#L' Annunciazione
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Rodolfo Siviero il detective dell'arte.
Rodolfo Siviero Solitamente si ricorda un'opera d'arte o il suo creatore, l'artista, ma mai si ricorda chi quell'opera l'ha salvata. Esiste un personaggio di nascita pisana ma naturalizzato a Firenze che ha fatto del recupero di opere d'arte lo scopo della della sua vita. Il Signore in oggetto si chiamava Rodolfo Siviero e la sua base operativa esiste ancora sul Lungarno Serristori ed è possibile visitarla. Questo il link . Siviero è appassionato d'arte sin da giovane e le sue frequentazioni di ambienti artistici e letterari gli permettono di crescere e migliorare la sua competenza in campo artistico, addirittura ha ambizioni poetiche, nel 1936 pubblica una raccolta di poesie "La selva oscura". La sua passione va dall'antico al moderno fino a scoprirsi critico d'arte. In una fase iniziale aderisce al fascismo come molti giovani a quel tempo, ma è sufficiente poco tempo, e soprattutto la consapevolezza di quante opere d'arte vengono trafugate dall'Italia con la scusa di salvarle dai bombardamenti, per diventare un fervido antifascista. Si rende conto che queste opere finiscono nelle collezioni private dei gerarchi nazisti con il placido silenzio del fascismo italiano, tanto che dopo l'8 settembre del 1943 e l'occupazione tedesca in Italia il trasporto delle opere d'arte in Germania diventa un vero e proprio furto legalizzato continuativo. Con base logistica all'interno della palazzina oggi conosciuta come Casa Siviero comincia il suo lavoro da antifascista sia mediante collegamenti con i partigiani sia mediante collegamenti con le truppe dell'intelligence inglesi. Il suo lavoro si svolge soprattutto nel segnalare, per poter essere intercettati, i convogli che trafugano verso la Germania le opere d'arte. Il suo lavoro non passa però inosservato e nell'aprile del 1944 vine catturato, imprigionato e torturato presso Villa Triste di via Bolognese, poi rilasciato grazie ad ufficiali collaboranti con le forze anglo-americane. Questa sua conoscenza dell'arte e la sua attività serrata nel bloccare le "esportazioni" gli valgono, dopo la liberazione, incarichi di prestigio proprio a fronte del problema della restituzione delle opere d'arte trafugate prima e dopo la guerra, tanto da essere incaricato da De Gasperi nel 1953 per concludere un accordo con la Germania per la restituzione di tutte le opere d'arte ritrovate in suolo germanico. Tutti gli anni seguenti sono passati da Siviero come detective per ritrovare i tesori Italiani e riportarli in patria. Arriva a formare un ufficio preposto che con una fitta rete di informatori e la diplomazia riesce a scovare e recuperare innumerevoli pezzi d'arte.
Roberto Siviero Ricordiamo il Discobolo Lancellotti, i capolavori dei musei napoletani portati via dall'Abbazia di Montecassino o ancora le Fatiche di Ercole di Antonio del Pollaiolo conservate ora agli Uffizi e poi ancora Annunciazione del Beato Angelico. Opera sua è il salvataggio dei quadri di De Chirico sottraendoli con stratagemma dalla villa di Fiesole dello stesso De Chirico costretto a scappare per rastrellamenti nazisti. Tutti i dipinti vengono nascosti in un deposito della Soprintendenza. Le sue segnalazione permettono di intercettare e recuperare le opere d'arte trafugate a Firenze dalla Galleria degli Uffizi e dal Museo dell'Opera di Santa Maria del Fiore. Addirittura la Madonna con Bambino del Masaccio riesce a recuperarla due volte, prima nel 1947 e poi nel 1973 dopo il suo furto avvenuto 1971. Negli ultimi anni della sua vita ricopre il ruolo di presidente della Accademia delle Arti del Disegno l'istituzione fiorentina fondata da Vasari e da Cosimo I dei Medici ma non smette mai il suo ruolo di "cercatore" anche se non più supportato dai successivi governi italiani come nei primi anni. Muore nel 1983 lasciando la sua collezione privata e la sua casa alla Regione Toscana perchè rimanga esempio di quanto siano importanti l'arte e la cultura nell'identificazione culturale di un popolo. Oggi è possibile visitare il piano inferiore di Casa Siviero, un viaggio all'interno di un'abitazione privata aperta al pubblico circondati di oggetti e mobili pregiati senza contare i quadri appesi che vanno da De Chirico a Pietro Annigoni.
