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Interdit aux chiens et aux Italiens (No Dogs or Italians Allowed)
2023. Animated Period Drama
By Alain Ughetto
Voices: Ariane Ascaride, Stefano Paganini, Diego Giuliani, Christophe Gatto, Laurent Pasquier, Laura Devoti, Bruno Fontaine, Thierry Buenafuente...
Country: France, Switzerland, Italy
Language: French, Italian
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Modena: Visita guidata alla mostra "DeVoti Etruschi" al Museo Civico
Modena: Visita guidata alla mostra "DeVoti Etruschi" al Museo Civico. Sabato 1 aprile, alle 16, al Museo Civico di Modena è in programma una visita guidata alla mostra “DeVoti Etruschi” condotta dalla curatrice Cristiana Zanasi. La mostra espone oltre cento ex-voto in terracotta provenienti dalla città etrusca di Veio raffiguranti devoti, statue, busti e volti di adulti e bambini ma anche parti anatomiche, membra e organi oltre a raffigurazioni di animali. La visita guidata è a ingresso gratuito ma, poiché i posti sono limitati, è necessario prenotarsi, per telefono (059 203 3125) o mail ([email protected]). L’ex-voto è un dono dal forte valore simbolico, che accompagna da millenni il rapporto con le entità alle quali viene attribuita la capacità di mutare la sorte. È una pratica antropologicamente sospesa fra religione e superstizione e intercetta archeologia, etnologia, arte popolare e contemporanea. Nella visita guidata si racconterà come si è formata la raccolta che proviene da un immenso deposito votivo scoperto nel 1889, un luogo di culto importante e frequentato con assiduità per molto tempo tra l’inizio del quinto e la metà del secondo secolo avanti Cristo, ancora oggi oggetto di studio. Verranno spiegati, inoltre, i risultati del progetto di ricerca che l’ha preceduta e che, coniugando discipline scientifiche e umanistiche, ha consentito di riscoprirla sia sotto il profilo archeologico e storico-collezionistico sia sotto il profilo della diagnostica eseguita con le moderne tecnologie. Un video introduce il contesto da cui provengono i reperti e una suggestiva installazione video-sonora (realizzata da Delumen) fa rivivere i volti degli offerenti, i devoti Etruschi, rappresentati da oltre cinquanta teste e una grande statua che osservano il visitatore da un pannello incorniciato nel calco del portale dell’abbazia di Nonantola (esposto nella sala), quasi a evocare un luogo denso di spiritualità e nello stesso tempo la funzione di accoglienza di ex voto che le chiese tuttora esercitano. La mostra è realizzata in collaborazione con Sapienza Università di Roma e si inserisce nel progetto di riscoperta delle raccolte archeologiche ottocentesche conservate nei depositi del Museo Civico (la raccolta è entrata a far parte delle collezioni del Museo nel 1894) nell’ambito del quale sono già state realizzate la mostra sulla collezione dell’Antico Egitto e quella della raccolta del Paleolitico francese. Lo studio archeologico dei reperti è stato affidato alle etruscologhe Laura Maria Michetti e Carla Tulini, co-curatrici della mostra con Cristiana Zanasi del Museo Civico, autrice delle ricerche sulle modalità di formazione della raccolta. In particolare le nuove ricerche hanno restituito significative novità sulla originaria pittura delle terrecotte votive, grazie alle analisi sulla policromia curate da Andrea Rossi, DI.AR Diagnostica per i Beni Culturali; sono stati indagati inoltre aspetti economici e produttivi che hanno aggiunto ulteriori dati alla conoscenza del contesto votivo; un ulteriore contributo di grande interesse è stato affidato a una equipe di paleopatologi dell’Università di Bologna e del Gruppo Italiano di Paleopatologia, che hanno esaminato gli ex-voto anatomici della raccolta nel quadro più ampio delle patologie presenti nelle popolazioni etrusche e delle conoscenze mediche che avevano sviluppato.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Laura ha estado con Antonio toda su vida y, justo cuando comienza a preguntarse si realmente esa es la vida que quiere, Sergio y Siena se cruzan en sus vidas. Sergio es un excompañero de secundaria y Siena, su novia millennial que llega para revolucionar la vida de todos. Laura, Raquel y Cris, íntimas amigas desde hace años, convencen a sus respectivos maridos para que jueguen a un juego que les propone Siena: el juego de las llaves. El juego consiste en que cada uno ponga sus llaves en un bol. Al azar, cada uno elige unas llaves y debe ir a pasar la noche con el dueño de las llaves. Este juego revolucionará el grupo de amigos y sus vidas. Les hará descubrir quiénes son y qué es lo que realmente quieren. Una comedia sobre la monogamia a largo plazo, la autorrealización y el placer. Una historia sobre cuatro parejas que son amigas y deciden ser swingers entre ellas.
