#Juan Farenga
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Uno de los socios fundadores del Club Atlético Boca Juniors, Juan Antonio Farenga
Vemos su carnet de asociado al C.A.B.J. ya cuando fue socio vitalicio en el año 1933.
#Boca JUniors#La Boca#Juan Antonio Farenga#Socios de Boca Juniors#Socios fundadores de Boca Juniors#Club Atlético Boca Juniors#Opinió#Clubes de Argentina#Historia de Boca JUniors
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Una settimana fa è venuto a mancare Juan Antonio Farenga all’età di 95 anni, cittadino onorario della Città di Muro Lucano e figlio del fondatore della famosa squadra di calcio Boca Juniors, dove militò anche il grande Maradona. E’ un orgoglio per tutti noi ricordare che nelle vene di uno dei fondatori di questa prestigiosa compagine sportiva scorreva sangue lucano e più precisamente murese. Juan Antonio Farenga e la sua famiglia, rappresentano quei lucani che con impegno, costanza e amore contribuirono a costruire un grande Paese, come l’Argentina. Italiani fieri di essere Italiani. Prossimamente inaugureremo il nuovo campo sportivo in erba sintetica e sarà l’occasione giusta per ricordare la famiglia Farenga e la visione che ebbero nel fondare una delle squadre di calcio più importanti al mondo. Un abbraccio a tutta la famiglia dal popolo murese e dall’intera Basilicata. https://www.instagram.com/p/CjH0GS5rFvb/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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La Historia del Mundo y Honduras
La Historia del Mundo y Honduras
03 de Abril de 1905
Se funda el Club Atlético Boca Juniors
Un día como hoy, en el año 1905, en el barrio de la Boca, Buenos Aires, los adolescentes Esteban Baglietto, Alfredo Scarpatti, Santiago Sana, Teodoro Farenga y Juan Antonio Farenga fundaban el Club Atlético Boca Juniors, el cual se convertiría en uno de los equipos de fútbol más importantes de Argentina y con el correr del tiempo, del…
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Sesso, droga e il 'Bofo' Bautista.. [Il ragazzo che non amava il Paradiso] 'La pazzia, una certa pazzia, va molte volte a braccetto con la poesia'. Ecco ora io non so con precisione a quale pazzia e sopratutto a quale poesia si riferisse Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, il più grande poeta del novecento che passerà in seguito alla storia con lo pseudonimo di Pablo Neruda, quando scrisse a neanche trent'anni questi versi, e non so neanche con sicurezza se egli avesse mai assistito ad una partita di calcio argentino, per poter affermare con certezza di conoscere davvero la follia mista alla poesia, ma di una cosa sono davvero sicuro, e cioè che se fosse stato alla Bombonera quel giorno di mezza estate, quella notte, sotto quel cielo stellato che mai più tornerà, lì si che il buon Pablo avrebbe avuto materiale per un intero romanzo dai tratti quasi epici, quasi mitologici, senza niente da invidiare ai vari Virgilio o Omero. 14 giugno dell'anno 2005, anche se la nostra storia potrebbe e dovrebbe iniziare in realtà dodici giorni prima. Baires, Buenos Aires per i non addetti ai lavori. Estadio Alberto José Armando. È lì alto e fiero dal 1940, da quando cioè l'architetto sloveno Viktor Sulčič lo progettò per conto proprio di Alberto Armando, ma mai come quella sera sembrò veramente sull'orlo di lasciarci. Di crollare per sempre. Forse solo in un altro paio di circostanze si è sfiorato tanto, ma in quelle occasioni il nemico era sempre e solo il solito e risponde sempre e solo allo stesso nome. River Plate. Calle Iberlucea, entrada numero 12. La Doce, appunto. Repubblica Democratica de La Boca, ultimo baluardo argentino davanti all'immensità dell'oceano Atlantico, il primo conforto albiceleste che uno straniero incontrava nel suo nuovo viaggio in quella terra lontana una volta salpato dal vecchio continente alla fine dell'800.. Un piccolo stato dentro un enorme stato. Una nazione a sè, dove agli inizi dello scorso secolo, ma non solo, spagnolo a parte, si parlava solo e soltanto genovese stretto, lo stesso che si parlava e si parla tutt'ora nei carrugi. La stessa medesima parlata che veniva scandita in due continenti diversi. Un dialetto che simbolicamente e non solo univa immaginariamente Calle Bradsen, lá nel polveroso Sulamerica, all'angolo tra Vico del Pepe Vico della Luna nel cuore pulsante di Zena. 79esimo minuto di Boca Juniors- Chivas de Guadalajara. 