#Il marito di mio fratello
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È così che ti piaccio
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Lo so che impazzisci, quando mi vedi così: perché sono quella porca di tua cognata. E proprio perché non si dovrebbe, perché è assolutamente sconveniente e scorretto, io adoro farti ammattire di passione. Sono perfida e amo sorprenderti, magari mostrandomi a te parzialmente svestita o indossando dentro casa una delle mie divise da lavoro più sexy indossata in maniera provocante.
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Sono abiti che uso impropriamente solo quando giochiamo la notte con mio marito e decido di eccitarlo. Ti sculetto davanti mezza nuda e tu diventi scemo. Quando di giorno tua moglie è uscita e mio marito è al lavoro, suoni il campanello e io ti apro. Tu lesto passi la porta d'ingresso; la chiudi e mi vedi tutta apparecchiata e bellissima. Diventi pazzo dalla voglia che hai di scoparmi. Lo capisco, lo vedo, lo percepisco. Allora io ti guardo, maliziosa, con un dito in bocca e inizio a spogliarmi, lentamente. E ridendo. Perché non puoi fottermi. Non te lo consentirò mai.
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Ti faccio morire, mostrandoti progressivamente parti di me normalmente nascoste. E tu restando muto, a bocca aperta mi adori. Ti riempi gli occhi di bellezza e la libidine ti occupa interamente il cervello. Il tutto al suono soffuso della radio. Mi piace infine esibirmi davanti a te completamente nuda. Apro le gambe e tu osservi muto e sudato ciò che potrebbe essere un vero paradiso, per te. Apro le natiche e davanti ai tuoi occhi febbricitanti contraggo-rilascio l'ano, solo per farti sudare.
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Peccato che dopo un po’ debba rivestirmi rapidamente e buttarti fuori: sono la moglie di tuo fratello e abitiamo in una bifamiliare. Ma confesso che adoro farti morire di passione e portarti al limite: tua moglie non ha un decimo della mia carica erotica e non si cura affatto. Non la desideri. È una donna spenta, trascurata, sciatta e rancorosa. Perciò ogni tanto vieni qui a lucidarti gli occhi, magari anche quando lei c'è, con una scusa qualsiasi. E io te lo lascio fare: tanto che mi costa…
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Ci senti la notte quando facciamo l'amore e io faccio apposta a urlare forte di piacere, perché so che mi vorresti. Da morire. E lei si incazza: è invidiosa perché non te la scopi più. Ti struggi di passione per me. Ma non puoi avermi. Ti ammazzi di seghe pensandomi. Un giorno può darsi anche che mi decida, quando quella strega di mia cognata mi farà girare i coglioni più del solito. Vecchia befana, invidiosa e livida. Nel frattempo, tu limitati a sognarmi e a guardarmi nuda quando te lo concedo… A proposito: mi mancano diversi pezzi di intimo. Ne sai nulla, tu?
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RDA
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Incontri inaspettati e tristi.
La storia è un po' lunga: dal 1977 a fine luglio 1991 dove vivo ora c'erano degli inquilini: moglie, marito, figlia.
L'uomo non era una brava persona, pensava di poter fare quello che voleva perché la padrona di casa, mia mamma, era una donna sola con due figli, quindi si credeva il capo: liti continue con moglie e figlia, volavano anche alcune sberle, una sera ad età maggiore della figlia hanno chiesto asilo sotto da noi per poi andarsene di casa minacciando denunce e altro, senza di fatto combinare nulla e tornarsene a casa con lui dopo insistenze della famiglia di origine di lui.
Lui insomma un pezzo di fango, la moglie una povera anima analfabeta non riusciva a dire una frase completa in italiano, la figlia lavorava come commessa dopo una scuola professionale per segretaria.
Succede che la figlia si sposa gravida (disonore) e nell'84 nasce il primo figlio, dopo l'anno di maternità( passato non si sa dove) lei torna al lavoro e scarica h 24 il bambino ai genitori, quindi da noi, perché dove vive con il padre del bimbo, pare, non sia adatto a tenerci dei figli...il bimbo cresce apparentemente buono, me lo ricordo che girava in bici nel cortile di casa con la nonna che lo sgridava se cadeva e bestemmiava. Nasce anche il secondo figlio, scaricato anche quello da noi : finalmente allo scadere del contratto di affitto e senza non poche difficoltà e dispetti più o meno gravi riusciamo a mandare via sti inquilini ( il problema era lui, il pezzo di fango).
Per qualche anno per vie traverse abbiamo saputo delle varie sorti di ognuno di loro, la moglie del pezzo di fango morta per ictus dopo aver faticato una vita, il pezzo di fango morto qualche anno più tardi, figlia e marito e relativi due figli qualche tribolazione di natura depressiva, poi perse le tracce. Da settimana scorsa il primo bimbo dell'84 è ricoverato in unità coronarica per una grave cardiomiopatia dilatativa di nuovo riscontro, imbottito di psicofarmaci seguito da anni dal CSM per episodi di depressione maggiore e schizofrenia...il viso che ricordavo del bimbo in bici, un uomo buono, molto sfortunato, imbambolato dalle terapie, poco affine all'uso dell'acqua e sapone, un uomo che sta pagando tutto il suo vissuto, gli unici contatti telefonici che ha lasciato sono della compagna (messa come lui dal punto di vista psichiatrico) e del suocero...non ha più nessun rapporto con la famiglia di origine, non ne vuole sapere più nulla, neanche del fratello.
Non ho raccontato a mia mamma e mio fratello ( neanche a mio marito e figlio) dell'incontro e non lo farò mai, ho pianto parecchio ricordando cosa abbiamo passato con sta gente in giro per casa, ho pianto per come l'ho visto ridotto, per come questo uomo sia anagraficamente un uomo ma la sua testa è quella di un bambinone, ricordando questi due bambini che vivevano con i nonni, sti due bambini che tutto sommato erano tranquilli ma evidentemente non era così .
Sono molto triste e lascio scritta qui questa mia tristezza.
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Fu nel parco di un manicomio che incontrai un giovane con il volto pallido e bello, colmo di stupore. E sedetti accanto a lui sulla panca e dissi:
"Perchè sei qui?" E lui mi rivolse uno sguardo attonito e disse:” È una domanda poco opportuna, comunque risponderò.
Mio padre voleva fare di me una copia di se stesso, e così mio zio.
Mia madre vedeva in me l'immagine del suo illustre genitore.
Mia sorella mi esibiva il marito marinaio come il perfetto esempio da seguire.
Mio fratello riteneva che dovessi essere identico a lui: un bravissimo atleta.
"E anche i miei insegnanti, il dottore in filosofia e il maestro di musica e il logico, erano ben decisi: ognuno di loro, voleva che io fossi il riflesso del suo volto in uno specchio. "Per questo sono venuto qui.
Trovo l'ambiente più sano. Qui almeno posso essere me stesso".
E di scatto si volse verso me e chiese:
"Anche tu sei qui a causa dei buoni consigli?"