Adattamento di Vicente Villanueva al 'lungometraggio' della serie messicana 'Il gioco delle chiavi', in cui si racconta un comodo e vetroso incrocio di coppie grazie alle caratteristiche di detto gioco, che consiste nel mettere tutti gli 'amici' partecipanti le loro chiavi in un contenitore e poi lascia che siano loro a scegliere l'abbinamento e le attività notturne 'conseguenti'. Non c'è quasi nessuna serietà e scopo di maturità nella proposta né nel gioco né nel film, poiché si tratta di confutare con commedia e intreccio quella discutibile sentenza per cui gli unici monogami sono cattolici e piccioni (tutti sanno che i veri monogami sono i pinguini). La costruzione dei personaggi aderisce rigorosamente alle affermazioni del cliché: mogli di passaggio e mariti insoddisfatti, a proprio agio e travagliati, mente e corpo giovani 'millenari' completamente 'realizzati' e tutti con la scusa di passare vecchi soggetti pendenti.
Insomma, una discussione senza angoli inaspettati e molto incentrata sulla follia sessuale e sull'abbattimento di quelle barriere insopportabili della coppia, fedeltà, impegno, routine e opzioni sessuali inequivocabili.
Com'è naturale, tra quell'impeto a prendere in giro le situazioni impegnate e quelle erotiche, c'è un momento in cui qualcosa di simile alla grazia fa sentire la sua presenza; ma non necessariamente. Gli attori sono ben devoti alla natura patetica dei loro personaggi, e senza lasciare in essi alcuna riflessione matura che valga la pena sottolineare: lottano per essere all'altezza delle circostanze spinose, per ottenere un po' di credibilità nei loro comportamenti e poco altro. Ci sono alcune scene sporche e altre semi-sexy che potrebbero essere paragonate, in basso, a quella dell'orgia mascherata in "Eyes White Sut" di Kubrick, ma è meglio non eccitarsi troppo.
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Surbo e la sua “Madonna vestita d’Oro”
Surbo e la sua “Madonna vestita d’Oro”: un patrimonio di fede e tradizioni
Il Martedì dell’Ottava di Pasqua, Surbo festeggia la Madonna di Loreto, sua celeste Patrona
di Vincenza Musardo Talò
La Puglia, da sempre terra di incontro di luminose civiltà e naturale avanporta dell’Oriente, fin dal sec. XV vanta una consolidata tradizione del culto della Madonna di Loreto e dell’insigne reliquia della Santa Casa. In aggiunta, per il suo essere fin dall’alto medioevo meta di pellegrinaggio verso i numerosi santuari regionali (quello micaelico in primis) e luogo di raduno dei crociati in partenza per la Terra Santa, questa regione ha veicolato in numerosi centri demici del suo esteso territorio il suggestivo narrato della traslazione lauretana e dato testimonianza degli eventi prodigiosi ad essa afferenti. E così, più insistentemente lungo la costa adriatica (divenuta una sorta di baluardo contro i turchi frontalieri, soprattutto a partire dai fatti di Otranto del 1480), dalla Terra di Capitanata all’estremo lembo della Terra d’Otranto, da subito essa ha documentato momenti altissimi di devozione. Numerosi sono i santuari, gli altari di parrocchie o le cappelle urbane e rurali che riferiscono della dedicatio alla Vergine di Loreto, la cui diffusione non appare condizionata da mirate scelte insediative, tanto la rete di simili luoghi di culto mostra una sorta di omogeneità sull’intero territorio regionale, sia pure con una insistenza lungo i litorali dell’Adriatico, da Manfredonia a Santa Maria di Leuca. Il fenomeno cultuale tra i secoli XV e XVII si lega anche a una fioritura dei rituali del pellegrinaggio da parte dei devoti pugliesi.
Di tanto è dato sapere dai Registri dei Doni, conservati presso l’Archivio storico del Santuario lauretano, in cui si attesta un nutrito elenco di doni votivi, offerti dai pellegrini di Puglia o inviati da noti membri delle famiglie feudatarie del tempo, non escluse le commende dei cavalieri di Malta o le Domus dei templari, sommamente devoti alla Madonna di Loreto.
Tralasciando, per ovvi motivi, un più esteso e puntuale tracciato storico delle vicende pugliesi legate a tale indirizzo devozionale, ecco che nel primo Seicento, nei pressi dell’attigua cinta muraria a borea di Lecce, si origina il culto della Vergine di Loreto, praticato da quanti vivevano nel minuscolo casale di Surbo (suburbum), per secoli casale de corpore della città di Lecce.
Un culto che poi si è radicato e alimentato nel tempo; già nel 1724, è attestato che fosse il clero di Surbo e non quello di Lecce a festeggiare, il Martedì dopo Pasqua, presso il vicino santuario di S. Maria di Arurìo, la Gran Madre di Dio venerata non più sotto l’antico titolo di S. Maria di Aurìo ma come S. Maria di Loreto.
