#Istruzione Valeria Fedeli
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effemerideitalia · 8 years ago
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Vaccini, Fedeli: “Servono sanzioni a genitori, non colpire i bambini”
Vaccini, Fedeli: “Servono sanzioni a genitori, non colpire i bambini”
ROMA – I bambini “non debbono essere discriminati”. Per questo il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli, propone che si ritorni al sistema delle sanzioni per i genitori che non assolvono l’obbligo vaccinale. “Bisogna che la responsabilità, anche attraverso sanzioni e il coinvolgimento sull’obbligo dei vaccini, vada in capo a genitori”, scandisce a margine della presentazione a Pisa di un nuovo…
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corallorosso · 7 years ago
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Il settimanale ha pubblicato il suo curriculum (compilato a penna), che è consultabile sul sito del comune di Udine, dove Pittoni è stato consigliere dal 2013 al 2018: giornalista pubblicista dal 1981, Pittoni ha lavorato nell'ufficio stampa di Edi Orioli, il campione della Parigi-Dakar, poi direttore della Bancarella, periodico di annunci economici, e responsabile a Udine del servizio clienti per alcuni marchi automobilistici. Fino a qualche mese fa non era restio a divulgare notizie circa il suo titolo di studio: "Non lo rivelo, il mondo della scuola è pronto a massacrarti per un pezzo di carta", asseriva. Oggi in un colloquio telefonico con l'Espresso sottolinea: "Sono preparatissimo". Il suo partito però è lo stesso che pochi mesi fa attaccava la ministra dell'Istruzione Valeria Fedeli perché non era ritenuta sufficientemente qualificata. Ora il senatore Pittoni dichiara: "Quello che c'è da sapere non si impara su polverosi libri". Il responsabile Istruzione del Carroccio è colui che è incaricato di smantellare la Buona Scuola renziana: in campagna elettorale Matteo Salvini parlava della possibilità di unificare del ciclo di studi di elementari e medie e del ritorno del "professore prevalente" che potrebbe appunto dedicarsi all'insegnamento delle materie principali; e ancora di riavvicinare i docenti al proprio territorio con concorsi su base regionale, ripristino del "valore educativo delle bocciature" e cancellazione della chiamata diretta. "Stiamo lavorando per mantenere le promesse fatte e abbiamo già depositato due disegni di legge importanti che riguardano gli insegnanti", assicura il senatore. www.fanpage.it
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soldan56 · 7 years ago
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Quando la verità venne a galla, Movimento 5 Stelle e Lega (all’epoca Nord) chiesero le dimissioni immediate di Valeria Fedeli. Ma alla fine come dice il presidente della commissione "Istruzione Pubblica" del Senato quello che «c'è da sapere non si impara su polverosi libri». Vuole aggiungere altro? «Dovevo dirle qualcosa di importante, ma l’ho dimenticato». Qualche minuto dopo, via messaggio, il senatore ci comunica cosa si era dimenticato di aggiungere. «Quando, come nel mio caso, a spingerti è un'infinita passione, sei portato a studiare e approfondire ben più di quanto normalmente chiesto agli studenti. Di conseguenza sei facilitato nel trovare soluzioni». Prima di chiudere la telefonata, l’ostinata raccomandazione: «Mi metto nelle sua mani, mi raccomando». 
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palmiz · 7 years ago
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I signori qualcuno
Anche noi, come i colleghi dei giornaloni, siamo in ambasce alla sola idea di essere governati da un Signor Nessuno mai sentito prima:
il prof. avv. Giuseppe Conte, per giunta accompagnato da una serie di carneadi populisti, giustizialisti, manettari, eversori. Solo, diversamente dai colleghi dei giornaloni, non riusciamo a dimenticare da chi siamo stati governati finora. Il primo che ci viene in mente è Angelino Alfano:
ma lo sapete, sì, che Alfano da un anno e mezzo è il nostro ministro degli Esteri, dopo esserlo stato per quattro dell’Interno e per tre della Giustizia? Un’altra che ci sovviene è Valeria Fedeli, quella che vantava una laurea e poi si scoprì che non aveva nemmeno il diploma (però l’asilo l’aveva fatto) e fu perciò nominata de plano al ministero della Pubblica Istruzione, Università e Ricerca scientifica, a riprova del fatto che non è l’America il paese dell’opportunità: è l’Italia.
