#Le laowai
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Le Laowaï (Original Motion Picture Soundrack)
Le Laowaï 疯狂的外教 / WELCOME TO CHINA (2023) Film by Anthony GavardMusic by Maximilien MathevonCast: Anthony Gavard, Liu Peng, Fu Hong, Han Yueqiao Premiere in Chinese Film Festival Paris 2023 THE FILM Anthony Perrin, a French sports teacher invited by a school in China, thought he would come and discover the country quietly. It is with amazement that he learns that he will have to teach French…
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#Anthony Gavard#Cd Digital#Festival#Film Chinois#Le laowai#Maximilien Mathevon#Paris#Plaza Mayor Company ltd#Welcome to China#SoundCloud
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a list of words that mean “white person” or “white people” in as many languages as possible
please feel free to reblog with any other words you might know, or correct any mistakes Dakota : wasi'chu Lakota : wasi'chu Nasa Yuwe (paez) : mushka Namtrik (misak, guambiano) : pølelø Kabyle, Chaoui (Amazigh languages) : rumi, rumiya, irumiyen Egyptian Arabic : khawag, khawagi, khawaga Algerian Arabic : gawri, gawriya, gwer Moroccan Arabic : nasrani Hassaniya : nasrani Mooré : nasara Pulaar (peul) : toubakou Wolof : toubab Malinke : toubab Medumba : mekat, bah mekat Yoruba : oyibo Akan (Ashanti Twi, Akuapem Twi et Fante) : oburoni, obroni Anyi (Brosa, Aowin) : brofo, brofwe Ga : blofo, blofonyo Ewe : yovo Fon (Fon-gbe) : yovo Mina (Gen, Gen-gbe) : yovo Lingala : mondele, mundele, mindele Tswana : lekgoa Somali : cadaan Amharic : frenji Tigrinya : tseadu, tseada Swahili : mzungu, wazungu Shikomori : mzungu, wazungu Luganda : muzungu, bazungu Chichewa : muzungu, azungu Chinyanja : muzungu, bazungu Kinyarwanda : umuzungu, abazungu Kirundi : umuzungu, abazungu Bemba : musungu, basungu Kisii : omusongo, abasongo Sena : muzungu, azungu Shona : murungu, varungu Xhosa : umlungu Sisiwati : umlungu Ndebele : umlungu Zulu : umlungu, abelungu Malagasy : vazaha Mauritian Creole : zorey, zoreille Reunionese Creole : zorey, zoreille Martiniquan Creole : béké, bétché, bétcha, zorey Guadeloupean Creole : béké Noongar : wadjela Cook Islands Maori : papa'a Maori : pakeha Niuean : palagi Samoan : palagi, papaalagi Tongan : palangi, papaalangi Fijian : vavalangi Hawaiian : haole Urdu : gora, gori Hindi : gora, gori Tamul : வெள்ளைக்காரர் vellaikaarar, வெள்ளைக்காரி vellaikaari, வெள்ளைக்காரன் vellaikaaran, வெள்ளைக்காரர்கள் vellaikaarargal Thaï : farang Khmer : barang Indonesian : bule, totok Vietnamese : mỹ trắng Cantonese : 鬼佬 gweilo, gwailou, 死鬼佬 sei gwailou, 鬼仔 gwaijai, 鬼妹 gwaimui, 鬼婆 gwaipo, 白鬼 baakgwai, 西人 sai yan, 洋人 yeung yan Mandarin : 白人 bairen, 白种人 baizhongren, 老外 laowai, 洋鬼��� Yang guizi Japonese : 白人 haku jin Dari : safed, safeda Turkish : beyaz Greek : aspro Rromni : gadjo, gadji, gadjé Romanian : alb Polish : biały Slovak : bielý German : weiß Dutch : wit, witte mensen Flemish : blank Italian : bianco, bianca, bianchi Portuguese : branco, branca, os brancos Spanish : blanco, blanca, los blancos, blanco-mestizo, gringo, güero, mono, gabacho, bolillo, guait, guaitero, guaitera French : blanc, blanche, les blancs, babtou, les babtous English : white, whitey, white people, wypeepoo, cracker, mayo
#White People#whypipo#wypipo#whitepeople#white#wipipo#mayo#babtou#languages#language#indigenous languages#African Languages#asian languages#langblr#blancs#blanc
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Laowai Lai Le: Episode 5, "Laowai the Expert Translator" via /r/China
Laowai Lai Le: Episode 5, "Laowai the Expert Translator" https://www.youtube.com/watch?v=AWqKWRg2MG8 Submitted June 10, 2020 at 03:14PM by Elfins via reddit https://ift.tt/2Am45e0
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Il distanziamento sociale in Cina è la nuova normalità
17/04/2020
Mi chiedevo quando avrebbe riaperto la palestra dove sono iscritto, a Pechino. Ho sempre pensato che sarebbe stato il segnale più chiaro del superamento della crisi sanitaria, o quanto meno della percezione da parte delle autorità che il peggio fosse passato, dato che in quel luogo si suda, si sbuffa, si condividono materassini, attrezzi, spogliatoi, docce.
