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DANILO REA_OPERA IN JAZZ
Per rendere “simpatico” il jazz al grande pubblico non c’è strada migliore che cercare di renderlo digeribile con ibridazioni e ammiccamenti con i ritmi della grande musica popolare. Operazioni simili si sono già viste alla televisione, per esempio per la danza, basta ricordare le trasmissioni televisive di Roberto Bolle che si è prestato a questa operazione di grande divulgazione (e quindi forse anche Andrea Bocelli andrebbe ascritto ai grandi divulgatori in campo musicale per la lirica). Un’operazione simile con il jazz la fa Danilo Rea che a JazzMI ha presentato, sabato scorso al Teatro della Triennale di Milano (ex-Teatro dell’arte), “Opera in jazz”, operazione piuttosto compressa, volta a portare il jazz a dialogare con i grandi interpreti del passato della lirica italiana. Pezzi ed arie celeberrime dell’opera lirica sono rielaborate al pianoforte in chiave jazzistica, mentre su uno schermo scorrono immagini, fotografie e filmati storici degli interpreti dell’opera. Si incomincia con una “Casta diva” nella memorabile e irraggiungibile interpretazione di Maria Callas da “Norma” di Vincenzo, Bellini, si prosegue con “Una furtiva lagrima” dall’ “Elisir d’amore” di Gaetano Donizetti, cantata da Enrico Caruso, e via via fino ad arie meno consumate dall’uso, ma sempre di grande impatto, concludendo, per il bis, con la canzone italiana per eccellenza, ovvero quel “O sole mio” di Alfredo Mazzucchi e Eduardo Di Capua, celebrata, cantata e ricantata in tutto il mondo con una impennata di celebrità in questo nuovo millennio. E il jazz? Bisogna riconoscere che, nonostante queste operazioni siano sempre un po’ rischiose, il risultato è assolutamente pregevole, date anche le capacità tecniche di prim’ordine di Danilo Rea. Non era facile, come lo stesso Rea ha ricordato dal palco al folto pubblico, dialogare con un cantante o una cantante che in realtà non ti ascolta, la cui voce, anzi la cui registrazione monofonica della voce, proviene dalla notte dei tempi della musica riprodotta. Rea riesce eccellentemente nell’operazione, tanto che qualche aria sembra continuare naturalmente nella sua tastiera poliedrica. Se qualche dubbio resta, almeno a me, è il senso generale dell’operazione, come se il jazz non bastasse a sé stesso e altrettanto vale per l’opera lirica. Ma io oltre a non fare testo, sono sempre un po’ troppo esigente e un po’ troppo rigoroso, anche con me stesso, e queste “scampagnate musicali” mi sembrano sempre un po’ delle operazioni azzardate. Quelle che invece sembrano proprio di difficile digestione, sono le immagini proiettate sullo schermo, di una bruttezza e di un cattivo gusto esemplari: elaborazioni elettroniche di rose che fioriscono, fiocchi di neve da centro commerciale, bolle, riflessi, ombre e tramonti napoletani degni di una pizzeria. Forse, se proprio necessario, sarebbe bastato proiettare le rare immagini della Callas, di Beniamino Gigli, di Mario del Monaco o di Mascagni, Rossini e Puccini nel loro originale e fascinosissimo b/n. Spero soltanto che il Roberto Grossi che ha curato la parte video della serata, non sia lo stesso Roberto Grossi, ex studente nella mia stessa scuola e scenografo di mia conoscenza, perché sarebbe la fine di una amicizia…
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“Sono un vecchio anarchico e credo che lo Stato sia un male”. Mario Vargas Llosa dialoga con Borges
Il primo Nobel sudamericano avrebbe dovuto andare a Jorge Luis Borges, sappiamo come è andata, cioè che andò a Gabriela Mistral prima e a Miguel Ángel Asturias poi, ci sono certi scrittori per cui la Svezia, francamente, non è degna. Dieci anni fa il Nobel fu assegnato a Mario Vargas Llosa, peruviano, altro ‘carattere’ politico rispetto a Borges – fu candidato alle presidenziali del suo Paese nel 1990 –, altra poetica, è tra i grandi narratori viventi. Per festeggiare l’evento, Vargas Llosa – classe 1936 – pubblica con Alfaguara Medio siglo con Borges, che, immagino, sarà molto presto tradotto in Italia. Nel frattempo, pubblico un pezzo del dialogo che Vargas Llosa ha tenuto con Borges, era il 1981 (lo stesso anno, scirocco letterario, in cui Liliana Heker, la grande scrittrice argentina, fa un’altra intervista a JLB, che sono riuscito a far tradurre per Castelvecchi).