Marianna Madia è da cinque anni la spensierata (nel senso etimologico del termine) ministra della Pubblica amministrazione e Semplificazione anche se nessuno, tantomeno lei, aveva mai sospettato una sua competenza in materia: infatti, appena entrata nel 2008 a Montecitorio, aveva dichiarato orgogliosa: “Porto in dote la mia straordinaria inesperienza”. Tant’è che fu un gran sollievo scoprire che aveva copiato intere pagine della tesi di dottorato da pubblicazioni di gente esperta, scordandosi purtroppo di citarle fra virgolette. Infatti la fecero assistere da due badanti, Giulio Napolitano figlio del più noto Giorgio e Bernardo Mattarella figlio del più noto Sergio, per scrivere (coi piedi) le leggi che i padri dei due badanti non ebbero scrupolo a promulgare (prima che la Consulta e i giudici amministrativi provvedessero a cancellarle).
Le “riforme” istituzionali, un tempo affidate a giuristi (vedi Mattarella per il Mattarellum), furono appaltate alle mani sante di Maria Elena Boschi, avvocaticchia di Laterina (Arezzo) più esperta in banche (soprattutto una) che in altro: i famosi Patti Laterinensi. Poi, tra referendum costituzionale e Consulta sull’Italicum, andò come andò. E, per la nuova legge elettorale, si cambiò superesperto: Ettore Rosato, ragioniere triestino ignoto ai più. Con i risultati che tutti possiamo apprezzare. La demeritocrazia degli attuali, trafelati cultori di curriculum altrui proseguì indefessamente in tutti i rami dello scibile umano. La vigilessa Antonella Manzione capo dell’Ufficio legislativo di Palazzo Chigi (poi spedita al Consiglio di Stato anche se non aveva l’età prevista per legge e rimpiazzata da Roberto Cerreto, filosofo).
Beatrice Lorenzin, diplomata al classico, ministro della Sanità. Andrea Orlando, diplomato allo scientifico, alla Giustizia (al posto del pm Nicola Gratteri, pericolosamente laureato ed esperto, dunque respinto con perdite da Napolitano). Giuliano Poletti, noto cultore di calcetto & coop rosse (in lieve conflitto d’interessi), al Lavoro. Luca Lotti, plurimedagliato alle Olimpiadi Consip, ministro dello Sport. L’imprenditrice della moda Angela D’Onghia viceministra dell’Istruzione. Il dermatologo Antonello Soro garante della Privacy. Tutti degni eredi delle facce come il curriculum targate centrodestra: l’ing. Castelli, esperto in abbattimento di rumori autostradali, ministro della Giustizia; l’avvocato e corruttore di giudici Previti alla Difesa; l’amico dei camorristi Nick Cosentino viceministro dell’Economia con delega al Cipe; il massmediologo Gasparri alle Telecomunicazioni; la calippa Francesca Pascale consigliera provinciale a Napoli; l’igienista dentale e tante altre belle cose Nicole Minetti consigliera regionale in Lombardia; la escort Patrizia D’Addario candidata alle Comunali di Bari e via primeggiando.
All’epoca non si faceva gran caso ai curriculum, altrimenti i consigli dei ministri sarebbero andati deserti. Né si andava tanto per il sottile sulle sacre prerogative del capo dello Stato, riscoperte improvvisamente oggi per sbarrare la strada al temibile Paolo Savona: l’ottantaduenne scavezzacollo stava bene a tutti quand’era ministro di Ciampi e ai vertici di quasi tutte le banche e le imprese; ma poi s’è radicalizzato in tarda età nelle madrasse grillo-leghiste e ora minaccia di farsi esplodere nella Bce, nella Cancelleria di Berlino e nella Commissione Ue (altamente infiammabile per la presenza di Juncker). Ergo nessuno osi porre diktat contro i diktat di Mattarella (o chi per lui), che però non si chiamano diktat perché la parola è tedesca e poi la gente chissà cosa va a pensare. Se Conte propone Savona non è autonomo perché ascolta Di Maio e Salvini; se invece lo cassa “è autonomo”perché obbedisce a Mattarella. Com’è noto, tra le prerogative costituzionali del Presidente è scritto espressamente che, se uno non la pensa come lui, Macron, la Merkel e Juncker al quarto whisky, non può fare il ministro. E morta lì. L’importante, per diventare ministri senza problemi, è non pensarla proprio.