Ha riaperto il 3 aprile, ma con alcune regole nuove. Innanzitutto non si può essere presenti in palestra più di dieci alla volta, quindi ti arriva quotidianamente, via WeChat, un miniprogramma che consiste nell’orario del giorno dopo, in cui ti inserisci quando vuoi o trovi spazio. Poi bisogna mantenere almeno due metri di distanza all’interno della palestra, indossare la mascherina, spruzzare con il disinfettante l’attrezzo prima e dopo l’utilizzo, non si può fare la doccia. Infine, sono state rimosse tutte le macchine per gli esercizi aerobici – pedalare, correre, camminare, remare – e si possono solo sollevare pesi. Vietato grondare sudore, vietato ansimare.
Così, sono improvvisamente sparite tutte le frequentatrici dedite allo snellimento e sono rimasti solo i frequentatori più nerboruti, nella fattispecie culturisti cinesi e australiani. I cinesi indossano in genere magliette con slogan motivazionali o patriottici, gli australiani t-shirt con marche di birra, riferimenti al rugby o alla spiaggia: il più coerente tra loro ne indossa una di un torneo di beach-rugby organizzato dalla Qingdao, la marca di birra cinese.
Distanziamento sociale Visito una fabbrica di attrezzature medicali alla periferia di Pechino, loro hanno riaperto subito dopo la fine del capodanno cinese, a metà febbraio, nel bel mezzo dell’emergenza sanitaria, sebbene gli ordini fossero discontinui e buona parte del personale fosse sparso in tutta la Cina, impossibilitato a rientrare dopo le vacanze.
Combattuta tra esigenze economiche e il terrore di una recrudescenza epidemica, la leadership di Pechino ha molto insistito affinché la macchina industriale cinese riprendesse il prima possibile. I dati sulla crescita del primo trimestre registrano la prima contrazione dal 1976, ultimo anno della rivoluzione culturale: -6,8 per cento, un dato anche peggiore di quanto gli economisti si aspettassero.
Si guarda con preoccupazione a una probabile recessione globale e il governo ha già deciso alcune misure per proteggere l’industria: riduzioni fiscali che dovrebbero alleggerire l’onere per le imprese di 1,6 trilioni di yuan (circa 215 miliardi di euro); sostegno finanziario per 3,55 trilioni di yuan (circa 46 miliardi di euro) da veicolare tramite le banche di stato sotto forma di capitale a basso costo. Tuttavia, secondo 62 analisti intervistati da Reuters, la crescita cinese a fine 2020 sarà al massimo del 2,5 per cento, il dato peggiore dal 1976.
Il fatto è che forse non c’è più tanto bisogno di istruzioni. Il distanziamento sociale ti è già entrato dentro
Qui, in questa fabbrichetta dei sobborghi meridionali di Pechino, il titolare, il signor Zhao Guangyu, naviga a vista, in attesa di avere indicazioni più chiare, un messaggio politico che indichi la direzione da seguire. Passa il tempo esercitandosi con la calligrafia nel suo ufficio, visto che – dice – “non posso viaggiare e non posso andare alle feste”. Mentre su una pergamena scrive in bello stile Yidali jiayou – “forza Italia” – rivendica il fatto che fin dall’inizio lui e la sua azienda fossero preparati ad affrontare la “nuova normalità” dettata dall’epidemia: “La guardia all’ingresso misura la temperatura a tutti e poi bisogna indossare sempre la mascherina”, spiega. “Tutti hanno il dovere di disinfettare la propria postazione di lavoro, la sedia, il tavolo. I reparti e gli uffici sono costantemente ventilati. Abbiamo affisso ovunque i manifesti con le regole sanitarie da seguire e quando i lavoratori sono riusciti gradualmente a tornare, dopo il capodanno, li abbiamo messi in quarantena per una settimana, estendendo poi a due settimane”.