Jacopo Cioni Read the full article
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La fede e il coraggio - Speciale Coming Out Day visto che è tipo il giorno dell’annunciazione ma per i gheis (cit)
nell’episodio a tema coming out day de la fede e il coraggio, l’11 ottobre cade di sabato, grande escamotage narrativo per cui possiamo ambientare la scena principale in oratorio, dove Amica Ghei sta facendo l’animatrice e Protagonista passa a prenderla, visto che stanno per uscire insieme.
Amica Ghei sta giocando a calcetto con i bimbetti, al che Protagonista si intrattiene a chiacchierare con Giovane Prete. Giovane Prete ha capito che tra le due c’è del tenero, ma dato che siamo rulla Rai la conversazione non può essere tipo “sì io e Amica Ghei ci stiamo frequentando/ah bella dai ci sta”.
ovviamente deve esserci Lo Spiegone (segue tutta la cit di stanis, tanto avete capito che sono una persona prevedibile), quindi va più o meno così: “sai, per un sacco di tempo mi sono chiesta cosa non andasse in me, mi sono sempre sentita diversa dagli altri, soprattutto da piccola. [segue passaggio cliché che può benissimo essere preso da qualsiasi altra fiction, riguardante la scoperta di sé, l’accettazione, il trovare il proprio posto sentendosi finalmente a proprio agio {e con ciò abbiamo fatto più servizio pubblico di trent’anni di rai} ecc] e quindi ho deciso di metterci la faccia, sai? non mi va più di stare nascosta *sguardo malinconico verso Amica Ghei che invece si sta ancora preparando a questo passo* e oggi è un giorno importante”. al che Giovane Prete chiede, non tanto per curiosità sua, che ne so io, ma perché così deve andare la narrazione, e Protagonista spiega l’importanza del coming out day e il suo valore a livello personale e politico [dai insomma le cose da gheis che ci diciamo già, le sapete tutt quindi soprassediamo]
Giovane Prete, che è gggiovane e quindi per la rai e il nostro target deve fare battute gggiovani, prosegue facendo una battuta sul parallelo coming out/annunciazione le mie sinapsi hanno sintetizzato così:
Protagonista ride, felice di aver potuto parlare con un gran simpaticone ma anche perché si rende conto che anche nell’ambiente di Amica Ghei possono esserci comprensione e sincero affetto incondizionato per il prossimo, ed è contenta per lei.
la scena sta per chiudersi, MA ECCO che entra in scena Mamma Religiosa (avete presente il tipo umano, no? le mamme che, smesse le vesti di animatrici per raggiunti limiti di età, continuano a bazzicare l’oratorio per dare una mano nelle varie faccende), che, mentre prepara la merenda per i bambini del calcetto, ascolta tutta la conversazione di cui sopra e, basita, decide di andare a riportare questo scempio blasfemo e inaccettabile al parroco e al Perfido Vescovo
#a questo giro c’è proprio la sceneggiatura di mezzo episodio altro che slice of life#grazie cami per aver attribuito la battuta al giovane parroco. fu una grande ispirazione#<3 <3#la fede e il coraggio#long post#???????
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Vai al Catechismo se vuoi capire l'Arte...
Vai al Catechismo se vuoi capire l’Arte…
Come mi accade spesso, la domenica mattina seguo i ritmi calmi della festa. In attesa del programma di RAI3 “L’isola deserta”, ascolto l’ultima parte di Uomini e Profeti . Riconosco la voce che si diffonde nella stanza. è lui, Umberto Galimberti che risponde alle lettere di una donna-portavoce-di- tutte-le-donne. Si parla di educazione sentimentale, di rapporti genitori figli, di mancanze e…
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#Annunciazione#Beato Angelico#Catechismo#Prima Comunione#RAI3#Rai3 L&039;isola deserta#Umberto Galimberti
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(via annunciazione | e l i a m a u c e r i | Flickr)
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Trittico di Merode
L’Annunciazione di Robert Campin, 1428, tempera su tavola; New York, Metropolitan Museum of Art
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Il Rinascimento italiano
Firenze, Urbino, Padova, Mantova e Venezia
Firenze
Dal 1434 Cosimo de Medici governa la città con un regime di compromesso, che dà una svolta nettamente aristocratica alla cultura e ai gusti artistici cittadini: quella medicea diventa una vera e propria corte, dalla cultura elitaria neoplatonica. Ma anche la committenza privata prende nuovo slancio e la città diventa un grande laboratorio di proposte pittoriche, che si esercitano sui generi religiosi e profani più vari.