Per diventare premier, invece, sempre a
prescindere dal pensiero, occorre qualche requisito in più. Tipo, per citare solo casi recenti: pulirsi il culo con la Costituzione, parlare l’inglese come Totò e Peppino il tedesco, avere genitori persino peggiori di sé, fare insider con finanzieri ed editori amici. Oppure mettersi in società con Cosa Nostra, finanziarla per 18 anni, avere il braccio destro in galera per corruzione giudiziaria e il sinistro per concorso esterno, essere un “delinquente naturale” con 4 anni di galera per frode fiscale, 9 prescrizioni per corruzioni e falsi in bilancio e 7 processi per simili bazzecole, iscriversi a logge eversive, comprare senatori un tanto al chilo e, volendo, andare a puttane (anche minorenni).
Insomma, essere Qualcuno.
Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano 26-5-2018 –
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giancarlonicoli · 4 years ago
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21 dic 2020 13:15
PADRI, FIGLI, DONNE E MILIARDI - MARCO BENEDETTO: ''AGNELLI FECE PUBBLICARE UN PEZZO CONTRO GHEDDAFI CHE AVEVA APPENA SALVATO LA FIAT, MATTIA FELTRI DOVEVA PUBBLICARE LA BOLDRINI CONTRO IL PADRE. CHE COME ERODOTO PENSA CHE LE DONNE SE LA VANNO A CERCARE. LA BOLDRINI USA IL FEMMNISMO D'ACCATTO PER CELARE LA SUA INETTITUDINE (COPY SILVIA TRUZZI), MA IL SUO ARTICOLO DOVEVA APPARIRE SU 'HUFFPOST'…
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Marco Benedetto per www.blitzquotidiano.it
Vittorio Feltri come Erodoto di Alicarnasso. Per entrambi, le donne se la cercano. Erodoto è stato meno brutale e più accorto di Feltri, attribuendo il pesante e bieco giudizio ai “saggi persiani”. Erodoto è considerato il padre della storia. In realtà è il primo di cui ci siano rimasti gli scritti.
Le Storie di Erodoto hanno inizio con la guerra di Troia e colloca in una serie di rapimenti mitici, Io, Europa, Elena, le cause dei difficili rapporti fra europei e asiatici.
Ecco le sue parole: “Se rapire donne deve considerarsi atto di uomini ingiusti, darsi la pena di vendicare simili rapimenti – dicono – è cosa da sciocchi; i saggi non se ne danno alcuna cura; è infatti chiaro che, se esse non lo avessero voluto, non sarebbero state rapite”. (Erodoto, Le Storie, I, 4, tradotto da Virginio Antelami, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori).
Sono parole scritte più di 2.500 anni fa. A quei tempi le donne stavano chiuse nel gineceo ed erano considerate poco più di mucche, capre o, in Medio Oriente, cammelli. Oppure, quando davano il meglio di sé, figure crudeli e tragiche, dalla mitica Medea in qua.
Leggendo le parole di Erodoto mi è venuta in mente la recente polemica fra Laura Boldrini e Mattia Feltri, figlio di Vittorio e, da qualche mese, direttore dell’edizione italiana del sito Huffington Post. Non mi trovo in sintonia né umana né di idee né con Boldrini né con Vittorio Feltri. Ho letto qualche articolo del figlio di quest’ultimo con interesse, spesso concordando.
Tutto ha inizio da un articolo di Vittorio Feltri
La polemica è stata originata da un articolo di Vittorio Feltri, secondo il quale se una donna subisce violenza la colpa è della donna stessa. La tesi ha trovato sponda fin nella corte di Cassazione, molti la pensano così oggi E la pensavano cosi migliaia di anni fa.
Laura Boldrini, che scrive sul sito Huffington Post penso dai tempi di Lucia Annunziata, mandò al direttore un articolo in cui criticava Vittorio Feltri. Mattia, buon figlio, pensò bene di non pubblicarlo e correttamente ne informò in anticipo l’autrice. Che, in questo bravissima, denunciò l’oltraggio.
Considero Vittorio Feltri un buon giornalista, non della grandezza di un Montanelli e, meno che mai, di uno Scalfari. Infatti la diffusione dei suoi giornali si è sempre collocata a una frazione di quella di Repubblica. A suo onore va detto che ha il coraggio di sfidare i luoghi comuni del politicamente corretto. Ma lo fa scivolando spesso nella volgarità, cosa che limita molto l’efficacia del suo giornalismo. L’ho incrociato di persona solo una volta e non c’è stato feeling.
