#Ho mai detto al Cielo che sei bella?
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Hai novant’anni. Sei vecchia, piena di acciacchi. Mi dicono che sei stata la più bella ragazza del tuo tempo e io ci credo. Non sai leggere. Hai le mani grosse e deformate, i piedi induriti. Hai portato sulla testa tonnellate di stoppie e legna, laghi d’acqua. Hai visto nascere il sole ogni giorno. Con tutto il pane che hai ammassato si potrebbe imbandire un banchetto universale. Hai allevato persone e bestie, ti sei messa i maialini nel letto quando il freddo minacciava di gelarli. Mi hai raccontato storie di apparizioni e di lupi mannari, vecchie questioni di famiglia, di un morto ammazzato. Trave della tua casa, fuoco del tuo focolare, sette volte incinta, sette volte hai partorito.
Non sai niente del mondo. Non ti intendi di politica, né di economia, né di letteratura, né di filosofia, né di religione. Hai ereditato un centinaio di parole pratiche, un vocabolario elementare. Con questo sei vissuta e vivi. Sei sensibile alle catastrofi e anche ai fatti di strada. Nutri grandi odi per ragioni che non ricordi più, e grandi dedizioni basate sul nulla. Vivi. Per te, la parola Vietnam è appena un suono barbaro che non si confà al tuo cerchio di una lega e mezza di raggio. Della fame sai qualcosa: hai già visto una bandiera nera issata sul campanile della chiesa (me lo hai raccontato tu, o avrò sognato che me lo raccontavi?). Porti con te il tuo piccolo bozzolo di interessi. E, tuttavia, hai gli occhi chiari e sei allegra. Il tuo riso è un fuoco d’artificio colorato. Come te, non ho mai visto ridere nessuno.
Ti sto davanti, e non capisco. Sono della tua carne e del tuo sangue, ma non capisco. Sei venuta al mondo e non ti sei curata di sapere che cos’è il mondo. Arrivi alla fine della vita e il mondo, per te, è ancora quel che era quando nascesti: un interrogativo, un mistero inaccessibile, una cosa che non fa parte della tua eredità. Cinquecento parole, un fazzoletto di terra di cui si fa il giro in cinque minuti, una casa di tegole e pavimento di terra battuta. Stringo la tua mano, passo la mia mano sul tuo viso rugoso e sui tuoi capelli bianchi, rovinati dal peso dei fardelli — e continuo a non capire. Sei stata bella, dici, e vedo bene che sei intelligente. Perché allora ti hanno rubato il mondo? Chi te lo ha rubato? Ma questo forse lo capisco io, e ti direi il come, il perché e il quando se solo sapessi scegliere delle mie innumerevoli parole quelle che tu potresti comprendere. Però ormai non ne vale la pena. Il mondo continuerà senza di te e senza di me. Non ci saremo detti l’un l’altro quel che più importava.
Non ce lo saremo detto, davvero? Io non ti avrei dato, perché le mie parole non sono le tue, il mondo che ti era dovuto. Resto con questa colpa di cui non mi accusi — ed è ancora peggio. Ma perché, nonna, perché ti siedi sulla soglia della porta, aperta sulla notte stellata e immensa, sul cielo di cui nulla sai e nel quale mai viaggerai, sul silenzio dei campi e degli alberi attoniti, e dici, con la tranquilla serenità dei tuoi novant’anni e il fuoco della tua adolescenza mai perduta:
« Il mondo è così bello,
e io ho tanta pena di morire! »
E’ questo che non capisco
ma la colpa non è tua.
José Saramago - "Di questo mondo e degli altri"
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Aveva gli occhi che parevano quelli di un demone infuocato. Guardateli questi occhi. Guardateli.
Sono stata sabato scorso a trovare questo signore a Castellarano di Reggio Emilia. Castellarano è anche una bella cittadina. Che nemmeno te la immagini. Ci si arriva prendendo l’autostrada che attraversa Modena. Sassuolo. Eccetera. Eccetera. Passi anche per una cosa chiamata CeramicLand. Perché qui sta il cuore della produzione della ceramica.