Invece, per quel che attiene il titolo di patrona, pare che la comunità di Surbo abbia preso a invocare il suo patrocinio a partire dal 1838. Non a caso la sua prima solenne celebrazione nel casale di Surbo, si tenne all’indomani della ricomposizione di una contesa, sorta nel 1837 tra il clero della parrocchia di S. Maria del Popolo di Surbo e quello della Chiesa di S. Maria della Porta di Lecce (per inciso, proprio quest’anno ricorre il 180.mo anniversario di quella storica, prima festa della Vergine lauretana a Surbo).
Tuttavia, per trovare l’incipit di tale devozione dei surbini, bisogna rifarsi alla tradizione locale, la quale riferisce di un prodigioso rinvenimento in un fondo vicino alla chiesa di Santa Maria (sec. XI), ubicata nel diruto casale medievale di Aurìo, nato dopo l’arrivo di una comunità di monaci basiliani e spopolatosi intorno al sec. XVI. Il toponimo Aurìo rimanda al termine greco layrion, laura (proprio dei tanti minuscoli cenobi bizantini del Salento greco) e compare per la prima volta in un diploma di epoca normanna, quando nel 1180, Tancredi d’Altavilla ne fa donazione al monastero benedettino dei Santi Niccolò e Cataldo di Lecce.
Stando alla tradizione, ai primi del ‘600, proprio in un fondo limitrofo alla chiesa di S. Maria di Aurìo, un contadino di Surbo rinvenne, in un tronco cavo d’ulivo, una piccola statua in legno scuro, che effigiava una Madonna in apparenza priva delle braccia, col divino Infante. Senza indugio, l’uomo lasciò la campagna e tornò in paese, portando la statua nella chiesa matrice di S. Maria del Popolo, dove accorsero i fedeli, toccati da quell’evento straordinario. Ma con grande sconcerto del popolo, il giorno seguente il prezioso simulacro era scomparso, per poi essere ritrovato nel medesimo luogo, da cui era stato asportato il giorno precedente.
Da subito, le fattezze di quel simulacro richiamarono nei fedeli surbini una certa somiglianza con la Vergine lauretana, giù venerata in tutto il Salento. Ma a Surbo, il culto della Madonna di Loreto nasce – a dire di alcuni studiosi – dalla somiglianza e dalla commistione fonetica tra layrion e Loreto, generando così la successiva assimilazione del culto della Madonna di Aurìo a favore di quello della Madonna lauretana, pur mantenendone la festa nella data antica, il Martedì dopo Pasqua. Tanto, in considerazione del fatto che nel casale basiliano di Aurìo, secondo il Sinassario bizantino, la festa della Madonna cadeva il Martedì dell’Ottava di Pasqua. E parimenti i devoti di Surbo vollero mantenere – e mantengono – in quella data la festa della Madonna di Loreto, che nel tempo si è denominata “Madonna vestita d’Oro”.
Pur tenendo in debito conto queste ipotesi, da parte mia, invece, depongo a favore di un dato più probante, afferente al già consolidato culto lauretano nella cristianissima Lecce del primo ‘600, sotto la cui amministrazione municipale cadeva pure il casale di Surbo. Tra i suoi trenta conventi, erano attivi due monasteri di donne claustrali, che andavano sotto il titolo di Santa Maria di Loreto: quello delle Carmelitane scalze, fondato sul finire del ‘500, e l’altro più tardo delle Cappuccine francescane. In aggiunta, l’influenza devozionale che arrivava da Lecce e l’opera di un qualche zelante predicatore venuto a Surbo, potrebbero aver concorso più verosimilmente a mutare l’antico indirizzo del culto mariano di Aurìo in quello della Vergine di Loreto, di cui vi è traccia materiale anche nei seicenteschi Registri dei Battezzati della Matrice, col dato certo dell’imposizione alle nuove nate del nome Auritana, Auretana, Lauretana e Lauria.
E sempre intorno alla metà del ‘600 o appena dopo è da datarsi una anonima tela, conservata presso la chiesa della Madonna di Loreto in Surbo, il cui tema iconografico tratta del miracolo della traslazione della Santa Casa. Il dipinto, visionato da P. Giuseppe Santarelli – come riferisce O. Scalinci – è da ritenersi posteriore al 1638, anno in cui il re di Francia Luigi XIII donò alla Vergine del Santuario di Loreto una preziosa corona, simile a quella effigiata nella tela di Surbo; mentre in precedenza, la Vergine esibiva una corona a forma di triregno, donata nel 1498 dai devoti di Recanati e che compare sulle teste della Vergine e del Bambino di Loreto fino al 1642.
