#Incastrarsi
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'Haragei' è una parola giapponese che non esiste forse in nessun'altra lingua al mondo e anche tradurla è un affare molto complicato.
Volendo, potremmo dire che è la comunicazione non verbale, ma non è solo quello.
Il fatto è che quando parliamo, le parole che ci scambiamo non sono che una piccola parte di quello che davvero ci diciamo.
Quando entriamo in contatto con qualcuno, in realtà, facciamo anche delle prove di incastro: con gli occhi, con la voce, con le mani, col respiro, proviamo a vedere se chi abbiamo di fronte si incastra bene con noi.
Haragei è incastrarsi a vicenda senza dirselo.
Haragei è intuirsi ad occhi chiusi, sapere che nel buio, là fuori, c'è qualcuno come noi.
— Enrico Galiano
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(Dedicando frasi a persone che non esistono.)
♡ ︎
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Neanche io mi innamorerei di me. Perché non sono una persona facile. Non ho sentimenti facili. Sorrido sempre ma poche cose mi piacciono davvero. Spesso sbaglio tipo che preferisco il mare mosso a quello calmo, perché la normalità non è per me, perché cerco casino, che sia anche ordine. Neanche io mi innamorerei di me, ma dico sul serio, rendo complicato anche un puzzle da dieci pezzi, perché incastrarsi non è una cosa superficiale, per incastrasi ci vuole logica. E poi rifletto troppo sulle cose. Penso troppo e guardo poco perché mi piacciono le persone che non guardando chiunque che sanno stare sole. Perché la solitudine è un punto di forza. Io te lo sconsiglio uno come me. Potresti non reggere il passo alla mia nostalgia. Potrebbe non piacerti chi nel mare ci vede poesia. Te lo sconsiglio uno come me perché io sono uno troppo, cambio umore facilmente e non so essere superficiale.
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Ho perso l’abitudine dello sviscerare quello che sento, quello che vedo, con le parole. Avere dalla mia parte le immagini è un aiuto, ci danzo attorno con qualche lettera in fila per farne una cornice, per guidare lo sguardo, ma nulla di più. Solo che poi finisco per sentire troppo e sento la necessità di decomprimere.
E’ un mondo fatto per due, e questo mi fa paura. Ho imparato così bene a stare da sola da non capire davvero ciò che voglio, sento la necessità di carezze balsamiche fatte col dorso di una mano, di baci dati con la punta delle dita, e mi chiedo: è ciò che voglio o ciò che sento di dover desiderare? Sono così bloccata dall’ansia o semplicemente, in realtà, non è quello che bramo? In questa vita da grandi, le settimane passano svelte svelte, un po’ come quando giro le pagine dell’agenda. Contare i giorni che mancano a qualcosa, tranquillizzarmi sapendo di averne a sufficienza, è una strategia che ho fatto mia quando ancora non sapevo dare un nome alle cose. Ora le cose arrivano semplicemente, e se conto quei giorni non bastano mai, mi sembra di non avere il potere di fermare nulla. Il primo di giugno mi sembra passato da due giorni appena. Continuo a pensare che l’idea di te che mi sono dipinta nella testa sia l’unica opzione di vita felice possibile, l’unico amore (non necessariamente romantico, anche se ho la tendenza a romanticizzare tutto) che potrebbe incastrarsi con me. Ma le idee restano idee e il tempo continua scorrere troppo veloce. Chissà se ci pensi mai, a come sarebbe stato, se.
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"HARAGEI" è una parola giapponese che non esiste forse in nessun'altra lingua al mondo, e anche tradurla è un affare molto complicato.
Potremmo dire che è la comunicazione non verbale, ma non è solo quello.
Il fatto è che quando parliamo, le parole che ci scambiamo non sono che una piccola parte di quello che davvero ci diciamo.
Quando entriamo in contatto con qualcuno, in realtà, facciamo anche delle prove di incastro: con gli occhi, con la voce, con le mani, col respiro, proviamo a vedere se chi abbiamo di fronte si incastra bene con noi.
"HARAGEI " è incastrarsi a vicenda senza dirselo.
"HARAGEI " è intuirsi ad occhi chiusi, sapere che nel buio, là fuori, c'è qualcuno come noi.