Castellarano invece in zona collinare sulla riva sinistra del fiume Secchia, è un borgo storico fluviale molto suggestivo, tra vicoli in pietra, slarghi e piazzette restaurate, case e palazzi ben tenuti. Solo che. Solo che anche qui ci sono le case occupate.
Arrivo a casa di questo signore ghanese che non paga l’affitto e che ha il contratto scaduto da oltre un anno e mezzo che è quasi mezzogiorno. La proprietaria gli suona il campanello. Ma lui non vuole scendere. “Vieni tu su”, le dice. Io lì per lì sono titubante poi dico: “Ok andiamo. Andiamo su”. L’aria era pure solforosa. Pressante.
Gli chiedo perché non se ne sia ancora andato, come mai con un contratto scaduto da oltre un anno lui sia ancora lì. Gli chiedo perché nonostante un’ordinanza di sfratto lui continui a rimanere fregandosene di tutto. E di tutti. Fottendo la gente. Fottendo lo Stato. Poi. Poi gli dico: “Allora tu riconosci di avere un debito verso questa donna”. Donna che tra l’altro è disperata. Non sa come fare per tirare a campare. Questa casa era la sua pensione. E ha fatto perfino lo sciopero della fame. Lui mi dice: “Sì sono 3 mila euro”. Io gli dico di no. Gli dico che gliene deve oltre 16 mila. Ma lui. Lui in un baleno esplode. E i suoi occhi si fanno rossi. Vermigli. Cremisi. Sembravano palle infuocate che saettano nel cielo. In un lampo sembrano deflagrare. Paiono venire fuori dalle palpebre che contengono gli occhi. Le sue pupille erano dilatate. Il suo iride era ingigantito di rabbia e violenza. I suoi nervi hanno iniziato a ingrossarsi. E le sue vene erano gonfie di collera. A un certo punto ha iniziato a gocciolare sudore e a me son tremate per un attimo le gambe. È esploso in un “No! No! No! Nooooooo”. E lo diceva così bilioso, iracondo, che pareva impossibile tenerlo. Da lì ha iniziato a farneticare. A gesticolare. E in preda a un violento turbamento ha iniziato a bestemmiare. Gli ho detto: “Stai bestemmiando e dici anche di essere cristiano”, e lui ha continuato. Credeva di incutermi timore ma non ho fatto né un passo indietro. E nemmeno un passo avanti. Sono rimasta di marmo. Ho continuato a fissarlo dritto negli occhi. E lui all’improvviso. All’improvviso ha iniziato a guardarmi. A fissarmi. A squadrarmi. Mi guardava il volto. Il seno. Le gambe. Le braccia. Mi fissava come a dire: “Io sono un uomo. Tu una donna”. Ma non gli ho dato retta. Aveva lo stesso sguardo che un felino riserva alla sua preda. Questa non è gente che viene in Italia e si converte al Cristianesimo di punto in bianco. Nel loro profondo la donna è considerata un essere inferiore. Come fosse una gallina. Fatto sta che questo signore continua a occupare una casa che non è sua. Continua a non pagare soldi alla proprietaria. Continua a fottersene di tutto. Tanto da che può chiedere sei mesi e il giudice magari glieli concede. Sa che avrà lo Stato dalla sua parte. Sa che i suoi diritti, a differenza della proprietà privata, sono garantiti dalla sciatteria e dal pressapochismo e dall’inefficacia e inefficienza delle nostre leggi. Questa è tutta gente che i talebani dell’accoglienza proteggono.
Buonisti col culo degli altri. Fino a che non occupano casa tua.
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Questa sera c'è una calma piatta, bella, che quasi non sono più abituata. Mi aspetto sempre che debba succedere qualcosa - deve succedere qualcosa, me lo sento, è dietro l'angolo - e tutta quest'immobilità mi destabilizza.
A volte mi convinco che prima o poi il cielo - che stasera mi è così caro - mi cadrà addosso. Se continuerò a fissarlo, se i miei occhi non si sposteranno altrove, la luna e tutti gli astri piomberanno giù, fino ad inghiottirmi in qualche buco nero. È un pensiero che faccio sin da bambina, quando mi sdraiavo sui sedili posteriori della macchina di mio padre e facevo finta che il cielo fosse la strada di una città lontana lontana.