Ma è dal 1838, che a Surbo partono i primi festeggiamenti della Madonna di Loreto, curati dalla erigenda Confraternita della Beata Maria Vergine Lauretana, che fin dal ‘700 si era embrionalmente costituita con un gruppo di devoti, un Corpo morale. Questa viene giuridicamente istituita nel 1858, con il Regio placet di Ferdinando II, re di Napoli e approvata con la bolla dell’ordinario di Lecce, mons. Nicola Caputo, in data 22 maggio del 1858. Primo priore fu Pietro P. Paladini. In aggiunta, nel 1860, sempre con decreto di Francesco II, viene ordinato al Comune di Surbo di concedere gratuitamente alla Congrega della SS. Vergine di Loreto, un suolo pubblico, destinato all’ampliamento della chiesa-oratorio, che portava il medesimo titolo. Questo periferico edificio di culto, già dedicato a S. Stefano, è attestato fin dal 1610 nei verbali di Santa Visita di mons. Scipione Spina, vescovo di Lecce. Più volte chiusa e poi riaperta al culto, nell’Ottocento perde l’antica intitolatio e prende il titolo mariano. Tanto è certificato nel 1882, quando l’ordinario diocesano, mons. Luigi Zola, visita la chiesa, che si presenta con due altari: quello centrale dedicata alla Madonna di Loreto e l’altro, in cornu Epistulae, dedicato a S. Stefano, primo titolare della chiesa. Al suo interno si custodiva l’antica statua della Madonna bruna e la tela del ‘600, raffigurante il viaggio – da Nazareth a Loreto – della Santa Casa. La Vergine e il Bambino, incoronati, mostrano fattezze celestiali; la Madre appare vestita di un abito rosso con decori dorati e preziosi ricami floreali. Dopo la reale approvazione giuridica del 1858, la locale Confraternita mariana prenderà in custodia detta chiesa, in cui fissa anche il suo oratorio.
In questo luogo sacro abita la statua della bella Madonna vestita d’Oro. E a tal proposito va detto che questa è una riproduzione della statua storica del ‘600, che ebbe in sorte quella di bruciare, quasi un comune destino con quella lauretana, la quale venne pure distrutta nel 1921 da un incendio. Si era negli anni dolorosi della prima guerra mondiale e per l’insistenza di tante famiglie, che avevano i loro cari al fronte, la statua venne tolta dalla teca dell’altare ed esposta alla devozione dei fedeli. La presenza abnorme di candele e lumi votivi fu la causa dell’incendio che distrusse la venerata icona. La riproduzione di un primo manufatto non simigliante a quello distrutto, portò a una seconda statua, bella come l’antica ma di colore chiaro, come oggi è dato osservare. Non una foto rimane a ricordare le fattezze della statua delle origini; pare che una devota avesse messo in salvo sola una manina del Bambinello, che poi custodì sotto campana, ma di cui oggi non vi è traccia.
Venendo all’oggi, caleidoscopica e ricca di rituali segnici è la festa della Madonna vestita d’Oro, che si tiene, ab antiquo il Martedì dell’Ottava di Pasqua, una data simbolica, ricca di riferimenti storici, di fede e di consolidate tradizioni.
I festeggiamenti si aprono il Lunedì dell’Angelo con la spettacolare fòcara serotina, un rito che mi ricorda i falò lauretani della notte del 10 dicembre, accesi a memoria della Venuta della Vergine a Loreto. Nel passato, erano i confratelli che andavano alla questua della legna e accendevano il falò sullo spazio antistante la chiesa, ancora fuori dal centro urbano. Poi, prima dell’alba del Martedì (alle ore tre), i confratelli e alcune pie donne o delle religiose (perché mai avrebbero potuto farlo le mani di uomini), compiono il devoto rito della vestizione della Vergine e del Bambino, che si mostrano integralmente coperti del corredo di monili, mentre la presenza di alcuni carabinieri vigila il prezioso cofanetto degli ori votivi, ogni anno più ricco, perché segno di una consolidata e continua donazione dei devoti.
Dopo il rito quasi privato della vestizione, all’Angelus mattutino, la chiesa della Madonna di Loreto si apre dinanzi a una folla di fedeli in attesa di entrare e rivedere, dopo un anno, la Madonna vestita d’Oro. Con l’arrivo del vescovo, salutata da spari di mortaretti, inni e ovazioni corali e la musica delle bande, ha inizio la processione. Alla folla, alle autorità cittadine e alla Congrega, si uniscono i bambini “vestiti”, le donne devote – scalze e con un cero – che pubblicamente esprimono alla Vergine il loro bisogno di una grazia o di una intercessione; e non mancano segni o gesti di commossa pietà popolare. In questo particolare momento della giornata (bello o brutto che sia il tempo prima e dopo la processione), da sempre, quasi un prodigio, i surbini hanno testimoniato la presenza del sole, che mostra la straordinaria bellezza della Gran Madre di Dio, adorna di una sorta di dalmatica luccicante, fatta di ori, perle e pietre preziose di vario colore. Portata poi nella Chiesa parrocchiale, prima e dopo la celebrazione eucaristica, la Vergine riceve il filiale omaggio del popolo tutto; quindi, la sera del Mercoledì, giorno riservato ai festeggiamenti civili, la statua viene riportata nella sua Chiesa, dove si ripete il rito inverso a quello della vestizione. I confratelli, deposti in luogo sicuro gli ori della loro Madonna, pensano già alla festa dell’anno dopo.
