#La cugina 1974
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La cugina, 1974
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Distrutto un muro, se ne innalzò un altro. Berlino 1989: i giorni che cambiarono l’Occidente (previsti da Vasilij Grossman, il martire della scrittura contro le muraglie dell’ideologia)
Il muro è un paradosso, prima che un simbolo. Un muro non può ‘murare’ l’inarginabile, cioè l’uomo, la cui natura profonda anela alla libertà. Non è il caso di fare distinzioni tra muri e ponti: l’uomo non è per forza un ‘costruttore di ponti’, ma se c’è un abisso, salta – piuttosto, si fa inghiottire dall’abisso.
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Il muro di Berlino, anzi tutto, sancì l’anelito a superarlo: per natura, l’uomo è colui che s’ingegna per superare un ostacolo di cui non è responsabile.
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Naturalmente, il muro fisico non assolve pienamente alla natura di muro: non è alto né lungo a sufficienza per limitare la possibilità di superarlo. Il muro è un simbolo, l’altare su cui lo Stato compie il rito della propria ideologia.
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Un muro non è mai fisico: il muro più potente costruito di recente, senza esercizio di cemento, è quello tra Occidente ed Islam. È stato costruito l’11 settembre del 2001, per distruzione. La distruzione di due palazzi, a New York, per eccesso simbolico, ha innalzato un muro, che dura tutt’ora. In quel caso, non si distrugge, nell’assalto, un ostacolo orizzontale, ma, per crimine imprevisto, un edificio verticale, abitato. In ogni caso, l’epoca recente nasce dalla distruzione di un muro orizzontale, nel 1989, e di palazzi verticali, nel 2001 – meridiano ed equatore dell’oggi.
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Un muro, in sostanza, è una idea: un muro infrangibile, che accerchia un destino. Un muro insuperabile. Quando l’idea ha la meglio sull’uomo, il muro è dappertutto, gli uomini diventano una muraglia. A Berlino Est e nell’orbita comunista, il vero muro non era quello fisico, ma quello ideologico. Per una idea che si ritiene giusta si è disposti a tutto: gli uomini si trasformarono in mura. Un muro per gli altri – mettendo barriere davanti alle proprie emozioni, al proprio connaturato anelito alla libertà, alla devianza, all’urlo – e un muro per se stessi – non c’è censura più grande e grave dell’autocensura, racconta chi è vissuto nella clausura di una ideologia imposta, tra le mura.
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Il muro, in sostanza, si esplicita attraverso il sistema di polizia – con la scusa della ‘sicurezza’, si mantengono i cittadini nell’insicuro, in un continuo stato di colpa (chi è davvero innocente?). Attraverso lo spionaggio, il segreto: in un paese di muri, c’è sempre qualcosa da nascondere, qualcuno ha sempre un peccato da nascondere. (Anche il monastero è un muro: ci si reclude per rendere facile a Dio l’accesso in noi; in quel caso, essere murati in una cella è esecuzione della più alta libertà). Lo strumento privilegiato è la delazione: “L’atto di denunciare segretamente, per lucro, per servilismo o per altri motivi, l’autore di un reato o di altra azione soggetta a pena o sanzione, o di fornire comunque informazioni che consentano d’identificarlo”. Vivere è un vagare tra i muri: i sorrisi sono muraglie. Chi mi parla con affettato rispetto potrebbe tramare e ‘vendermi’ a chi potrebbe trarre guadagno dal mio arresto.
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Anche i fiumi, l’emblema del divenire, della libertà, possono diventare muri: “Una prigione nella prigione, questo corridoio di terra oggi compreso tra i land della Bassa Sassonia e il Brandeburgo: era un’area off limits, ritagliata entro i cinque chilometri dall’argine, protetta da check point, che seguiva le anse dell’Elba da Neauhaus a valle in direzione Amburgo, fino a Stresow (rasa interamente al suolo dal regime nel 1974) a monte del fiume, arrivando da Dresda; all’interno non c’erano scuole superiori, i viveri arrivavano una volta in settimana, il paesaggio liberato dai boschi, vietate le coltivazioni oltre il metro d’altezza, le poche strade interrotte da curve ad angolo retto come nelle zone militari. Non erano ammessi ospiti oltre il primo grado di parentela. Britta era una bambina nel borgo di Strachau quando nel 1974 il regime ha costruito il Muro sull’argine, a una decina di metri da casa sua; era abituata ad affacciarsi su quello sbalzo e fantasticare: ‘Per me di là non c’era l’altra Germania, ma il mondo’, dice”, scrive Marzio G. Mian, nel suo reportage lungo l’Elba, pubblicato su GQ. “Le chiamavano disinfestazioni”, dice. “Sono avvenute in tre ondate, nel ’52, nel ’61 e nel ’75, solo qui nel comune di Neuhaus hanno riguardato 23 villaggi, 63 famiglie, 248 persone. Arrivavano alle cinque del mattino, davano 20 ore di tempo per caricare tutto su un van, non veniva loro annunciata la destinazione ed era vietato parlare con chiunque. La fattoria e gli animali passavano alla collettività, al kombinat locale. Il villaggio era spesso raso al suolo, come accaduto qui a Vockfey dove hanno distrutto 15 fattorie in un solo giorno, perché questo tratto dei mille chilometri di Cortina di Ferro tedesca, che andava da Lubecca alla Cecoslovacchia, era particolarmente sensibile, molti tentavano la fuga attraversando il fiume, 49 sono morti annegati o sparati dai vopos”. Il reportage di Marzio G. Mian, in forma di documentario, è tra i documenti che costellano il palinsesto Sky dedicato a “Berlino89”, da oggi fino a sabato 9 novembre (tra le cose belle, proprio il 9 novembre, alle 21.15, su Sky Arte, Berlino Est Ovest, “un documentario in due parti con Manuel Agnelli”).
