#La Fontanella
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La Fontanella Italiana ⛲
The Italian Drinking Fountain
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NOI SIAMO VITTIME E NON CARNEFICI
Lisa, Marco e il cane Lino. Dalla primavera vivono in questo angolo di Cinecitta', fermata Lucio Sestio della metro. Il muretto e' il loro letto, la panchina di marmo il loro salotto. Quell'angolo a cielo aperto e' la loro casa in tutto e per tutto. Una valigia con qualche straccio di ricambio, le colonnine telecom a fare da mensola per saponi, deodoranti, zucchero, sale, qualche barattolo di vetro pieno di detersivo e un marciapiede- pavimemento sempre lindo e pinto da poterci mangiare sopra. E poi c'e' la loro storia. Buttati fuori dalla loro casa popolare da delinquenti mafiosi che poi quelle case le rivendono. Nessun aiuto, nessuna giustizia. Lisa si e' tagliata i capelli a zero per avere una testa piu' pulita. Cardiopatica, diabetica e altre mille complicanze. Marco, il giorno se ne sta spesso vicino al mercato con il suo bastardino nella speranza di rimediare qualche elemosina o qualcosa da mangiare, regalata da persone di cuore che tirano fuori cose dai loro carrelli della spesa per sostenere tutta quella pena comunicativa. Quando ci parli racconta poco di se' stesso. Tutto il suo fiume di parole lo regala per quella sua compagna cosi sfortunata e malconcia. Pero' non ne parla mai con rassegnazione. No! Sempre con spirito fiero, come avesse accanto una combattente nata. Lei dorme, ricoperta da un sacco a pelo, lui racconta e le carezza continuamente la testa, come a volerle dire: "dai, vedrai che insieme ce la faremo anche questa volta. Ce la caveremo come abbiamo fatto sempre". Quel "ce la caveremo" non pretende molto, anzi, quasi niente. Questa e' gente disperata dalla nascita, gente abituata a lottare ogni giorno con le unghie e con i denti. Gente che se riesce a mangiare e' come vincere una lotteria. Gente comunque fiera, dignitosa. Ci parli e sembra sempre vogliano scusarsi per il fastidio che potrebbero dare a chi ce l'ha fatta, scusarsi per quelle loro mani tese che chiedono aiuto: qualche spicciolo o una semplice mela. Quando passo davanti quella loro casa sotto le stelle mi fermo sempre. Chiedo come se la stanno passando. A volte do a lui qualche 20 o 50 euro. Li do sempre con un po' di vergogna, forse perche' non e' solo quello che a loro serve. Stamattina Marco m'ha commosso. M'ha chiesto se conoscevo qualche B&B in zona che potesse accettarli per un paio di giorni. Ha detto che Lisa doveva riposare, farsi una doccia perche' non puoi lavarti sempre alla fontanella. Questa estate e' stata durissima sotto quel sole cocente, quel caldo asfissiante. Lisa doveva riposare, ne aveva bisogno estremo e lui voleva accontentarla. Voleva solo vedere la sua Lisa almeno una notte dormire sopra un letto vero. Voleva farle almeno questo regalo. Un regalo enorme, come chi regala un brillante enorme alla sua donna.
Noi siamo abituati a vedere storie come queste in tv o a leggerle sui giornali. Abbiamo uno schermo che racconta, che fa vedere ma non tocchiamo mai con mano e invece le cose, per capirle, per capirle veramente le devi toccare, ci devi stare dentro. Per capire, come e' scritto in quel cartello che Marco ha messo in un angolo di quella sua casa, che loro sono vittime e non carnefici. @ilpianistasultetto
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Via degli Dei giorno 2
- mi svegliano i verso demoniaci dei cervi in amore.
- le tizie che parlano in AMIOOO alle 5.30 dormono perché AMIOOO mettiamo la sveglia alle SIETTEI che tanto domani camminiamo POCHIO quindi vado a vestirmi in cucina
- mi vesto colazioni pesante e parto
- bless animalo annoverato: lepre che quasi si schianta sugli stinchi, pavone albino che ho fotografato che sembrava quasi scocciato e gatti. So much gatti
- a un certo punto urlo SONO A METÀ ma un cartello mi mette il dubbio: non erano 26 dai non poss aver sbagliato i conti. Infatti i km di oggi sono TRENTADUE
- finisco l’acqua a 10 km dalla fontanella. Ho avuto visioni varie ma va tutto benissimo
- non capisco il senso di fare le strade sali e scendi FALLE DRITTE CHE OK LA SALITA MA LA DISCESA MADONNA DELLE PENTOLE
- arrivo dopo aver cambiato strada che COL CAZZO che mi faccio DUECENTO METRI DI DISLIVELLO DRITTI IN ALTO COME IL BRACCIO DI LA RUSSA
- B&B creepy gestito da gestori creepy che mi fanno a 2 cm dalla faccia CI SEI SOLO TU OGGI STRANO VERO? Signo’ stasera sicuramente si mangerà Mario da Civitanova Marche arrivato qui ieri e messo in concia stamane dopo averlo accoltellato nel sonno
Quindi forse domani non ci leggeremo perché ormai sapete.
Fatica 5/10
Felice 6/10
Abbronzato 8/10
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Scorrendo la Nostra chat ho rivisto questa immagine che mi Hai mandato...
Un sorriso mi ha illuminato il viso.
Nel mio caso sono:
"La bambina che fa la fontanella"...