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Nella giustificazione al libro, che raccoglie “articoli, conferenze, recensioni e appunti che testimoniano mezzo secolo di letture di un autore che è stato per me fonte di un inesauribile piacere intellettuale”, Vargas Llosa dice qualcosa di non banale (il virgolettato tradotto lo è). “Ho sempre letto Borges non soltanto con l’esaltazione che suscita un grande scrittore, ma con una nostalgia ineffabile, con la sensazione che qualcosa di quel suo universo abbagliante mi sarà sempre negato, nonostante la mia ammirazione”. Da scrittore si ama uno scrittore proprio perché è agli antipodi, perché la sua originalità è anomala, infine irraggiungibile. Di un grande artista si ama il fatto che rispecchia i nostri limiti. Nessun artista cerca un suo pari, un omologo: si anela al diverso, all’assolutamente altro. La scrittura non educa né consola: devia, percuote, turba.
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In ogni caso, un grande scrittore non chiede conferme, si confronta con uno più grande – non ha paura della vertigine, e l’autentico narcisismo non ammette portaborse né lacchè.
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Certo, siamo alle briciole delle briciole dei titani. Intendo: anche i pezzi d’intonaco di una basilica letteraria ci paiono oro, icone, roba da mettere sotto teca. Così, gli appunti casuali, le interviste, le lettere di grandi autori di un dì. Divoriamo i frammenti per incapacità di incauto, di grandezza. Viviamo in un cimitero di dinosauri. Non è che manchino le ‘grandi opere’: non ci sono occhi – incide più un rutto televisivo che la nuova Iliade. Ma il piagnisteo, nell’orda del caos, è schifoso. Dicevo, a una rara amica: non è più il tempo di ‘essere più bravi di’; conosco poeti, nascosti nel loro operare da forgiatori di spade, che starebbero in qualsiasi canone – ma non vi sono. E allora? A noi è dato porgere il fuoco – piccola fiamma che si confonde tra pollice e mignolo – a chi verrà, facendogli trovare un alfabeto raffinato, è sufficiente, che altra grazia possiamo attendere? Quindi, ha senso tuffarci in una antica maestria, in un addestramento. (d.b.)
***
Se dovessi fare il nome di uno scrittore in lingua spagnola del nostro tempo che lascerà un segno profondo nella letteratura, citerei il poeta, narratore, saggista argentino che condivide il nome con Graciela Borges, cioè Jorge Luis Borges. La manciata di libri che ha scritto sono concisi, perfetti, come un anello, pare che non manchi nulla, che nulla sia superfluo e continuano ad avere una enorme influenza su chi scrive, in qualsiasi lingua. Le sue storie fantastiche, che accadano nella Pampa o a Buenos Aires, in Cina o a Londra, in luoghi irreali o veritieri, denotano la stessa potente immaginazione, la stessa formidabile cultura dei suoi saggi sul tempo, sul linguaggio dei Vichinghi… Ma l’erudizione di Borges non ha nulla di accademico, è sempre qualcosa di insolito, di brillante, di divertente, un’avventura dello spirito.
L’intervista che Borges mi ha concesso si è svolta nel suo modesto appartamento, nel centro di Buenos Aires, dove vive, insieme a un factotum che gli fa da guida da quando ha perso la vista, e un gatto, che chiama Beppo, perché così, mi dice, si chiamava il gatto di un poeta inglese che ama: Lord Byron.
Ho visto che nella sua biblioteca non ci sono i suoi libri: come mai?
Ho molta cura della mia biblioteca. Chi sono io per stare insieme a Schopenhauer…
Non ci sono neanche i libri che hanno scritto su di lei…
Un professore di Mendoza pubblicò un libro, Borges, enigma y clave. L’ho letto per capire quale fosse la chiave dell’enigma. Non ne ho letti altri. Alicia Jurado ha scritto un libro su di me. L’ho ringraziata dicendole, “So che è un buon libro, ma l’argomento non mi interessa; o forse, mi interessa troppo, quindi non lo leggerò”.