Ed io risposi:" No, sono qui in visita". E lui disse:" Ah, ho capito. Vieni dal manicomio dall'altra parte del muro".
(K.Gibran)
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Capitolo 1:
Lucrezia entrò nel palazzo imperiale guardando con ammirazione le colonne che sorreggevano l'ingresso.
Non riusciva a credere che aveva appena intravisto le sue anime gemelle, che in quel momento continuavano a parlare freneticamente nella sua mente.
"Fratello, è la nostra anima gemella! Dobbiamo prenderla!"
"Fratello, probabilmente è una serva del generale, probabilmente dobbiamo pagarla prima che sia nostra!"
Da mezz'ora era questa la discussione che si svolgeva nella sua mente, ma lei non aveva il coraggio di dire che era in realtà la figlia del generale.
"Faremo così: appena entrano ci avviciniamo al generale e gli chiediamo chi sia la ragazza, a seconda di cosa ci dirà la paghiamo e diventerà nostra! Non sarà la sposa di quel dannato figlio del senatore Trace, lei è nostra!"
"Va bene, non pensiamoci più! Se ci senti puoi dirci chi sei? Come ti chiami? Quanti anni hai?" chiese l'altro con disperazione.
"Non vi dirò chi sono, questo dovrete scoprirlo voi! Mi chiamo Lucrezia e al momento ho visto 16 estati!"
"Fratello, dobbiamo andare! La festa dovrebbe iniziare a breve! Dobbiamo sbrigarci!"
Detto questo il collegamento momentaneo nella loro testa si interruppe, con grande dispiacere di Lucrezia, che pensava che gli avrebbero potuto fare compagnia durante l'incontro con il senatore Trace e il figlio.
Figlio che non sarà mai suo marito come volevano i suoi genitori. Non trovava interesse per quell'uomo che pensava solo ai soldi e alla politica e che non portava rispetto nè a suo padre nè alla sua defunta madre. Lucrezia pensava che avrebbe trovato un miglior partito tutti gli altri uomini. Persino i due imperatori sembravano migliori sposi rispetto a quel ragazzo.
Sua madre e suo padre si avvicinarono trascinandola per le braccia, lasciandole i segni delle mani sul suo braccio candido, al senatore Trace.
Vedeva che suo padre era molto nervoso, ma non capiva il motivo.
Pov. Marcus Acacius
Mano a mano che ci avvicinavamo al senatore e al suo dannato figlio, non potevo fare a meno di pensare a come aveva rovinato la mia famiglia quell'uomo di così basso conto. Mi girai a guardare mia moglie, la mia anima gemella, e capii che anche lei stava provando la mia stessa ansia e la mia stessa rabbia.
"Marcus, continuo a pensare che abbiamo fatto una cavolata! Dobbiamo dirle la verità, lei potrebbe pensare che la odiamo, quando sai che quello che stiamo facendo è solo per il suo bene."
"Nostra figlia già ci odia, Lucilla! E da quando mi hanno detto quelle frasi che stiamo facendo di tutto perchè ci odi: le stiamo togliendo la possibilità di trovare il suo vero amore e soprattutto la stiamo costringendo a sposare qualcuno che lei palesemente odia!"
"Ma perchè non ne parli con gli imperatori? Loro magari potrebbero aiutarla e magari potrà trovare le due persone che corrispondono ai colori dei due marchi. Gli imperatori possono proteggerla, dobbiamo provare tutto quello che possiamo, se vogliamo rifiutare la sua proposta di matrimonio!" E se vogliamo deporre i due tiranni Lucilla, perchè vuoi liberare Roma da loro due e vuoi avere qualcuno interno al palazzo da usare.
"Ok, tu portala dal senatore Trace: io vado a parlare con gli imperatori!"
Mi stacco e dopo aver dato un ultima occhiata a mia moglie e a mia figlia, mi incamminai attraverso i corridoi del palazzo alla ricerca dei due Tiranni che sarebbero gli unici che possono salvare mia figlia. La mia Lucrezia, il mio tutto.
Mi viene ancora in mente tutta la discussione che io e il senatore Trace abbiamo avuto quando mia figlia aveva compiuto gli anni necessari per iniziare a parlare di matrimonio.
"Generale, vedo che tua figlia ha ormai l'età per iniziare a parlare di matrimonio. Ti ordino di farla sposare con mio figlio! Sarà in grado di proteggerla e difenderla!"
"Senatore, ma se mia figlia finisce per avere anche il marchio di anima gemella come è successo a me e sua madre, cosa succederà non puoi separare anime gemelle. Porta alla morte di entrambi."
"Generale, se per caso si scopre che tua figlia ha un'anima gemella gli nasconderai il marchio e la lascerai sposare con mio figlio! Oppure mi assicurerò che tua moglie e tua figlia muoiano tra atroci sofferenze insieme all'anima gemella di tua figlia! Tua moglie e tua figlia sono le cose che ami di più, non è vero? Dalla in sposa a mio figlio e lei sarà salva! Dalla alla sua sua anima gemella e la ritroverai sul letto agonizzante e soffocando nel suo sangue! A te la scelta!"
Non gli risposi e me ne andai. Quando tornai a casa quel giorno mia figlia mi era corsa incontro tutta felice indicandosi il polso: "Padre, guarda il polso! Ho due palline disegnate. Una rosso e oro e l'altra blu e oro!" Dopo che lo disse mi ritornarono in mente le parole di trace " Dalla in sposa a mio figlio e lei sarà salva! Dalla alla sua sua anima gemella e la ritroverai sul letto agonizzante e soffocando nel suo sangue! A te la scelta!"
In preda alla disperazione presi mia figlia sollevandola con la forza e facendole male e la trascinai nella sua stanza, dicendole: "Copriti quegli obrobri, le anime gemelle non esistono, tu sposerai il figlio del senatore Trace che ti piaccia o no. Ci servi solo per fare alleanze, avremmo potuto anche fare a meno di procrearti!" E le misi un bracciale abbastanza grande da coprire entrambi i marchi. Mi faceva male la sua espressione, così come quelle frasi facevano anche male le parole che le ho rivolto.
Non mi accorsi che ero arrivato davanti alla stanza dell'imperatore Geta, che aveva la porta aperta e entrambi gli imperatori lo stavano guardando con sorpresa.
Pov Geta
Dopo aver ottenuto dalla mia imperatrice il suo nome e la sua età mi accinsi a continuare a prepararmi per il banchetto. Caracalla continuava a litigare con il trucco e ogni volta mi veniva da ridere, cosa che poi portava anche lui a sorridere e alla fine finiva che io truccavo sia lui che me.
Io e mio fratello siamo la forza l'uno dell'altro e non facciamo fare nulla ad altri sulla nostra persona. Un tempo avevamo serve e concubine, ma da quando abbiamo scoperto che siamo anime gemelle abbiamo fatto tutto da soli. Dai bagni termali, al trucco. Ci tenevamo liberi per la nostra seconda anima gemella.