I più importanti artisti furono:
Beato Angelico (1395-1455)
Filippo Lippi (1406-1469)
Domenico Veneziano (1410-1461)
Leon Battista Alberti (1404-1472)
Di seguito sono riportate alcune delle loro più importanti opere
L' Annunciazione è un'opera di fra Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico (tempera su tavola, 154x194 cm il pannello centrale, 194x194 compresa la predella) conservata nel Museo del Prado a Madrid e databile alla metà degli anni trenta del Quattrocento. L'opera è probabilmente la terza di una serie di tre grandi tavole dell'Annunciazione dipinte dall'Angelico negli anni trenta del Quattrocento; le altre due sono l'Annunciazione di Cortona e l'Annunciazione di San Giovanni Valdarno. La datazione non è però concorde ed alcuni storici dell'arte invertono la serie, proponendo la tavola del Prado come la prima.
Madonna col Bambino e due angeli, di Filippo Lippi (Firenze 1406 c. – Spoleto 1469). E’ l’opera più celebre di Filippo Lippi, caratterizzata dalla straordinaria spontaneità della rappresentazione. La Madonna siede su un trono di cui si intravede solo il morbido cuscino ricamato e il bracciolo intagliato, intenta a contemplare il figlio verso il quale rivolge un gesto di preghiera. L’espressione è dolce e indulgente, ma quasi malinconica, come se la madre presagisse il doloroso destino del figlio. Il piccolo Gesù, coperto solo dalle fasce, risponde allo sguardo di Maria e protende le braccia verso di lei, sostenuto da due angeli. Quello in primo piano rivolge lo sguardo all’esterno, a coinvolgere lo spettatore, con volto sorridente. Il taglio ravvicinato, con le figure poco più che a mezzo busto raccolte nell’esiguo spazio delimitato dalla cornice in pietra serena, rende la composizione simile a numerosi rilievi scultorei eseguiti dagli scultori fiorentini coevi di Filippo Lippi. La finestra si apre davanti a un vasto e vario paesaggio affacciato sul mare, con rocce, vegetazione, edifici. L’immagine sacra è tradotta con profonda umanità, conferita sia dall’espressione degli affetti che dalla scelta delle vesti e delle acconciature, ispirate alla moda coeva: raffinatissima quella della Vergine, con una coroncina di perle e veli intrecciati ai capelli, come le nobildonne fiorentine del secondo Quattrocento. Le aureole sono appena accennate, sottili cerchi e raggi di luce che non coprono il paesaggio retrostante. Non ha finora trovato conferma l’ipotesi che il volto della Vergine sia quella di Lucrezia Buti, la giovane monaca pratese che divenne moglie di Filippo Lippi. La composizione ebbe fin da subito grande successo e fu presa a modello da molti artisti, fra i quali il giovane Botticelli, allievo del frate pittore. Non sappiamo tuttavia quale fosse l’originaria destinazione di questa immagine sacra; le prime notizie note risalgono alla fine del XVIII secolo, quando si trovava nella Villa medicea del Poggio Imperiale a Firenze.
“Polittico dell’Annunciazione della Chiesa di San Lorenzo” di Filippo Lippi
Madonna col Bambino e storie della vita di sant’Anna di Filippo Lippi (Firenze 1406 ca. – Spoleto 1469), realizzato nel 1452-1453 c.