È anni che volevo chiederle una cosa. Scrivo romanzi e mi ferisce sempre una sua frase, molto bella ma abbastanza offensiva per un romanziere, che dice più o meno coì: “Un romanzo è l’esperienza sconfortante di chi allunga per cinquecento pagine una cosa che può formulare in una frase”.
È un errore, un errore formulato per me. Per pigrizia. Per incompetenza.
Eppure lei è un grande lettore di romanzi…
…no, ne ho letti pochissimi.
Ma i romanzi compaiono spesso nelle sue opere.
Mi ha sconfitto Thackeray. Invece, mi piace Dickens.
Le piace Conrad…
È tra i pochi eccezionali, tra le rare eccezioni. Come Henry James, un grande narratore, un romanziere di altro calibro.
Ma tra gli autori per lei più importanti, un romanziere non c’è. Mi dica un poeta o un narratore o un saggista per lei decisivo.
Contano anche i racconti.
Certo.
Non credo che “Le mille e una notte” sia un romanzo, giusto? È una antologia infinita.
Il vantaggio del romanzo è che tutto può esserlo. Il romanzo è cannibale, ingoia tutti i generi.
Lei conosce l’origine della parola “cannibale”?
No…
Interessante. Caribe, che da caríbal e quindi caníbal, cannibale.
Quindi è una parola di origine latinoamericana…
Se toglie “latino”. Erano una tribù di indios, i caribe, parola indigena da cui viene il Calibano di Shakespeare.
Alcune sue dichiarazioni politiche mi lasciano perplesso, però quando parla del nazionalismo ha tutta la mia ammirazione. Credo che lei abbia parlato sempre con lucidità di questo tema.
Eppure l’ho sostenuto. Ho scritto dei bassifondi di Buenos Aires, dei duelli con il coltello, dei payadores… ho scritto milonghe… tutto è degno di entrare nella letteratura.
Io mi riferivo al nazionalismo politico…
Questo è un errore, perché se desideri una cosa rispetto a un’altra vuol dire che non la desideri realmente. Se desidero l’Inghilterra rispetto alla Francia sbaglio: dovrei volere entrambi i paesi, secondo le mie possibilità.
Ha fatto molte dichiarazioni contro le ostilità tra Argentina e Cile…
Dico di più. Pur essendo nipote e pronipote di militari e, più indietro, di conquistatori, non mi importa, sono pacifista. Credo che la guerra, in ogni caso, sia un crimine. Quand’anche ammettessimo una guerra ‘giusta’ essa spalancherebbe le porte a centinaia di altre, ingiustificate. Non mi ero reso conto di quanto Bertrand Russell, Gandhi, Romain Rolland avessero ragione a opporsi alla guerra – forse ci vuole più coraggio a opporsi a una guerra che a prendervi parte.
Qual è il regime politico ideale per Borges?
Sono un vecchio anarchico spenceriano e credo che lo Stato sia un male, ma al momento è un male necessario. Se fossi un dittatore, mi dimetterei tornando alla mia modestissima letteratura, perché non ho soluzioni da offrire. Sono una persona sconcertata, sfiduciata, come tutti i miei connazionali.
Ma si dice anarchico, un uomo che difende la sovranità dell’individuo contro lo Stato…
Certo, ma non ne siamo degni. Non credo che questo paese sia degno della democrazia o dell’anarchia. Forse potrebbe attuarsi in Giappone o nei paesi scandinavi. Qui le elezioni sarebbero un maleficio, non procurerebbero altro che l’ennesimo Frondizi o altri…
Quello che dice è in contrasto con le sue dichiarazioni sulla pace, sulla ferocia delle torture…
Sono dichiarazioni di ordine etico, inutili, in fondo, non aiutano nessuno. Possono giovare alla mia coscienza ma poco altro. Se fossi al governo, non saprei cosa fare, siamo in un vicolo cieco.
C’è un politico, oggi, che ammira?
Come si possono ammirare i politici? Sono persone che si impegnano ad accordarsi, a corrompere, a sorridere, a essere fotogeniche, e popolari.
Quali tipi umani ama Borges, allora? Gli avventurieri, forse…
Forse un tempo, ora non so. Forse singoli avventurieri, individui.