Lucrezia, 16 anni. La loro anima gemella. Si stavo pregustando il suo nome. IMPERATORE GETA IMPERATORE CARACALLA IMPERATRICE LUCREZIA si suonava molto bene.
Dopo aver aperto la porta non appena aver finito di spalmarci il trucco in faccia per nascondere le piaghe che mio fratello aveva in volto e che mi spalmavo anche io per solidarietà nei suoi confronti. Ci amavamo molto, ma avevano deciso di non mostrarlo in pubblico fino a quando non siamo stati tutti e tre, per questo ci siamo dati dei ruoli: io ero il gemello sano e che di fatto governava, lui il gemello pazzo che passava il tempo tra giochi gladiatori e vino. Ad entrambi faceva soffrire questa situazione, ma era necessario per sopravvivere a questo campo da guerra che era Roma.
Davanti a noi stava arrivando il generale Acacio, che, dal momento che stava pensando senza guardando dove andava, per poco non investiva il mio fratellino. Per fortuna, mi misi in mezzo e quindi non fu Caracalla a finire a terra, ma io. Mi colpì con una spallata così forte che mi fece finire a terra, cosa che fece preoccupare subito Caracalla che si teneva la spalla perchè noi sentiamo la sofferenza l'uno dell'altro.
Ricordando ciò decisi di riaprire il collegamento tra noi anime gemelle e dissi: "Lucrezia, stai bene? Ti fa male da qualche parte?"
"La spalla... fa un male cane. Stavo parlando con il figlio del senatore Trace e mi ha stretto la spalla proprio in quel momento!"
Mi venne da sorridere al solo pensiero e chiusi il collegamento.
"Generale, qual buon vento ti porta a buttarmi a terra?"
"Imperatore Geta, Imperatore Caracalla. Vengo con una richiesta molto importante. Possiamo parlare in privato?"
Guardai mio fratello che annuì e rientrammo nella stanza da cui eravamo appena usciti.
"Generale, io e mio fratello dobbiamo chiederti una cosa. Prima stavamo guardando dalla finestra della stanza e siamo rimasti folgorati da un membro della tua processione. Quella ragazza vestita di viola e arancione che camminava vicino a tua moglie. Chi è? "
"Augusti imperatori, state parlando di mia figlia. Lucrezia, figlia mia e di Lucilla. Vengo proprio per parlarvi di lei!"
"Cosa è successo? Sta bene? Si trova in qualche pericolo?" domandò senza fiato Caracalla.
"Per il momento sta bene, ma non so cosa fare!"
"Cosa succede? Cosa possiamo fare per Lucrezia?" dissi preoccupato.
"Quando lei aveva dodici anni sono stato minacciato dal senatore Trace che se mia figlia non avesse sposato suo figlio, avrebbe ucciso lei, mia moglie e la sua anima gemella. Ora mia figlia è sotto a parlare con il senatore e suo figlio perchè non sono riuscito a proteggerla come si de..."
Non lo lasciamo finire che usciamo dalla stanza correndo per andare a salvare la nostra imperatrice.
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Nel ricordo di Marinella… Una scelta di volontariato
“Mi aggiravo tra la folla, attratta da quella moltitudine vociante, dalle bandiere e dai labari delle nostre città istriane, fiumane e dalmate. Era il 1997, si ricordavano nella piazza principale di Trieste i 50 anni dall’esodo, anche i miei cinquant’anni essendo nata nel 1947. Ma il mio pensiero era fisso su mio padre. Vedi – gli dicevo col cuore gonfio – finalmente parlano di noi. Ma lui era mancato qualche tempo prima senza smettere di sentirsi fuori dal coro, un alieno…”
Fu così che, durante quell’esperienza pubblica, Fioretta Filippaz, nata a Cuberton, esule a Trieste dal 1956, si rese conto di sapere ben poco della propria storia e del destino di tanta gente che come lei era stata costretta all’esodo dall’Istria.
Decise così di fare la volontaria?
“Quel ’97 fu per me uno spartiacque importante, i miei genitori non c’erano più ma le domande che avrei voluto rivolgere a loro, erano veramente tante. Allora presi informazioni e mi ritrovai all’IRCI che allora aveva sede in P.zza Ponterosso, nell’ufficio di Arturo Vigini, con lui c’era anche la figlia Chiara. Mi presentai e dissi che avrei voluto rendermi utile, partecipare dopo tanto silenzio. Non cercavo un lavoro di concetto, mi bastava anche semplicemente imbustare e affrancare gli inviti per le numerose iniziative dell’ente o per spedire la rivista Tempi&Cultura. Così ho cominciato”.
Una “volontaria”, oggi una del gruppo che segue l’attività dell’IRCI in via Torino, accoglie i visitatori delle mostre che si succedono numerose durante l’anno a cura di Piero Delbello e con il supporto del presidente Franco Degrassi, raccontando un esodo per immagini, attraverso i suoi personaggi, a volte famosi, a volte sconosciuti…
“Viene sempre tanta gente, chiede informazioni, racconta la propria storia, queste sale diventano un contenitore di tante vicende mai emerse, di tante storie familiari mai portate alla luce. Molti arrivano con fotografie, locandine, documenti per il museo. Per noi volontari è una responsabilità, ma anche un profondo desiderio di condivisione. Vede, questo documento alle mie spalle nell’ambito della mostra ‘Come ravamo’ è quello della mia famiglia, è lo storico dell’anagrafe dal quale hanno cancellato Marinella…”.
Chi è Marinella? È una delle storie emblematiche dell’esodo, quella di una bambina che non ce l’ha fatta, in quell’inverno polare del ’56. Aveva appena un anno e una polmonite se la portò via, “morta di freddo” sentenziarono i medici dell’ospedale che non furono in grado di salvarla.
“Ero già grandicella e Marinella me la portavo in braccio, le davo il biberon, la cambiavo, me ne occupavo per alleviare il lavoro di mia madre che doveva pensare a tutta la famiglia, al marito e ai cinque figli. I suoi occhi erano per me, con i sorrisi e i primi borbottii, una gioia infinita: non sono mai riuscita a dimenticarla, a farmene una ragione”.
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Per quanti anni siete vissuti in quella baracca?
“I miei genitori dodici anni, finché io e mio fratello non siamo riusciti a terminare le scuole nel collegio dove eravamo stati trasferiti per poter avere un’istruzione e migliori condizioni di vita”.
Vita?
“Quando la famiglia vive separata tutto è molto duro. Mio padre a Cuberton era un bravo contadino, da esule poté fare il manovale, la qualifica di profugo non era servita a nulla. Aveva sperato di entrare in fabbrica, ma nessuno ci aiutò. Ricordo che spesso diceva con convinzione, non sembrava neanche un lamento ma una semplice constatazione: ‘noi ne vol, proprio noi ne vol’ e così continuò per anni sentendosi fuori luogo, forse sconfitto. Quando ebbi diciannove anni, ci diedero una casa comunale, una sessantina di metri per la nostra famiglia numerosa, ma era comunque un miglioramento. Andai a lavorare alla Modiano”.