"Ora mi cade addosso" mi dicevo e ad un certo punto non esistevo più nell'automobile ma ero una stella ad illuminare la mia città - lontana lontana.
Poi un giorno qualcuno mi ha detto che alcune stelle si sono spente da un pezzo ma che noi non lo sappiamo perché vediamo ancora la loro luce. Ho pensato alla magia di un cielo scuro che si accende in riva al mare o sul tetto del mondo, a come gli angoli bui possano prendere fuoco semplicemente spostandosi un po'.
Mi sono ricordata che una sera, in auto, ero una stella e non ho mai smesso di esserlo. Però mi sono spenta e la mia luce continua a viaggiare nello spazio e nel tempo. Te ne sei accorto? Guardandomi da vicino noteresti che ciò che vedi è un riflesso di qualcosa che non esiste più.
Forse sto solo aspettando di cadere giù - questo cielo che sprofonda e si poggia sugli occhi di me bambina - perché poche volte mi sono spostata per permettermi di prendere fuoco.
Questa sera c'è una calma piatta, bella, che quasi non sono più abituata. E infatti cado giù, come il cielo, come la luce che una volta era mia.
Che ero io.
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Hey B, te la ricordi quella sera? Era un giugno di due anni fa, poco dopo aver iniziato il Servizio Civile. Tu ti trasferisti a Verona ed i weekend passavano dolci e lenti tra le vie del centro e la tua camera nell’appartamento di Via Montorio. Le cene d’asporto di Burgerino, con il sacchetto colorato e tutti i cuccioli di animali carini carini. È stato in quelle notti che ho capito di amarti come non avevo mai amato prima. Qualsiasi ragazza ci fosse stata prima di te, non era che una pallida rappresentazione dell’amore. Siamo passati dal gelo dell’inverno padano all’incandescenza dell’estate veronese, assorbendo ogni nostro cambiamento ed il nostro viverci. E per me sei sempre stata la donna più bella di sempre, che fossi sepolta sotto strati di cappotto e sciarpa o nuda tra le lenzuola. Il tuo profumo fa ancora parte del mio DNA e non se ne andrà mai.
Ebbene, te la ricordi quella notte di giugno? Mi facesti una sopresa: ti trovai fuori della biblioteca, bella e sorridente come sempre e sentii sciogliersi ed esplodere la vera felicità dentro di me. Mi avevi fatto uno scherzo: avevi detto che saresti andata in Sardegna ed io ormai non mi aspettavo di vederti per quel weekend, invece eccoti lì. E mi fai: andiamo al mare?
Giusto il tempo di cambiarmi e siamo partiti, la nostra colonna sonora recitava “E te ne vai al mare, ma poi mi mangi il cuore. E non è sangue ma ripieno all’amarena, notte di luna piena, vampiri alla mia schiena”. Sembrava scritta per noi.
In quel periodo, tra covid ancora presente ed inizio estate, le strade erano un po’ vuote e mangiammo una pizza in un ristorante carino. Poi ci facemmo due passi tra le laterali buie che portavano alla spiaggia e ci distendemmo con un asciugamano sulla sabbia. Il cielo era perfetto e si vedevano le stelle. Ricordo di aver pensato che fosse tutto perfetto e che la vita fosse meravigliosa. Riuscimmo a vedere anche più di una stella cadente: robe da romanzo. Tanto che, se fossimo stati davvero soli, avremmo fatto l’amore sotto le stelle per poi addormentarci abbracciati. Quando il sonno rischiava di farci addormentare per davvero, tirammo su le nostre cose e ci avviammo alla macchina, dove proprio non riuscimmo a resistere. Ci prendemmo a vicenda e lo facemmo in modo ardente, vorace, da strapparci il torace per scoparci a vicenda l’anima. Solo a pensarci ho i brividi. Quella sera tornammo poi a casa, dormendo stretti in camera mia con poche ore di sonno davanti, ma felici come nessuno dei due lo era veramente stato.