È felice del suo destino?
No non sono felice, ma con un altro destino sarei un’altra persona. Come dice Spinoza, “ogni cosa desidera la solitudine del proprio essere”. Insisto a essere Borges – non so perché.
Non ha nostalgia di cose che non ha fatto per aver scelto una vita puramente intellettuale?
No. Alla lunga, viviamo tutto ciò che è importante vivere.
Suppongo che ciò le abbia suggerito un grado di distacco dalle cose materiali. Lo si vede nella sua casa, lei vive praticamente come un monaco, la sua camera da letto pare la cella di un trappista, la sua austerità è estrema.
Il lusso mi pare volgare.
Cosa sono i soldi per lei?
Libri. Viaggi.
Ma… non ha mai lavorato per guadagnare? Non le interessa il denaro?
Pare che non riesca a fare soldi. Certo, la prosperità è preferibile all’indigenza, altrimenti non hai altro pensiero che il denaro. Se sei ricco puoi pensare ad altro. Non sono mai stato ricco. Lo furono, i miei avi: abbiamo perso molto, molto è stato confiscato, ma non credo che oggi abbia importanza.
Il suo interesse per le letterature nordiche, l’anglosassone ha a che fare con…
La nostalgia.
…il fatto che l’Argentina sia un paese quasi privo di passato.
Credo di sì. La nostalgia dell’Europa che un europeo non può sentire perché è spagnolo, inglese, francese, tedesco, italiano… La nostalgia forse è una delle nostre più grandi ricchezze.
Mario Vargas Llosa
*In copertina: Mario Vargas Llosa; la fotografia è tratta da qui
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Currently one of Europe's most in-form strikers, Paco Alcacer's season and story is remarkable
Image: ULMER
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IT SAID MUCH that when Gary Neville wanted to make a statement during his ill-fated and short-lived reign in Spain he turned to Paco Alcacer.
The Valencia striker was only 22 years old but Neville handed him the captaincy in early 2016. After all, he was a rare bright spark at a dismal time for the club. He was scoring but also saving. There was a dramatic equaliser against Rayo Vallecano and another against Real Madrid.
Neville was gone by the end of March and when Alcacer finished the campaign with 13 goals and seven assists, it seemed likely he’d move on too. But, as a local homegrown talent and another proud example of the club’s ability to develop young players, it wasn’t a painless exit.
Rumours swirled about a Barcelona switch for a while but there were denials from all invested parties.
The back and forth ran into the start of the following season and when Alcacer was left out of a league game against Eibar, a move to Camp Nou was inevitable.
“To play for Valencia you have to have your body and soul in Valencia,” said boss Pako Ayestaran when asked to explain Alcacer’s removal from the squad.
But, Barcelona did not go well for the attacker.
It was a five-year contract but with a first-choice front three of Lionel Messi, Neymar and Luis Suarez, there was hardly any space to properly immerse himself and make an impact.
Source: NurPhoto
In all competitions, he played the full 90 minutes on just seven occasions. There were some highlights under Luis Enrique, mainly a start and a goal in the Copa del Rey final win over Alaves. And playing back-up to the world’s most famous attacking trio was hardly the worst situation to be in, especially when still developing.
But, things got worse when Ernesto Valverde arrived as manager.
With Neymar sold to PSG, Alcacer probably expected to get more opportunities but the opposite happened. Valverde tweaked formations and players and hit the ground running. He seemed to have reignited something with a brace against Sevilla last November but Valverde’s comments afterwards were telling.
“He has not played a lot and he has shown that he is a goalscorer and we are happy. I have a strong side here and anyone can come in and score.”
It seemed like the manager needed more from Alcacer and the rest of his season drifted away, a collection of cameos and nothing more. This time, there were just three 90-minute contributions in all competitions.
He needed a change and in August, Borussia Dortmund offered him a lifeline.
18 – Paco Alcacer has been involved in a goal every 18 minutes in Bundesliga 2018/19 (7 goals), best rate among the players involved in 5 goals minimum in the top 5 leagues this season. TNT. pic.twitter.com/NrMiqM22KM
— OptaJean (@OptaJean) October 22, 2018
Under Lucien Favre, Alcacer has been unplayable at times and slotted perfectly into the most entertaining team in Europe currently.