🤭
⛓️🐺❤️⛓️
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Tagged by:@pirrusstuff @hoodie-buck @disasterbuckdiaz @jesuisici33
shuffle your ON REPEAT playlist and list the first 10 songs
Vampire by Olivia Rodrigo
Blame The Moon by Hazlitt
What Was I Made For? By Billie Eilish
The Middle by Jimmy Eats World
Dylan’s Dad by Gene Fontanella
Homesick by Noah Kahan
Bad Idea Right? By Olivia Rodrigo
Put It On Me by Matt Mason
We’re All Gonna Die by Joy Oladokun and Noah Kahan
La Vie en Rose by Con O’Neill
your top 15 favorite tv shows can say a lot about your personality
Our Flag Means Death
9-1-1
Julie and the Phantoms
Heartstopper
Star Wars The Clone Wars
Legend of Vox Machina
Vampire Academy
Heartbreak High
Star Wars Rebels
Stranger Things
Sense 8
The Last of US
Sons of Anarchy
The Dark Crystal: Age of Resistance
Good Omens
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Odoardo Fontanella
La comida del trabajador
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La Cannella a forma di Testa di DRAGO
Le Fontanelle Romane nacquero nel periodo compreso tra il 1872 ed il 1874, quando l’allora sindaco Luigi Pinciani, decise di rendere disponibile ai cittadini l’acqua potabile. I NASONI realizzati in Ghisa erano dotati di 3 Cannelle. Oggi i ‘Superstiti’ delle Fontanelle a forma di Drago sono tre, in 'Via della Cordonata, (protagonista nel film I Soliti Ignoti di Monicelli), la famosa Fontanella del Pantheon e terza, ma meno in vista e si trova in Via di San Teodoro, tra il Foro Romano ed il Circo Massimo.
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"Io che sono nata sul mare"
Io che sono nata sul mare a volte penso che il mare è anche dentro di noi, il suo rumore è il nostro respiro, il suo profumo è l’effluvio dei nostri pensieri, le sue onde sono le nostre inquietudini, i suoi fondali sono il profondo del nostro cuore, l’orizzonte è il perderci nell’infinito delle nostre solitudini. Solo noi che ci siamo nati sappiamo cos’è questa liquida distesa che ci affascina! Mi fermo a volte a guardare, specialmente d’inverno e mi sento leggera, l’assenza di ostacoli rilassa lo sguardo che segue il monocolore dell’acqua, indugia sulla linea dell’orizzonte e poi altalena su e giù tra l’onda e le nuvole, gustando quei colori sfumati e tenui tra il rosa e l’azzurro, che galleggiano quasi sul pelo dell’acqua al tramonto. A volte è l’acqua che sfuma ed io cerco di strappare con la mente la bellezza di certe tonalità di verde che si intersecano con l’azzurro e il grigio e si adornano di piccole onde bianche simili a colombelle che si dondolano lievi sulla superficie. Poi lo sguardo si ritrae indugiando sul nero merletto della scogliera di pietra lavica e nella sua durezza si scontra con la realtà che brontola alle mie spalle. Bevo un sorso d’acqua alla fontanella e poi mi incammino lentamente, si accendono già le prime luci e stranamente provo un senso di paura per il lento spegnersi di quella magia ingoiata dalla notte, ma che ritorna ogni giorno puntuale per calarsi ogni volta nei nostri cuori, come un amante affascinante e sensuale.
(Il mondo di Macdelice di Maria Cavallaro)
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Inochi no tabekata (Come mangiare una vita)
Volume 1
Capitolo #0/ Oltre (i)l=. passato
kako w(h)a dot kanata
Con la mano destra afferrò la ringhiera. Con una leggera spinta, con una mano si lanciò all’insù. Grazie al peso del suo corpo, atterrò con il suo piede sinistro sulle sbarre.
Otogiri Tobi si trovava in piedi sopra le sbarre orizzontali di ferro a braccia incrociate.
“Oi oi, Tobiii……”
Lo zaino agganciato sulla sua spalla sinistra rise stupito.
“Devo dirtelo, quello che hai appena fatto è stato un po’ strano, sai? Sembri un tipo strambo, non credi?”
Tobi, facendo finta di non ascoltare, si guardò intorno nel parco giochi pubblico dei bambini. Sbarre orizzontali di ferro. Uno scivolo. Due alberi piantati. Due panchine. Una fontanella per bere. Lampioni. Un’altalena a due posti.
Due ragazzini si trovavano seduti sull’altalena. Entrambi più piccoli di Tobi. Di quinta o sesta elementare. Tutti e due, spaventati, con una faccia come a voler dire ‘Ma che sta facendo quello studente delle medie? Fa paura’.
“Hai visto?”
He, he, he.
La fastidiosa risata dello zaino si alzò.
Tobi schioccò la lingua. Taci, Baku. Lo pensò solo. Non se lo lasciò sfuggire di bocca. Quei bambini delle elementari non sentivano la voce di Baku. Nel mondo solo Tobi poteva conversare con lo zaino.
Tobi saltò giù dalle sbarre.
“Non hai altro che un corpo leggero. È come quello di una scimmia”
Ignorando Baku che continuava a prenderlo in giro, Tobi iniziò a salire sopra lo scivolo.
I ragazzini dell’altalena avevano smesso di guardare Tobi. Invece di dondolare, giocherellavano con lo smartphone.
Tobi si trovava sopra lo scivolo con la vita all’indietro. A quel tempo, probabilmente l’altezza di Tobi era quella.