0-0. Gli 'xeneizes' in quella stagione sono in una fase di transizione: hanno vinto la Libertadores e sono saliti sul tetto del mondo nel 2003 ma sono ormai orfani di Riquelme da tre anni e proprio da quella estate anche dell' 'Apache' Carlitos Tevez, volato a San Paolo per giocare nel Corinthians. In compenso è tornato Martìn Palermo a vestire la 'camiseta azul y oro' e a far coppia con Rodrigo Sebastián Palacio, il ragazzo col codino. Ma effettivamente, quella sera, nonostante e per quanto fantastica sia la sua storia, così incredibile ed affascinante, unica e così mistica, il Boca è chiamato ad un'impresa troppo più grande anche della sua stessa gloria. Troppo immensa perfino per quei sogni che superano e di molto la realtà. Troppo persino per quella fantastica squadra sudamericana che fu fondata il 3 aprile del 1905 dagli italiani Esteban Baglietto, Alfredo Scarpatti, Santiago Pedro Sana e i fratelli Juan e Teodoro Farenga è che da quel giorno è sempre andata a braccetto con una magia che non si può spiegare, a meno che non si viva lá. Dico davvero. Già. Eppure quel giorno non fu così. Sì perché una dozzina di giorni prima, nel bel mezzo del Messico, a Guadalajara per l'esattezza, all'Estadio Jalisco, succede l'impensabile. L'imponderabile. Il neanche minimamente immaginabile. Succede che uno dei mostri sacri del continente, pluricampione delle Americhe ed il club tifato dalla metà più uno nel suo paese, viene annientato, umiliato e ridicolizzato da una squadra di terribili ragazzi messicani invitati, come da consuetudine per le squadre centroamericane, a giocare la Copa Libertadores. Quasi per cortesia. Non certo per irridere gli Dei. Ed invece.. Un 4-0 che poteva essere tranquillamente un 8-0. Storico. Memorabile. Incancellabile. Un'onta difficilmente lavabile col passare del tempo. Difficilmente troverete al mondo e nel vostro cammino attraverso questo fantastico gioco che si chiami calcio in Italia, 'fùtbol' in Argentina o 'voetbal' in Olanda, una squadra capace di esprimere un gioco e asfissiare un avversario come fece il Chivas quella sera. Praticamente e semplicemente perfetti. Un cane alla gola per 90 minuti più recupero. I ragazzi di Benjamin Galindo quella sera arrivavamo da ogni parte quelli del Boca si girassero. Erano un incubo. Erano schegge impazzite lanciate contro il destino. Angeli di desolazione travestiti di umiliazione. Sembrava giocassero in ventisei. 65.000 persone deliranti. Il Boca, sua maestà Boca Juniors è arrivato in Messico per esser 'matado'. Non ne uscirà vivo. Il 'fucebol' quel giorno ha semplicemente deciso di cambiare padrone. Una manovra ariosa eppure allo stesso capace di attaccare gli spazi nello stretto. Di creare superiorità con un semplice movimento senza palla. Una cattiveria agonistica semplicemente paurosa. Una prova di forza e di squadra assolutamente mostruosa. Devastante. Apre Johhny García proprio allo scadere del primo tempo con un colpo di testa in tuffo. Il secondo gol lo segna Omar Bravo. Poi, una grande rete di Juan Pablo Alfaro. Infine un capolavoro di Adolfo Baustista che intercetta la palla sulla fascia sinistra anticipando Pablo Alvarez con un colpo da taekwondo in puro stile Ibrahimovic, si accentra e lascia partire un missile di collo-esterno destro da trenta metri che il 'Pato' Abbondanzieri può solo applaudire con gli occhi. E in fondo alla propria coscienza. Preciso e potente. Mai il termine 'golazo', così tante volte tanto abusato dai telecronisti sudamericani, è mai stato come quella volta così