Un ultima riflessione ci viene dal considerare il caso raro, se non unico, della spettacolare dote di gioielli votivi posseduta dalla Madonna lauretana di Surbo. Per noi resta un esempio il Gesù Bambino dell’Aracoeli a Roma (miseramente trafugato) o l’esempio di altre madonne dotate, ma mai in maniera tale da ricoprirle integramente e tanto riccamente di preziosi come la Madonna surbina.
E’ da credere che tali donativi debbano riferirsi a simbolismi profondamente stratificati nell’immaginario collettivo. Oltre che tributi di ringraziamento, questi – e a me sembra essere il caso di Surbo – sono fondamentalmente chiara manifestazione di una forma di preghiera materializzata, quasi il desiderio di ognuno e di tutti di accorciare le distanze col sacro, calandosi in un rapporto ravvicinato, di devozione diretta con la divinità stessa, tanto è forte il senso di intima appartenenza, a cui pure non è estraneo, ma non preminente, il rito dell’ex voto. Dunque, per il popolo di Surbo, simile corredo di preziosi donativi sarebbe il segno di un (conscio o inconscio) desiderio individuale e corale di stretta e materiale vicinanza con la sua Madonna.
Un atteggiamento collettivo che trova la sua legittima e più alta espressione nella continuità del suo prezioso e delicato omaggio alla Patrona, che si rende visibile nella plurisecolare devozione e soprattutto nella festa più attesa e più bella dell’anno. Ed è questo il momento in cui la devota Surbo condivide, rafforza e rivive i miti antichi delle sue radici, della sua storia e della sua granitica identità comunitaria civile e religiosa insieme.
#Aurio#Madonna di Loreto#S. Maria della Porta di Lecce#S. Maria di Aurìo#Surbo#Vincenza Musardo Talò#Spigolature Salentine#Tradizioni Popolari di Terra d’Otranto
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Swissquote Happy 25th from Simon Duhamel on Vimeo.
If today’s investors no longer look like those 25 years ago, it’s also because of you. Happy birthday!
Director - Simon Duhamel Executive Producer - Carolan Grégoire Producer - Smith Production Manager - Nick Fontaine Production Manager - Nicolas Gonos Coordo - Lola-Lou Fergeau-Mariko 1st AD - Jonathan Jean-Pierre 2nd AD- Natalia Grijalva Camera DOP + Photographer - Simon Duhamel 1st AC - Christophe Sauvé 2nd AC - William Tétreault DIT - Jacob Soulard Digital Tech - Renaud Robert Light Assist - Renaud Lafrenière BTS Photographe - Anabel Boivin Electro Gaffer - Hugo Ferland Dionne Best Boy Electro - Olivier Racine 3rd Electro - Kyle Pelletier 4th Electro - Kevin Bellegarde Grip Key Grip - Samuel Labarre Best Boy Grip - Pierre-Luc Schetagne 3rd Grip - Olivier Arends Leblanc 4th Grip - Virgile Rattelle Swing - Edouard Sauvage Art Department Art Director - Louisa Schabas Ass. Art Director - Joao Baptista Ass. Art Director - Maria Rainha Swing - Nicolas Privé Props Buyer - Christina Vincelli Set Dresser - Kate Ray Struthers Swing Gang 1 - Gabriel Monette Swing Gang 1 - Antoine St-Germain Props Master - Carl Pepin Coordo - Melanie May Taillon Vanities Wardrobe Stylist - Andrée-Jade Hélie Stylist Asst. - Bianca Roussel-Marino Hair Stylist - Laurie Deraps MU Artist - Tania Guarnaccia Unit Covid Coordinator - Robin Maurais PA - Sofian Derdouri PA - Étienne Brisson Post-Production (Photo) Retoucheuse - Pénélope St-Cyr Robitaille Post-Production (Vidéo) Postproduction image - OUTPOST MTL Directeur général - Bertrand Paquette Coordonnatrice de postproduction - Gabrielle St-Onge Coloriste - Martin Gaumond Monteur en ligne - Simon Allard Assistante à la postproduction - Amélie Santerre Producteur VFX - Evren Boisjoli VFX - PIXEL PERFECT Superviseur VFX - Rene Allegretti Superviseur Comp - Eden Munoz Chargée de projet - Paola Pitalua Artiste CG - Ricardo Santillana Artiste CG - Ana Luisa Lopez Directeur technique FX - Diego Lozano Compositing - Carlos de la Garza Compositing (junior) - Chava Monroy Pre-Production Storyboarder - Jocelyn Bonnier Talents