Un po’ meno scienza La sua assistente mi accompagna in giro per lo stabilimento. Tutto il personale indossa tute protettive e le immancabili mascherine. In mensa, gli operai mangiano con la testa in scatoloni da imballaggio, che sono stati tagliati in due e trasformati in pannelli divisori. Solo quando prendono posto dietro al cartone, possono togliere la mascherina e nutrirsi. Il tasto dell’ascensore si schiaccia usando degli stuzzicadenti sono infilati in un artigianale supporto di spugna di fianco alla pulsantiera. Piccoli accorgimenti fai-da-te e molto pratici.
La vita sta tornando nel segno di questo “insieme di azioni di natura non farmacologica per il controllo delle infezioni volte a rallentare o fermare la diffusione di una malattia contagiosa” – recita Wikipedia – che a Singapore sembrerebbero diventate una scienza vera e propria, come riporta un articolo di Nikkei Asian Review.
La Cina non è Singapore, anche se forse qualche alto papavero della leadership di Pechino lo vorrebbe, perché qui in fin dei conti è tutto chabuduo, “più o meno”. Il termometro a ultrasuoni con cui mi misurano la temperatura all’ingresso del supermercato segna 33 gradi. All’uscita me la faccio rimisurare per timore di essere morto mentre mi aggiravo tra gli scaffali: 35.9. C’è un forte sospetto che tutti i termometri in giro per la Cina siano tarati al ribasso o non tarati del tutto – siano chabuduo – per evitare scocciature: tai mafan – “che menata”, diremmo noi – è un’espressione sulla bocca di tutti. Bisogna sì, attenersi alle regole che arrivano dall’alto, purché non siano troppo mafan.
E quindi anche il distanziamento sociale che è scienza a Singapore, in Cina è un po’ meno scienza, come i cartoni nella mensa e gli stuzzicadenti di fianco alla pulsantiera dell’ascensore, nella fabbrica del signor Zhao.
Averle viste tutte L, la mia amica di Wuhan, si è fatta due mesi di isolamento in casa, dal 23 gennaio alla settimana precedente all’8 aprile, quando la città focolaio dell’epidemia è stata di nuovo riaperta al resto della Cina. Suo padre è medico in uno degli ospedali che tra dicembre e gennaio sono stati investiti dal Sars-cov-2, lavora come anestesista, non era a diretto contatto con i malati. Eppure se l’è preso, il virus. Quando l’hanno dimesso dall’ospedale non era ancora completamente fuori pericolo – per sé e per gli altri – ma era necessario fare spazio ad altri malati più gravi. Così, a mali estremi, L ha piazzato il babbo nella panetteria che lei ha aperto come attività collaterale al proprio lavoro in uno studio legale. A serrande chiuse.
Le ho detto che dopo essere stato chiuso a doppia mandata in una panetteria, io uscirei dalla quarantena pesando 120 chili suppergiù. “Ma no“, ha risposto seria, “non c’era il pane, quell’attività è solo una specie di hobby”. Lei e la madre facevano recapitare del cibo all’anestesista recluso con i servizi di pronta consegna. All’inizio di aprile la famiglia si è ricongiunta e sono perfino andati a passeggiare lungo lo Yangtze, portandosi anche la nonna.
In molti negozi di Pechino ci sono segni per terra fatti con il nastro adesivo che marcano le distanze da tenere tra persona e persona, per esempio quando si è in fila alla cassa. Ma se all’inizio dell’epidemia tali distanze erano rigidamente mantenute, ora nessuno ci fa veramente caso. I due metri di distanza in palestra non sono quasi mai rispettati, ma la mascherina, quella sì, se provi a toglierla ti richiamano all’ordine.
Il fatto è che forse non c’è più tanto bisogno di istruzioni. Il distanziamento sociale ti è già entrato dentro, non stai più vicino agli altri, non stringi mani, non abbracci. I cinesi hanno ancora un po’ paura a uscire, mandano avanti noi, gli incauti laowai, e poi naturalmente i vecchi, quelli che non hanno rinunciato al tavolo del mahjong neanche a gennaio, all’apice della crisi. Loro le hanno già viste tutte, hanno sofferto la fame, cosa sarà mai un virus?