L’ho visto in video seguendo questa polemica, intervistato da Peter Gomez del Fatto Quotidiano. Mi si è un po’ stretto il cuore nel constatare l’effetto sul fisico del tempo e degli anni. Ma la precisione delle idee e la coerenza del giornalista erano sempre ferree. Onore a Peter Gomez, che conosco e apprezzo da anni come eccellente giornalista e uomo di equilibrio, per la provocatoria intervista. Il Fatto, anche se ha ospitato un sequel di articoli anti Mattia Feltri di Daniele Luttazzi, non si è risparmiato in passato contro la Boldrini. Silvia Truzzi, firma di punta, fu autrice di un intervento purtroppo poco seguito dai colleghi dei quotidiani, sulla patetica voga imposta proprio dalla Boldrini di volgere al femminile il nome di attività nel passato tipicamente maschili.
“Femminismo d’accatto”, nella definizione di Silvia Truzzi
Silvia Truzzi definì papale papale il femminismo di personaggi cone Boldrini e Fedeli ” femminismo da accatto, quando non è un’arma per celare la propria inettitudine”. Tipico esempio di questa nouvelle vague linguistica: la donna ministro è ministra, la donna sindaco è sindaca. Non siamo arrivati ancora e forse non ci arriveremo mai a chiamare il soprano la soprana o il giornalista uomo, per differenza, giornalisto.
Memorabile è la piccata risposta di Valeria Fedeli, ministro della Istruzione col curriculum un po’ rabberciato, a un giornalista che le si rivolse chiamandola ministro. “Mi chiami ministra” lo aggredì. Quando, un paio d’anni dopo, Lucia Azzolina ne prese il posto, esordì dicendo: “Io sono il ministro dell’Istruzione”. La frase della Azzolina è stata un segnale di rinnovamento. E infatti, io che detesto i grillini come ideologia devastatrice e degna dell’Uomo Qualunque  (e di farne anche la fine), devo riconoscere le qualità di Azzolina, che tutti attaccano perché donna e nemmeno sindacalista.
Laura Boldrini, una sua idea della sinistra
Laura Boldrini è per me un bell’esemplare di quello che fa male alla sinistra. E che per me di sinistra, quella vera, non quella del birignao, ha ben poco. Non porò mai perdonarle la violenza che esercitò contro la libertà di stampa appena eletta presidente della Camera. Il che avvenne non per sue particolari qualità, e nemmeno per effetto di una dura gavetta politica, ma per accordi fra partiti e correnti. Fece sequestrare le pagine dei siti che avevano riportato un fotomontaggio che la faceva passare per nudista. L’effetto era assai lusinghiero ma il senso di umorismo scarseggiò. Ci fu un pm che ignorò la Costituzione ordinando una raffica di sequestri in conseguenza di una diffamazione che la Costituzione esclude esplicitamente dalle cause di sequestro preventivo. Ci furono degli imbarazzatissimi poliziotti che non sapevano dove guardare eseguendo l’ordine, peraltro virtuale.
Seguirono, nelle cronache di quei mesi, resoconti sul suo difficile rapporto con le forze di polizia addette alla sua tutela. Il culmine fu toccato nell’agosto del 2013 quando riaprì la Camera e costrinse i Deputati a tornare dalle ferie per approvare una legge sul femminicidio i cui effetti si faticano a vedere. Una legge diciamo pleonastica, se si considera che il codice penale provvede debitamente a quello che quand’ero cronista era noto come uxoricidio. E che da decenni è stata abolita l’attenuante del delitto d’onore.
Tanto cinema sul femminicidio, ma pochi effetti per le donne
Non risulta che la legge sul femminicidio, tanto voluta da Laura Boldrini abbia contenuto la scelleratezza maschile. Né risulta una successiva attività a tutela delle donne vittime non solo e non tanto della violenza estrema dei maschi. Quanto di quelle forme di violenza diciamo intermedie, prime le botte, che possono trasformare la vita in famiglia in un inferno per una donna.  Non credo che nemmeno in questo caso si possa applicare il principio del “se la sono cercata”. Le scelte d’amore, di convenienza, di indomabili appetiti, di famiglia sono frutto di complesse e contrastanti spinte individuali. Vale semmai la prima parte dell’assunto di Erodoto. Adattato: chi esercita violenza su una persona più debole, e in generale su un altro essere umano, è indegno e merita il sommo disprezzo.