Modèle - Jordan Faye Modèle - Claudine De Repentigny Modèle - Pierre-Paul Côté Modèle - Alex Mackenzie Modèle - Linda Vandal Modèle - Attila Hosvépian VO - EN - Amy Trowell VO - DE (CH) - Kathrin FG VO - FR - Vanessa Bettane VO - IT - Laura Devoti VO - AR - Nada Kibbe VO-ESP - Maria Cristina Nastrangeli Swissquote Brand Manager - Alain Greter Head Marketing - Romain Le Baud Head Brand Creation & Marketing Development - Jose Rosa Chief Sales and Marketing Officer- Jann De Schepper Cavalcade Creative Director - David von Ritter Art Director - Julien De Preux Art Director - Maxime Merchez Graphic Designer - Camille Natalini Client Director - Nina Hugentobler Account Manager - Katia Lallar Assistant Account Manager - Patricia Azevedo
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30 nov 2020 08:38
IL VERNACOLO DI VERNA - NELLA RISPOSTA DEL PRESIDENTE DELL'ORDINE DEI GIORNALISTI A MATTIA FELTRI SUL CASO BOLDRINI, LA COSA PIÙ IMPRESSIONANTE È LA LINGUA IN CUI È SCRITTA - UNA PIOGGIA DI TWEET DI CRONISTI CHE IRONIZZANO SU PUNTEGGIATURA E SINTASSI: ''MA È DI MADRELINGUA ITALIANA?'', ''E POI VI SORPRENDETE DELLO STATO DELLA CATEGORIA''
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Da www.huffingtonpost.it
Pubblichiamo la dichiarazione di Carlo Verna, presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, diffusa sul sito www.odg.it, in merito alla polemica legata alla mancata pubblicazione su Huffpost di un post della parlamentare Laura Boldrini.
Non credevo che esprimere a tutela della categoria una posizione di libertà e di solidarietà nel caso Boldrini-Huffingtonpost comportasse tanta acrimonia.
Ho letto del travaglio del Direttore-Figlio, me ne dispiace per lui, ma privatamente si è devoti al proprio genitore pubblicamente si esercitano ruoli e responsabilità. Quelle che mi prendo io ogni giorno su mille questioni che vengono poste in qualunque momento. Non processo nessuno perché non è il mio ruolo.
Chi dirige un giornale dovrebbe sapere che c’è una separazione netta per legge da otto anni di poteri per cui qualora la questione fosse di natura deontologica dovrebbe essere investito il consiglio di disciplina territoriale competente. Ma l’Ordine dei giornalisti ha anche natura associativa e il mio primo compito è difendere la libertà di stampa. È illimitato il potere del direttore? Anche impermeabile alla critica posto che nessuno può imporre la pubblicazione? Il blog (che ha una natura diversa rispetto a una pagina di giornale, le tecnologie di oggi impongono anche nuove riflessioni sui confini tra i diritti) al di là di policy privatistiche non dovrebbe contemplare una libertà in più per chi ne è stato chiamato ad esserne titolare?
Penso che in casi del genere o c’è, questa è la libertà di stampa, un’obiezione relativa a una possibile esposizione a responsabilità penale per culpa in vigilando, che però non è stata avanzata, o si pubblica oppure si rompe il sodalizio tra il giornale contenitore e il titolare del blog, come il Direttore scrive di aver fatto in un altro caso. Ho chiesto spiegazioni accettabili pubblicamente. Se voleva chiamarmi il Direttore di Huffingtonpost poteva farlo, io non avevo processi da fargli e dunque difese da chiedergli. Ho solo nella qualità espresso una critica che resta al dibattito in cui la sproporzione di spazi è già una questione nella questione.
Da due giorni sono in una tenaglia fra quelli di cui dispongono il figlio e il padre (è editorialmente naturale questa sinergia?) che è incline all’insulto definendomi “presidentino dei suoi stivali” e dimenticando che quello che poi chiama il peggior presidente si è almeno liberato di quello che per il linguaggio che usava e usa era certamente il peggior iscritto. Se Huffingtonpost che avrebbe il dovere di pubblicare tale mia replica vuol espungere questa frase ha la mia autorizzazione preventiva perché, personalmente piuttosto che nella qualità, posso comprendere che si abbia famiglia.