Lo scivolo era fatto in metallo. Il colore argenteo faceva vedere le ammaccature. La vernice gialla del corrimano si era staccata in alcuni punti.
“……È forse questo il posto?”
Baku sussurrò.
“Me lo chiedo anche io”
Tobi rispose a bassa voce, mentre si tirava su la manica sinistra della sua uniforme. I cristalli liquidi del suo orologio da polso, preso ad un negozio dell’usato, indicavano le 4:59 del pomeriggio.
Tobi era uno studente di seconda media, non partecipava a nessuna attività extrascolastica, non andava nemmeno in una scuola privata. Il parco chiudeva alle 5:30.
"Senti, farai tardi, non dovresti tornare a casa?"
Baku sghignazzò.
Stai zitto.
Tobi mentre lo pensava, saltò giù dallo scivolo.
L'ombra di Tobi con lo zaino sulla sua spalla era molto più lunga.
La campana iniziò a suonare. È Yuuyake koyake*. Una melodia familiare. Un suono familiare.
*Letteralmente "Tramonto brillante", famosa canzone giapponese per bambini
Tobi alzò gli occhi al cielo serale.
“……Sulle spalle”
“Eh? Che cosa?”
Chiese Baku, senza ricevere risposta; Tobi ripetè mormorando.
“Sulle spalle—”
Già, è così.
Sulle spalle.
Suo fratello maggiore lo portava sulle spalle mentre andavano al parco. Suo fratello cantava qualcosa a bassa voce.
“Hey, fratellone, che canzone è questa?”
Suo fratello schivò la domanda di Tobi e rise.
“Che canzone è, chiedi?”
“Dimmelo”
Tobi assillava il fratello tirandogli leggermente le orecchie.
“Dai, dimmelo. Che canzone è?”
“L’ho inventata”
“Tu, fratellone?”
“Già. Ho inventato questa canzone io, proprio adesso”
Lo ricordava. Chiaramente. Lo ricordava vividamente.
Lo scivolo. Tobi aveva giocato su quello scivolo molte volte. Suo fratello lo controllava seduto su una panchina. Con le gambe incrociate si sporgeva in avanti, i suoi occhi si assottigliavano. Un sorriso appariva sul viso di suo fratello.
Stavano anche sull’altalena. L’altalena aveva due posti, suo fratello stava in una seduta dell’altalena.
“……Già, è così”
Non era andando.
Sulle spalle, lo portava mentre tornavano.
Tobi, stanco dopo aver giocato, veniva portato sulle spalle dal fratello. Sulla via di casa, quando risuonava Yuuyake koyake, lui canticchiava un’altra canzone.
“Tobi”
Baku lo chiamò.
“Oi, Tobi”
Tobi non rispose e uscì dal parco giochi. Davanti a loro si trovava una casa a due piani. Qui era a destra? O avevamo girato a sinistra? Quel giorno che direzione ha preso mio fratello? Merda. Non lo so.
Per adesso Tobi provò ad andare a destra. La strada era così stretta che le auto si riuscivano a malapena a sorpassare. Nessuno degli edifici che si affacciavano sulla strada erano nuovi. Alcuni edifici erano piuttosto vecchi.
C’era un barbiere con l’insegna a spirale rossa, blu e bianca. I muri esterni erano di un profondo verde. Il nome del negozio era ‘Barbiere Hatsushima’. Mi sembra familiare, o forse no.
“Com’è?”
Chiese Baku. Tobi senza fermare le gambe scosse la testa.
Stava cercando un appartamento. Non conosceva l’indirizzo. Però sarebbe dovuto essere da queste parti. Era un appartamento dal colore biancastro, con corridoio e scale esterni. Tobi viveva in quell’appartamento al secondo piano insieme a suo fratello maggiore al tempo.
Non ricordava qual era il numero della camera del secondo piano. Di sicuro era in un angolo. Ricordava più o meno com’era l’interno della stanza. Fuori dalla finestra era installata una recinzione di color nero, suo fratello faceva sedere Tobi su di essa. L’immagine di lui che fuma una sigaretta con i gomiti sulla staccionata era impressa nella sua mente.
Tobi si fermò in mezzo all’incrocio. Sotto i suoi piedi c’era un tombino.
Non importava in quale direzione guardasse, nessuna vista gli tornava in mente.
Da allora erano passati otto o nove anni. Le cose potrebbero essere cambiate nel frattempo, non sarebbe stato strano.
“Che ne dici di questo posto, Tobi?”
Disse Baku.
“Stai—”
Tobi cercò di trattenersi.
“Vedi di tacere, tu!”
Era impossibile. Aveva appena urlato.
“Non arrabbiarti. Ho sbagliato io”
Non sembrava che Baku si stesse davvero scusando.
Tobi sospirò e girò i tacchi. In quel momento.
Un vecchio muro di blocchi anneriti catturò la sua attenzione. Dall’altro lato del muro c’era un angolo. Uno sporco muro di blocchi anneriti. Un angolo.
Strano. Tobi si avvicinò. Dietro l’angolo si trovava un sentiero abbastanza stretto, entrambi i lati sono affollati da case ad uno e due piani. Sul ciglio della strada c'erano dei vasi con delle piante, i pali del telefono erano molto sottili. I cavi elettrici sembravano coprire il cielo. Il cuore di Tobi sussultò.
“In questo posto—ci sono già stato……”
Era stato quel giorno.