Tra le composizioni di tema sacro più originali del primo Rinascimento, il dipinto presenta in primo piano la Vergine in trono con il Bambino seduto sulle sue ginocchia, in atto di staccare chicchi dalla melagrana che la madre gli porge, simbolo di fertilità e premonizione della Passione. Alle spalle del tradizionale gruppo della Vergine col Bambino, all’interno di un palazzo, sono ambientati due episodi della vita di sant’Anna, madre di Maria. A destra sulla scala, è narrato l’incontro di Anna con il marito Gioacchino, mentre a sinistra è illustrata la nascita della Vergine, con la puerpera nel letto circondata da donne affaccendate che la accudiscono, si prendono cura della neonata e recano doni: è uno scorcio veritiero sulla vita quotidiana femminile dei ceti più abbienti nel XV secolo. Le diverse grandezze delle figure (più piccole quelle di Gioacchino e Anna nell’episodio dell’incontro, intermedie quelle dei personaggi che partecipano alla nascita di Maria e poi grandi quelle della Madonna col Bambino poste in primo piano) misurano, oltre alla profondità spaziale, la distanza temporale che separa i tre momenti. Filippo Lippi riesce ad armonizzare le singole parti della storia, narrata con straordinaria sintesi narrativa e unificata dalla complessa architettura di gusto rinascimentale. Si tende a porre in rapporto l’opera con alcuni documenti del 1452-1453 in cui Filippo Lippi risulta incaricato di eseguire un tondo per Leonardo Bartolini Salimbeni (1404-1479), verosimilmente destinato alla sua residenza: la forma circolare caratterizzava spesso le immagini sacre di destinazione domestica nel corso del Quattrocento e anche i temi rappresentati bene si addicono ad un ambito familiare. Sul retro della tavola è presente l’abbozzo di uno stemma raffigurante un grifo, finora non identificato.
L’Annunciazione di Domenico Veneziano è la parte centrale della predella, ora smembrata, della Pala di Santa Lucia de’ Magnoli. Domenico Veneziano, Annunciazione, 1442-48, tempera su tavola, 27 x 54 cm, Fitzwilliam Museum, Cambridge.
La basilica di Santa Maria Novella, la cui facciata venne restaurata da Leon Battista Alberti, è una delle più importanti chiese di Firenze e sorge sull'omonima piazza. Se Santa Croce era ed è un centro antichissimo di cultura francescana e Santo Spirito ospitava l'ordine agostiniano, Santa Maria Novella era per Firenze il punto di riferimento per un altro importante ordine mendicante, i domenicani.
Il palazzo Rucellai è uno dei migliori esempi di architettura quattrocentesca a Firenze, posto in via della Vigna Nuova 18. La sua facciata venne progettata da Leon Battista Alberti e fu il primo di una serie di importanti interventi architettonici che l'architetto e teorico del Rinascimento eseguì per la famiglia Rucellai.
Il palazzo, commissionato dal ricco mercante Giovanni Rucellai, fu costruito tra il 1446 e il 1451 da Bernardo Rossellino, su disegno di Leon Battista Alberti, che era legato al Rucellai da amicizia e da affinità culturale. L'Alberti curò solo un intervento parziale, con gli ambienti interni composti da edifici diversi e irregolari, che richiesero una concentrazione, anziché sul volume, sulla facciata, completata verso il 1465.
Palazzo Medici Riccardi si trova a Firenze al numero 3 di quella che per la sua ampiezza si chiamava Via Larga, oggi via Cavour, ed è l'attuale sede del Consiglio metropolitano. Il palazzo è un'opera del Michelozzo, commissionata dal patriarca delle fortune dei Medici, Cosimo il Vecchio. In un primo momento Cosimo aveva chiesto un progetto a Brunelleschi, ma, essendo un fine uomo politico, lo scartò per la sua troppa magnificenza che avrebbe senz'altro scatenato le invidie dei concittadini.
Urbino
Il Rinascimento a Urbino fu una delle declinazioni fondamentali del primo Rinascimento italiano. Durante la signoria di Federico da Montefeltro, dal 1444 al 1482, si sviluppò a corte un clima artistico fertile e vitale, grazie agli scambi culturali con numerosi centri della penisola e anche esteri, soprattutto fiamminghi. Il movimento culturale a Urbino si esauriva all'interno della corte, attorno al suo raffinatissimo principe, e pur elaborando soluzioni avanzatissime e d'avanguardia, non generò una vera e propria scuola locale, anche per il ricorso soprattutto ad artisti stranieri[1]. Nonostante ciò il linguaggio urbinate, in virtù proprio della circolazione degli artisti, conobbe un'ampia diffusione, che ne fece una delle declinazioni chiave del Rinascimento italiano. Tra le caratteristiche base della sua cultura umanistica ci furono il tono inconfondibile fatto di misura e rigore, che ebbe protagonisti come Piero della Francesca, Luciano Laurana, Giusto di Gand, Pedro Berruguete, Francesco di Giorgio Martini, Fra Diamante.