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Quando s’inaugura la costruzione del muro di Berlino, nel 1961, i servizi segreti russi si accaniscono contro lo scrittore Vasilij Grossman. “Nel 1961 ufficiali del KGB si presentarono a casa mia con un mandato di perquisizione e requisirono varie copie e abbozzi del manoscritto di Vita e destino. Simultaneamente, vennero sequestrate anche le copie consegnate a Znamja e Novyj Mir. Questo segnò la fine delle mie speranze di veder uscire un lavoro, che mi aveva richiesto dieci anni di sforzi”, così il grande scrittore in una lettera a Nikita Chruščëv, chiedendo che almeno il manoscritto del suo romanzo gli venga restituito. Naturalmente, la sua richiesta cadrà, ammorbata dall’indifferenza. Grossman è lo scrittore che in Vita e destino e ancor più in un altro libro, Tutto scorre… (entrambi in catalogo Adelphi), ha svelato il sistema comunista della delazione. “Dov’è mai la speranza della Russia, se il più grande dei suoi riformatori, Lenin, non ha distrutto, ma rafforzato l’unione tra lo sviluppo russo e la non-libertà, il servaggio? Dov’è il tempo dell’anima russa libera e mana? Quando mai verrà quel giorno?”. Grossman riconosce il carisma della Rivoluzione nell’incrocio, mostruoso, tra i filosofi tedeschi (Hegel e Marx), e l’atavico spirito russo (“Nel carattere di Stalin, in cui l’asiatico si fondeva con il marxista europeo, si esprimeva il carattere del sistema statale sovietico”): forse per questo Tutto scorre… viene stampato per la prima volta a Francoforte, nel 1970. Grossman, però, è scrittore, va oltre la denuncia, ha uno sguardo che sgorga nella luce, nelle pagine finali, bellissime, del libro: “Costoro avevano tradito, diffamato, rinnegato perché altrimenti non sopravvivevi, eri perduto; e tuttavia erano pur sempre uomini… Quegli uomini non volevano il male di nessuno, eppure avevano fatto del male durante la loro vita. Eppure quegli uomini erano pur sempre uomini. E – cosa fantastica, meravigliosa – lo volessero o no, essi avevano impedito che la libertà morisse; perfino i più terribili tra loro l’avevano custodita nelle loro orrende, deformi, ma pur sempre umane anime”. Vedere l’uomo oltre l’idea e l’atto è lo scandalo dello scrittore.
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I muri hanno altra nozione che il cemento. Mia cugina Simona era a Berlino a strappare pezzi di muro. Divenne una moda: i ragazzi occidentali alcolizzati dal consumismo picconavano il muro, facevano notte, de-ideologizzati, senza più idee (attenzione: non avere idee è un muro peggiore che essere murati in una sola idea). Portò a casa, nella periferia torinese, un tozzo di Muro di Berlino. Ne regalava dei brani, come fosse un pezzo del Muro del Pianto – solo che quel tratto residuo del Tempio non viene buttato giù, ma conservato con la preghiera in moto, non si abbatte, tutto è crollato tranne quel tratto, dove vi si inseriscono, nelle fessure, fogli con le intenzioni. Neppure un mese dopo, in circostanze tragiche, come si dice, morì mio padre. Improvvisamente, la nostra famiglia fu attraversata da un muro. Io restai dall’altra parte.
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Journal Prompt 5
Find a piece of video with an interesting soundtrack – describe it carefully and think about how it works with the images. Is it naturalistic? Is it an abstract relationship? Is it emotional or unemotional? Pace, tempo, volume, musicality, naturalistic, artificial, diagetic, non-diagetic etc What effect does the sound track produce with the images? Watch the same footage without sound and compare the effect.
Final scene from ‘La Cugina” 1974
(Skip to 47 mins but it is a bit 18+ I won’t lie)
Honestly this scene KILLS ME. It’s definitely funny, but I guess artistic as well.
The soundtrack sounds very similar to the one from ‘Fantastic Planet’, which seems so absurd in my head to be played over a 70’s Italian sex scene. That being said I can most definitely hear the typical 70s porno bass.The slow motion and echoing of voices is so funny. I think its supposed to convey tension and heightened emotions, but it just seems silly. Particularly the topic of conversation. Personally, I think ‘Nini’ and his horse is the savior of this scene.
I guess you could call it an abstract relationship, although I personally think the music suits. It just seems so funny in a conventional film, it wasn’t wildly popular but it wasn’t a small arthouse film either.
When talking about tempo, volume, etc, it really does portray a kind of intimacy, but still in thinking that its so hard for me to see past the hilarity and absurdity of it.
Without sound I can definitely take it more seriously, but the cuts to Nini still make me laugh. Removing that though, it just becomes a regular old sex scene from a movie, uncomfortable, I can imagine some low sensuous music over the top. It loses its magic and just becomes bland. I think the sound is so important to this scene, its what first caught my attention and stopped me from turning off the film to avoid watching something embarrassing.
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La cugina, 1974
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