Tobi stava correndo in quella strada così stretta. Non era da solo. Suo fratello era con lui. Tobi era mano nella mano con suo fratello che lo trascinava. Era di fretta. Stavano venendo inseguiti? Si. Qualcuno stava inseguendo Tobi e suo fratello. Loro due stavano scappando. Ma perché?
Perché venivano inseguiti? Non avevano tempo per pensare a queste cose? Che dire, non ricorda. Cosa stava succedendo? Suo fratello l'aveva spiegato a Tobi? Oppure nemmeno lui lo aveva capito? Non lo sapeva. Erano comunque disperati. Questo era tutto quello che sapeva.
Non c'era nessuno. Intorno a loro era buio. Non era buio pesto però. Verso il tramonto. Oppure l'alba. Non ricordava quale dei due.
Il sentiero conduceva ad una strada un po' più larga. Guardando a destra c'erano due negozi, a sinistra uno, con dei tendoni allestiti sulla grondaia. Tobi e suo fratello stavano correndo su quella strada probabilmente. Avranno corso a lungo. Ora Tobi non stava correndo, però sentì un dolore nel petto.
Sicuramente Tobi doveva essersi lamentato molte volte. 'Fratellone, è inutile. È impossibile. Mi fa male, non riesco più a correre. Lasciami qui'.
Suo fratello doveva averlo incoraggiato. 'Ce la puoi fare, Tobi. Corri. Puoi ancora correre'.
Esatto.
Devo fare del mio meglio.
Perché, se lo fa il fratellone, posso correre anche io.
Camminando per la strada, arrivò in una strada non più asfaltata, ma fatta da ciottoli. Era una vecchia zona commerciale. La maggior parte dei negozi aveva la saracinesca chiusa. Non rimembrava questa strada chiusa. La strada era errata?
No, non era così. Era il sentiero. Da quel sentiero Tobi e suo fratello erano passati.
“È qui, Tobi?”
Chiese Baku. Tobi non rispose. Penso sia qui. Non mi sbaglio. Vero?
Immaginava si possa definire città bassa. Non c'erano caratteristiche distintive. Per dirla in parole povere, era un banale paesaggio urbano. Era davvero qui?
Finalmente suo fratello prese Tobi in braccio. In quel momento Tobi potrebbe aver pianto. Probabilmente era caduto e non era riuscito a rialzarsi. È così. Sono caduto qui. Suo fratello prese in braccio Tobi e corse.
“È tutto a posto, Tobi!”
La voce di suo fratello gli ritornò in mente.
Si sentiva il rumore delle macchine. Una luce rossa si accese in lontananza, e suo fratello disse “Merda!” e dopo aver vomitato quella parola si voltò. Probabilmente erano più di uno o due a inseguire Tobi e suo fratello. Erano in molti.
“Fermatevi”
Questo era quello che diceva. Era la voce di un uomo. Non in quel momento. Parlo di quel tempo. Ma Tobi non poteva far altro che restare immobile al solo pensiero. Era una sensazione atroce. Lo ricordava così chiaramente. Tobi si aggrappò a suo fratello che lo teneva in braccio, forse aveva chiuso gli occhi. Il "Fermatevi" dell'uomo, detto con tono minaccioso, lo impietrì e sgranò gli occhi.
L'uomo era in piedi davanti a loro. L'uomo teneva qualcosa con entrambe le mani. La punta di quell'oggetto puntata verso di loro. Echeggiò un forte suono. Un suono esplosivo. Il suono era simile a quello che si produce quando si colpisce qualcosa di duro. Che suono era? In quel momento non lo capii. Ora che ci pensava, doveva essere stato uno sparo.
L'uomo aveva una pistola. Aveva sparato a Tobi e suo fratello.
Suo fratello fece "Aaargh" e barcollò. A quel tempo non aveva idea che gli avessero sparato. Però qualcosa a suo fratello era successo. Questo era tutto ciò che Tobi aveva capito.
Tuttavia, suo fratello continuava a scappare con Tobi in braccio. Suo fratello trascinava la gamba. Era chiaramente ferito. Sembrava davvero doloroso.
Da quanto tempo stavamo scappando? Non per una sola decina di secondi o minuti. Più di qualche decina di minuti? Oppure di più?
Suo fratello corse in un vicolo tra gli edifici. Prima di ciò, suo fratello mise Tobi a terra. Fu Tobi a chiedergli di metterlo giù. Comunque, Tobi teneva per mano suo fratello. Era un posto molto umido, puzzolente e sporco. Sopra di loro, le unità esterne dei condizionatori sporgevano come una specie di tetto, facendo molto rumore.
All'improvviso suo fratello aprì una porta e ci spinse dentro Tobi.
"Nasconditi qui"
"Ma, fratellone……"
"Rimani fermo finché non ti dico che va bene. Capito, Tobi? Promettimelo. Non emettere mai alcun suono"
Suo fratello tornò nel vicolo. Tobi era nascosto là dentro. Suo fratello stava per chiudere la porta. Tobi era spaventato e ansioso. Se faccio come mi dice mio fratello, rimarrò da solo. Mi rifiuto. Non voglio restare da solo. Voglio stare con mio fratello. Non voglio stargli lontano.
Però, mio fratello è ferito. Sembrava dolorante tutto il tempo, dev'essere stata dura. Sono sicuro che sia già al limite. È impossibile.
È impossibile.
Tobi gli tirò la gamba. Sono solo un ostacolo.
Non voglio separarmi da lui, non voglio rimanere da solo, ma devo ascoltarlo. Così aveva pensato.