- Enrico Galiano
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Ci sono corpi che si incastrano perfettamente....ma,la sensazione più sconvolgente è quando ad incastrarsi sono anche le menti ♠️🔥
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Haragei è una parola Giapponese che non esiste forse in nessun’altra lingua al mondo, e anche tradurla è un affare molto complicato. Volendo, potremmo dire che è la comunicazione non verbale, ma non è solo quello. Il fatto è che quando parliamo, le parole che ci scambiamo non sono che una piccola parte di quello che davvero ci diciamo. Quando entriamo in contatto con qualcuno, in realtà, facciamo anche delle prove di incastro: con gli occhi, con la voce, con le mani, col respiro, proviamo a vedere se chi abbiamo di fronte si incastra bene con noi. Haragei è incastrarsi a vicenda senza dirselo.
Haragei è intuirsi ad occhi chiusi,
sapere che nel buio…
la fuori,
c’è qualcuno come noi.
Enrico Galiano - "Felici contro il mondo"
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Neanche io mi innamorerei di me, perché non sono una persona facile
Non ho sentimenti facili.
Sorrido sempre ma poche cose mi piacciono davvero
E spesso sbaglio
Perché cerco casino che sia anche ordine.
Neanche io mi innamorerei di me
Ma dico sul serio, rendo complicato tutto anche un puzzle da dieci pezzi
Perché incastrarsi non è una cosa superficiale, per incastrarsi ci vuole logica
E poi rifletto troppo sulle cose, penso troppo e guardo poco
Perché mi piacciono le persone che non guardano chiunque, quelle che sanno stare da sole
Perché la solitudine è un punto di forza.
Io te lo sconsiglio uno come me, potresti non reggere il passo alla mia nostalgia
Potrebbe non piacerti che nel mare io ci vedo poesia
Te lo sconsiglio uno come me, perché sogno troppo
E non so essere superficiale.
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Haragei è una parola Giapponese che non esiste forse in nessun’altra lingua al mondo, e anche tradurla è un affare molto complicato. Volendo, potremmo dire che è la comunicazione non verbale, ma non è solo quello. Il fatto è che quando parliamo, le parole che ci scambiamo non sono che una piccola parte di quello che davvero ci diciamo. Quando entriamo in contatto con qualcuno, in realtà, facciamo anche delle prove di incastro: con gli occhi, con la voce, con le mani, col respiro, proviamo a vedere se chi abbiamo di fronte si incastra bene con noi.
Haragei è incastrarsi a vicenda senza dirselo. Haragei è intuirsi ad occhi chiusi, sapere che nel buio, la fuori, c’è qualcuno come noi.
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Insieme in inglese si scrive "togher", una parola che in pancia ne ha altre tre "to get there", "per arriva li", come se per arrivare da qualche parte si debba per forza essere insieme.
È vero da soli non si va molto lontano, anzi forse da nessuna parte, e io non voglio più andare da nessuna parte senza di te, mi hai insegnato che amare non è solo guardarsi l un altro ma più che altro guardare insieme nella stessa direzione, mi hai fatto capire che se due stanno insieme e non ridono non è una storia seria, che amare non è trovare la perfezione ma imparare a perdonare terribili difetti, imparare a conviverci e amarli, e a poco a poco dove possibile migliorarli.
Essere una coppia non significa non avere problemi ma saperli affrontare insieme.
Le coppie perfette non esistono ma esistono le coppie che sanno incastrarsi, e quando dall' incastro nasce l'amore due persone diventano perfette l'una per l altra. E tu sei perfetta per me sia perché ti amo sia perché amo come mi fai sentire. Ma soprattutto amo noi, e io non sogno più ciò che non ho o che non c'è, quello che sogno è una vita insieme a te.
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Haragei è una parola Giapponese che non esiste forse in nessun'altra lingua al mondo, e anche tradurla è un affare molto complicato. Volendo, potremmo dire che è la comunicazione non verbale, ma non è solo quello. Il fatto è che quando parliamo, le parole che ci scambiamo non sono che una piccola parte di quello che davvero ci diciamo. Quando entriamo in contatto con qualcuno, in realtà, facciamo anche delle prove di incastro: con gli occhi, con la voce, con le mani, col respiro, proviamo a vedere se chi abbiamo di fronte si incastra bene con noi. Haragei è incastrarsi a vicenda senza dirselo. Haragei è intuirsi ad occhi chiusi, sapere che nel buio, là fuori, c'è qualcuno come noi.
|| Enrico Galiano
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Da qualche tempo ritorna il tema del rapporto con gli altri, e perché questo si deteriori sempre, continuamente, come una condanna.