In che veste?
“Alle macchine per la stampa, ci ho lavorato fino alla pensione. All’inizio vista con sospetto, la nostra presenza di esuli a Trieste veniva ancora considerata un peso, ma noi istriani siamo lavoratori, disciplinati, vivaci, con il tempo mi sono conquistata le simpatie delle persone che hanno saputo apprezzare il mio impegno”.
E la famiglia?
“Mi sono sposata a 25 anni, per qualcuno era quasi tardi, per me anche troppo presto, vista la tragedia che avevamo vissuto in famiglia, non mi sentivo pronta”.
Non era solo per Marinella?
“Soprattutto per lei il cui sguardo non ho mai smesso di cercare, ma anche per tutto ciò che avevo visto al campo di Padriciano: la gente si lasciava morire, di disperazione, per mancanza di qualsiasi prospettiva, in quelle baracche dove non si poteva accendere un fuoco per scaldarsi. La mia casa era rimasta a Cuberton. Ci sono tornata per andare al cimitero. L’ho vista da lontano, diroccata, non ho avuto il coraggio di avvicinarmi”.
Nessuna assistenza psicologica in tutti questi anni?
“Nessuna. E ce ne sarebbe stato bisogno”.
Che cosa ha rappresentato il Giorno del ricordo?
“La possibilità di parlare, andando nelle scuole, fornendo testimonianza sui giornali, le televisioni. Gli italiani hanno iniziato a conoscere squarci della nostra vicenda. Ogni anno mi invitano a Cremona, in Umbria, nel Veneto, con le docenti è scattata un’amicizia importante. Dopo che Simone Cristicchi ha raccontato di Marinella nel suo spettacolo Magazzino 18, l’interesse è diventato maggiore, mi chiedono di raccontare. Lo faccio per i miei genitori, per restituire dignità a tanta gente, per rivivere il ricordo di Marinella, doloroso, ma necessario. I ragazzi delle scuole mi hanno omaggiato dei loro lavori di gruppo che custodisco gelosamente. È incredibile con quanta pietas abbiano saputo raccontare le nostre vicende, anche quelle più difficili. Mi fanno tante domande”.
E Padriciano?
“Ho accolto le scolaresche per tanti anni insieme a Romano Manzutto, finché l’associazionismo ha deciso di formare dei giovani perché raccontassero la nostra storia”.
In maniera più asettica?
“Certo hanno avuto modo di studiare, approfondire, possono rispondere a tante domande, non certo a quelle sull’esperienza diretta che rimane di chi l’ha vissuta veramente, ormai non siamo tantissimi, il tempo decide per noi”.
Dal campo di Padriciano molti partirono per gli altri continenti…
“Avevamo considerato anche questa ipotesi, ma cinque figli piccoli a carico erano una condizione che non favoriva il giudizio dell’emigrazione. Mio padre era una persona di grande cuore, certo avrebbe fatto fortuna, ma era convinto che nessuno avesse compreso che non eravamo venuti via se non perché fosse impossibile rimanere. Questa sensazione non lo abbandonava mai e forse gli toglieva la forza di tentare altre strade. Non ne abbiamo mai parlato successivamente. Ma mi accorsi del suo dolore quando giunti al cimitero di Cuberton, al momento di decidere di andare a mangiare qualcosa insieme, mi pregò di riportarlo velocemente oltre confine. La paura non li aveva ancora abbandonati e non l’avrebbe mai fatto fino alla fine”.
Di cosa avevano paura?
“Di restare e di tornare. In Istria tutto era cambiato e quindi non ritrovavano più la loro dimensione, c’era stata la dittatura che aveva spaventato tutti. In Italia avevano dovuto imparare a vivere il quotidiano, in Istria pagavano le tasse e basta, non erano abituati ad andare per uffici, fare domande, ottenere il riconoscimento dei propri diritti. Quando Marinella morì nessuno venne a manifestare la propria solidarietà, non fecero che cancellare il suo nome dal nostro stato di famiglia”.
Quale spiegazione riesce a darsi oggi?
“Lo dico spesso e l’ho anche scritto: fummo accolti con fastidio e indifferenza, eravamo un corpo estraneo che tentava di inserirsi in un tessuto sociale che non voleva intrusioni”. Dire che la storia si ripete è anche troppo ovvio.
Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin a Fioretta Filippaz per La Voce del Popolo, 5 gennaio 2020
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Basta una parola
Scriveva Abatelunare, una decina di giorni fa, che spesso leggendo un libro si imparano delle parole nuove, e faceva riferimento a un toscanismo: costassù, trovato in una vecchia versione de Il ragazzo di Sycamore di Erskine Caldwell.
A me occorre poco, appena una parola, per impantanarmi in una serie di percorsi da cui poi faccio fatica a uscire; così è stato anche questa volta.
Infatti, in sintesi:
Da toscano conosco e uso la parola costassù, così come anche gli altri avverbi costì, costà, costaggiù; ricordo bene come, una decina di anni fa, me ne chiese il significato una collega, di madrelingua inglese, da poco arrivata a Siena.
Più di recente, saranno passati tre o quattro anni, durante una lettura condivisa de La vita agra del grossetano Luciano Bianciardi, le due amiche con cui leggevo, una di origine siciliana ma da anni a Napoli, l'altra veneta, mi chiesero lumi su due strane parole in cui si erano imbattute in quel testo: costì e costassù.
Ho chiesto ad Abatelunare chi avesse tradotto il libro, sospettando appunto un toscano, e mi ha indicato Marcella Hannau. Il mio sospetto era ben fondato, anche se non corretto, perchè la Hannau era nata a Trieste ma ha avuto frequentazione lunga e anche intima con la Toscana.
Le ricerche fatte mi hanno portato subito in ambiente fiorentino; la Hannau, traduttrice dall'inglese di oltre una settantina di libri, figlia di uno stakholder della Standard Oil, di famiglia ebraica, sposò molto giovane [nel 1921] Corrado Pavolini, nato a Firenze: regista, drammaturgo, critico letterario, poeta, librettista e traduttore. Corrado era figlio del professor Paolo Emilio, traduttore e docente universitario di Sanscrito, nato a Livorno da padre dell'isola d'Elba. La coppia frequentava l'ambiente culturale italiano del tempo: ci sono ad esempio foto degli anni '30, sulla spiaggia di Castiglioncello, sempre in Toscana (Livorno) in compagnia di Luigi Pirandello, Nicola De Pirro, Marta Abba, Maria Stella Labroca e Silvio D'Amico; le due famiglie, Hannau e Pavolini, frequentavano spiaggia, locali e ville di amici nella zona, già dalla fine degli anni 10 dello scorso secolo.
Corrado Pavolini era il fratello del gerarca fascista Alessandro, Ministro della Cultura Popolare e segretario del Partito Fascista.