With Axel Wistel and Thomas Delaney as a midfield holding duo, it allows a flexible front four to supply the energy and movement. Marco Reus is the link while Christian Pulisic, Jadon Sancho and Jacob Larsen add to the free-flowing nature of the side. In their nine league games so far, Dortmund have scored 29 goals and they remain unbeaten while it’s the same story in the Champions League, largely thanks to thumping victories over Monaco and Atletico Madrid.
In the Bundesliga, Reus has netted five and assisted on three. Sancho has scored four and assisted on six.
But, it’s Alcacer who has been truly remarkable. Mainly because he hasn’t played much.
Since arriving, he’s properly struggled to gain full fitness. There was an ankle injury and then a thigh problem and he’s missed five games as a result. In fact, Dortmund have had to treat him with kid gloves and he’s only started two games in all competitions.
Incredibly, he’s played just 216 minutes so far this season – 90 of those came against Monaco.
And still, he’s scored eight times.
Source: TEAM2
He came off the bench to score his first goal for the club against Eintracht Frankfurt but away to Bayer Leverkusen, Dortmund found themselves 2-0 down with 25 minutes left.
Alcacer was introduced two minutes before Reus pulled a goal back. Moments later, Reus scored a second to equalise. Then, Alcacer took over and grabbed a brace of his own in the last five minutes to ensure a magnificent 4-2 win.
It seemed to be a galvanising result.
The following week, Dortmund were a goal behind at home to Augsburg. On the hour mark, Alcacer replaced Max Philipp once again and everything changed. Two minutes after coming on, he equalised. The guests hit back and retook the lead only for Alcacer to level again. With six minutes left, Mario Gotze put Dortmund in front but they conceded with three minutes to go. A breathless 3-3 draw seemed a fair result only for Alcacer to have the final word. In the sixth minute of injury time, he stepped up and lashed a 30-yard free-kick inside the near post.
In another rout away to Stuttgart, he racked up his seventh league goal of the campaign with a beautiful chip.
In between, he’s picked up a recall for Luis Enrique’s Spain and scored three times across October’s pair of friendlies against Wales and England.
It’s truly been a radical turnaround for Alcacer. His and his team’s form may not be sustainable through the entire season but, given his difficulties at Barca, he’s surely just glad to be playing with a smile on his face again.
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Currently one of Europe's most in-form strikers, Paco Alcacer's season and story is remarkable was originally published on 365 Football
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Lessi di un episodio avvenuto al Caffè Florian di Venezia, non so in quale anno del boom economico. Un giovane direttore d’orchestra che avrebbe fatto una bella carriera incontrò, per caso. un corpulento signore oltre la settantina, dalla chioma bianca un poco scapigliata. Esuberante, raccontò di essere non solo un famoso tenore ma anche il rivale di Enrico Caruso al Metropolitan di New York. Disse di aver cantato con Arturo Toscanini.
“Ah, ah, ah! Lei lo conosce?» chiese il direttore d’orchestra al critico musicale che raccontava il fatto su una rivista, non ricordo se questi fosse Rodolfo Celletti o Giorgio Gualerzi.
«Ha detto che il suo nome è Giovanni Martinelli”, mettendo implicitamente in dubbio la veridicità delle parole. Insomma un fanfarone da caffè di lusso.
Il signore «canuto» aveva raccontato, né più né meno, la verità.
Tenore lirico-spinto, gli americani consideravano Giovanni Martinelli l’erede del grande cantante napoletano, uno dei protagonisti della Golden Age del Metropolitan. Nacque nel 1885 a Montagnana, vicino a Padova, città assai fortunata quanto a tenori, poiché diciotto giorni dopo la nascita di Martinelli nacque Aureliano Pertile.
La cosa paradossale di questo episodio fu che, narrando la verità, il celebre tenore passò per un pittoresco racconta frottole. Come non sapere chi fosse Giovanni Martinelli?
Sic transit gloria mundi.