Ho smesso di considerarla una condanna derivante da mie mancanze o da mancanze altrui ma più come una naturale conseguenza delle cose.
Quando una persona ha ricevuto amore nella sua vita, lo vedi: lo vedi da come cammina, come si muove nello spazio, lo vedi con la sicurezza che queste persone possiedono nel parlare con gli altri, nel raggiungere i propri obiettivi, nell’avere una solida autostima. E questo avviene perché è come se dietro di loro avessero una corazza di amore solido apposta tra le scapole.
Le persone che non sono state viste, non sono state amate, le riconosco: da come parlano, da come si muovono - è come se girassero scorticate a nudo.
Ormai posso dirlo con certezza, i miei genitori non mi hanno mai voluto autenticamente bene, perché a loro volta erano persone che non sono state amate e protette da chi era chiamato a farlo, e quando non ti viene insegnato e trasmesso l’amore non riesci neanche a provarlo, e se lo provi lo provi a condizioni, lo provi a fasi alterne, lo provi a intermittenza; generando, conseguentemente, una prole confusa, una prole che non capisce quando è amata se lo è davvero e in base a cosa.
Io penso che mio padre abbia cominciato a volermi autenticamente bene e dunque a stimarmi come essere umano quattro anni prima della sua morte. A quel punto ero ormai grande, si chiacchierava dei più svariati temi, riconosceva che avevo dell’intelletto, e forse anche dei valori, ci trovavamo sempre io e lui a parlare o in silenzio. Per questo, dopo il suo suicidio, la cosa straziante è stata dover accettare che lui avesse deciso di andarsene proprio quando avevamo appena cominciato a volerci bene davvero.
Le mie storie sentimentali si infrangono sempre nello stesso punto: questo vuoto desertico che nessuno sente ma comprende solo per vie cognitive. Avendo avuto ormai la mia buona dose di esperienza nei rapporti umani posso dire con certezza che l’unica persona che nella mia vita ho autenticamente amato è stata mia sorella, perché il suo vuoto combacia col mio, abbiamo attraversato lo stesso inferno. È simile a quando due soldati che hanno passato la trincea assieme poi diventano inseparabili. Il motivo è semplice: solo loro due possono realmente capirsi. Ed è anche il motivo per cui i tossicodipendenti finiscono con i tossicodipendenti, i punk con i punk, i letterati con i letterati, non è semplice etichettismo egoico di appartenenza, il filo comune è sempre lo stesso: l’esigenza di sentirsi capiti e di capire veramente qualcuno.
Talvolta questo porta a dinamiche disastrose (vedi i tossicodipendenti), e infatti non ho alcuna intenzione di morire in due di overdose, (per ora), il punto è capire quanto questo vuoto interiore che mi porto dietro dalla nascita possa incastrarsi con quello di un’altra persona. Non è facile, non è impossibile, ma richiede una consapevole solitudine autoindotta. Il problema principale, credo, sia capire cosa sia l’amore per noi e cosa vogliamo ricavarne da questo sentimento sempre più astratto e confuso, ed io voglio ricavarne la comprensione autentica, sentita, sincera. Per farci che poi? Niente, tutto? Il punto è che non mi interessa il fine utilitaristico di questo processo, sono certa che potrebbe non portarmi necessariamente ad avere dei figli, una famiglia e una casa felice e accomodante; il punto essenziale è che se il discrimine è sentirsi capiti e capire l’altro anche solo nello spazio di un’ora, per alcune persone, vale più di cento case, cento bambini e cento cene; vale più di qualsiasi miraggio di felicità.
Non so dove mi porterà questa ostinata ricerca, probabilmente da nessuna parte, ma per la prima volta nella mia vita non ho più intenzione di cedere pezzi di me a favore di qualcuno, affinché sia più “adattabile” a non so quale schema sano e funzionale di coppia.
“La gente ti toglierebbe volentieri pezzi di te, se potesse; ma questo è Frankestein, non è amore”.