appropriato. Aaaah, il 'Bofo'. Che genio calcistico fantastico. Se un giorno mai cercherete all'anagrafe di Dolores Hidalgo Cuna de la Independencia Nacional, piccola cittadina messicana nello stato di Guanajuato, molto probabilmente troverete al fianco del nome di questo ragazzo, nato il 15 maggio del 1979, pure il suo soprannome, un po' come se il tutto fosse inseparabile, imprescindibile, indivisibile come marchio improrogabile del suo carattere e del suo modo di giocare. Col termine 'Bofo' infatti, in Mexico, di indicano tutte quelle persone che non amano durare molta fatica. Impegnarsi. Correre. Sudare. Bautista è così. È il classico calciatore che preferisce la qualità alla quantità. Il tipico giocatore che non ama correre. Rincorrere. Sputare sangue e anima. Che preferisce far rotolare la palla piuttosto che inseguire avversari. 'Il Bofo' è il classico calciatore che si accende ad intermittenza, ma quando lo fa, è bellezza allo stato puro. Basta non stressarlo. Non aspettarselo. È come una stella cometa durante una passeggiata estiva. Si spera che passi, ma non si sa mai se succederà. Un talento semplicemente incantevole. Talmente discontinuo che a confronto Alvaro Recoba da Montevideo sembra Paolo Maldini in quanto a impegno, professionalità e dedizione al lavoro. Un giocatore permeato di pazzia e poesia allo stesso tempo. Proprio come piacerebbe al buon Pablo Neruda. Un continuo conflitto interiore tra follia e immensità. Il classico personaggio che puoi trovare solo lá, in quella terra così magicamente unica. Potrebbe tranquillamente essere il protagonista di un racconto di Osvaldo Soriano o del 'Negro' Roberto Fontanarrosa e nessuno se ne accorgerebbe. Tanto calzerebbe a pennello. Una vita che sembra uscita da chissà quale libro calcistico di un certo livello, ovviamente Made in Sulamerica. O Centro America, per essere precisi. Sì perché sembra impossibile che possono esistere uomini così nella vita reale. Ed invece. Il Bofo riuscì dove tanti avevano fallito. Dove tanti avevano provato. Il Bofo, il folle che sfidò una religione intera. Che sfidò gli Dei ed i loro fedeli. Proprio quel 14 giugno di tanti, tanti anni fa. Proprio al 79' di quel Boca - Chivas che ormai si incamminava sullo 0-0 e che ormai stava consegnando al Chivas la qualificazione. Proprio mentre 55.000 tifosi della squadra più bella del mondo stavamo scoppiando di rabbia e passione. Proprio mentre 55.000 bosteros lo avrebbero scuoiato vivo. Tutto è degenerato nel giro di una manciata di secondi. Classico del Sudamerica. Classico dell'Argentina in particolare, dove tutto sembra tranquillo un secondo prima dell'Apocalisse. Un istante prima di quella gomitata di Raúl Alfredo Cascini, quello del rigore decisivo contro il Milan due anni prima a Tokyo, al Bofo, che stramazza al suolo e che subito viene invitato molto cortese da Diego Cagna di smetterla di fare sceneggiate e di alzarsi subito, perchè il Boca non ha tempo da perdere, perché il Boca ha da recuperare 4 gol in 11 minuti più recupero, o almeno deve provarci. Deve salvare l'onore. Quello sempre, non si accettano attenuanti. Mai. Bautista viene preso quasi di forza e tirato su mentre la Bombonera non smette un secondo di cantare, saltare e battere. È in momenti così che il popolo del Boca si esalta. Tira fuori il meglio ed il peggio di sè. Ma non appena si rimette in piedi, però, il 'Bofo' si gira verso la tribuna e mostra con le dita il numero quattro, sottolineando così molto simpaticamente i gol presi dai 'bosteros' in Mexico. Apriti cielo. Niente, da quel momento in poi, sarebbe stato più come prima. Cascini cerca di farsi una sorta di giustizia personale e privata. Palermo perde letteralmente la testa, tenendo fede al suo soprannome di 'Loco', e cerca di rendere onore al suo popolo, alla sua squadra, a quella religione sua e di milioni di argentini appena umiliata, stuprata nell'orgoglio da quel ragazzo pelato in maglia bianco e rossa. Il 'Bofo' si volta e fa finta di