B, io con te ho imparato cosa fosse l’amore vero. Con te, sono sicuro di aver amato nel vero e più profondo senso del termine. Non smetterai mai di mancarmi. Ti ho davvero lasciato il mio cuore, perché da due anni non sento più niente nel petto. Niente. Un teschio tatuato sul cuore ne è la testimonianza. Dove prima scorreva sangue e passione, ora restano i calcinacci gelidi di un passato che non andrà più via.
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Penso a mamma Aghi e mi viene da piangere da giorni, mi scendono le lacrime al pensiero del suo sguardo buono, il suo accento che fa così ridere, l’amore che prova per te, che forse è un po’ quello che provo anch’io; al fatto che mi abbia “vista” davvero, credo, insieme a tuo papà. Lasciare loro e la tua casa in Puglia ha fatto più male a me che a te. Mi è sembrato di dover lasciare un pezzo di me che ancora non sapevo di avere, e certamente è rimasto lì. Mi chiedo sempre come possa non toccarti, come possa non mancarti quel posto e i tuoi genitori. Penso a ieri sera, quando eravamo già tornate a Milano e mamma Aghi al telefono ti ha chiesto di me, e insieme a tua zia ti ha detto “Aurora è molto dolce, sembra un’anima buona, gentile”. “Un’anima”. Mi hanno vista. Penso alla carezza che mi ha dato tuo papà, quel minuscolo istante in cui mi ha tenuto la mano, prima di salutarlo e andare ai controlli in aeroporto. Ci ha accompagnato fin dove poteva. Ho riconosciuto quel farsi vecchio che è lo stesso del mio papà e avrei voluto abbracciarlo, non lasciarlo mai. Chissà se provava lo stesso anche la tua ex, se si volevano bene allo stesso modo, o se lei era più simile a te. So per certo che non sarà mai me. Mi scendono tante lacrime. La vita è così fragile, ci penso in questi giorni più che mai, e mi si spezza il cuore al pensiero che non la amo come dovrei, che non riesco a capirne il senso come vorrei, per viverla e viver(e me) al massimo. Però in questi giorni, a tratti bui e dolorosi, mi sono riconosciuta per davvero, lì in Puglia, dopo tanto tempo, e mi sono voluta bene profondamente per il mio modo di vivere le cose. Non conosco nessuno come me. E a volte mi fa paura che tu non lo sia, come sono io, che non viviamo per niente con la stessa sensibilità. Chissà se l’hai letta davvero, se l’hai capita, la mia lettera. Non avrei voluto andare via. La vostra casa mi ha fatto sentire sempre in compagnia, mai sola, e mi ha fatto dormire ridere mangiare serenamente come non succedeva da tanto. I giardini, il terrazzo, tutte le cene con Very e Chiara e i tuoi genitori, le piante attorno, la luna che ci guardava piena dalla contentezza in mezzo al cielo, il vostro roseto. Tuo papà che dava l’acqua a ogni pianta, ogni sera. Tua mamma che, per sbaglio, una volta mi ha chiamata Eleonora, tutti che da allora mi chiamate così, e io, che lo sento come se fosse il mio vero nome. “Cresciuta nella luce”. La mia luce siete stata voi. E poi i giri notturni, il gelato alla Nutella del bar Marty, quello alla cassata per tua mamma, Vale e Federica, il bagno con loro, i bagni con te, amore mio, tutta la pazienza che hai, il modo in cui sopporti le mie paure e talvolta le accarezzi, i nostri baci. Il sole sulla pelle, il segno del costume a fine giornata, la nostra spiaggia. Quella cena in quella masseria speciale, Lecce, tutta Lecce, le polpette piccanti al formaggio del ristorante messicano, Otello, i pasticciotti. Ogni volta che mi hai guardata. Ma tu sei la più bella. La nostra cameretta con i nostri lettini, le nostre docce insieme, le scale per raggiungere ogni stanza, le polpette di uovo di tua mamma, i panzerotti, i cornetti alla mattina. Le dormite infinite, le notti insonni e dolorose, di quel dolore e di quella paura che non sentivo da tanto tempo, l’alba che arriva, il desiderio e la necessità di averti con me, che supera tutto. Ti amo. Spero ti ricorderai delle mie parole. Spero le rileggerai e le capirai. Spero di essere importante almeno la metà di quanto lo è stata lei. Di più non posso, lo so. Io non scorderò niente, ho le lacrime agli occhi ancora una volta al pensiero di quanto, ad ogni parola, tutto questo sia sempre più lontano, ma è nel mio cuore per sempre. Mi prometti che ci torniamo tutti gli anni? Me lo prometti? Per favore
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Ieri ho visto l'aurora boreale.
