is the main thing I guess but you can’t help but love the looks.
https://hifilounge.co.uk/product-category/brands/jbl/
New PrimaLuna Integrated Amps.
PrimaLuna is one of our most popular brands, everyone loves them when they hear them so although the Evo 400 Integrated is our most popular amp in their range I thought it made sense to add a Evo 100 and Evo 200 Integrateds also to cater for everyone’s budgets.
https://hifilounge.co.uk/product-category/brands/primaluna/
IsoAcoustics
IsoAcoustics has been very popular for us this year, anyone that has tried their Gaia’s of Orea’s have nothing but praise for what they do so now they have bought out their ZaZen range of Isolation Platforms, we have both models on demo, they are ideal for Turntables and Preamp, DAC’s and sources so if you want more from your system then they are well worth considering.
https://hifilounge.co.uk/product-category/brands/isoaccoustics/isoaccoustics-delos/
Bryston BR-20
Finally we have the new Bryston BR-20 Preamp, this is due early January but I am really looking forward to trying this myself, basically a streaming Preamp that can be partnered with a Poweramp to give a really nice and discreet highend system, for me this partnered with a Bryston 4B3 will be epic.
https://hifilounge.co.uk/product-category/brands/bryston/pre-amps/
Thanks for reading and if anything takes your fancy please feel free to get in touch.
All the best and take care,
Regards,
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davidraudalesuk · 4 years ago
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The Lexus NX 300h
The Lexus NX 300h is an upmarket hybrid SUV with distinctive styling inside and out. It sits below the bigger RX 450h in the Lexus line-up, and shares quite a bit with the larger model including what Lexus calls a "self-charging" hybrid powertrain and the availability of four-wheel drive.
The NX 300h has many rivals, such as the Audi Q5, BMW X3 and Range Rover Evoque if you want a plug-in hybrid, while the Hyundai Kona is an attractive electric SUV, but it hardly has the badge kudos of the Lexus. The Volvo XC60 Recharge plug-in hybrid is a more upmarket alternative.
Unlike most of its SUV rivals, the Lexus doesn’t need to be plugged in to charge its battery. The SUV’s main propulsion unit is a 2.5-litre petrol engine, which is assisted by an electric motor to maximise fuel efficiency. There’s a relatively small battery under the floor at the rear and this is topped up by the engine and regenerative braking – a system that harvests waste energy when the car slows down.
The engine drives the wheels through a CVT gearbox, which is a type of automatic designed to keep the engine at optimum efficiency. All NX 300h trim levels are available with four-wheel drive, but the entry-level car can also be specified with front-wheel drive for lower running costs. In use, the batteries can provide 100% of the drive and particularly in city stop-start situations, the Lexus will often move for short periods at low speed in electric mode.
However, the batteries only store sufficient energy for around a mile of driving, after which the engine cuts in to power the car and recharge the battery. This means the NX is good around town and in traffic, but plug-in hybrids have a significant edge with their larger batteries and much greater electric-only range.
There are several ways to order your NX 300h, starting with the entry-level model. It’s as well equipped as you’d expect a premium SUV to be: the kit list includes 18-inch alloys, the Lexus Safety System+ pack of safety kit, heated front seats with Tahara upholstery and eight-inch sat-nav screen. From 2020, there’s also now a set of parking sensors as well that can even apply the brakes for you if you get too close to something.
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Sat-nav on a 10.3-inch screen is available on the entry model as an £850 option, but it’s standard from F Sport and up. This model also comes with blind spot monitoring, rear cross traffic alert as of 2020, plus sporty exterior trim.
F Sport cars offer styling upgrades designed to make the NX look a little racier, while the Takumi is the range-topper, and it’s lavishly specced with a panoramic roof, heated and ventilated front seats, a 360-degree camera, head-up display, leather upholstery, 14-speaker Mark Levinson stereo, blind-spot monitoring and rear cross-traffic alert.
There’s no doubt the NX 300h is a sporty looker, but on the road it loses out in comparison to rivals, as it’s not very engaging to drive. It handles tidily enough, but the ride is less compliant than a BMW or Range Rover over the UK’s potholed roads and the steering feels a bit remote.