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La stirpe di Morgiano Canti Prima Parte-(NB. il sito www.sergiopietracaprina.it è stato acncellato dall'autore) LA STIRPE DI MORGIANO genere: Musical Sergio Pietra Caprina per: Direzione generale, sceneggiatura, temi in prosa dei canti, regia, scenografia Soggetto tratto dal Romanzo Omonimo di Otello Chelli Fabio Ceccanti per: composizione delle musiche, Direzione dei canti e cori, orchestrazione Marta Goglia per: coreografie Daniela Lenzi per: revisione vernacolo, metrica e parole dei canti Francesco Caffo per: collaborazione alla composizione delle musiche Simonetta Caramelli e Gioiella Devoti per i costumi Valentina Mangani e Sonia Dell'Amico per : Trucco Otello Filippi per: organizzazione Francesca Chiapponi per: presentazione Theatralia per: luci e fonicaInterpreti: Alice Talerico (Donato bambino), Aldo Bagnoli (lo scrittore Donato, anziano), Consalvo Noberini(Mussolini), Giorgio Algranti(Pietro Mascagni), Piero Giorgetti (Mauro, nonno di Donato),Luca Salemmi Alberto(babbo di Donato) e Giusi Serraggi (Artemisia, mamma di Donato), Mario Botteghi(Guerrino), Massimo Vannucci(Enrico Bartelloni), FabioGranchi (Giovanni Guarducci),Alessandro Cevenini (AndreaSgarallino) Fabio Ceccanti(Amedeo Modigliani), FabrizioMazzariol (Nadio), Claudia Culzoni (Isa), Salvatore Capuozzo(uomo di Bruna), Laura Gemmi (Bruna) Marco Rossi (Aiello), Jacub Daball(ufficiale nazista) e Doranna Natali ( Cesara, nonna di Donato) baritono Paolo Morelli, tenori Roberto Di Malta e Mario Botteghi, soprano Fabiola Blandina, Isabella Poli, Chiara Di Palo, cantanti Laura Gemmi e Fabio Ceccanti, ballerinei Greta Candura, Claudia Culzoni, Luna Di Francesco, Valentina Giorgi, Marta Goglia, Alice Talerico,Linda e Michela PietraCaprina, Marco Rossi, Jackub Daball,Dion Elage
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(Italia 1989, 98’, C)
Regia di Lamberto Bava,
Sceneggiatura di Massimo De Rita e Giorgio Stegani dal racconto di Nikolaj V. Gogol’ Vij, 1835 (Il Vij, Rizzoli, 2002).
Con Giovanni Guidelli, Debora Caprioglio, Stanko Molnar, Mary Sellers, Alessandra Bonarotta, Laura Devoti, Michele Soavi, Eva Grimaldi.
Questo film di Lamberto Bava è il remake televisivo (prodotto dalla berlusconiana Reteitalia) di uno dei capisaldi della filmografia horror/gotica italiana, realizzato proprio dal figlio del regista Mario Bava, autore dell’originale La maschera del demonio nel 1960. Nonostante i titoli del film recitino sia ispirato al racconto Il Vij (così come quello del Bava padre), in realtà la storia si allontana dallo scritto di Nikolai Gogol’ in maniera ancora più netta di quanto non aveva già fatto la pellicola originale.
Un gruppo di sciatori precipita in un crepaccio e trovano una donna congelata con il volto coperto da una strana maschera di ferro. Senza farsi particolari problemi, i ragazzi rimuovono la maschera, letteralmente conficcata nel volto del cadavere per mezzo di spuntoni, e iniziano a giocarci. Un’altra voragine si apre a quel punto, rivelando un passaggio che li porterà in un inquietante villaggio abitato solamente da un prete cieco e dal suo cane. Il religioso racconta loro che il corpo trovato nel crepaccio appartiene ad Anibas (Eva Grimaldi), una strega sfuggita al rogo ma rimasta congelata tra i ghiacci della montagna. La maschera le era stata applicata prima dell’esecuzione per imprigionare il suo influsso malefico, adesso che i ragazzi gliela hanno strappata dal viso, lei è libera di tornare in vita impadronendosi del corpo di Sabina (il nome di Anibas scritto al contrario), una delle ragazze del gruppo interpretata da Debora Caprioglio (all’epoca compagna dell’attore Klaus Kinski e nei titoli di testa compare come Debora Kinski).
Come si può intuire dalla trama, il film prende le distanze anche da quello di Bava senior. Dall’ottocentesca campagna russa si passa alle montagne della Svizzera contemporanea. L’originale era girato in un evocativo bianco e nero, questo ha i colori saturi di una réclame pubblicitaria anni ottanta. All’atmosfera gotica che lo permeava si aggiunge, un po’ alla rinfusa, tutta quell’estetica horror che si è aggiunta al genere nei trentanni che separano i due film: interpreti poco più che adolescenti, esorcismi; effetti splatter. Nel film originale, sia la strega sia la ragazza posseduta erano interpretate dalla stessa attrice, la regina del gotico Barbare Steele, qui invece a interpretare i due personaggi sono due attrici diverse, perdendo così tutti quei richiami al tema del doppio. A richiamare il racconto di Gogol’ solo qualche citazione disseminata qua e la, come la scena in cui uno dei ragazzi rimane a vegliare sul corpo della strega, e poco altro.