Casa mia - lontana dalla città e dalle sue luci, dai rumori e dalla fretta - è immersa nel verde di un parco meraviglioso, fitto, selvaggio, pieno di animali e da cui osservare le migliori albe.
Stavo sistemando la cucina, distratta dalla musica e dalla conversazione appena avuta, non ho alzato gli occhi per scorgere il cielo dalla finestra. D'altronde erano le 22:30, era buio.
Lui era uscito fuori a fumare e portare i calici nel portico.
Poi la musica si è interrotta.
"E, vieni subito" mi ha detto.
"Hai tolto il mio pezzo preferito" gli ho risposto sbuffando, un po' assonnata.
"Vieni" ha continuato.
"Ma che vuoi?" ho domandato innervosita dall'insistenza.
Sono uscita sul portico pronta a rispondergli a tono. Poi mi sono bloccata. Davanti a me, il cielo blu notte si era tinto di sfumature rosa, violacee, azzurre. Le stelle splendevano su questa tela pittoresca. Ed io ho pensato ad Aurora, a quanto mi mancasse, a quanto fosse unica e vera la nostra amicizia. Forse era un suo modo per dirmi che c'era, che c'è, che non si è dimenticata di me, ovunque sia. Pensavo a lei, pensavo a quanto fosse bella la natura, a quanto il cielo fosse mozzafiato e ho sentito le guance rigate da lacrime di commozione. Aurora era con me.
Poi i miei occhi si sono spostati su di lui. Stava in silenzio a guardare in adorazione il cielo. Tra le dita lunghe, il drummo veniva consumato dal vento e le spirali di fumo salivano su. I pantaloni neri gli fasciavano perfettamente le gambe e la vita stretta, la camicia di tela indiana era sbottonata e lasciava intravedere il petto e l'accenno di addominali. La notte lo illuminava e sotto quella luce argentea, sotto quel cielo colorato, sotto l'aurora, non riuscivo a smettere di guardarlo. Aveva un profilo particolare: zigomi alti ma lineamenti dolci, pelle liscia, senza barba. Mi piaceva il naso importante e amavo gli occhi scuri che si spostavano ogni tanto su di me. Eravamo entrambi persi a guardarci e guardare il cielo.
Non avevo mai visto l'aurora. Vederla con lui, sul portico di casa mia, con due calici di vino, mi sembrava la cosa più intima al mondo. Il cielo non si guarda con chiunque.
"Perché piangi, malak?" mi ha chiesto.
Forse aveva ragione lui. Forse Dio esiste e il paradiso pure. Forse mi ha perdonata per i miei peccati. Forse Aurora me lo sta urlando con tutta la bellezza della natura. Forse, merito la pace anche io.
Mi ha trascinata tra le sue braccia. Io davanti a guardare l'aurora, lui dietro con le braccia attorno alla mia vita ad assicurarsi che stessi bene. Siamo rimasti ad osservare quelle sfumature per un tempo infinito, senza parlare. Ogni tanto mi posava qualche bacio sulla spalla e mi sistemava il cardigan per assicurarsi che non sentissi freddo.
"G?" ho rotto quel silenzio religioso.
"Mh?" mi ha risposto girandomi delicatamente il volto per costringermi a guardarlo.
"Sei bello" gli ho confessato.
Ha riso ed ha aperto il vino, porgendomi un calice.
"Tu sei un angelo"
Abbiamo fatto cin cin e bevuto. Non staccava i suoi occhi dai miei.