“Sì”
Tobi annuì, ma suo fratello mise un dito sulle sue labbra.
“Shhh”
Riusciva a malapena a vedere il volto di suo fratello.
Tuttavia, per qualche motivo, aveva la sensazione che suo fratello in quel momento stesse ridendo.
Tobi ancora una volta annuì, questa volta in silenzio.
Suo fratello chiuse la porta. Tutto si oscurò.
Tobi ricordava quell'oscurità.
Non era solamente buio. Si poteva sentire persino il suo tocco. Quel buio era pesante. Non perché il buio non gli facesse vedere nulla. Tobi era circondato dall'oscurità. Il buio gli copriva gli occhi, le orecchie, il naso e anche la bocca, non rendendolo in grado di respirare. L'oscurità si insinuò dentro di lui.
Si sentiva come se stesse impazzendo, quindi appoggiò l'orecchio alla porta per ascoltare i rumori esterni. Le unità esterne dei condizionatori facevano ancora un sacco di rumore. Si sentì un po’ sollevato quando udì quel suono. L’oscurità non aveva ancora coperto del tutto le orecchie di Tobi.
Improvvisamente sentì un altro suono. Potrebbe essere il rumore di passi? Poi si udì un forte rumore.
Poco dopo, una voce.
Qualcuno stava urlando. Era mio fratello? Oppure era un’altra persona?
Ovviamente, Tobi voleva uscire. Aveva la mano sulla maniglia della porta. Molte volte era sul punto di aprire la porta, ma esitò sempre.
Nasconditi qui. Suo fratello gli aveva ordinato di farlo. È una promessa, aveva detto, e Tobi annuì. Non poteva infrangere la promessa fatta a suo fratello. Non poteva farlo.
Ma alla fine, avevo paura.
Ero così spaventato, che tutto quello che potevo fare era trattenere il respiro in quell’oscurità.
Prima che se ne rendesse conto, Tobi si era accovacciato. Aspettava solamente suo fratello.
Mio fratello tornerà sicuramente. Va tutto bene, è abbastanza, Tobi. Direbbe così. Tobi credeva in suo fratello. Non aveva altra scelta che credergli.
Nella stanza buia c’era probabilmente una scala. Quella scala portava in un posto ancora più giù. Forse fino in fondo. Fino alle profondità della terra.
Di tanto in tanto, aveva la sensazione che qualcosa si muovesse nell’oscurità. Ogni volta che succedeva, Tobi quasi urlava. Però riusciva a sopprimere le urla, chiamando nel suo cuore suo fratello.
Fratellone.
Fratellone.
Fratellone.
Aiutami, fratellone.
Torna presto, fratellone.
Per favore, ti scongiuro, fratellone.
Fratellone.
Fratellone.
Fratellone.
Aspetterò qui. Perché l’ho promesso. Faccio come mi hai detto tu. Fratellone—
Tobi non sapeva per quante ore aveva aspettato suo fratello, tremando nel buio, forse in dormiveglia, per poi svegliarsi all’improvviso.
Tre ore?
O forse quattro ore?
Dieci ore?
Oppure di più?
Metà giornata?
Un giorno intero?
Forse due giorni?
O magari di più?
“—……”
All’improvviso, si sentì la porta aprirsi ed entrò la luce. Era abbagliante. Per un momento, gli fecero male gli occhi. Però non importava.
“Fratellone!”
Tobi salì le scale. La porta era ancora aperta. Uscì da lì. Puzzava ancora come un buco. Il vicolo era pavimentato in cemento. C’erano macchie rosse sul cemento sporco e crepato.
Era sangue.
…O almeno, lo pensò.
Di chi era il sangue? Non può essere.
Non può essere del mio fratellone.
Non può essere vero. Tobi era sulle scale che portavano al seminterrato buio. Era da solo. Qualcuno aveva aperto la porta dall’esterno. Chi l'aveva aperta?
“Fratellone”
È così. È mio fratello. Mio fratello ha aperto la porta. È sicuramente così. Mio fratello è tornato. Era venuto a riprendere Tobi.
Tobi cercò suo fratello. Doveva essere lì da qualche parte. Se fosse stato mio fratello ad aprire la porta, sarebbe strano se non fosse proprio accanto a me.
“Fratel—……”
Era lì. Un uomo si trovava davanti all’uscita del vicolo. Però, aspetta. Tobi rabbrividì. Non è così.
Non è il mio fratellone.
L’uomo si voltò verso Tobi. Era alto e indossava un cappello. A quel tempo Tobi non sapeva veramente che tipo di cappello fosse. A pensarci adesso, forse quel cappello era un cilindro. L’uomo indossava una sciarpa e un lungo cappotto nero.
Il problema era il volto dell’uomo.
C’era un occhio.
Ce n’era solo uno.
C’era solamente un occhio.
Un solo occhio.
Quello era il volto dell’uomo.
Non era un bulbo oculare. Era solamente un occhio. Se Tobi non ricordava male, il volto dell’uomo, Hitotsume*, sbatté la palpebra. Significa che qualcosa di simile a una palpebra ce l’aveva.
*Letteralmente "un solo occhio"
L’uomo dall’occhio solo aveva una borsa o qualcosa del genere sulla spalla. Sembrava non portasse nient’altro. O almeno, non sembrava avere una pistola in mano. Non era fra quelli che inseguivano Tobi e suo fratello. Sentiva come se non facesse parte di quel gruppo. Ma comunque, aveva un solo occhio.