niente. Alza le mani come a far notare che lui non sta facendo niente. Si allontana correndo, ma Palermo non si arrende. Non si ferma. Lo spintona, poi lo colpisce con un 'cabezazo'. Rosso diretto dell'arbitro uruguagio Martìn Vazquez. Palermo lo affronta. Gli urla di tutto. Poi si volta e cerca ancora Bautista per dirgli ancora qualche dolce parola sicuramente non ripetibile la domenica durante la predica del parroco. L'arbitro mantiene il polso fermo ed espelle pure Bautista che per raggiungere gli spogliatoi deve però passare sotto la tribuna e la Doce, aiutato dagli scudi della polizia che lo proteggono dall'arrivo dagli spalti di qualunque cosa capace di essere scagliata. Se solo la Doce avrebbe potuto, gli avrebbe riversato contro pure una BMW quella sera. Sarebbe crollata su di lui se solo la fisica lo avesse permesso. Ma proprio mentre il 'Bofo' si trova ad una manciata di passi dalla salvezza, viene prima raggiunto dall'allenatore bostero dell'epoca, 'El Chino' Jorge José Benítez, grande mediano del Boca a cavallo tra gli anni '70 e '80 e compagno di Maradona nello storico titolo nazionale dell'81, che a tradimento si avvicina al messicano e gli sputa, senza però che questi faccia una piega. Anzi, il Bofo sorride ironico e provocatoriamente, sapendo che in un contesto del genere, in uno stadio del genere, in quelle condizioni, letteralmente sul punto di scoppiare, meglio non andare oltre. Meglio non reagire. Forse ha già esagerato un po' troppo. Si rischia la vita in momento del genere. Ma ormai la situazione è irreversibile. L'infedele deve pagare, e così, mentre Bautista è accerchiato dalla polizia che sta cercando faticosamente di portarlo al più presto negli spogliatoi, viene raggiunto da un tifoso del Boca che ha scavalcato la recinzione ed ha invaso il campo con indosso la maglia de Villareal con su scritto Román, che gli sferra un pugno in piena faccia, si volta e corre verso le barriere, salta e viene letteralmente risucchiato dalla Doce che lo tira a sè mentre ormai la Bombonera è sul punto di implodere su se stessa. Il calciatore più folle, stravagante, irriverente e controverso del Sudamerica contro sua maestà. Sua santità, la Doce. La Bombonera. Contro un popolo. Un'intera Repubblica. Contro un'unica religione. Quasi una rivisitazione sudamericana della battaglia delle Termopili, solo che stavolta non c'è da difendere Sparta, bensì l'orgoglio e la fede, da una parte e dall'altra. L'orgoglio di un popolo e quello di un fuori di testa. Con quelle sue esultanze sempre incredibili e pittoresche. Come quella scarpetta con cui ha segnato tirata in curva nell'attesa che a fine partita il fortunato tifoso si presentasse da lui per restituirgliela, vincendo così un cena col suo idolo. Una specie di Cenerentola in chiave moderna. Oppure verticali come i ginnasti russi o ancora lo scarpino tolto e fissato sulla fronte mentre corre come un pazzo per il campo. Un attaccante formidabile che ama indossare solo guanto in ogni partita invernale, a volte rosso altre volte bianco, dove sopra c'è scritto il nome della figlia Camilla. Ma il Bofo non è solo pazzia, stravaganza, provocazioni. Non è solo capigliature stravaganti e quell'amicizia quasi spasmodica con un altro 'loco', Sebastián Abreu. È, sopratutto è, amore, passione, poesia 'fùtbolistica'. Vita e morte. Al Bofo non piace il Paradiso, ma morirebbe per viverci. Attaccamento alla maglia. A solo e soltanto due colori. È un ragazzo d'oro che quando il 19 gennaio del 2006 entrando nell'Ospedale di Santa Barbara, California, scoprì che sua madre, la signora Cristina Herrera Dorantes, non aveva sconfitto quel maledetto male che combatteva eroicamente da tempo, alzò il telefono, chiamò il Chivas che quella stessa sera doveva giocare una partita cruciale contro i cileni del Colo Colo in Libertadores e disse loro 'Mi assenterò per un po'. Tornò il 1 febbraio, proprio nel ritorno contro il Colo Colo, in casa. e lo fece nel suo stile. All'81esimo riceve palla