Si tenga presente che la violenza sulle donne non è circoscritta a un preciso ambito sociale. Anzi. Ricordo una esperienza diretta, di quando, giovane redattore dell’ufficio Ansa di Londra, mi documentai sul campo per un articolo per la rivista Grazia. Mi aveva spinto la notizia del Daily Mirror su un rifugio per le “battered wives”, le mogli pestate.
Aiutare le donne a liberarsi dai mariti violenti
Mi recai in quella palazzina di mezzo centro pullulante di bambini, dove si aggiravano donne malconce. Era il 1973. In quei tempi là definizioni erano forse più elementari di oggi. Per me valeva l’equazione povertà = violenza in famiglia. Fui smentito. I ricchi in famiglia danno sfogo alla propria innata violenza con maggiori forza e crudeltà delle classi povere.
Tutto questo è premessa a una considerazione. Che piuttosto che al cinema della approvazione con fanfara di una legge sostanzialmente inutile, sarebbe stato preferibile orientare l’impegno del Parlamento verso la tutela delle donne non da morte ma da vive, non solo quelle vittime di violenza maschile ma tutte. Esempi. Dalla destinazione di maggiori risorse alla protezione preventiva delle donne, in modo non da vendicarle defunte, ma proteggerle prima dell’irreparabile. Alla definizione di una rete di asili nido e varianti, con annessi e connessi, per consentire alle madri di lavorare.
Essendo il lavoro l’unica fonte di dignità per un essere umano. E per una donna senza risorse di famiglia l’unico modo per sottrarsi alla soggezione al maschio.
Credo che in Italia ci sia un pulviscolo di istituzioni locali che si dedicano alle donne in questa particolare situazione. Ma, a giudicare da rivendicazioni e proteste ancora recentissime, il cuore del dramma nemmeno è sfiorato.
Passiamo alla famiglia Feltri. Mattia Feltri è un bravo giornalista di scrittura. Non posso giudicarlo come direttore. La storia dell’articolo della Boldrini non depone sulla capacità di scelte difficili. Certo è un bravo figlio, non avendo avuto il coraggio di pubblicare un pezzo ostile al padre. Anche se non gli ha reso un buon servizio. Pochi avrebbero letto il blog della Boldrini sul sito Huffington Post. Tutti, su siti e giornali, hanno conosciuto la vicenda del figlio leale ma direttore timoroso.
Agnelli, Gheddafi e Arrigo Levi
Ricordo sempre un episodio che risale all’autunno del 1976. All’epoca lavoravo all’ufficio stampa della Fiat. Gheddafi era da poche ore diventato azionista della Fiat mettendo nelle esangui casse torinesi 450 miliardi di lire. La Fiat era in crisi in conseguenza, fra altre cause, della crisi petrolifera che aveva fatto crollare il mercato. E del blocco dei prezzi delle auto, mentre l’inflazione annuale aveva superato il 20%. Il blocco fu la punizione inflitta dalla Dc guidata da Amintore Fanfani alla Fiat e agli Agnelli, nella convinzione che il capo famiglia, Giovanni, fosse socio occulto del cognato Carlo Caracciolo, editore dell’Espresso. Ogni numero dell’Espresso, in quegli anni di giornali di poche pagine e ancor meno notizie, faceva tremare gli occupanti delle stanze del potere, di tutti i poteri, in Italia.
Direttore della Stampa era Arrigo Levi. Appena fu diffusa la notizia del nuovo azionista libico, Levi scrisse un articolo che definiva Gheddafi come terrorista internazionale. E lo mandò ad Agnelli chiedendo il via libera alla pubblicazione. In quei tempi, Gheddafi non era ancora diventato il simpaticone amico di Berlusconi. Erano tempi di rivoluzione globale e di terrorismo come punta avanzata e nel suo piccolo Gheddafi si dava da fare per contribuire. Ad esempio, riforniva di armi i guerriglieri irlandesi dell’Ira. Ancora nel 1988 i libici fecero saltare un aereo americano nel cielo della Scozia, provocando 259 morti. E ancora oggi gli americani cercano di fare estradare dalla Libia la mente dell’attentato.