Di seguito sono riportate alcune delle più importanti opere di questi autori:
Il Palazzo Ducale di Urbino è uno dei più interessanti esempi architettonici ed artistici dell'intero Rinascimento italiano. È sede della Galleria nazionale delle Marche e del Museo Archeologico Lapidario. Infatti, il progetto più ambizioso di Federico da Montefeltro, uomo coltissimo e raffinato, fu la costruzione del Palazzo Ducale e di pari passo, la sistemazione urbanistica di Urbino, facendone la città "del principe". Prima degli interventi di Federico, la residenza ducale era un semplice palazzo sul colle meridionale, al quale si aggiungeva un vicino castellare, sull'orlo del dirupo verso la Porta Valbona.
Lo Studiolo di Federico da Montefeltro è uno degli ambienti più celebri del Palazzo Ducale di Urbino, poiché oltre che essere un capolavoro di per sé, è l'unico ambiente interno del palazzo ad essere rimasto pressoché integro, permettendo di ammirare il gusto fastoso della corte urbinate di Federico. Venne realizzato tra il 1473 e il 1476, da artisti fiamminghi (Pedro Berreguete) appositamente chiamati a corte dal Duca. Con loro operarono vari artisti italiani, tra cui forse anche il celebre Melozzo da Forlì.
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SIRACUSA - GALLERIA REGIONALE PALAZZO BELLOMO - le ultime cinque foto sono di Roberto Piperno
Veni valente messere a mirare questo magno palazzo che qui ora ti da verbo. Or sappi che ai tempi dei grandi re, le mie pietre si principiò a collocare in questa che tra le isole de lu periglioso et funno mare, è più ammirata e nvidiata. I catalani che con gli spagnoli sovrani qui giunsono a comandare innalzommi di grandezza e potenza, cosi che presto nominato fui Palazzo Bellomo per la famiglia di grande nobiltate romana che quivi, con li magni re, vi giunse. Ma principiò lu tempo di lu amaru fato quannu le mie fortune ruinorono et da palazzo di nobiltate, finii magazzeno di li sante suore del convento qui di me accanto. Solo nei tempi novi gli grandi ed eruditi messeri riebbero mia memoria et mia nobiltate torno in auge, con il farmi custode di opre di magno valore et bellezza, chi niuno mai vide si perfette et leggiadre. Meco io tengo valente opra pittata da messer Antonello da Messina nominassi “l’ Annunciazione”, di bellezza che niuna ne è di più pulcra et magna soavitate, con l’agnolo Gabriele vestito di vesti preziose et ricche assai, che a ognuno parla de la suprema speme in lu nostru Signuri. Meco tengo pure otri et vasi di molta antichitate et conservo pittati in si valente manera che niuno ne ha di si bella et elegante fattura. Et marmi du sepulcro di nobili e famosi cavaleri, governatori di nostri sovrani et tavole pittate per la gloria et bellezza de nostro Signore Dominedeo, che il core ti balza in ni lu petto quannu a te si palesano in tutta la loro magna beatudine. Niuno omo vivente po mai a dire che le mie stanze non sono ricche et pregne di magna beltade. Niuno omo po avere la soavitate et abilitate di grandi pictori et sculptori che io custodo, et quindi valente messere vieni meco ad amare il bello et la superba perfezione che ne lo me core per te io tengo.
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Non era una tappa prevista,.ma ci sono passato davanti durante il tour 2014 sui Monti Sibillini ed è stato impossibile non fermarmi.
Ora di pranzo, pieno Agosto,.il.sole brucia e di fianco a questa meraviglia c’è pure un area per parcheggiare il camper all’ombra.
Non c’è in giro un anima, sulle colline il paesino arroccato e tutto intorno campi e….silenzio, questa meraviglia, adoro il silenzio.
Mi colpiscono subito i rosoni centrali, qualcosa di spettacolare, poi naturalmente i portoni, trasudano di storia, il legno ha un colore affascinante, scuro, sicuramente restaurate ma da tanto tempo, hanno una buona opacità, ma non quella dovuta all’usura naturale , i portali in pietra sono ben conservati e le linee della costruzione sono secondo me ben proporzionate, ad una testa quadrata come me queste cose non sfuggono.
Sullo sfondo adagiato sulla collina, Campi di Norcia, deve essere una meraviglia ma non so se riuscirò a vederlo……questa volta.