dalla fascia, con il destro elude un avversario, si gira e lascia partire un sinistro rasoterra forte e preciso che fissa il punteggio sul 5-3 per il 'Rebaño Sagrado', la 'mandria sacra', come viene chiamato il Chivas in patria. Boom! Il Bofo si alza la maglia, sotto c'è una dedica per la signora Cristina mentre tutto intorno a lui è il delirio più assurdo. Il Bofo piange, abbracciando un compagno. L'Estadio Jualisco �� una bolgia dantesca mente il telecronista si rivolge a Dio chiedendo di prendere in gloria la madre di Adolfo. Bautista viene ammonito ma se ne frega altamente, anzi, mostra fiero quella scritta 'My Angel', proprio come sua madre era solita chiamarlo, che per tutto il 2006 e anche oltre porterà sotto il numero di maglia che ha deciso di indossare. Una volta il 9. Una volta il 7. Altre il 23. Alcune l'1 se necessario. Molte altre addirittura e sopratutto il 100, specialmente dal 2006 in poi, in onore del Centenario dell'amato Chivas, fondato proprio l'8 maggio del 1906 da un negoziante belga di nome Edgar Everaert e da un suo amico francese, tale Calixto Gas. Perché il Bofo è così. Prendere o lasciare. È pianto e violenza. È provocazione e misericordia. Trasforma il dolore e la rabbia per la morte della madre in gol capolavoro che spingono il Chivas a vincere l'Apertura 2006. Rovesciate. Torsioni. Colpi tacco. Pallonetti di testa e rabone. Tiri precisi e missili imparabili. Colpi d'esterno e collo pieno. Sesso, droga e Bofo Bautista. Gli aztechi sembrano così lontani lá a Guadalajara. Lá nello stato di Jalisco. Non serve altro. Ora c'è il Bofo a vegliare sui ragazzi che tifano Chivas. Il ragazzo che dalla terza divisione messicana ha bruciato le tappe ed ha esordito nella Liga a 19 anni adesso è diventato grande. Qualche stagione in giro per il Messico, poi la chiamata del Chivas, l'amato Chivas. La squadra di casa. Del suo cuore. Del suo e di quello di suo padre. L'altro gigante del Messico, in contrapposizione all'a forza e lo strapotere del Clùb America. L'odiato Clùb America. La squadra che fu di Ivan Zamorano, Claudio 'el Piojo' Lopez, Salvador Cabañas, l'uomo con la pallottola nella testa, ma sopratutto Cuauhtémoc Blanco, una specie di Dio per gli attuali discendenti dei Maya. Gli 'azulcremas', la squadra 'Mi fanno talmente schifo che quando segno a quelli neanche mi viene voglia di esultare' disse una volta, mentendo, il Bofo. Perché il Bofo è così. C'è chi è stato allenatore-giocatore. Lui è ed è stato sopratutto tifoso-giocatore. Un ragazzo che molto probabilmente non potrà più mettere piede a Buenos Aires se desidera dormire tranquillo. Meglio cecare altre mete turistiche. L'Argentina, e Baires in modo parricolare, molto probabilmente non sono più affari suoi. Ma penso che a lui non interesserà molto tutto questo. No. Non si può scegliere di essere Adolfo Bautista. Lo si è e basta. Bisogna viverlo. Immaginando quanto deve essere folle e poetico vivere ed esistere così, in un corpo che un minuto prima è lá, in lacrime, ad indicare quella scritta 'My Angel' per ricordare la memoria della povera signora Cristina, ed un minuto dopo si ritrova a La Boca, nella Repubblica di La Boca, sotto le tribune della Bombonera a cercare di mettere in salvo almeno buona parte della pelle dopo aver appena deciso di sfidare da solo una religione, un Dio, il suo tempio e tutti i suoi discepoli. 1) Chivas - Boca 4-0: https://youtu.be/Y-ol0AcRGto 2) Boca - Chivas 0-0 sospesa alla Bombonera: https://youtu.be/TiQ9uKz0-Vo 3) le magie del Bofo: https://m.youtube.com/watch?v=en72bndmWzQ
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Historia de Boca Juniors: Plaza Solís
La Plaza Solís es una tradicional plaza del barrio de La Boca, en Buenos Aires. Está limitada por las calles Suárez, Caboto, Olavarría y Ministro Brin y se encuentra a pocos metros del Boca del Riachuelo.
Su historia se remonta al año 1894, cuando fue inaugurada el día 8 de julio y se transformó en la primera plaza pública de La Boca.