Era davvero bello, ma io non ero di certo un angelo come gli piace tanto chiamarmi.
Ho sorriso sorniona e ho posato il calice sul tavolino. Mi sono avvicinata spingendolo giù e costringendolo a sedersi sul divano in vinimi. Ero su di lui.
Ben presto i nostri vestiti erano sparsi ovunque.
L'aurora mi sia testimone. Ho perso la testa.
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11 nov 2023 20:02
“MALEDETTO IL GIORNO IN CUI INCONTRÒ SCHICCHI” - ROSANNA, LA MAMMA 82ENNE DI MOANA POZZI: “QUANDO INCONTRÒ LUI ENTRÒ IN QUEL MONDO ORRIBILE. LE DICEVO DI NON SPOGLIARSI, DI NON FARE QUEI FILM BRUTTI. MA LEI MI DICEVA CHE QUEI FILM NON PIACEVANO NEMMENO A LEI. ERA RELIGIOSA, NON CAPIVO COME POTESSE FARE QUELLE PORCHERIE. BETTINO CRAXI? NON MI PIACEVA. LE CHIEDEVO COME FACESSE A STARE CON QUEL VECCHIACCIO. VEDERE UN SUO FILM? MAI FATTO, MI SENTIREI MALISSIMO” - LE CENERI NASCOSTE, “IL FIGLIO” MAI ESISTITO E...
Estratto dell’articolo di Giovanna Cavalli per il “Corriere della Sera”
«Le ripetevo: “Non spogliarti, non li fare quei brutti film”. Dio sa se ci ho provato a convincerla, non c’è stato santo. “Mammina, non ti arrabbiare, tanto lo so che mi vuoi bene lo stesso. In fondo non piacciono nemmeno a me”. E rideva, aveva denti bellissimi. “Come sei antica. Anche le statue sono nude. Metteresti il reggiseno pure a Paolina Bonaparte”. Litigavamo. Le passava subito. “Quelle parole cattive che ti ho detto, dimenticale, non ne pensavo nemmeno una”.
Impossibile non amarla. [...] Non devo perdonarla di niente, quello spetta solo a nostro Signore».
Rosanna Alloisio, 82 anni, casalinga piemontese, è la madre di Moana Pozzi, iconica diva del porno, morta all’Hôtel-Dieu di Lione il 15 settembre del 1994, a 33 anni, per un tumore al fegato. «I primi tempi mi illudevo che da un momento all’altro mi avrebbe telefonato. Invece no. Sarà andata in un posto migliore, dove spero sia felice».
[...]
Adolescente complicata?
«No, anche se a 16 anni aveva già il corpo da donna, alta un metro e 78, prosperosa, non metteva minigonne o scollature, però attirava i ragazzi. “Oddio”, mi preoccupavo. Ero sola, mio marito, ricercatore nucleare, non c’era mai. Quando andava in balera stavo sveglia finché non rientrava, ma droghe non ne ha mai prese, non fumava e nemmeno beveva».
A 18 andò a vivere a Roma.
«Per studiare recitazione. Noi eravamo di stanza a Bracciano. C’era un alberghetto lì vicino. Vennero a girarci una commedia con Edwige Fenech. Moana passò, la notarono. “Bella come sei, potresti fare del cinema”. Ero contraria. “Prima finisci di studiare”. Cominciò a posare come modella per i pittori. Qualche particina, la tv. Noi sempre in trasferta, ci si vedeva poco o niente. Non so come o dove, un giorno purtroppo incontrò quello Schicchi. Ed entrò in quel mondo orribile. “Perché lo fai? Non ti rendi conto, finirai nel baratro”. Glielo spiegai in tutte le lingue. Però anche la migliore delle madri alla fine si stanca. “Non ti preoccupare, mamma, poi smetto”».
Invece continuò.
«Quando si ficcava in testa qualcosa andava fino in fondo. In paese, non le dico, c’era da vergognarsi a uscire. Nessuno ci mancava di rispetto però, specie per mio padre, era una pena. “Siamo una famiglia per bene, abbiamo sempre camminato a testa alta”. Moana restava zitta».
Felice?