“Questo articolo si deve pubblicare”
Ricevuto l’articolo, l’avv. Agnelli riunì un po’ di dirigenti nel suo ufficio all’ottavo piano di Corso Marconi 8 a Torino. Tutti erano per cestinarlo. Agnelli lasciò parlare tutti, poi chiese: “Se non avessimo la Fiat ma fossimo solo l’editore della Stampa lo pubblicheremmo?”. Ci fu un coro di “certamente”. “Allora lo pubblichiamo”. Alzò il telefono e comunicò a Levi la decisione. Fu una grande lezione da grande editore. Degna dell’Espresso di Caracciolo. All’altezza, fossimo stati inglesi, del libro di Hugh Cudlipp, “Publish and be Damned”, pubblicato nel 1953, documento fondamentale del giornalismo. Ne ho una copia che mi regalò Carlo Caracciolo. Ne conservava una scorta. Il titolo deriva da una frase del duca di Wellington. Ricattato da una sua ex amante il vincitore di Napoleone rispose appunto “Publish and be damned”, pubblica e sarai dannata.
Vittorio Feltri, cosa doveva fare un figlio giornalista
La Boldrini non è Arrigo Levi e Vittorio Feltri non è Gheddafi. Però la morale, su scala diversa, è la stessa. Mattia Feltri non avrebbe dovuto telefonare all’ex presidente della Camera per annunciarle che non avrebbe pubblicato l’articolo. Avrebbe dovuto telefonare al padre: “Sorry papi, ma devo pubblicarlo”.
Cosa che ha fatto invece proprio Feltri vecchio, sul suo giornale, Libero, con una zampata da giornalista di una volta. Umiliando un po’ il figlio, con le parole sprezzanti buttate lì come sciabolate nell’intervista a Peter Gomez. Di una sciabola un po’ arrugginita se guardate il video. Aveva ragione la contessa di Castiglione, che compiuti 30 anni coprì tutti gli specchi del suo castello e non si mostrò più in pubblico. E Feltri credo che ormai abbia abbondantemente superato il doppio di quell’età.
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infosannio · 8 years ago
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Le "perle" di Marco Travaglio
Le “perle” di Marco Travaglio
(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Nei secoli Fedeli. “Nel 1796 Napoleone impose a Vittorio Emanuele III l’armistizio con cui decretò la capitolazione Sabauda” (Valeria Fedeli, Pd, ministro della Pubblica Istruzione, Ricerca scientifica e Università, discorso al premio Cherasco Storia pubblicato sul sito del Ministero, 6.6). Povero Vittorio Emanuele III: mancavano 74 anni alla sua…
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vittorio71 · 7 years ago
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#Labuonasetta Stregoni africani a scuola per insegnare ai bambini a mettersi in contatto con i defunti
#Labuonasetta Stregoni africani a scuola per insegnare ai bambini a mettersi in contatto con i defunti
L’orrore della buona scuola e il relativismo di don Mirandola creano le condizioni per inneggiare allo spiritismo che altro non è che una forma di satanismo. A scuola si insegna l’occulto e il satanismo con il beneplacito della Chiesa.
La notizia arriva da Dossobuono in provincia di Verona.
Africani, con la complicità del Dirigente Scolastico, insegnano ai bambini a scuola i riti tribali per…
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ecodaipalazzi · 7 years ago
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Scuola, concorso dirigenti scolastici: 35mila domande pervenute, 49 anni l’età media dei candidati Si sono concluse con 39.264 domande presentate, di cui 35.044 effettivamente inoltrate, le iscrizioni al concorso per dirigenti scolastici…
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ultimavoce · 8 years ago
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Liceo breve. Si va verso l'accorciamento degli anni di studio
#Liceobreve. Da settembre al via la sperimentazione della formula per ottenere il diploma in quattro anni.