The biggest drawback is the CVT gearbox, which makes the engine rev noisily before the car begins accelerating. It means the response feels sluggish, while the revving engine drones and doesn’t sound at all sporty.
For drivers unconcerned about sporty credentials, the NX 300h offers a luxurious and spacious experience with a proper premium feel. It makes most sense around town, where it’s clean and relatively efficient compared to diesel rivals, although those more traditional SUVs will tend to be more economical over higher mileages.
For a more detailed look at the Lexus NX 300h, read on for the rest of our in-depth review.
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homeaudiosunday · 4 years ago
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@#^&^ Mark Levinson No. 38S Stereo Preamplifier - Madrigal Audio Labs - Cello Red Rose https://ift.tt/3hs3CXL
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caraudiozzz · 4 years ago
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^*+ 2015 2016 2017 2018 LEXUS GX460 Audio Radio STEREO MARK LEVINSON Receiver 100513 https://ift.tt/2YOSxtr
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htqcars · 5 years ago
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FEATURES OF LUXURY CARS
Clearly, luxury cars come in a wide variety, and some are more luxurious than others. We detail all cars’ strengths and weaknesses in our road tests to help you identify which type of luxury car will work best for you. Below we highlight important features for you to consider when purchasing a sedan.
Engines and Fuel Economy Most luxury cars aren’t about saving fuel. But if you want to have your cake and eat it, too, some luxury cars and SUVs are available with hybrid or diesel powertrains.
The highly rated Tesla Model S happens to be both a luxury sedan and an all-electric model that returns 87 MPGe (miles-per-gallon equivalent). Among luxury hybrids, the midsized Lexus ES 300h got 36 mpg overall and the Lincoln MKZ hybrid netted 34 mpg.
At the other end of the spectrum, the thirstiest luxury SUV we’ve tested, the Toyota Land Cruiser, got 14 mpg. The Lexus RX 450h hybrid got 29 mpg overall in our tests, the same as the small Lexus NX 300h hybrid.
Many luxury cars require premium gasoline, so shop carefully if that extra cost is a concern. (Hint: Open the fuel filler door and look for a label that says premium fuel is recommended or required.) Diesel vehicles offer significant fuel-economy advantages, but diesel fuel is more expensive than gasoline in many areas of the country. Diesel vehicles won’t run on gasoline; putting gasoline in a diesel car’s tank will cause extensive (and expensive) damage.
Technologies such as cylinder deactivation, where the engine shuts off some of its cylinders under low power demands, can squeeze out slightly better mileage in highway driving. An increasingly common feature is engine shutoff when the vehicle is stopped, such as at a traffic light. The engine will shut off, rather than idle, to save fuel. It will restart as soon as the driver lifts off the brake pedal.
Most luxury cars come exclusively with an automatic transmission, usually offering between six and nine speeds. More speeds (gears) in a transmission can help a car get better fuel economy without sacrificing performance. Many luxury-car transmissions allow manual shifting, typically through paddles mounted on the steering wheel, giving the cars a more performance-oriented feel when desired. Manual transmissions are few and far between and generally limited to smaller and sportier models.
Some hybrids use a continuously variable transmission (CVTs) to maximize fuel economy and performance. Certain sporty models offer a dual-clutch transmission, which promises the fuel economy and performance advantages of a manual with the convenience of an automatic. These transmissions provide lightning-quick shifts in either manual or automatic mode, which makes them a good choice for performance-oriented models, but some of them lack smoothness at very low speeds, particularly when parking.
Whatever improvements are made to the engine, gearing, tires, and aerodynamics, the bottom line is what happens on the road. That’s where performance measures such as our on-road fuel-economy figures can help. (Check our fuel-economy ratings.)
Drive Wheels While most mainstream cars use front-wheel drive, luxury cars are typically available with rear- or all-wheel drive, though brands such as Acura, Audi, Lexus, and Lincoln offer front-wheel-drive models.