O forse, quella creatura era qualcosa di più pericoloso, spaventoso e misterioso. Dopotutto, aveva un occhio solo.
L’uomo dall’occhio solo si tolse lentamente la borsa dalla spalla e la porse a Tobi. Si comportò come se stesse dicendo di prenderla.
Tobi scosse rapidamente la testa. L’uomo dall’occhio solo sembra sospetto, e poi quella borsa non era nemmeno di Tobi. Non poteva semplicemente accettare quel genere di cose.
Infine l’uomo dall’occhio solo abbassò leggermente il viso. Poi, si chinò e appoggiò delicatamente la borsa a terra.
Una borsa.
Forse, era una borsa.
Era fornita di una tracolla per poterla portare sulla spalla o sulla schiena. Era una borsa grande.
Tobi fissò la borsa per un po’.
Quando alzò lo sguardo, l’uomo dall’occhio solo non c’era più. Da nessuna parte. Sparito. Era come se l’uomo dall’occhio solo non fosse mai esistito.
Però, non poteva far finta che non ci fosse mai stato.
Ne aveva la prova.
Quella borsa era stata lasciata lì.
Era ciò che l’uomo dall’occhio solo aveva lasciato dietro di sé.
“Per colpa sua……”
A Tobi venne improvvisamente voglia di piangere.
È colpa sua, di quell’uomo con un occhio solo. Poiché ha aperto la porta, Tobi era finito per uscire. Avrei dovuto aspettare il ritorno di mio fratello. Per colpa dell’uomo con un occhio solo, Tobi non aveva mantenuto la promessa fatta a suo fratello.
Tobi originariamente era un piagnucolone. Piangeva molto senza una buona ragione. Quando Tobi iniziava a piangere, suo fratello lo abbracciava forte. Suo fratello non gli diceva di non piangere.
‘Piangi, Tobi. Puoi piangere quanto vuoi’
Quando si ricordò delle parole del fratello, le sue lacrime si fermarono.
Da allora, Tobi non pianse nemmeno una volta.
Dopo aver esitato, Tobi prese la borsa che l’uomo dall’occhio solo aveva lasciato. Aspettò un po’ e si accorse che era leggera per le sue dimensioni. Anche Tobi, che all’epoca aveva solo cinque anni, riuscì a portarla sulla schiena agganciandolo alla spalla sinistra, proprio come faceva l’uomo dall’occhio solo.
Stranamente, si sentì come se non fosse più solo.
Le macchie rosse continuavano fuori dal vicolo.
“Il fratellone è ferito”
Tobi ne era sicuro.
Le macchie erano del sangue di suo fratello.
Forse suo fratello aveva intenzione di seminare gli inseguitori. Sicuramente sarebbe tornato dopo essersi assicurato che fosse tutto al sicuro. Però era successo qualcosa e non era potuto tornare indietro.
In tal caso, doveva essere Tobi ad andare da suo fratello.
“Devo cercarlo—”
Cap. Successivo: Cap. 1-1
#inochi no tabekata#light novel#manga#anime and manga#anime#tobi otogiri#e ve utaite#e ve#italiano#traduzione italiana
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Mia nonna diceva sempre... Non camminare mai scalza sulla terra fredda: quel freddo arriva ai reni e raffredda la vescica.
Non andare a dormire con i capelli umidi, perché l’umidità entra nelle vie respiratorie e ti raffredda il naso.
Evita di passare bruscamente dal caldo al freddo, perché lo sguardo e gli occhi ne risentono; e non strofinarti troppo gli occhi, perché rischi di farti male.
Non portare fuori il neonato prima della fine dei quaranta giorni, perché la fontanella non è ancora chiusa del tutto.
Tieniti il ventre sempre caldo: l’utero è collegato ai piedi e alle tue radici.
Mantieni vivo il fuoco che hai dentro e tieni la tua 'pentola' sempre calda. Lascia che i tuoi venti interiori siano in equilibrio e che tutti i tuoi elementi restino in armonia.
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tu di lei non saprai mai tante cose, e non perché non proverà a comunicartele in un qualche modo, ma perché tu vivi nella tua idiozia.
non saprai nulla dell'odore del prato in cui giocava da piccola, del bambù, dell'ortensia dormiente, dell'acero rosso. Non saprai niente del muschio, del fango, del gioco del tunnel. Non riuscirai mai a capire perché scodinzola davanti a un mucchio di foglie e del perchè cercherà di prendere quella più umida, più vischiosa, più fungina.
non saprai mai nulla della sua capacità di coinvolgere gli altri, in maniera gentile, goffa, sempre delicata, mai invadente. non saprai mai nulla del suo sentirsi sempre diversa, fuori posto. non potrai mai sapere quanto quelle gambe lunghe le sono state d'intralcio, tranne quando Rocco il bassotto ci provava, lì son tornate utili.
non capirai mai l'importanza di aver trovato un'amica, una che la capiva, che la cercava. E di averne trovata poi un'altra! E un'altra ancora!
non capirai mai nemmeno l'importanza di aver imparato ad andare alla fontanella da sola quando aveva sete o a tuffarsi nella roggia quando aveva caldo.
tu non saprai mai né l'odore del suo primo tuffo né della sua prima buca. non saprai mai quanto il suo sguardo è cambiato quando si è resa conto che nessuno poteva prenderla, tantomeno fermarla, perché ormai le sue gambe le appartenevano.
tu potrai pensare tante cose, ridere del fatto che sorride, amareggiarti quando si tufferà nel fango, lamentarti quando non risponderà a qualche comando. Davanti a te vedrai un cane e giustificherai tutto così nella tua testa. La verità è che semplificare un'intera esistenza in questo modo è da veri idioti, e tu ne sei effettivamente la dimostrazione.