Facciamo sgranchire le gambe al quadrupede e ai bipedi sul camper poi ripartiamo…
“La Chiesa di San Salvatore stupisce l’osservatore per la quasi perfetta simmetria della facciata, che testimoniano le due diverse epoche di costruzione della chiesa. Il primo impianto dell`edificio (a navata unica) è trecentesco, di tale periodo è il portale di sinistra; l`allargamento della struttura, dovuto all’incremento della popolazione, è invece datato al 1491 ed a questo periodo si devono far risalire il portale di destra ed i due ricchi rosoni. Il campanile era stato iniziato da maestri locali sul finire del `400 ma furono poi maestri lombardi a portarlo a termine intorno al 1538. E` interamente in pietra, con tre ordini che si innalzano da un basamento modanato e cinque minuscole finestre a strombo.
Le pareti di San Salvatore costituiscono una vera e propria antologia pittorica del territorio e senza alcun dubbio una delle più rappresentative del Quattrocento nursino. In questo edificio è possibile ammirare opere di Nicola da Siena, della famiglia degli Sparapane e di Domenico di Jacopo da Leonessa.
Degni di nota sono l’iconostasi trasversale e l`attico superiore, cui si accede tramite una scala in pietra, furono costruiti per facilitare il culto di un crocifisso ligneo appeso alla parete, la stessa su cui è stato riportato in luce il vasto affresco che fungeva da sfondo: rappresenta la Madonna e S. Giovanni evangelista con una turba di Angeli che raccolgono il sangue del crocifisso nei calici e si squarciano le vesti dal dolore.
La fronte dell`iconostasi (1463) è formata da tre archi impostati su due colonne ottagonali con capitelli a foglia d`acanto. Superiormente corre una galleria di archetti trilobati scompartiti da colonnine e delimitati da due cornici orizzontali. Sulle superfici più basse Giovanni Sparapane e il figlio Antonio dipinsero l`Annunciazione, la Pietà, le donne al sepolcro e la Resurrezione; negli archetti gli Apostoli e la Madonna con Bambino; sul lato corto invece i SS Gerolamo, Gregorio Papa e Agostino furono dipinti nel 1493 dopo che venne aggiunta la seconda navata.
Le pitture della zona inferiore dell`iconostasi sono tutte databili attorno al 1466, vi lavorarono Nicola da Siena (firma e data sotto un frammento di Madonna in trono, a sinistra), uno Sparapane (S. Bernardino da Siena) e Domenico da Leonessa (cui si devono gli affreschi della volticina di destra con Angeli recanti i simboli della Passione e un Cristo della Messa di S. Gregorio, trafugato qualche decennio fa dopo il distacco).
Lì accanto, su un lembo della parete perimetrale dell`edificio trecentesco, è stata riportata alla luce una colorita Madonna con Bambino dei primi del `400 (l`infante porta un corallo e una crocetta al collo).”
Direzione ……Norcia
Alla prossima
Chiesa di San Salvatore – Campi di Norcia (Umbria) Non era una tappa prevista,.ma ci sono passato davanti durante il tour 2014 sui Monti Sibillini ed è stato impossibile non fermarmi.
#abbazie#antico#arte#borghi#borghitalia#camper#chiese#cultura#italia#madeinitaly#medioevo#storia#travel#travelphoto#turismo#vacanze#viaggi
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La Annunciazione di Recanati è un dipinto a olio su tela di Lorenzo Lotto, databile al 1534 circa e conservato nel Museo civico Villa Colloredo Mels a Recanati.
È firmato "L. Lotus" ed è una delle opere più famose dell'artista.