Andando al Circolo Lirico Bolognese, soprattutto quando era nella sede di Palazzo Tanari vicino a casa mia, si incontrava una certa varietà di innocui gradassi. Spesso tenori che, a detta loro, avevano tutti voce da tenori spinti o drammatici. I ruoli erano Pollione, Manrico, Alvaro, Andrea Chenier, Turiddu, Canio, Calaf e Otello. A proprio dire, possedevano voci migliori sia di Franco Corelli che di Mario del Monaco. Le rare ed ovviamente deludenti esibizioni al Circolo Lirico si concludevano con complimenti sperticati davanti ma, dietro le spalle, tutti li derivano. Macchiette non completamente innocue.
Nell’ambito dell’opera, in pochi anni, ho conosciuto tre millantatori con i fiocchi, un soprano bolognese, un altro ferrarese e un tenore statunitense. Millantatori che costruirono le prove per dare veridicità alle menzogne.
Conobbi la prima millantatrice, quella bolognese, attraverso un vicino di classe del liceo con il quale non mi ero più visto da prima della mia Maturità. Era il 1977.
Entrambi collezionavamo dischi e opere dal vivo ma avevamo gusti musicali differenti: io ascoltavo dalla musica del romanticismo fino a quella contemporanea, Tullio si arrestava alla musica romantica. Adoravamo entrambi tre soprani, Magda Olivero, Montserrat Caballè e Joan Sutherland. Tullio, a differenza di me, non sopportava Maria Callas perché la sua voce ballava e gli acuti erano strillati.
Magda Olivero
Montserrat Caballé
Joan Sutherland
Maria Callas
Da quella conversazione uscì fuori che tutti e due cantavamo in casa sopra ai dischi come i matti del Circolo Lirico. Io tenore, lui basso.
Quando Tullio sentì questo gli si illuminarono gli occhi. Mi raccontò che faceva divulgazione lirica: essendo la madre maestra, Tullio cantava davanti agli bambini, mimando l’azione con costumi e qualche semplice oggetto di scena. Allevava una nuova generazione di frequentatori del melodramma. Non solo si esibiva personalmente ma aiutava la madre nello spiegare le opere ai bambini prima di accompagnarli alle spettacoli che il Teatro Comunale riservate alle scuole. L’ultima opera che i bambini avevano visto al Teatro Comunale fu Il Signor Bruschino diretto da Donato Renzetti, e tra i cantanti c’erano Saverio Durante, Silvia Baleani, Franco Federici e l’amico Floro Ferrari. Già in quegli anni si rilevava una crisi delle vocazioni liriche tra i giovani e tutto questo mi parve una piccola attività degna di qualche interesse.
Tullio, però, aveva in mente qualcos’altro. Quasi fosse un impresario, pensava di allestire una breve stagione lirica da rappresentare nella classe della madre: di lì a poco avrebbe messo in scena La Serva Padrona di Pergolesi. Era quasi pronta, aveva terminato le prove con il soprano, a suo dire molto bravo e con una voce bellissima. Una semiprofessionista. A Tullio mancava qualcuno che facesse Vespone, ruolo da mimo. E dopo l’opera di Pergolesi sarebbe venuto L’elisir d’amore. Per questa non aveva ancora trovato il tenore per il gravoso ruolo di Nemorino.
«Tu tenore? Splendido, ti scritturo. Puoi fare sia l’uno che l’altro».
Questa proposta non mi entusiasmò perché ben conoscevo la mia scarsa propensione ad apparire davanti al pubblico, seppur costituito da «cinni» delle elementari. Io ero un cantante che si esibiva in stanza da bagno, mica in una sala da concerto!
E poi, se adoravo L’Elisir d’amore, La Serva Padrona mi faceva addormentare. Tutt’ora con questo intermezzo mi faccio dei bei sonnellini.
La mia risposta fu, dunque, «no».
Ma Tullio non mollò. Ci eravamo, infatti, scambiati il numero di telefono, e il giorno dopo mi telefonò: mi invitò a casa sua per due chiacchiere, qualcosa da mangiare, per vedere la sua collezione di nastri, ascoltare po’ di musica. Infine per presentarmi Evelina, il soprano.
E andai.
Ascoltammo nastri, dischi e poi venne il turno di una registrazione di Evelina.
Ascoltammo È strano, Ah forse è lui, Sempre libera degg’io, un bel biglietto di presentazione.
Il brano aveva l’accompagnamento orchestrale. Tullio mi raccontò che il ragazzo di Evelina, caballeiano a trecentosessanta gradi, aveva trovato la base orchestrale dall’edizione completa diretta da Georges Prêtre senza, appunto, Montserrat Caballé.