Alessandro si rifiutò di aiutare il fratello e la cognata Marcella nel momento della promulgazione delle leggi razziali e Corrado e Marcella scapparono a Cortona (Arezzo) rifugiandosi nella villa dell'amico Debenedetti. A Cortona trovarono un buon nascondiglio anche gli Hannau, i genitori di Marcella, a cui offrì riparo il Vescovo, Monsignor Franciolini, direttamente nella sua abitazione.
Cortona piacque così tanto alla coppia Pavolini-Hannau che fecero della villa "del Bacchino" un loro punto di riferimento a guerra finita e poi, dal 1961, la loro residenza. Ecco come, con tutte queste frequentazioni toscane, la Hannau abbia potuto utilizzare parole ancora in uso nell'italiano del tempo, adesso segnalate dalla Treccani come semplici "toscanismi" vista la loro odierna più ristretta circolazione.
Restano da citare, in questi miei giri intorno alla coppia, due notiziuole "rosa": l'infatuazione per Corrado Pavolini, prima da parte di Anna Maria Ortese, poi di una sua carissima amica, Helle Busacca. [Interessante e rivelatrice questa pagina di Dario Biagi]. Su questo ramo della ricerca mi sono fermato, perché infiniti altri percorsi mi si sono aperti, relativi ai personaggi della cultura italiana dell'epoca e dei loro rapporti di amicizia, rivalità od odio.
Nonostante le ricerche sul web, non sono riuscito a trovare informazioni certe sulle date di nascita e di morte di Marcella Hannau; ho pensato allora di utilizzare il Copilot di Microsoft Bing. L'Inintelligenza Artificiale si è data da fare ma le date che cercavo non me le ha recuperate; in compenso ha tratteggiato un profilo, sintetico ma efficace, del marito Corrado. Peccato, però, che, da brava Inintelligenza, si sia confusa e abbia scritto i dati relativi ad Alessandro Pavolini, il gerarca titolare del MinCulPop e Segretario del Partito Nazionale Fascista, che fu processato per collaborazionismo, fucilato e poi esposto, insieme a Mussolini e alla Petacci, a Piazzale Loreto...
*Aggiornamento del 29/03/2024: Corrado Pavolini e Marcella Hannau riposano ora l'uno accanto all'altra nel piccolo cimitero del Torreone al sommo della collina di Cortona.
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Alcune mattine, pochissime, giusto perché ho cinque minuti, leggo l'oroscopo. Non lo leggo veramente perché non ci credo e comunque dopo due minuti me lo dimentico. Poi lo leggo di tutti, il mio, l'ascendente, mio marito, mio figlio, mia mamma, mio papà, mio fratello, le mie cognate, mia suocera, la vicina di casa, il giardiniere, il cane di quello di sotto. Uno stamattina diceva: questo inizio settimana sarà rivolto al cuore. Vabbè.
Come sempre me lo faccio io. L'oroscopo di oggi, che vale per tutti, è: dite qualcosa di carino ad una persona a cui volete bene e che è un po' che non sentite.
P.S. Solo per tutti i segni che vivono a Nord: se uscite alle sei di mattina potreste avere la macchina ghiacciata.
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Fu nel parco di un manicomio che incontrai un giovane con il volto pallido e bello, colmo di stupore. E sedetti accanto a lui sulla panca e dissi: "Perchè sei qui?" E lui mi rivolse uno sguardo attonito e disse:" È una domanda poco opportuna, comunque risponderò.
Mio padre voleva fare di me una copia di se stesso, e così mio zio. Mia madre vedeva in me l'immagine del suo illustre genitore. Mia sorella mi esibiva il marito marinaio come il perfetto esempio da seguire. Mio fratello riteneva che dovessi essere identico a lui: un bravissimo atleta. "E anche i miei insegnanti, il dottore in filosofia e il maestro di musica e il logico, erano ben decisi: ognuno di loro, voleva che io fossi il riflesso del suo volto in uno specchio. "Per questo sono venuto qui. Trovo l'ambiente più sano. Qui almeno posso essere me stesso". E di scatto si volse verso me e chiese: "Anche tu sei qui a causa dei buoni consigli?" Ed io risposi:" No, sono qui in visita". E lui disse:" Ah, ho capito. Vieni dal manicomio dall'altra parte del muro".
-K.Gibran, "Il folle"
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Hai deciso tu per entrambi
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Ti conosco da tempo. Siamo sempre stati buoni amici. Si, certo, confesso: ci ho pensato anche io. Spesso. Sei sempre stata bella, molto. Poi, io sono un uomo e ogni uomo quando incontra una donna non ha gli occhi: ha una macchina per la TAC. E se gli piace, poi invariabilmente sogna di averla. Per almeno qualche secondo. Anche se in realtà vorrebbe averla sotto di sé magari per ore. Questo è un dogma. Chi lo nega, mente. Fidati! E se poi lei gli fa capire che ci sta, lui inizia la corte e si va avanti veloce fino a finire a letto. Il prima possibile. Tu un paio di mesi fa, dopo anni di nostra serena consuetudine - eravamo leali compagni di scuola prima e d’università poi - hai deciso di aprire i cancelli della tentazione.
Praticamente, dall’inizio della tua separazione col tuo ex marito t'ho dato la spalla sicura e forte su cui piangere; t’ho supportata per il divorzio e t'ho fatto da confidente-aiutante-autista per risolverti tutti i problemi logistici: la casa, la spartizione, gli avvocati eccetera. Quella sera benedetta, nel pub dove eravamo andati per rilassarci finalmente un attimo, mi guardavi finalmente come non ci fossero stati altri uomini nel locale. Ammiccavi, sbattevi gli occhi di continuo e alzavi verso di me la spalla nuda. Dito in bocca, da scolaretta innocente e viziata. Non ci potevo credere! Non esiste donna più sexy di quella che ti faccia capire molto chiaramente che è disponibile, che ti vuole.
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Parlando di te poi, il cuore mi batteva a mille. Ti desidero in segreto da sempre. Anche quando facevo l’amore con la mia ex moglie, non facevo altro che pensarti. D’improvviso, hai trovato una scusa con gli altri amici e sei venuta via con me; m’hai chiesto d’accompagnarti a casa. Non che loro non abbiano capito cosa stesse succedendo. Ma anche ‘sticazzi: io ti volevo da impazzire. E tu altrettanto, m’era evidente. Fanculo i pettegolezzi. Io sono un musicista e a casa tua hai voluto che ti suonassi qualcosa, mentre ti mettevi comoda; poi d’un tratto sei arrivata. Con un balzo aggraziato ti sei seduta sul piano mezza nuda e ti sei offerta al mio sguardo: eri un capolavoro di femminilità ed eros.