Front-wheel drive typically provides better traction than rear-wheel drive in slippery conditions. Conversely, rear-wheel drive usually enables better handling and steering on dry roads. All-wheel drive offers significantly better traction during inclement weather and better dry-pavement handling and cornering than front-wheel drive. But AWD does not shorten stopping distances, it adds cost and weight, and it often comes with a small fuel-economy penalty.
Towing Most luxury SUVs can have tow ratings of 3,000 pounds for small car-based crossovers to more than 8,000 pounds for traditional truck-based vehicles.
Access Ducking, bending, and squatting aren’t luxury experiences. Most luxury sedans and SUVs are designed to provide easy ingress and egress, often employing an exit mode that automatically powers the driver’s seat back and retracts the steering wheel. Some models will even cinch the doors closed, requiring only the barest of human effort.
Rear-seat access is more variable. Being lower, sleeker, and with thicker seat bolsters, sporty cars are almost always more difficult to enter. Try entering and exiting through all doors, front and rear, when comparing cars. A well-designed sedan should provide wide doors and enough headroom so that front and rear passengers can access the cabin without bumping their heads. Some sedans are styled with low, sloping rear rooflines. Such coupelike designs can degrade rear-seat accessibility, headroom, and the driver’s view aft.
A common feature among luxury cars (and, increasingly, among mainstream cars) is the proximity key. The key is actually a small transmitter that can stay in your pocket or purse. As long as the key is with you, the doors can be locked and unlocked by pressing a button on the door handle (or sometimes by simply touching the handle itself). Some cars will illuminate puddle lamps under the side mirrors when a person with the key approaches. Most cars with this feature also have keyless push-button ignition. This feature makes it almost impossible to lock your keys in the car because the doors won’t lock if the key is detected inside. But once the engine is started, it is possible to drive off without the key.
Cargo If you expect to carry long or bulky cargo, look for a fold-down rear seat with a tall, wide opening to the trunk behind. Even a small pass-through port can be handy for long, slender items such as skis. Batteries in hybrid models can restrict trunk space, and both hybrids and high-end models with reclining rear seats may not have a fold-down seatback or a pass-through. Unlike in mainstream sedans, fold-down seatbacks are sometimes an option on small and midsized luxury cars, and they’re not available at all on the largest ones.
If you plan to carry a lot of passengers in your luxury SUV, make sure to check out how much cargo room is left in back with all the seats raised. Most seven-passenger SUVs leave little space behind the upright third row—think grocery bags, not luggage. Only the largest SUVs offer decent cargo space with all seats occupied.
Advanced Safety Features The newest and most advanced safety features tend to be offered in luxury cars first. Expect a high-level of safety systems to be available, though on several luxury cars (notably those of German pedigree) such features can be optional.
Forward-collision warning and automatic emergency braking are two valued systems that are fast becoming standard equipment on many new vehicles. Forward-collision warning (FCW) technology provides a visual, audible, and/or tactile alert to warn the driver of an impending collision with a car or object directly in its path. If a car equipped with automatic emergency braking (AEB) senses a potential collision and you don’t react in time, it starts braking for you. IIHS data show rear-end collisions are cut by 50 percent on vehicles with AEB and FCW.
Other modern safety advances include telematics systems that alert emergency personnel if an airbag deploys, lane-departure warning systems that sound an alert if you change lanes without signaling, lane-keeping assist to center the vehicle in the lane if you start to drift, and blind-spot warning systems that indicate vehicles driving in the blind spots to the side and rear of you.
Entertainment and Convenience The latest mobile electronics enable cars to deliver the fidelity of home theater, along with Bluetooth smartphone connectivity, Android Auto and Apple CarPlay compatibility, and navigation guidance. Factory-supplied systems usually offer voice-activated controls for audio, phone, and navigation with various levels of sophistication.
Stereos are a selling point on many luxury cars, and most models come standard with systems that would be considered premium-level in mainstream cars. Some vehicles offer high-end branded stereos from suppliers such as Bang & Olufsen, Bose, Burmester, Harman Kardon, and Mark Levinson. These systems can cost thousands of dollars, with differences in sound quality that only a true audiophile can appreciate.