Il sogno di molti studenti, ma di pochi professori, potrebbe forse diventare realtà: è fresco di firma della ministra Valeria Fedeli il decreto che apre alla sperimentazione del “liceo breve”. L’idea, che non è nuova, è di accorciare i tempi scolastici, passando dai 5 ai 4 anni di scuola superiore. Da settembre saranno 100 le scuole, con una classe a testa, che proveranno questa nuova formula…
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effemerideitalia · 8 years ago
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A scuola di innovazione con l’Accademia italiana videogiochi
A scuola di innovazione con l’Accademia italiana videogiochi
ROMA – I videogiochi non sono un passatempo per ragazzini, ma motore di innovazione e di futuro. Questo lo spirito che si respira nell’Accademia Italiana Videogiochi (Aiv), il primo istituto italiano di alta formazione nel settore videoludico nato nel 2004 a Roma con l’obiettivo di trasmettere ai propri allievi le competenze necessarie a sviluppare un videogioco o una demo tecnica, a partire…
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sciscianonotizie · 7 years ago
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allnews24 · 7 years ago
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Esperimento in atto con alunni volontari
Esperimento in atto con alunni volontari
LUCCA. Studenti tutor nelle scuole per combattere il bullismo, propone la ministra della Pubblica istruzione Valeria Fedeli. Ma è curioso che proprio a Lucca, città finita alla ribalta delle cronache per i video del professore maltrattato, esperimenti di questo genere siano in atto già da diversi anni. Dal 2008, per la…
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tmnotizie · 7 years ago
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SAN BENEDETTO – Giorgio Sciamanna, brillante studente del 3^E del Liceo Classico “G. Leopardi” di San Benedetto del Tronto, si è classificato 3° per la categoria Senior nella finale nazionale della VIII edizione delle Olimpiadi di Italiano tenutasi a Firenze nell’ambito delle Giornate della Lingua Italiana (26-28 marzo 2018).
Le Olimpiadi di Italiano, promosse dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, sono organizzate con la collaborazione dell’Accademia della Crusca e del Comune di Firenze. Le gare di lingua italiana, a carattere individuale, sono rivolte alle studentesse e agli studenti delle secondarie di II grado delle scuole italiane e delle scuole italiane e sezioni all’estero. La proclamazione delle vincitrici e dei vincitori si è tenuta nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio. Sul podio, le ragazze e i ragazzi che hanno dimostrato la migliore conoscenza e padronanza della lingua italiana.
Una selezione importante e impegnativa: erano oltre 60.300 le studentesse e gli studenti in competizione quest’anno, solo in 84 sono arrivati in finale e hanno svolto le prove a Firenze. Alle ragazze e ai ragazzi è stato chiesto di dimostrare perizia nell’analisi e comprensione del testo, sia poetico che non  letterario, capacità di sintesi e logico-argomentativa, ma anche creatività e originalità nell’uso della lingua.
“Desidero fare i complimenti alle vincitrici e ai vincitori di questa competizione -ha dichiarato il Ministro all’ Istruzione Valeria Fedeli attraverso un messaggio inviato alle finaliste e ai finalisti- che rappresenta una straordinaria occasione per approfondire e valorizzare la conoscenza dell’italiano, attraverso una manifestazione ricca, articolata, capace di valorizzare e rendere protagonisti le ragazze e i ragazzi. Voglio complimentarmi anche con tutte e tutti coloro che hanno partecipato alle selezioni, arrivando in finale. La lingua è identità, unità, è strumento fondamentale per una cittadinanza reale, piena. Lingua e cittadinanza sono un binomio inseparabile. Non c’è cittadinanza se non c’è padronanza della lingua. Alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi un invito: portate in alto la nostra lingua, siatene orgogliosi ambasciatori”.
Grande la soddisfazione di Giorgio Sciamanna. “Nelle tre prove -dice- bisognava essere sintetici e si richiedeva espressamente degli elaborati lunghi al massimo 200 parole. Oltre la sintensi veniva valutata anche la creatività. Nella finale di Firenze eravamo 82 studenti equamente divisi tra juior e senior. Io mi sono piazzato al terzo posto in questa seconda categoria, riservata alle terze, quarte e quinte classi delle superiori. Non me l’aspettavo proprio perchè all’ inizio eravamo 6omila studenti che si sono ridotti a 1.500 per le semifinali. Un’ esperienza fantastica. Ero già contento di essere a Firenze. Il terzo posto è stato la ciliegina sulla torta di una giornata eccezionale”.
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giancarlonicoli · 6 years ago
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8 MAR 2019 13:51
MARIO ADINOLFI SCRIVE A DAGOSPIA: “CHE C'AZZECCA IL MIO DIVORZIO DI OLTRE VENT'ANNI FA O IL MIO TALENTO A POKER CON LA QUESTIONE CHE HO POSTO SU ZINGARETTI. SPERO CHE NON TI SFUGGA LA DENUNCIA CHE DA TEMPO PROVO A FAR DIVENTARE TEMA ALMENO DI DIBATTITO SULLA QUALITA’ DELLA CLASSE DIRIGENTE” - LA DAGO-RISPOSTA: “QUELLO CHE C’ENTRA - O C’AZZECCA DIREBBE DI PIETRO - È LA CONGRUENZA DELLA CRITICA CON LA COERENZA DEL PULPITO E…”
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Riceviamo e pubblichiamo:
Caro D'Agostino, con immutata stima: ma che c'azzecca il mio divorzio di oltre vent'anni fa (le persone cambiano e se credi che Cristo è davvero risorto, cambi di brutto) o il mio talento a poker con la questione che ho posto su Zingaretti. Hai utilizzato un articolo di Stefano Zurlo per fare 'sto titolaccio contro di me. Per carità, è nello spirito di Dagospia e ci sta.