Nel 2010, Martín Caparrós scriveva in Non è un cambio di stagione che l’idea egemonica di ordine, nell’epoca che abbiamo vissuto finora, è nordeuropea: “Un ordine di individui. Un ordine di mormorii. Un ordine di colori soavi. Un ordine di silenzi rispettosi. Un ordine di movimenti controllati, moderati”.
Caparrós si chiedeva: “Come sarà, quando arriverà, l’ordine cinese, di grida e spintoni, di moltitudine, di mascheramenti e tranelli, di ori e di rossi?”. Forse il virus ha imposto anche ai cinesi un’idea di ordine nordeuropea, fatta di distanze più che di spintoni? Non lo credo e non lo spero, quindi nella mia Pechino guardo con un misto di timore e speranza alle piccole violazioni del distanziamento sociale.
Fonte: Internazionale.it
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Midsummer Night in Shanghai, or, A Story Without an Ending
The Australian bartender with the Shenyangnese ex-girlfriend poured us a round of yagers on him. We weren’t the regular customers of the dingey sports bar, slim women in short skirts, wandering eyes, and accessories that made it just clear enough why they were there; them and their Middle-aged, Carlsburg-sipping European wine importing clients. We left just in time to give the others enough time to exchange Wechat IDs, decide on the going rate for the night.
The air was heavy and humid, the type that drenches your entire body in a film of moisture the second you step out of AC. Around midnight, we walked back from the bar to my apartment, the citrus streetlights illuminating the streets with a foil of orange haze. I walked behind you, surveyed you from crown to ankle. You wore grey suede sneakers with white socks up to your lower calves, and a White Rabbit Milk Candy tee you got from Tianzifang, because unlike the other laowais, you know the nuances of The Culture. You’re a local foreigner, meaning that cabbies spare you from the 200 kuai scam rides from M1NT, and you couldn’t ever be found in a button-down made translucent by perspiration, drunkenly trying to groove to whatever dog shit they happened to be playing at Bar Rouge. You went to Le Baron on Thursdays, to see sets played by your buddies from high school.
You were over that night to book flights for Hong Kong. I’d never been, and asked you on a whim if you’d come with me. It was July of 2019, right in the middle of the protests against Carrie Lam. Everyone advised us not to go, but...
“If you’re down, I’m down.” You were, and I was.
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Niko Romito alla conquista di Pechino
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Niko Romito alla conquista di Pechino
“Mi interessa creare un mio codice della grande cucina italiana contermporanea, capace di arrivare molto lontano. Dove gli ingredienti umili sono nobilitati dalla tecnica, e quelli sofisticati aggiustati e affinati con il tocco della semplicità”.
Avevamo già pubblicato per esteso il manifesto programmatico di Niko Romito nella sua più recente scommessa, insieme a Bulgari Hotels: portare la ricchezza della tradizione italiana, nella sua semplicità, in ogni angolo del mondo, come se fosse appena stata sfornata tra i monti attorno a Casadonna. E infatti è proprio a lì, nel Laboratorio di Niko, tra la panetteria e la cucina centrale del Reale, che Niko e i suoi scudieri si sono messi a pensare, preparare, catalogare e archiviare tutte le ricette per il progetto.
Gli scudieri in ordine di aperture: Claudio Catino, biscegliese doc (e Miglior sous chef per la Guida di Identità Golose 2017, quand’era al fianco di Andrea Berton a Milano) per il ristorante a Pechino, aperto da pochi giorni; Giacomo Amicucci, romagnolo, per il ristorante a Dubai (apertura entro la fine dell’anno) e Davide Capucchio, torinese, per il ristorante a Shanghai (apertura intorno a marzo 2018). L’idea, ambiziosa, in sostanza è quella di creare un tipo di cucina, di altissimo livello, verace e veritiera, che, un po’ alla maniera ducassiana, sia replicabile in ogni angolo del mondo. E una cucina per cui anche un (apparentemente) semplice spaghetto al pomodoro possa emozionare un commensale di Dubai, Milano o Pechino, tanto quanto un avventore delle montagne abruzzesi.