Sprigionavi il profumo naturale del desiderio di donna. Poi ti sei inginocchiata e hai voluto che ti legassi: mi hai confessato, rossa in viso e imbarazzata, che sessualmente tu cerchi l’uomo che domina, quello forte, sicuro di sé. Uno duro, che ti impartisca ordini secchi e ti imponga di soddisfarlo appieno. Adori essere punita, frustata, sculacciata e umiliata. Ti vesti e profumi come una dea solo per lui. Quindi, ti piace essere degradata, spogliata e ridotta a umile servitrice ai suoi piedi. Una pantera fiera ma domata. Malgrado tutto, resti sempre un’anima sofferta ma bellissima. Sei una sottomessa. Non l'avrei mai immaginato: sempre sicura di te, intelligente, orgogliosa.
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M’hai aperto un mondo che neppure sapevo esistesse. Perché dei gusti sessuali e delle preferenze personali semplicemente non si parla mai; non sta bene. Ognuno ha la sua dose di pudore o la vergogna di mostrare la propria fragilità emotiva, il lato dove potrebbe essere ferito. Però è innegabile che ognuno abbia i suoi desideri e le sue sacrosante, legittime preferenze. Alla fine, dopo quasi un decennio, il divorzio con il tuo ex è arrivato inevitabile, perché - ti sei sfogata con me per la prima volta a riguardo - lui sessualmente parlando è come te, cioè un passivo totale e avrebbe voluto che tu lo dominassi. In sostanza, dopo anni di rapporti sessuali pro-forma e sempre più rari, di insoddisfazioni reciproche, in pratica eravate diventati come fratello e sorella.
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Hai scoperto per caso che lui aveva trovato una dominatrice al di fuori del matrimonio. E tu questa menzogna continua e disonesta, una vera e propria mortificazione dell’anima, non l’hai sopportata più. Quindi eccomi qui: nel mio nuovissimo ruolo di macho dominante. Ci sto prendendo grande gusto: quale uomo, con i coglioni gonfi e il testosterone a mille, non desidera una bellissima schiava pronta a soddisfarlo e che non si lamenti mai!?! Sei mia: e ancora non ci credo. Ti tratto come mi pare e piace. Non che sia un sadico, un violento o un tiranno, per carità. Ma a te piace sentire la briglia tirata. Ci godi.
E tu con me sei sempre contenta: perché ogni mia attenzione nei tuoi confronti, positiva o negativa che sia, è comunque un segno del nostro comune coinvolgimento. Un ulteriore trattino d’amore che si aggiunge alla lunga teoria di cose che ormai ci accomunano e ci legano in modo crescente. E che mi stanno facendo innamorare di te ogni giorno di più. Adesso vieni qui e abbeverati, come ogni sera. Godi e fammi godere. Succhiami con grande impegno, puttana ignobile. Ti adoro.
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RDA
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Il progetto del mio matrimonio sta prendendo forma. Dopo 25 anni di convivenza e un figlio,io e il mio compagno ci sposiamo. Ho fatto la richiesta per le pubblicazioni al mio comune e il 12 luglio metteremo le nostre firme. Però ci sposeremo al municipio del paese di origine di mio marito dove andiamo sempre in vacanza in estate. La data è il 2 settembre. I nostri testimoni saranno mio figlio,che tra due settimane diventa maggiorenne,e mia nipote,la figlia di mia sorella. Ci sposerà un’altra nipote,figlia di un fratello di mio marito,con delega del sindaco. Sarà una cosa molto intima,per i famigliari più stretti. Sono molto contenta di questa cosa; dopo qualche anno molto difficile e pesante per me,finalmente mi accadono ancora cose belle
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Ho sognato di andare al tabacchino vicino il Penny e trovarci il proprietario del Gelatiere, che mi regalava un pacco di sigarette e un bidone dell'immondizia e mi raccontava che aveva deciso di ampliare il suo business avviando anche una tabaccheria che (grazie a Dio) stava dando i suoi frutti.
All'improvviso mi accorgo che su uno scaffale della tabaccheria c'è il mio portafoglio, che recupero mentre mi domando come diamine sia stata in grado di dimenticarlo in una tabaccheria. Nello stesso momento, dal magazzino della tabaccheria viene fuori il coreano che fa il recruiter in Squid Game (troppi reel consigliati dedicati a sto tipo su IG).
Vedendolo, decido di pagare il pacchetto di sigarette e andare via. Tornata in strada, incontro Dennis e iniziamo a fare il percorso verso casa insieme. Camminiamo in silenzio per un bel po' fino a quando non noto il coreano di Squid Game poco più avanti a noi.
Dico a Dennis che quel coreano mi sembra una persona veramente strana e decidiamo di fargli qualche domanda. Ci avviciniamo a lui e con una scusa iniziamo la conversazione (stavamo parlando di che lavoro facessimo).
Sorprendentemente, il dialogo fila liscio nonostante io e Dennis parliamo in italiano e il tipo ci risponda in coreano.
A un tratto il tipo, che dice di chiamarsi Kit, incontra sua moglie che si rivela essere una ginnasta olimpica.
Cambio scena.
Sono a casa di Kit e della moglie ginnasta, una casa che occupa letteralmente 3 piani di un grattacielo.
Origlio Kit e la moglie lamentarsi del sistema scolastico italiano. A tal proposito, Kit si lancia in un monologo sull'inutilità dell'opera "Aspettando Godot".
Io mi domando come sia possibile che questi due vivano in una cazzo di reggia nonostante lavorino entrambi come dipendenti di una tabaccheria.
Ma il mistero è risolto il mattino successivo, quando capisco che Kit è invischiato in qualche affare strano per colpa di suo fratello. Infatti dice che il venerdì non poter uscire di casa prima di un certo orario, altrimenti lo ammazzano.
Nel frattempo arriva la sorella della moglie di Kit dalla Corea, lamentandosi che in Italia c'è troppo sole e ha paura di ustionarsi.
Le dico (sempre in italiano) che ho da parte una crema solare protezione 50 della ISDIN e mi offro di regalargliela - anche se si tratta di un flacone vecchio di 3 anni.
Ma quando la moglie di Kit si accorge che questa crema solare è vecchia e usata, dà di matto e decide di cercare un negozio tipo Sephora dove comprare alla sorella la crema solare migliore del mondo.
Però, dal momento che lei non può uscire perché deve stare insieme al marito, vengo incaricata io di andare in questo negozio a comprare la crema solare.
Esco, compro la crema solare ma mentre torno a casa scoppia un temporale potentissimo e io mi infradicio tutta.
Arrivo a casa di Kit e della moglie, che mi aprono sgomenti perché sono tutta zuppa di pioggia.
Mi chiedono perché non avessi l'ombrello, rispondo che era inutile usarlo perché la pioggia era troppo forte.
Kit prende il mio cappotto e dice: "ah, vabbè, tanto questo è impermeabile".
E mi sveglio.
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...Fu nel parco di un manicomio che incontrai un giovane con il volto pallido e bello, colmo di stupore.
E sedetti accanto a lui sulla panca, e gli domandai: “Perché sei qui?”.