Ma spero che non ti sfugga la denuncia che da tempo provo a far diventare tema almeno di dibattito: puoi pure fare ministro di Istruzione, Università e Ricerca una che non ha mai sostenuto manco la maturità, puoi avere a capo dei tre principali partiti italiani tre che non hanno studiato e ovviamente la laurea manco da lontano, puoi affidare il primo partito dell'opposizione a un sedicente perito odontotecnico che ci mette cinque giorni a dire dove s'è diplomato (e poi li voglio vedere a dire che servono le élites colte contro i populisti ignorantoni), ma davvero dobbiamo considerare irrilevante che rispetto a tutti i leader stranieri la nostra classe dirigente politica apicale non abbia i titoli manco per poter fare un concorso pubblico da usciere al ministero, per il quale serve almeno la triennale?
Io ho posto il tema della qualità del personale politico, non ho "fatto la morale" a nessuno. Non sono un "turbo-cattolico". Sono un cattolico e ho qualche idea, talvolta mi permetto persino di esternarla e di organizzare quelli che la pensano come me, perché non mi rassegno alla scomparsa di una scuola come quella del cattolicesimo politico che con De Gasperi, Fanfani, Moro e tanti altri ha fatto grande l'Italia. E, pensa un po', erano tutti laureati. Quando laurearsi era molto ma molto più difficile di adesso. Che dici, sarà tutto un caso?
Mario Adinolfi
Dago-Risposta
Caro Adinolfi, quello che c’entra - o c’azzecca, direbbe Di Pietro - è la congruenza della critica con la coerenza del pulpito. Si puo’ essere cattolico, anzi un politico cattolico, con alle spalle un divorzio e un matrimonio a Las Vegas? Probabilmente no. Lei cita Fanfani. Ma ce lo vede “il Rieccolo” a monitare di virtù e morigeratezza agli elettori devoti e poi svoltare l’angolo per andare a giocare a poker? No, di certo. Ma siamo abituati a peggio. Quanti ne abbiamo visti passeggiare ai “Family day” e poi finiti a letto con le minorenni?
La sua “denuncia” sui titoli di studio della nostra classe dirigente appare tardiva. La storia della Repubblica è piena di ministri (delle Finanze, peraltro) con la terza media, come Ottaviano Del Turco. Presidenti del Consiglio diplomati e non laureati come Massimo D’Alema e Bettino Craxi. Segretari di partito senza laurea come Umberto Bossi e Walter Veltroni. Solo ora, con Di Maio e Salvini al governo, si pone la questione dei titoli di studio?
Abbiamo digerito i Soloni alla Oscar Giannino che predicavano in tv e mentivano sulla laurea. O quelle come Valeria Fedeli che ha avuto qualche “distrazione” nel dichiarare il suo percorso di studi. Se c’è qualcosa che va riconosciuto è che Nicola Zingaretti non ha mai ostentato più di quanto fatto. Non ha vantato qualifiche e attestati mai guadagnati. Né ha mai predicato, come Calenda, Burioni o Bentivogli, sulla necessità del “Partito dei competenti”. Sottolineare che “si vergogna un po’” del suo passato studentesco non aggiunge nulla al dibattito pubblico. Fa solo riflettere su quanti, nonostante le sbaglino tutte, non si vergognano mai.
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theadrianobusolin · 7 years ago
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Laicisti chiedono la testa del ministro Fedeli “Quel preside ha sbagliato”. Ormai lo dicono un po’ tutti. Così, alla fine, anche il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli si è unita al coro pressoché unanime che si è levato contro la circolare “anti-religiosa” più discussa degli ultimi giorni.
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ecodaipalazzi · 7 years ago
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Al via il piano nazionale per l’istruzione da 0 a 6 anni Via libera definitivo, oggi, in Consiglio dei Ministri, al Piano nazionale pluriennale di azione per la promozione del sistema integrato di istruzione da 0 a 6 anni…
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