Oltre che coglione, testa di cazzo e sfigato.
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Non c'è nessuno al sole per le strade solo un po di venticello caldo d'estate, e quasi mi piace.
Mi fermo a prendere una pesca per la fame, il fruttivendolo egiziano che mette a posto le insalate sente a palla un vecchio pezzo di Shakira, e quasi mi piace.
Un signore alla fontanella mi fa una battuta stupida sul caldo ma non capisco bene cosa dice; mi bagno i capelli con le mani, lavo la pesca e la mangio con la buccia con le mani bagnate, e quasi mi piace.
Faccio il giro lungo per passeggiare ancora tra l'asfalto e le case, sento dentro una strana pace:
non ho niente da fare, nessuno da incontrare, le saracinesche sono tutte abbassate, e quasi mi piace.
Filippo Dr.Panico
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Colli Euganei (2) (3) by Fabrizio Buoso
Via Flickr:
(1) Il prosecco e la Madonna mancante... E' chiaro che tra le due cose non c'è attinenza. / The prosecco and the missing Madonna... It is clear that there is no connection between the two things. (2) Fontanella Medusa. Una delle fontanelle situate al Castello del Catajo. / Medusa fountain. One of the fountains located at the Catajo Castle. (3) Oggetti d'arte alla Villa dei Vescovi. / Art objects at the Villa dei Vescovi.
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Saltando en paracaídas desde un trampolín
Esta acrobacia combina tres emociones en una. Después de rebotar en un trampolín suspendido de un globo aerostático, un equipo de paracaidistas saltó y se dirigió hacia la Tierra.
Jay Alvarez se asoció con Yasmin Xavier, Emilliano Ribeiro, FFRacoon, Mainara Fontanella, Ar Quente Balonismo, Igor Bauer, Gabriel Rocha y el patrocinador EvoSim Universe para llevarlo a cabo.
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Heritage: Val di Rabbi - June 23
La settimana scorsa, a URMA, ho visto una vecchia borraccia Ultimate Direction appoggiata su un tavolo. Era venerdì pomeriggio, e i corridori dovevano ancora arrivare, così mi sono guardato attorno per provare a capire di chi potesse essere. Inaspettatamente, era del Michelino Sandri, che mi ha subito ragguagliato su dove l'aveva trovata. È venuto fuori che un negoziaccio di Dimaro, Val di Sole, aveva dei rimasugli di magazzino di UD: roba che nessuno comprerebbe, avanzi di epoche passate, per veri intenditori. Così qualche giorno dopo ho convinto Mattia e Roby a salire in valle con la scusa di fare una corsa in Val di Rabbi.
In realtà non mi capita spesso di andare in Val di Rabbi, ma è il posto perfetto per preparare gare dure, tipo UTMB o Hardrock, e anche per fare un giro in quota prima di Leadville. Siamo partiti dall'ultimo parcheggio gratuito del fondo alla valle, con l'idea di salire al Dorigoni e poi proseguire fino al Rifugio Lago Corvo per scendere dall'altro lato, ma purtroppo il tempo è peggiorato e una volta arrivati al Dorigoni siamo tornati indietro. Abbiamo pranzato con un panino al Casolet pagato 1$, poi ci siamo fermati a raccogliere un po' dell'acqua ferruginosa che esce da una piccola fontanella nascosta nel sottoscala delle terme locali. Entrando nella stanzina con il rubinetto si sente odore di ruggine, e il lavandino su cui cade l'acqua è incrostato di calcare rosso: l'acqua che ne esce non sa da acqua, pare di leccare un cacciavite, con retrogusto da Ferrarelle. Non è pubblicizzata né segnalata, la conosco per passaparola, e il che mi ha sempre fatto pensare che non siano molto soddisfatti se qualcuno la prende; comunque la porta è aperta. Arrivati a Dimaro abbiamo bevuto un caffè e mangiato un pasticcino, poi abbiamo cambiato bar e abbiamo bevuto due birre, e in fine siamo andati in questo famoso negozio.