Il soprano Evelina aveva una voce di timbro molto gradevole, ben emessa, agilità perfette e sciolte. Forse solo un po’ fredda come interprete, se proprio si voleva cavillare qualcosa. Non potetti che dire belle parole e, soprattutto, sincere.
«Accidenti…che brava. Sai una cosa? Mi ricorda la voce di Anna Moffo».
Nella registrazione di Evelina c’era anche il tenore fuori scena:
«È il maestro di Evelina, R.A., un tenore del coro del Comunale», mi spiegò il solerte ospite.
«Evelina canta a teatro?»
«No, è al secondo anno di architettura»
«Come l’hai conosciuta?»
«Ė la ragazza di un mio amico. Insegnano catechismo nella stessa Parrocchia»
«Ha fatto audizioni presso agenzie o teatri?»
«Per ora i genitori non hanno piacere e vogliono che prima si laurei»
Suonò il campanello e Tullio, con uno sguardo che dimostrava di essere al settimo cielo, portò Evelina in salotto a braccetto.
La voce aveva evocato altre fisionomie e un altro modo di essere.
La Diva indossava una pelliccia di lince ottenuta da animali in peluche. Magra, bassa ma con tacchi a spillo, portava dei jeans attillatissimi per metter in mostra il sedere. Mora corvina, una frangia leggermente crespa arrivava oltre le sopracciglia. Il volto terminava con un mento a punta, il naso aquilino spuntava da due zigomi sporgenti, labbra sottili, occhi scuri vivaci leggermente ravvicinati. Non era bella ma, come si dice, «un tipo».
Evelina aveva un carattere estroverso, rideva fragorosamente e con facilità. Parlava starnazzando con la pesante cadenza delle mie parti e poi le essce, le szeta, le tci bolognesi, che avrebbero decimato eleganza e fascino perfino a Grace Kelly.
(Continua)
Tre millantatori all’Opera – Il soprano bolognese (Parte prima) Lessi di un episodio avvenuto al Caffè Florian di Venezia, non so in quale anno del boom economico.
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🇬🇧🇵🇱🇮🇹 Supreme Mario del Monaco, Canary Islands, Las Palmas, 1972. Deeply rare + remastered. Clip featuring the original Castle of Otello.
Although the merciless storm, with victory finishes the Grand Berber Otello yet another battle, mooring the ship betwixt betrayals, amidst the foes is where the final fight awaits. His true heart was not in recognition what are the vile whirls of manipulation...
P.S. The ending photograph of Mario manually coloured by @Enaveri, @ilMioPrimoAngelo
No acceptance for the popular yet primitive automatic colouring applications which give unnaturally insulting effect!
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Najwyższy Mario del Monaco, Wyspy Kanaryjskie, Las Palmas, 1972. Wysoce rzadkie + zremasterowane. Dodatkowo, klip przedstawia oryginalny zamek Otella.
Pomimo bezlitosnego sztormu zwycięstwem kończy kolejną bitwę Wielki Berber Otello, cumując statek pośród zdrajców, pomiędzy wrogami oczekuje go walka finalna. Szczere jego serce nie było w rozpoznaniu czymże są nikczemne wiry manipulacji...
P.S. Końcowa fotografia Mario ręcznie pokolorowane przez @Enaveri, @ilMioPrimoAngelo
Brak akceptacji dla popularnych lecz prymitywnych automatycznych aplikacji koloryzujących dających nienaturalnie obraźliwy efekt!
👑
Supremo Mario del Monaco, Isole Canarie, Las Palmas, 1972. Profondamente raro + rimasterizzato. Clip con il Castello originale di Otello.
Nonostante la spietata tempesta, il Gran Berbero Otello con la vittoria termina l'ennesima battaglia, ormeggiando la nave tra i tradimenti, in mezzo ai nemici, dove lo scontro finale lo attende. Il suo vero cuore non era in grado di riconoscere quali sono gli ignobili vortici della manipolazione...
P.S. La fotografia finale di Mario colorata manualmente da @Enaveri, @ilMioPrimoAngelo
Nessuna accettazione per le popolari ma primitive applicazioni di colorazione automatica che danno un effetto innaturalmente offensivo!
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