E lui mi rivolse uno sguardo attonito e disse:
È una domanda poco opportuna, comunque risponderò.
Mio padre voleva fare di me una copia di sé stesso, e così mio zio.
Mia madre vedeva in me l’immagine del suo illustre genitore.
Mia sorella mi esibiva il marito marinaio come il perfetto esempio da seguire.
Mio fratello riteneva che dovessi essere identico a lui: un bravissimo atleta.
E anche i miei insegnanti, il dottore in filosofia, e il maestro di musica, e il logico, erano ben decisi: ognuno di loro, voleva che io fossi il riflesso del loro volto in uno specchio.
Per questo sono venuto qui.
Trovo l’ambiente più sano.
Qui almeno posso essere me stesso.”
E di scatto si volse verso me e chiese: “Anche tu sei qui a causa dell’educazione e dei buoni consigli?”
Ed io risposi: “No, sono qui in visita”.
E lui disse: “Ah, ho capito.
Vieni dal manicomio dall’altra parte del muro”.
Khalil Gibran
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Non so cosa scrivere eppure mi sento l'anima nebulosa con tante cose dentro che nemmeno so decifrare.
Mi sento stanca e insoddisfatta. Non so cosa sto facendo e mi sento persa in un mezzo a un vuoto: non vedo una direzione, un'obiettivo, qualcosa. Vivo le giornate a comandi: questo mese fai il training, rispondi alle telefonate, fai i colloqui ecc ecc. Per il resto niente più.
Penso alla mia non-famiglia: non sento nessuno da quando sono partita. Va bene così, era quello che volevo ma non vuol dire che mi faccia stare bene. Mia madre e mio fratello sono a fare le vacanze che lei sognava di fare per festeggiare i suoi 50 anni. Mio padre non lo so né mi interessa.
Chiamo e sento solo i nonni - qualche giorno fa li ho videochiamati e mi sono teletrasportata nel mio paesello. Preparavano le cose per il ferragosto, mentre qui è stata una settimana lavorativa normale (e pure pesante per sto training a orari del cazzo).
Con la coppia indiana stiamo organizzando di scalare il monte Fuji il mese prossimo. Era una cosa che non ho potuto fare 5 anni fa, quando le mie conoscenti lo avevano fatto e che io ho proposto. Vediamo.
Mi sento molto a casa con loro. Mi meraviglio di come il sud sia sud in tutto il mondo: danno grande spazio al cibo, condividono sempre, mi chiamano sempre ma allo stesso tempo criticano tutti, sono pettegoli, sono talmente legati al loro cibo da non volerne sapere di nient'altro. Il risvolto della medaglia è che è un sud molto arretrato: ieri abbiamo visto un film e, a quanto pare, è ancora necessario che la donna sia vergine al matrimonio, il matrimonio combinato è ancora comune, le donne devono servire il marito e badare ai figli, sono devotissimi alla religione e mille altre cose che forse non si vedono più dai tempi dei miei nonni.
Penso a quante persone diverse io abbia incontrato da gennaio. In Erasmus ho fatto amicizia con una polacca, una greca e oggi me la rido con degli indiani, oltre a convivere con persone cinesi, messicane, ceche, francesi, americane, italiane e così via.
Paradossalmente sono in Giappone ma il giapponese lo uso pochissimo. Tutti prima di partire mi hanno detto:"Chissà come migliorerai col giapponese adesso" e invece all'estero succede che entri in delle bolle per cui nel tuo quotidiano parli tutt'altra lingua. Parlo in inglese stentato perché noto che se non ho un interlocutore madrelingua non metto sforzo né in pronuncia né in grammatica e parlo come mangio.
Dicevo, ci sono persone di ogni tipo ed alcune si sono lanciate verso il vuoto in questo paese senza sapere niente della lingua. Mi sono ricordata che al primo anno di università rifiutai la borsa erasmus che avevo vinto perché non c'erano più paesi disponibili che parlassero in inglese e per me era impensabile buttarmi in un paese di cui non conoscessi la lingua. Ad oggi lo farei ma sono passati 7-8 anni di vita nel mezzo e sono ormai adulta. Qui ci sono ragazzini di 20 anni stentati e alla loro età non avrei avuto il coraggio.
Per molti, o forse per tutti, questo è un paese di passaggio. Vieni, prendi il visto studentesco di 1 anno e te ne vai a casa, con la possibilità di aver detto di aver vissuto dall'alta parte del globo. Nessuno rimane e a ben dire (anche perché i giapponesi fanno lo stesso). Questo è un posto unico al mondo dove le cose sono così diverse da tutto il resto della normalità che gli studiosi lo hanno definito "Galapagos syndrome": esistono cose solo per i giapponesi perché questa è una società tutta particolare con esigenze proprie. Se non sei abituato a questa vita non riesci a fartene un'abitudine e se ci sei nato non riesci a vivere altrove. È un posto difficile, ben oltre le aspettative della gente comune.
L'altra volta sentivo il podcast de Il Post sui libri giapponesi sempre più amati in Italia e mi fa sempre ridere quella patina di fascino che hanno tutti quando si parla di qui. Mi fa sempre sorridere e far incazzare questa cosa. Il prof Coci intervistato nel podcast ha detto cose storicamente vere ma per come le ha dette erano cagate per me. Eppure anche io ne sono stata vittima e vivo tuttora a mie spese le conseguenze di questa infatuazione.
Così come mi fanno ridere sia italiani e indiani che dicono:"A me interessa solo la lingua, la cultura non mi interessa". Come se le due cose si potessero separare così, all'acqua di rose.
Ripensandoci forse a Rovigo stavo meglio. Chissà se potrò trovare la serenità anche in questo paese.
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Shania Twain
Shania Twain, cantautrice canadese e regina del country pop, è una delle donne che hanno venduto più dischi della storia, più di cento milioni di copie.
Scrive testi che parlano d’amore, di empowerment femminile, descrive spaccati di vita quotidiana e mette in luce, con ironia e sarcasmo, il materialismo e la superficialità del mondo contemporaneo.
Più volte in testa alle classifiche mondiali, tre dei suoi album sono stati premiati come dischi di diamante.
Tra i numerosi premi ricevuti spiccano cinque Grammy Awards, due World Music Awards e ben 39 BMI Songwriter Awards.
È inserita nella Walk of Fame del Canada, nella Walk of Fame di Hollywood, nella Canadian Music Hall of Fame e nella Nashville Songwriters Hall of Fame. Le è stata anche dedicata una Barbie.
Per il suo impegno umanitario e per aver dato lustro alla storia della musica, è stata insignita col prestigioso Ordine del Canada.
Nata col nome di Eilleen Regina Edwards a Windsor, in Ontario, il 28 agosto 1965. Ha avuto un’infanzia difficile vissuta in ristrettezze economiche. Il suo patrigno, che l’aveva adottata insieme alle due sorelle dando loro il cognome Twain, picchiava la madre caduta in depressione che, per un periodo, era anche stata accolta in una casa rifugio per donne maltrattate.