In tutto, erano rimaste 12 borracce UD, di quelle vecchie, grigie, col beccuccio rosso. Le avevo cercate a lungo, anche su eBay e in altri siti di roba usata, ma in Europa sono introvabili, e quelle erano di certo le ultime rimaste. Il tipo del negozio ci racconta che una volta, prima che il marchio esplodesse, era lui a distribuirlo in Italia, ma quelle borracce non le capiva nessuno, così aveva finito per regalarle come premio alle gare. Il tipo del negozio deve averci presi per dei disagiati e ha fatto il possibile per rifilarci tutto a uno sconto del 60-70%, in modo da liberarsi definitivamente di quelle vecchie cianfrusaglie. UD si è diffusa in Europa solo negli ultimi anni, all'epoca era ancora una piccola azienda di Boulder, CO, fondata da Buzz Burell, ex brand manager di LaSportiva North America ma soprattutto fondatore del sito (e inventore del termine) Fastest Known Time. Una vera leggenda. Abbiamo finito per comprare tutte le borracce che aveva, inoltre Roby ha trovato un vecchio zainetto Ultimate Direction "Scott Jurek", che ha comprato per SwissAlps, e visto che c'era ha deciso di regalarmi in modo del tutto ingiustificato un bellissimo zaino "Anton Krupicka" del 2013 o 2014. In tutto gli abbiamo lasciato giù 300 euro, direi praticamente regalati: spero che almeno il tipo del negozio abbia portato a cena fuori la famiglia, quella sera. Probabilmente non è stato un grande affare, ma sarà divertente andare a correre con quella borraccia oggi, e con una vecchia maglietta Patagonia Montrail comprata a 5$ in un negozio di roba usata in Dakota Ridge a Boulder. Patagonia Montrail è stata la prima squadra professionistica di ultrarunning, e quella maglietta deve risalire agli anni in cui Goeff Roes vinse Western States, forse anche prima guardando il materiale della maglietta. In fondo, nemmeno quella maglietta usata è stata un grande affare, ma mi piace pensare che possa essere stata di Roes, o Jurek, o Koerner. Tra le altre cose, ho trovato anche questo vecchio blog (tutt'ora aggiornato): Run100s ("Run Hundreds") - A Not-For-Profit UltraRunning Corporation. Non lo conoscevo, ma il tipo che lo cura non è l'ultimo arrivato, è un ottimo concorrente di Matt Mahoney.
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Quando abitavo a Roma, in un quartiere periferico, incontravo spesso una giovane donna ROM che mendicava in strada. Ogni tanto le offrivo la colazione perché non la facevano entrare nei bar. Veniva dalla Romania e in estate viveva in un campo nomadi della Capitale. Il marito girava con un furgone in cerca di ferro ed elettrodomestici abbandonati. Lei setacciava i cassonetti. Diverse volte portava con sé anche sua figlia, una ragazzina di 6 o 7 anni. Indossava sempre la stessa maglietta e gli stessi pantaloncini. Era sporca e scalza.
“Non ti fai male senza scarpe?” Le chiesi un giorno
“Sì. L’asfalto brucia. Ho le vesciche”
Dissi alla madre di prenderle almeno delle ciabatte
“Non le servono. È abituata”
“Non credo proprio. Ha bisogno di una doccia e di vestiti puliti”
“Si sporca perché cerca in cassonetti”
Qualche giorno dopo le vidi impegnate nel loro “lavoro”
La madre rimestava dentro e la piccola cerca nei rifiuti abbandonati fuori spesso calpestando i vetri rotti intorno alle campane per la raccolta differenziata. Ogni tanto si fermava, si toglieva una scheggia da un piede e continuava a frugare. Alla fine della via, la ragazzina aveva i piedi tutti insanguinati e il viso sporco rigato di lacrime.
Una rapida sciacquata alla fontanella e via di nuovo verso il campo.
Perché la mandasse in giro scalza, me lo chiedo ancora. Lei indossava le infradito e di sicuro coi soldi raccolti elemosinando avrebbe potuto comprare un paio di sandali per la figlia. Al limite poteva darle i suoi e rimanere lei a piedi nudi senza far soffrire quella povera bambina.
Ma si sa cosa succede agli angeli di questo mondo.
Angeli solitari e sfruttati che incontrai anni prima.
Pieno luglio su una panchina di una strada trafficata. All’epoca, quello dei lavavetri agli automobilisti era un vero e proprio racket. Al semaforo erano impegnate due ragazzine nomadi sui 13 anni. Alle 15:00 si sfioravano i 40°
Una di loro si avvicina.
“Che fai?”
“Aspetto un amico”
“Mi dai una sigaretta?”
“Ok ma non ti fa bene fumare alla tua età”
Si stringe nelle spalle. Indossa una camicia da ragazzo a maniche lunghe che le arriva appena sotto i fianchi. Niente pantaloncini e niente scarpe. Solo un paio di calzini grigi. La raggiunge anche la sua compagna. Si siedono sul bordo del marciapiedi passandosi la sigaretta. L’altra indossa la maglietta e i pantaloncini di un pigiama che una volta doveva essere stato rosa. Ora è pieno di macchie e bagnato dal sapone che usano per lavare i vetri. La ragazzina è scalza. Sulle unghie dei piedi lerci ha delle tracce di smalto. Un vezzo infantile e delicato.
“Ci dai una moneta?”
Dò un euro a entrambe
“Non avete le scarpe?”
“Sì ma non le mettiamo. Ci danno più soldi”
L’ultima arrivata si spruzza un po’ d’acqua sui piedi prima di riprendere a lavorare sull’asfalto rovente
Probabilmente l’altra ha messo i calzini per proteggersi un minimo dal calore
“Io so’ stanca. Sto qui da mattina”
“Da dove venite?”
“Cinecittà Est”
“Sarà meglio che tornate in autobus”
“Credo che rubiamo. Torniamo a piedi”
“Vi compro delle ciabatte”
“Non fa niente. Le abbiamo ma nostri genitori ci picchiano se non portiamo soldi”
“Vi picchiano?”
“Sì. Guarda”
Mi fa vedere i segni lasciate delle cinture sulle gambe
“Siete grandi per farvi trattare così. Non dovrete vivere in queste condizioni”
Sì stringe di nuovo nelle spalle. Mi rivolge un sorriso disarmante e riprende a lavare i vetri asciugandosi il sudore dalla fronte. Si aggira tra le auto con la coda dei capelli che ondeggia sulla camicia da uomo, le gambe segnate dalle cinturate e i calzini consumati che lasciano scoperti i talloni.
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