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Jacopo di Cione detto il Robiccia
Jacopo di Cione, detto Robiccia, è nato a Firenze nel quartiere di Santa Maria Novella nel 1325 da una famiglia di artisti, primo tra tutti il fratello Andrea di Cione detto l'Orcagna (da non confondere con Andrea di Cioni detto il Verrocchio), ma anche gli altri due fratelli, Nardo e Matteo, furono pittori e architetti. Si formò come artista presso la bottega di Andrea Pisano e in quella di Giotto di Bondone, assieme ai suoi fratelli Andrea, Matteo e Nardo di Cione con i quali collaborò tutta la vita tranne nel periodo che va dal 1366 e il 1368 in cui lavorò da solo. In quel periodo realizza gli affreschi nel palazzo dell'Arte dei Giudici e Notai. Ricordiamo una pala d'altare "La Crocifissione" un dipinto a tempera e oro su tavola che, dall'attuale via del Proconsolo, passò per svariate mani fino a quelle del reverendo Jarvis Holland Ash che nel 1896, dopo la sua morte, lasciò alla National Gallery di Londra dove ancora oggi è conservato. Alla morte del fratello Nardo di Cione nel 1368 Jacopo è nominato erede al pari dei suoi fratelli Andrea e Matteo. Quando morì il fratello Andrea (l'Orcagna), sempre nel 1368, svariate commissioni rimasero incomplete e fu Jacopo che le terminò. Tra queste i dipinti della "Vergine e di San Matteo" per Orsanmichele e la grande tavola con "S. Matteo e quattro storie della sua vita" (conservata agli Ufizi) che era stata commissionata nel settembre 1367 dai consoli dell'arte del cambio. Mel 1369 era impegnato in decorazioni ad affresco nella sede della Misericordia presso l'oratorio del Bigallo a Firenze. Jacopo di Cione era iscritto dal 12 gennaio 1369 all'Arte dei Medici e Speziali e ne divenne console nel 1384, 1387 e 1392.
Tra le varie collaborazioni fu sovente quella con il pittore Niccolò di Pietro Gerini con cui dipinse l'altare della chiesa di San Pier Maggiore commissionata dalla famiglia Albizi. Anche buona parte di queste opere, i dodici pannelli principale, sono conservate alla National Gallery di Londra. Assieme a Niccolò Gerini realizzò anche l'affresco dell'"Annunciazione" nel Palazzo dei Priori a Volterra e L'"Incoronazione della Vergine" che fu commissionato dalla zecca fiorentina. Tra il 1378 e il 1380 Jacopo di Cione lavorò con l'ultimo fratello rimasto, Matteo, presso Santa Maria del Fiore all'epoca ancora in cantiere. Durante questo periodo anche Matteo morì e Jacopo lo sostituì nella scelta dei marmi da impiegare nel rivestimento esterno del Duomo. Jacopo di Cione morì a Firenze nel 1399. E con questo ho voluto ricordare un antico cugino...
Jacopo Cioni Gran Cerusico Read the full article
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Finito il #magnificat ... inizio con l' #annunciazione ! Per continuare con questo mese di #maggio dedicato a #maria . #avemaria #mary #biblejournaling #biblejournal #bible #journal #journaling #vangelo #vangelodiluca #calligrafia #calligrafando #calligraphy #paroladidio #godspell #angelo #pienadigrazia
#godspell#bible#calligrafia#calligraphy#angelo#pienadigrazia#calligrafando#journaling#annunciazione#paroladidio#vangelodiluca#biblejournal#magnificat#vangelo#avemaria#maria#journal#biblejournaling#maggio#mary
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Attendere... dolcemente
di MichaelDavide Semeraro
L’ultima immagine della prima lettura di questa domenica può essere assunta come lo sfondo su cui cercare di accogliere e di lasciar radicare in noi il «vangelo di Gesù Cristo» (Mc 1,1). Il profeta Isaia, infatti, ci aiuta a cogliere quella che si potrebbe definire la chiave di tutta la rivelazione di Dio in Cristo Gesù, Verbo fatto carne, Dio fatto uomo, Eterno fatto tempo:
«Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40,11).
Sempre l’avvicinarsi delle feste natalizie risveglia in ciascuno non solo un bisogno di dolcezza, ma pure il desiderio di vivere più dolcemente. La Parola di Dio, se conferma questo bisogno e desiderio di dolcezza, nondimeno argina ogni tendenza a cedere a forme sdolcinate di superficiale e inutile buonismo.
La parola di Pietro ci ricorda che c’è
«una cosa che non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno» (2Pt 3,8).
Questa rammemorazione non cerca di seminare il panico, bensì l’attenzione! Infatti, per gli antichi, il genere letterario dell’escatologia è un modo non per impaurire, bensì per risvegliare e rendere più attenti a quelle che sono le esigenze di una vita sempre più capace di essere secondo il cuore di Dio. Così pure l’ultimo dei profeti che spiana la strada all’avvento del Messia si presenta con una dolcezza piena di esigenza e lo fa incarnando nell’interezza della sua persona quelle che sono le urgenze della conversione:
«Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico» (Mc 1,6).