En esta plaza, Esteban Baglietto, Santiago Pedro Sana, Juan Scarpatti y los hermanos Juan y Teodoro Farenga fundaron el Club Atlético Boca Juniors. Pero como vimos el acto final y oficial de fundación se dió en la casa de Farenga. Pero claro eso fue producto de las reuniones que mantuvieron en esta plaza.
#Boca Juniors#Plaza Solís#Esteban Baglietto#Teodoro Farenga#Juan Scarpatti#Sergio Lodise#Club Atlético Boca Juniors#opinión#Barrio de la Boca#República de La Boca#Argentina#Chile#Uruguay
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El deporte de las Bochas en el Club Atlético Boca Juniors
La centenaria pátina de la Gloria
Por el Dr. Javier Orlando Vaca
Las bochas han cumplido 101 años desde su implementación en Boca Juniors. Una de las disciplinas que más difusión tuvo en estos años, que atrajo socios de todas las edades a compartir en un ambiente de camaradería. Un deporte que llenó de trofeos las vitrinas del Club. Una práctica que hermanó personas de todo origen, de diversas lenguas, donde los abuelos podían compartir unas partidas con sus nietos, o con los amigos de siempre, aunque fueran de otra institución. Por un siglo casi ininterrumpido las bochas han sido la puerta abierta de la institución donde la práctica de un fútbol super profesional se fue alejando cada vez más del socio común que empezó a considerarlos ídolos. Pero en las bochas, el ambiente permanecía a través de las décadas.
Empero… hemos puesto “casi” ininterrumpido y “permanecía” en pasado. Y es que las bochas llegan su centenario en el Club sin que haya representantes en torneos oficiales que defiendan los colores que tanto respeto supieron conseguir. La pátina de las bochas son prueba de sus trofeos ganados, de la verdadera valía de sus logros, pero no deben ser muestra de un pasado inalcanzable. Las viejas glorias de deben reeditar. Boca debe volver a competir oficialmente. Y vale la pena recordar por qué…
El Club se fundó entre el 1 y 3 de abril de 1905, desde la reunión de los 5 pioneros en la Plaza Solís de un sábado a la tarde hasta el nombramiento de la primera Comisión Directiva el lunes en la casa de los Farenga. Ese grupo de muchachos no tenían colores, bandera y ni escudo, y pasarían años para que de eligieran los colores adecuados y la insignia más antigua conocida. Sin embargo, si tenía nombre y en su elección fuera del ya mencionado hasta el hartazgo mito sobre el “Boca” y el “Juniors” se suele olvidar que tuvieron la previsión de anteponer “Club Atlético” en vez de Football Club o Asociación Atlética o Gimnasia y Esgrima o vaya a saber qué otra denominaciones pudieron haber acaecido y que tiene algunos clubes que ya no se distinguen por el deporte que pregonan sino por el fútbol. Y si bien la idea de los fundadores era jugar al balompié, no dejaron cerrada esa puerta. Prueba de ello es que en las actas más antiguas en 1906 y 1907 consta la participación y organización de fiestas y torneos “atléticos” en que los socios competían entre si o con los de otra institución en todo tipo de prácticas y disciplinas. Es decir, era un Club Atlético en sentido amplio.
Pero si bien no se conservó el acta de fundación (que pese a lo que dijeran algunos fundadores o sus hijos) SÍ existió, cuando el Club tramitó la personería jurídica al no haberla se tuvo que reconstruir y en las asambleas que lo trataron aún había varios fundadores que sin duda aportaron su recuerdo sobre los objetivos con los que se fundó Boca Juniors. Así el acta de asamblea extraordinaria del 15 de julio de 1928 refiere que:
Título 1º
Fines y propósitos de la institución. Artículo 1º- Bajo la denominación de Club Atlético Boca Juniors queda constituida en la ciudad de Buenos Aires el 3 de Abril de 1905 –con asiento en la parroquia de San Juan Evangelista, una sociedad civil que se rige por las disposiciones del presente estatuto y cuyos propósitos son: a) Fomentar la educación física. b) Velar por los intereses morales, intelectuales y sociales de sus asociados. c) Fomentar el espíritu de unión entre los mismos. d) Mantener relaciones con las demás instituciones similares del país y del extranjero. e) Sostener un local social apropiado en un punto céntrico de la parroquia, donde se instalarán las oficinas necesarias siendo el domicilio legal de la institución y en la que existirán además otras secciones de: gimnasia, box, cancha de pelota y todo otro beneficio que se establezca a medida que los fondos sociales o la comodidad del local lo permitan. f) Instalar y sostener un campo de deportes: cancha de football, tennis, Basketball y cualquier otro deporte que propenda al desarrollo de las fuerzas físicas. g) Realizar en bien de la institución todas las operaciones lícitas que no estén reñidas con los propósitos enunciados .