Luxury vehicles usually offer rear-seat entertainment systems that can play DVD or Blu-ray movies and have inputs for gaming systems and wireless headsets. There is a wide range of information and entertainment features available from the factory, additional ones that the dealer can install, and even more available through the aftermarket.
Audio System Most luxury cars come standard with powerful audio systems that allow you to play music loud with minimal distortion and more and better-quality speakers to enhance clarity and sound separation. They include USB and Bluetooth audio inputs, MP3 playback capability, satellite radio, and HD radio. Optional systems add digital sound fields, noise canceling, surround sound, and DVD-Audio playback. Depending on the package, an audio upgrade can add many hundreds or even thousands of dollars to a luxury car’s sticker price.
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thehifiman · 5 years ago
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Mark Levinson no585 Integrated Amplifier. One owner, outstanding Rrp £12,500 Our Price £5,895 Mark Levinson no 585 integrated amplifier. RRP £12500 One very careful owner from new - amplifier is unmarked, with original box and packing. All accessories including remote included. UK supplied and comes with a 36 month comprehensive warranty. Can be factory upgraded to 585.5 - please contact us through eBay for more information. Nº585 The foundation of the No585 is its fully discrete, mirror-imaged, dual-monaural analog circuitry featuring individual signal switching relays for each of its four stereo inputs: one... https://www.instagram.com/p/B93cQ2eJR0A/?igshid=1xt444i83o21n
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audiovenue · 7 years ago
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Close up shot of Mark Levinson No. 519 digital player. #marklevinson #ml #no519 #preamp #preamplifier #dac #519digitalplayer #spotify #qobuz #tidal #deezer #cdplayer #bluetooth #digitalhub #audiophile #highendaudio #audiophiles #music #stereo #referenceaudio #londonhifi #audio #berkshirehifi #hifi #hifishop #ealing #maidenhead #sl6 #w5 (at Audio Venue)
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perksofwifi · 5 years ago
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2020 Lexus LC 500 Convertible: 9 Need-to-Know Facts About the 8 Series Fighter
For the recent Los Angeles Auto Show, Lexus flew in all of the top engineering brass responsible for designing the 2020 Lexus LC 500 Convertible to explain the nuances of what makes this gorgeous drop-top a worthy rival for cars like the BMW 8 Series. Good listeners that we are, we picked up on a few juicy LC convertible tidbits—and probed with a few questions of our own. Read on to see what we learned about the long-awaited roofless LC:
Will There Be A High-Performance LC-F?
We asked Lexus folks about the likelihood that the company would introduce a high-performance “F” variant of the LC convertible to go up against BMW’s M8, the hot-dog version of the LC’s 8 Series rival. We know there is an LC-F coupe on the horizon, but Lexus officials have yet to formally acknowledge the project. Pressed over a hypothetical LC-F convertible, those same Lexus representatives expressed concerns over packaging go-fast gear into the roofless LC body. Fair. We asked about the possibility of dusting off the LFA’s V-10 and shoehorning it in, but were told not to hold our breath. There’s not much space in there to accommodate two extra cylinders. If or when an LC-F officially appears, expect it to use a twin-turbo V-8.
Why no Hybrid?
While an LC-F remains a hypothetical at this point, the LC coupe is currently offered with a hybrid powertrain (and dubbed the LC 500h). So, it stands to reason that Lexus could easily create an LC 500h hybrid convertible, right? Not so! The convertible’s soft top folds down right into the space where the hybrid coupe’s battery lives, in the forward portion of the trunk. The good news is that the convertible top’s cubby takes up the same amount of space as does the LC 500h’s battery, so those two LCs have identical trunk space.
How’s the Torsional Rigidity?