Facile a dirsi, ma terribilmente difficile da realizzare, soprattutto partendo da un parterre come quello cinese (Pechino il primo outpost aperto e Shanghai il terzo a venire appunto) dove la guida Michelin non ha osato mettere piede per anni perché non è semplice sia trovare sia il fornitore degli ingredienti, sia il materiale umano per questo tipo di endeaviour. Deficita l’esperienza, il senso del servizio inappuntabile, la conoscenza e ri-conoscenza dei sapori… in poche parole il software, o i soft skills direbbero i guru del marketing. Della serie: la replicabilità qui in Cina è un’opinione (e forse non è un caso che gli unici tre stelle nel China mainland non appartengono a scuderie tristellate alla Ducasse–Robuchon–Bombana). Ed è forse per questo che l’efficiente Antonio Saponara, napoletano GM dell’hotel Bulgari di Pechino, s’è circondato di una buona dozzina di italiani. Idem, Il Ristorante ha un parterre tricolore di tutto rispetto attorno a Claudio Catino, da Stefano Attardi, interno executive chef dell’hotel, a Dario Schiavoni, restaurant director, a Marco Morandini, sous chef, più altri 3 laowai in sala.
Gli ingredienti ci sono tutti. L’hotel è una meraviglia del made in Italy, con il gusto del design Bulgari, gli interni disegnati da Citterio, l’utilizzo delle maestranze del nostro paese, dalle suite alle amenities dei bagni fino alla gym e alle piscine. Il tutto in una mirabile location, proprio di fronte alla spianata delle ambasciate, a Chaoyang, a godersi di uno dei pochi polmoni verdi della città. A ogni angolo si respira l’anelito verso la perfezione. E anche alla guida del ristorante, in remoto, Niko Romito, e in loco lo chef di cucina Claudio Catino.
“L’entità della sfida”, ci racconta Catino, “l’abbiamo capita fin dal primo giorno di operatività, quando abbiamo toccato con mano la mole di impegno e l’attenzione richiesta per dar da mangiare a 300 persone” Tutte le ricette pensate e prodotte al Laboratorio in Abruzzo sono state soppesate, misurate, standardizzate e catalogate. “Anche il sale è stato pesato al milligrammo e codificato”. Ogni portata aveva una media di 4 minicontenitori per commensale…” moltiplicato per 300! La cucina deve essere sembrata l’armata dell’esercito di terracotta di Xi’an.
Il piede di partenza è quello giusto: è cosi che l’estrazione di brodo vegetale Assoluto, con un tocco di champagne, e l’infuso di funghi (dello Yunnan) sono davvero l’esplosione in bocca che non ti aspetti dichiarata programmaticamente da Niko. L’Antipasto all’italiana è una splendida parade di tutto ciò che la tradizione dei carrelli all’italiana ha prodotto, in un secolo tra una regione e un’altra. Il Maialino croccante cotto 12 ore a 72 gradi è una delizia, cosi come la lasagna: il primo ha come coup de maître una salsa all’arancia, la seconda il sentore di scorza di limone, a significare la passione di Romito per il tocco agrumato.
La Pasta mista con pomodoro, seppie, aglio e prezzemolo e lo spaghetto al pomodoro sono i segnacoli del sic et simpliciter romitiano. Attenzione solo ad alcuni ingredienti come il melone (nel Prosciutto e melone) che rispondono più ai dettami di madre Terra che a quelli della replicabilità. Come al Reale, ci sono due menu degustazione: uno da condivisione (1388 rmb, circa 180 euro) e uno più aspirational “degustazione” da 1688 rmb, 217 euro).
Leggi anche Niko Romito: il mio progetto con Bulgari
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Laowai, tome 1 : La guerre de l'opium
Laowai, tome 1 : La guerre de l’opium
Titre : La guerre de l’opium Cycle/Série : Laowai, tome 1 Scénaristes: L.F Bollée, Alcante Dessinateur: Xavier Besse Éditeur : Glénat Date de publication : 4 janvier 2017
Synopsis : 1859. L’Empereur Napoléon III et le royaume d’Angleterre préparent une nouvelle campagne contre la Chine. François Montagne et Jacques Jardin, soldats et amis de longue date, veulent à tout prix en faire partie. Mais…
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#Asie#BD#Chine#civilisation chinoise#colonisation#expédition#France#Glénat#guerre#littérature française#XIXe siècle
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