Así vemos que se reafirma la condición de “Atlético” del Club, que decide que su sede ha de estar en La Boca, que es propósito del club el “fomentar la educación física” junto con los intereses morales, intelectuales y sociales de los asociados así como el espíritu de unión de los mismo. Para ello, se busca sostener un local con otras secciones deportivas así como instalar y sostener “cualquier otro deporte que propenda al desarrollo de las fuerzas físicas”. Por ese entonces, ya se practicaban bochas en el Club, y si bien no hay mención explícita, se entiende que era y ES propósito de la Institución sostener la cancha y con ello la sección deportiva que permite cumplir con los “propósitos enunciados”, y con ello, debe entenderse en lo específico SOSTENER bochas como deporte y propiciar su práctica entre asociados y la competencia oficial federada. Como se verá en esta obra, además, muchos de los fundadores han tomado parte de bochas, lo que demuestra cuánto había calado en ellos este deporte y lo importante de su práctica en el Club. Entre ellos el fundador de la Plaza Solís y ex presidente de Boca: don Santiago Pedro Sana, Marcelino “Chito” Vergara (que defendiera nuestra Institución en el primer equipo entre 1905 y 1915), Luis O. Salesi (emparentado con los ex presidentes Luis Cerezo y Sana, vicepresidente de Boca y presidente de la Confederación Sudamericana de Fútbol). Y jugadores de todas épocas como Antonio Paiva (juvenil en 1907), Alejandro Mainardi (primera división 1920), Ángel Palazzo (1917), Miguel “Chiqueta” Valentini (en la primera entre 1911 y 1916), Alfredo Pesce (1912, tío del jugador con una tribuna en su honor: Natalio Pescia), Félix Scotti (1916, y cuñado del fundador Juan A. Farenga), Antonino Reale (1915, y cuñado del célebre jugador Juan Chito Garibaldi); incluso el padre del crack Perico Marante y hasta los geniales Pedro Bleo Fournol (Calomino) y Roberto Cherro. Incluso el ajedrecista Constancio Travetto y el ex jugador de fútbol y campeón de billar y ex presidente del club. Alfredo López. Estos nombres resumen la trascendencia de las bochas entre los asociados, jugadores y dirigentes del Xeneize. Y si queda alguna duda de lo que significaba para los boquenses este deporte, recordemos la anécdota del Petiso Salvatú en el libro de Eiffel en 1956:
Salón de la sociedad José Verdi, Histórico. Proclamaciones políticas asambleas boquenses. Eran formidables. Cada uno se aguardaba que llegara “su rubro” para poder hablar. Así el carpintero, el pintor, el albañil. Y llegado el momento… (…) En una de aquellas asambleas se propuso, ¡horro1…, construir una cancha de tenis. Fué cuando el petiso Salvatú pegó el grito: –¿Una cancha de tenis…? Ese juego de cajetillas…, una qui va…, altra que veñe…, ponga muchas canchas de buchas que jugamo tutti… El tenis… ¡Horror!... Una pelota que iba y otra que venía…; juego de cajetillas… ”
Así es el sentimiento vibrante de las bochas, es la comunidad que hermana a los socios, a los hinchas, una sana práctica que jamás debió interrumpirse. Pero aún no es tarde. La pátina de la gloria aún puede volver a pulirse para dar brillo a nuevas páginas de gloria que sin duda aún están por venir….
Foto: Copa “aniversario” ganada por Boca Juniors en el año 1944. Copa organizada por el Club Ferrocarril Oeste.
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Club Atlético Boca Juniors
Vemos fotos del hermoso vestuario que tiene el Club Atlético Boca Juniors, en a Primer foto vemos al Secretario de la Comisión Directiva el Dr. Sergio Brignardello. Pueden apreciar que Boca Juniors tiene un vestuario del primer mundo. En la última foto estoy junto a Daniel Farenga nieto de socio fundador de Boca Juniors Juan Farenga y su hermano. Quienes fueron unos de los cinco socios fundadores que se reconoce en la historia de Boca Juniors.
Ulises Barreiro
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