Cutting the roof off a coupe of this size generally halves the torsional rigidity of the body structure. Lexus recovers 75-80 percent of that lost rigidity by installing a series of diagonal steel reinforcements to the underbody and adding sheer plates. The engineers stressed that what’s more important than the lb-ft/degree twist number is the fact that the handling demeanor of the coupe is retained, at least at the speeds and handling limits typically probed by convertible users. Long-time Toyota-Lexus racing driver and ride/handling consultant Scott Pruett assures us the car responds superbly to a brisk drive on a twisty road.
Reduced Un-sprung Weight
The LC 500 Convertible team was very concerned about limiting the Convertible’s weight gain (to roughly 200 pounds) and preserving the coupe’s weight distribution, which we’ve consistently measured at 53 percent front/47 percent rear. Some of the weight savings was in un-sprung weight, which improves ride quality as well. Up front, steel control arms were replaced with aluminum, while in the rear the wheels were machined to remove excess weight. In the end, the Convertible’s front/rear weight distribution reportedly comes in at 52/48 percent.
Forged Carbon Fiber
The trunk-lid inner panel and the door inner panels are both made of pressed or “forged carbon fiber” and finished in glossy resin that highlights the material. (The coupe also forms these panels of forged carbon fiber.)
Vibration-Absorbing Rear Bumper
The rear bumper beam is attached by vibration-absorbing dampeners that allow the mass of the bumper beam to counteract body vibrations excited by the road inputs to the suspension.
Neck Warmers & Speakers
Front-seat occupants get a little hair-dryer in each headrest, which clicks on whenever the Lexus Climate Concierge decides a bit of neck warmth is called for. The same areas in the rear seats are occupied by speakers, a dozen of which the base stereo uses, while the Mark Levinson system gets 13.
Exclusivity
Lexus expects to sell only 400-600 convertibles per year in the U.S., which should keep them nice and rare on our roadways.
Structural Blue Paint
What’s up with the name on that special Inspiration Series car’s paint? First, it’s engineered in layers inspired by the way some brilliant blue butterflies like the Morpho achieve their appearance. We’re told it almost completely absorbs red light. If this ends up providing Lidar speed-detection stealth, that paint could easily pay for itself.
The post 2020 Lexus LC 500 Convertible: 9 Need-to-Know Facts About the 8 Series Fighter appeared first on MotorTrend.
https://www.motortrend.com/news/2020-lexus-lc-500-convertible-facts-specs-photos/ visto antes em https://www.motortrend.com
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numberplates4u-blog · 5 years ago
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New Lexus CT 200h 2017 facelift review
Image 1 of 17 Image 1 of 17 27 Oct, 2017 5:30pm Richard Ingram Do a series of tweaks to the premium Lexus CT 200h hybrid hatch go far enough? This week, Lexus boss Yoshihiro Sawa told Auto Express that the future of his brand’s smallest car is in doubt. The popularity of crossovers and SUVs means sales of the CT 200h have suffered – despite its fuel-sipping petrol-electric powertrain. In order to maintain momentum before the hybrid hatch is replaced (or axed), Lexus has carried out some tweaks. Chief among these is a new trim structure, alongside revised bumpers, fresh lights and a different grille. Higher-spec SE trim replaces entry-level S cars, while Luxury, F Sport and Premier models complete the range. All come with alloy wheels and a seven-inch display, and our expensive top-spec model adds a Mark Levinson stereo and sat-nav. • Best hybrid cars on sale Based on the previous-generation Toyota Prius, the CT is available with just one engine and box combination. It’s a shame Lexus hasn’t seen fit to move the hatch on to the latest Prius architecture, as the newer set-up improves exponentially on its predecessor. Image 2 of 17 Image 2 of 17 The 200h feels lazy under hard acceleration, and the CVT box sends revs skyward if you floor the throttle. The steering is lifeless, too, and putting the car in Sport does little to improve response. Yet that’s not what the Lexus CT 200h is about. Take things easy and it shows its strengths as an executive hatch. In town you can run around for a mile or so in EV mode, and the engine is virtually inaudible on the motorway. That