L’evangelista Marco non ci tramanda nessun racconto né di annunciazione, né di natività e sceglie proprio la figura del Battista come colui che prepara la strada del Signore e lo mette al mondo quasi come una madre. Attraverso questa figura profetico-materna, viene chiesto al nostro mondo di rendersi sensibile alla presenza di Cristo che viene e di aprire il cuore ad accoglierlo. Questo processo di accoglienza, cominciando col rendersi sensibili a una presenza che esige la conversione per accogliere pienamente la consolazione, si fa denuncia di ogni chiusura al piano di Dio, per aprire i cuori e le menti all’annuncio della sua presenza in mezzo a noi, come uno di noi. L’Avvento non è una semplice ricorrenza per festeggiare il “compleanno” di Gesù, ma vuole essere l’invito a prendere coscienza dei nostri deserti da cui abbiamo scacciato la dolcezza di quella relazione con Dio e con i fratelli che era la gioia e la pienezza del paradiso.
L’Avvento, attraverso la parola e l’esempio del Battista, cerca di mettere scompiglio nelle nostre abitudini. Lasciamo che la figura di questo profeta - dolcissimo e irsuto - apra i nostri occhi e i nostri cuori a qualcosa – in realtà a Qualcuno – che «Viene dopo di me» (1,7) nella misura in cui accetto di fargli posto, fino ad accettare e ad amare che venga «prima di me». L’Avvento ci riporta e, ricordandoci «dolcemente» quello che è l’«Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio», ci rammenta esigentemente che la nostra stessa vita – fatta di scelte e di consapevolezze – deve essere «inizio» dell’Avvento del Regno di Dio nella storia dell’umanità.
Il deserto è il luogo in cui ogni strada non può che essere una pista continuamente da rifare e che solo le guide esperte conoscono e sono in grado di reperire laddove nessuno le vedrebbe, come un passaggio attraverso un ghiacciaio coperto da neve fresca: ci vuole fiuto e saggezza acquisita con dura esperienza. Aprire una pista significa creare una possibilità di movimento, tanto da potersi muovere e raggiungere così una mèta. Giovanni è questo apripista, che si toglie di mezzo per dare tutto lo spazio a Gesù a cui conduce, ma con cui non si identifica nel ruolo del compimento delle promesse.
AVVENTO 2ª SETTIMANA DOMENICA ANNO B IS 40,1-5.9-11 2PT 3,8-14 MC 1,1-8
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Trittico di Mérode
Il trittico di Mérode venne dipinto da Robert Champin con la tecnica ad olio su tavola ed è databile al 1427. Era probabilmente destinato alla devozione privata, mentre oggi si trova al Metropolitan Museum di New York.
Il trittico, poteva essere chiuso, e mostra tre scene: la scena centrale l'Annunciazione, mentre gli scomparti laterali mostrano i due committenti inginocchiati e San Giuseppe al lavoro.
La scena dell'Annunciazione è ambientata in un interno borghese pinto con estrema cura e attenzione ai dettagli della quotidianità. La prospettiva è intuitiva, come è evidente nel piano del tavolino o nel pavimento molto ripido.
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Melchior Broederlam, Altare di Champmol, 1392-1399, tempera su tavola, Museo delle Belle Arti, Digione
Melchior Broederlam fu un pittore fiammingo (secolo XIV-XV) nativo di Ypres, se ne allontanò solo per dipingere al castello di Hesdin e per qualche viaggio a Parigi (1390 e 1395) e a Digione (1389 e 1399). Nel 1381 lavorava per Louis de Mâle; dal 1385 in poi fu al servizio di Filippo l'Ardito duca di Borgogna. Sua opera principale sono gli sportelli dipinti (1392-1399) di una pala scolpita da Jacques de Baerze per la certosa di Champmol (Digione). Ne rimane un frammento al Museo di Digione con l'Annunciazione, la Visitazione, la Presentazione al tempio e la Fuga in Egitto. La cappella dell'Ospizio civile di Ypres possiede un suo quadro rappresentante Maria e il Bambino.
Broederlam si può considerare uno dei precursori tecnici della pittura fiamminga della generazione successiva (rappresentata da Robert Campin e Jan Van Eyck).
L'Annunciazione, pannello sinistro della pala d'altare
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