Ha iniziato a cantare nei bar all’età di otto anni per aiutare la sua famiglia. L’esperienza nei locali notturni sono stati la sua prima palestra di vita.
A 13 anni è comparsa in un programma della CBC e ai tempi del liceo era la cantante di una band locale che faceva cover.
Quando, nel 1987, la madre e il padre adottivo sono morti in un incidente d’auto, si è trovata a prendersi cura delle sorelle e del fratello.
Nel 1991 ha firmato il suo primo contratto con la Mercury Nashville Records adottando il nome d’arte Shania, che, in una lingua nativa, significa “a modo mio“.
Nel 1993 è uscito il suo primo album, l’omonimo Shania Twain con cui si è fatta notare e anche criticare nella scena country per i suoi videoclip in cui metteva in mostra l’ombelico.
Due anni dopo, insieme al produttore Robert Lange, che intanto aveva sposato, ha pubblicato The Woman in Me rimasto per mesi al primo posto nelle classifiche country e che ha venduto dodici milioni di copie, vinto un Grammy e ottenuto due premi dall’Academy of Country Music.
Come on Over, del 1997, ne ha consacrato il successo internazionale. Rimasto in classifica per due anni consecutivi, con i suoi 40 milioni di copie, è stato il disco di musica country più venduto di tutti i tempi che le ha portato quattro Grammy.
Da allora la sua carriera musicale è stata tutta in ascesa, tour mondiali, importanti collaborazioni, i suoi brani usati per importanti campagne pubblicitarie e serie tv.
Una vita non priva di intoppi e arresti, ha superato la malattia di Lyme e un lungo periodo di depressione ma si è sempre rialzata, con la grinta e l’ironia che la contraddistinguono.
Nel 2011 è stata protagonista di un reality dal titolo ‘Why Not? with Shania Twain‘ andato in onda sul canale americano ‘OWN’ di proprietà di Oprah Winfrey. Nel corso del programma, ha ripercorso tutte le tappe della sua vita, anche quelle dolorose causate dal divorzio col marito, l’infanzia e la difficile adolescenza.
Il 3 maggio dello stesso anno è uscito From This Moment On, il suo libro autobiografico.
Dal 1º dicembre 2012 è stata presenza fissa per due anni di seguito al Caesars Palace di Las Vegas con lo spettacolo residente Shania: Still the One.
Nel 2017 ha pubblicato l’album Now, seguito da un anno di tour promozionali prima di accettare la seconda residenza a Las Vegas Let’s Go! , che ha aperto il 6 dicembre 2019 che si è conclusa il 10 settembre 2022.
Nel luglio 2022 è stato pubblicato un documentario Netflix che ripercorre la sua carriera intitolato Not Just A Girl.
Il 3 febbraio 2023 è uscito il suo sesto album in studio, Queen of Me.
Shania Twain ha partecipato a concerti che hanno fatto la storia, a numerose trasmissioni televisive e recitato in serie tv e diversi film.
Ha sgomitato per farsi apprezzare oltre la sua bellezza e avvenenza fisica ma è stata di ispirazione per tante giovani musiciste, prima tra tutte, Taylor Swift.
È vegetariana e da anni vive in Svizzera.
Nel 2010 ha creato Shania Kids Can, organizzazione che si occupa di assistenza all’infanzia. Sostiene una serie di enti di distribuzione alimentare per persone indigenti.
È una donna grintosa, partita dal niente che è diventata una delle star più potenti del mondo musicale.
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💔
"Fratello alcolizzato, se sei stanotte al punto in cui io fui, ridi di cuore, amico.
Non sei arrivato in fondo, sei giunto al termine delle tue pene.
Ridi, è la fine delle tue sofferenze.
Se tu vuoi".
E io ho voluto, ho desiderato con tutto il mio essere di mettere fine a questa mia sofferenza, a questo mio " morire lentamente".
Ma ero sola, in un paese che non è il mio, con un bambino piccolo e un marito alcolista.
Quando mio figlio dormiva, uscivo, compravo il vino, rientravo in fretta, bevevo.
Non vedevo l'ora che arrivasse la sera per mettermi seduta in poltrona, davanti alla TV e bere in pace.
E bevevo, bevevo, bevevo.
Una persona che non è alcolista direbbe "E' una pazzia!!!".
Oggi io dico "E' una malattia".
Coloro che ci sono passati lo sanno.
Coloro che non sono alcolisti e sono intelligenti possono capire vagamente.
Gli altri non capiscono e ci giudicano male.
Io non mi rendevo conto di quel che mi accadeva, gli altri non capivano e io non sapevo che loro non potevano capre...
Momenti terribili!!!
Ma poi arrivò il giorno che entrai nel gruppo, solo loro mi hanno spiegato che ero malata, che non ero una bestia senza cuore, che non ero una viziosa, ero semplicemente malata.
Dico "semplicemente", perchè a differenza delle persone che soffrono di malattie incurabili io posso salvarmi, io posso vivere se lo desidero.
E ho desiderato con tutta me stessa.
Mi sono affidata, e loro mi hanno ridato la vita quella vita che fino a poco tempo prima navigava nell'alcol; e non solo questo: mi hanno insegnato cos'è la libertà, mi hanno insegnato ad essere forte, ad essere umile.
Oggi la mia vita è cambiata.
Sono felice di essere sobria.
Mi appassiono a tutto quello che succede, il mio bere mi rovinava la vita.
La sobrietà mi restituisce il gusto di vivere e la serenità di morire un giorno come una persona libera.
Tutto ciò è partito da un atto di umiltà:
"Mi chiamo ..... e sono un alcolista.
Cit.
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(seconda parte)
È così che sono diventata la moglie del figlio del padrone e sono entrata a far parte della loro famiglia.
Niente più lavoro come segretaria, vita comoda, denaro per ogni capriccio.
È un marito deliziosamente sottomesso a me, che mi riverisce e che mi è devoto.
Mi basta mostrargli il piedino inguainato nel nylon, o nudo e impreziosito di smalto rosso fuoco, per averlo scodinzolante in ginocchio davanti a me.
Il rovescio della medaglia? Ce n’è sempre uno….
Come scoprii quello stesso giorno in ufficio, quando dopo essermi fatta leccare, lo sollevai di peso e lo spinsi sulla scrivania, abbassandogli i pantaloni, pronta a scoparmelo, il mio maritino è impotente e il suo pene resta troppo piccolo per dare piacere a una donna come me.
In compenso, si dà un gran da fare con bocca e lingua e ha imparato a leccarmi molto bene e a lungo.
Non è la stessa cosa direte. Certo, e infatti ho trovato rimedio, senza dover cercare troppo lontano, e senza rischiare di perdere tutto per un banale adulterio.
A me provvede il fratello minore di mio marito, molto ben dotato e molto sensibile al fascino di sua cognata….come scoprii la notte stessa del matrimonio….
(2/fine)
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