might be due to our car’s large wheels and pronounced tyre noise, however. Image 3 of 17 Image 3 of 17 The cabin design is a bit of a letdown, retaining the original confusing dashboard and mouse-like infotainment controller, mismatched materials and grainy graphics. There’s no avoiding the fact that modern rivals – many of which can be charged from a mains socket – offer a more complete package. The Volkswagen Golf GTE, for example, is immeasurably better to drive and will do a claimed 31 miles on electric power. Higher CO2 emissions make the Lexus a more costly company car, while the VW’s well built interior is more user friendly as well. 2 Six years after its launch, the CT 200h is feeling its age. Modern rivals cost less to buy, while also offering a more rewarding driving experience, lower emissions and a greater all-electric range. The Lexus feels solidly built, but cars such as the VW Golf GTE offer a more user-friendly interface, with loads more room in the back. Ultimately, as the electric market continues its charge, the CT is more flawed than ever. Model: Lexus CT 200h Premier Price: £30,495 Engine: 1.8-litre 4cyl petrol hybrid Power/torque: 134bhp/142Nm Transmission: Single-speed CVT auto, front-wheel drive 0-62mph: 10.3 seconds Top speed: 112mph Economy/CO2: 68.9mpg/94g/km On sale: Now
http://www.autoexpress.co.uk/lexus/ct/101543/new-lexus-ct-200h-2017-facelift-review
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privateplates4u · 5 years ago
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Image 1 of 17 Image 1 of 17 27 Oct, 2017 5:30pm Richard Ingram Do a series of tweaks to the premium Lexus CT 200h hybrid hatch go far enough? This week, Lexus boss Yoshihiro Sawa told Auto Express that the future of his brand’s smallest car is in doubt. The popularity of crossovers and SUVs means sales of the CT 200h have suffered – despite its fuel-sipping petrol-electric powertrain. In order to maintain momentum before the hybrid hatch is replaced (or axed), Lexus has carried out some tweaks. Chief among these is a new trim structure, alongside revised bumpers, fresh lights and a different grille. Higher-spec SE trim replaces entry-level S cars, while Luxury, F Sport and Premier models complete the range. All come with alloy wheels and a seven-inch display, and our expensive top-spec model adds a Mark Levinson stereo and sat-nav. • Best hybrid cars on sale Based on the previous-generation Toyota Prius, the CT is available with just one engine and box combination. It’s a shame Lexus hasn’t seen fit to move the hatch on to the latest Prius architecture, as the newer set-up improves exponentially on its predecessor. Image 2 of 17 Image 2 of 17 The 200h feels lazy under hard acceleration, and the CVT box sends revs skyward if you floor the throttle. The steering is lifeless, too, and putting the car in Sport does little to improve response. Yet that’s not what the Lexus CT 200h is about. Take things easy and it shows its strengths as an executive hatch. In town you can run around for a mile or so in EV mode, and the engine is virtually inaudible on the motorway. That might be due to our car’s large wheels and pronounced tyre noise, however. Image 3 of 17 Image 3 of 17 The cabin design is a bit of a letdown, retaining the original confusing dashboard and mouse-like infotainment controller, mismatched materials and grainy graphics. There’s no avoiding the fact that modern rivals – many of which can be charged from a mains socket – offer a more complete package. The Volkswagen Golf GTE, for example, is immeasurably better to drive and will do a claimed 31 miles on electric power. Higher CO2 emissions make the Lexus a more costly company car, while the VW’s well built interior is more user friendly as well. 2 Six years after its launch, the CT 200h is feeling its age. Modern rivals cost less to buy, while also offering a more rewarding driving experience, lower emissions and a greater all-electric range. The Lexus feels solidly built, but cars such as the VW Golf GTE offer a more user-friendly interface, with loads more room in the back. Ultimately, as the electric market continues its charge, the CT is more flawed than ever. Model: Lexus CT 200h Premier Price: £30,495 Engine: 1.8-litre 4cyl petrol hybrid Power/torque: 134bhp/142Nm Transmission: Single-speed CVT auto, front-wheel drive 0-62mph: 10.3 seconds Top speed: 112mph Economy/CO2: 68.9mpg/94g/km On sale: Now
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