Ed io stavolta voglio tenermi tutta intera.
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Secondo una legge fondamentale fisica per avere una sfere serve che: Due mani vadano poste su di una semisfera, altri due mani vanno poste sulla semisfera opposta, sicché per avere una sfera è necessario che 4 mani spingano le semisfere l'una verso l'altra fino ad incastrarsi in tutte le loro dimensioni.
RelaxBeach© (Tutti i Diritti Riservati 27/07/2024
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Ho smesso di rincorrere le persone quando ho capito che due mondi non possono incastrarsi col volere di uno solo.
Ho smesso di rincorrere le persone quando il posto che concedevo non era uguale a quello che mi veniva concesso.
Ho smesso di rincorrere le persone quando ho imparato che la propria dignità deve essere tutelata più di un affetto.
Ho imparato... Oggi do in base a quanto ricevo.
Concedo posti che hanno lo stesso ruolo e lo stesso livello di quello che mi viene concesso. Non regalo più niente.
Mi dai cento, ti do cento, mi dai zero... Zero avrai.
Non trattengo, non rincorro, ma con serenità ...
Lascio andare.
Buona notte ♠️
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Ho smesso di rincorrere le persone quando ho capito che due mondi non possono incastrarsi col volere di uno solo.
Ho smesso di rincorrere le persone quando il posto che concedevo non era uguale a quello che mi veniva concesso.
Ho smesso di rincorrere le persone quando ho imparato che la mia dignità deve essere tutelata piú di un affetto.
Ho imparato. Oggi do in base a quanto ricevo. Concedo posti che hanno lo stesso ruolo e lo stesso livello di quello che mi viene concesso. Non regalo piú niente. Mi dai cento, ti do cento. Mi dai zero... zero avrai. Non trattengo, non rincorro, ma con serenità...lascio andare.
💋
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Vuole la storia che Alice e il Cappellaio si sarebbero persi per tantissimo tempo, per poi ritrovarsi come se fosse passato solo un secondo. Era una storia strana la loro, potevano stare lontanissimi, non vedersi, né sentirsi,ma questo non avrebbe cambiato il loro incontro.
Alice sentiva quando il Cappellaio non era felice, se gli succedeva qualcosa o si allontanava. Guardava il cielo, le nuvole, si era resa conto, che anche se in due mondi inconciliabili, forse, non erano lontani. Era stato difficile trovarsi la prima volta, riconoscersi nella moltitudine, ma da allora lo spazio e il tempo erano solo concetti astratti, comunque sembravano legati da una sorta di filo che non riusciva a spezzarsi.
Si erano persi, Alice pensava per sempre, irrimediabilmente, ma il Cappellaio è tornato a farle visita nei sogni, per diverse notti.
Tutti pensavano fosse felice, in procinto di una deliranza, ma nel sogno di Alice non faceva che stringerla forte, prigioniero del sortilegio di una regina di Cuori, mascherata da buona regina Bianca. Alice non riusciva a capire il significato di questi sogni.
Forse solo suggestioni della sua nostalgia, forse, una spiegazione inconscia a quel silenzio forzato, forse, un segnale d’allarme. Alice, inspiegabilmente, riusciva sempre a capire quando il Cappellaio non era felice, anche se (in questa favola) l’aveva ferita in maniera davvero profonda, anche se aveva detto “Basta” in maniera definitiva, di solito, era sempre intervenuta per aiutarlo, sfidando logica, tempo, orgoglio e anche se stessa.
Ne aveva passate talmente tante che si era proprio convinta che se lo voleva per davvero, niente era impossibile o le faceva paura, nemmeno attraversare gli specchi o lottare contro il Tempo, loro nemico più grande, insieme al tempismo.
Sarebbero stati due pezzi perfetti di un puzzle se fossero riusciti a incastrarsi, ma non erano mai al posto giusto, nel momento giusto.
E quindi la storia vuole che siano lontanissimi, mondi, anni, vite, ma che i loro ricordi, le loro vite, inevitabilmente si intreccino, il Cappellaio le accarezzi dolcemente la testa e la guardi negli occhi e in quell’attimo non esiste tempo, spazio, regine di cuori, ma tutto si cristallizzi.
Sì, alla fine, nella lotta contro il tempo hanno vinto.
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