Numerosi sono i tasti dolenti di questa produzione con cui il regista intendeva regalare il padre. Prima di tutto la sceneggiatura è abbastanza pasticciata, alcuni comportamenti dei protagonisti appaiono spesso incoerenti. Il versante recitativo, tra starlette televisive del momento, attori esordienti e altri non molto dotati, non è tanto più incoraggiante (tra gli interpreti, da segnalare la presenza del futuro regista de La chiesa e Dellamorte Dellamore, Michele Soavi). Un prodotto tipico, in definitiva, del periodo in cui fu realizzato, simile ad altre produzioni televisive Fininvest del genere (spesso realizzate dallo stesso Bava jr.) e che suggellarono il definitivo tracollo del cinema horror italiano, un tempo florido di idee e film.
VIY-LA MASCHERA DEL DEMONIO
LA MASCHERA DEL DEMONIO, l’omaggio (non molto riuscito)di un figlio al padre. (Italia 1989, 98’, C) Regia di Lamberto Bava, Sceneggiatura di Massimo De Rita e Giorgio Stegani dal racconto di Nikolaj V.
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Modena, inaugurata la mostra "DeVoti Etruschi"
Modena, inaugurata la mostra "DeVoti Etruschi". Domenica 18 dicembre, alle 16.30, al Museo Civico di Modena, inaugura "DeVoti Etruschi", la mostra allestita nella sala dell’Archeologia in collaborazione con Sapienza Università di Roma che espone oltre cento terrecotte votive provenienti dalla città etrusca di Veio. L’ex-voto è un dono dal forte valore simbolico, che accompagna da millenni il rapporto con le entità alle quali viene attribuita la capacità di mutare la sorte. È una pratica antropologicamente sospesa fra religione e superstizione e intercetta archeologia, etnologia, arte popolare e contemporanea. Le terrecotte votive in mostra rappresentano principalmente figure di devoti, statue, busti e volti di adulti e bambini ma anche parti anatomiche, membra e organi oltre a raffigurazioni di animali con le quali si chiedeva la prosperità del bestiame domestico. Le terrecotte provengono da un’immensa stipe votiva conosciuta anche come "Stipe Lanciani", messa in luce nel 1889 e tuttora oggetto di studio (del dipartimento di Etruscologia e antichità italiche di Sapienza), un deposito riferibile a una possibile area sacra posta sulla collina di Comunità, nel punto più alto del pianoro di Veio, un luogo di culto importante e frequentato con assiduità per molto tempo, tra l’inizio del quinto e la metà del secondo secolo avanti Cristo, anche dopo la conquista della città da parte di Roma. All’inaugurazione partecipano l’assessore alla Cultura del Comune di Modena Andrea Bortolamasi, la direttrice del Museo Civico Francesca Piccinini, Laura Michetti, di Sapienza Università di Roma, e Cristiana Zanasi del Museo Civico, curatrici della mostra. La mostra è introdotta da un video realizzato tra il Parco archeologico di Veio e il Museo Etru di Villa Giulia, che dà conto del contesto da cui provengono i reperti, ed è accompagnata da una video installazione (realizzata da Delumen) che fa rivivere i volti degli offerenti, i devoti Etruschi, rappresentati da oltre cinquanta teste e una grande statua che osservano il visitatore da un pannello incorniciato nel calco del portale dell’abbazia di Nonantola (esposto nella sala), quasi a evocare un luogo denso di spiritualità e nello stesso tempo la funzione di accoglienza di ex voto che le chiese tuttora esercitano. La proiezione restituisce alle teste votive le loro colorazioni originali, a partire dagli esemplari su cui si conservano tracce di policromia e conferisce all’insieme dei volti l’aspetto che dovevano avere all’epoca della deposizione. La suggestione è rafforzata da un’installazione sonora che richiama con lievi sussurri le dediche rivolte alle divinità in lingua etrusca e latina. La mostra sarà visitabile fino a dicembre 2023, a ingresso gratuito, dal martedì al venerdì dalle 9 alle 12; sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 19. Sabato 7 e domenica 22 gennaio sono in programma due visite guidate, alle 16, su prenotazione (tel. 059 203 3100/3125; [email protected]; www.museocivicomodena.it). L’esposizione è accompagnata da una proposta per le scuole e da un calendario di iniziative rivolte a diverse tipologie di pubblico, dagli incontri con esperti ai laboratori per bambini e famiglie. Si parte con un ospite d’eccezione, Jacopo Tabolli dell’Università per Stranieri di Siena, che il 28 febbraio presenterà il contesto votivo di San Casciano dei Bagni, recentemente salito alla ribalta delle cronache con lo straordinario ritrovamento di statue di devoti ed ex-voto in bronzo. La mostra è accompagnata da un catalogo scientifico a cura di Cristiana Zanasi, Laura Maria Michetti e Carla Tulini, edizioni Insegna del Giglio, in vendita all’Infopoint di Palazzo dei Musei.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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