«Non lo so. Con i primi soldi comprò un piccolo appartamento dietro San Pietro, con un terrazzo pieno di fiori. E un attico sulla Cassia, pareva la casa di una principessa. Andavamo a pregare sulla tomba di Papa Roncalli, il suo preferito. Era molto religiosa. Ho ritrovato la sua patente, nella foderina teneva una foto di Giovanni XXIII, una di Pallino, il suo cagnolino bianco, l’immaginetta di Santa Rita da Cascia. In camera da letto due quadri della Via Crucis, Il Cristo deriso e Ecce homo . “Come puoi fare quelle porcherie, allora?”, insistevo. “Sono diversa da come pensi tu. Ma resto sempre la tua Moana”».
L’ha mai guardato un suo film a luci rosse?
«No, per l’amor del cielo, non potrei sopportarlo, mi sentirei malissimo».
Con Bettino Craxi.
«Non erano solo amici. Lui non mi piaceva. “Come fai a stare con quel vecchiaccio?”. “È intelligente, gentile, si prende cura di me”. “Ti credo”, pensavo. Cercava la figura paterna che non ha avuto. Per mio marito io e le figlie eravamo soltanto una scocciatura, questa è la verità. Una volta Moana tornò a casa con una maglietta da uomo, enorme. “Me l’ha lasciata Bettino”. “Oddio, sembra quella di un ippopotamo”. “Dai, mamma, cosa importa?”. Lui diventò geloso, lei frequentava altri. Si sono lasciati».
Da ragazza ha avuto un figlio, Simone, che per anni fu creduto suo fratello.
«Non era suo figlio. Non ne ha mai voluti. “Si vergognerebbero di me”. Non è nemmeno mio, ma è come se lo fosse, sopravvivo per lui».
Eppure fu Simone a raccontarlo in un libro.
«Consigliato da una cattiva fidanzata che lo convinse a cercare pubblicità. Ma è un ragazzo d’oro, se n’è pentito».
A un certo punto Moana sposò Antonio Di Ciesco.
«Sedicente marito. Matrimonio a Las Vegas, con una pergamena a fiorellini. Un nullafacente, le faceva da autista. Si strafogava di ostriche con i soldi di mia figlia. Ha aspettato che morisse per registrarlo, lei lo avrebbe ucciso. Sul certificato di morte c’era scritto “nubile”».
La malattia.
«Era quasi Pasqua. Moana tornò a casa. Mi chiedeva sempre di prepararle i ravioli di carne e la cima alla genovese in brodo. “Mettici tanta maggiorana”. Quella volta però non toccò cibo. “Sono due mesi che ho sempre la nausea, se mangio vomito, mi sale la febbre. Sono stata in Africa, forse ho preso un virus”. Aveva gli occhi un po’ gialli. I dottori dicevano che era un’epatite mal curata. La convinsi a fare qualche accertamento a Lione con un medico nostro amico. Le hanno trovato il tumore al fegato. Però era fiduciosa. “Vedrai, mi curo e guarisco”. Voleva vivere. In sette mesi se n’è andata».
Gli ultimi giorni con lei.
«Quanto ha sofferto, ma era una leonessa. Aveva ripreso peso. Nel letto d’ospedale, mi mostrò le gambe. “Sono tornate com’erano”. Due giorni prima di morire mi chiese di toglierle lo smalto alle mani, per metterne uno trasparente. “Ai piedi lasciami quello fucsia”. Con l’aiuto di un’infermiera si lavò i capelli, con tubi e flebo attaccati. Parlavamo, ridevamo, ero convinta che si riprendesse. “Appena esco ci trasferiamo in campagna e apro una libreria”. Quando è morta era serena, ancora bella, le ciglia lunghissime. “Non metto nemmeno il mascara”. Sembrava che dormisse».
Voleva essere cremata.
«Al cimitero non c’è, ho ritirato io le ceneri, ma dove sono non lo dirò a nessuno».
Chi era davvero Moana?
«Una ragazza fuori dal comune, un enigma. Faceva del bene pure ai sassi. Leggeva tanto, amava i classici, poi non so cosa è successo. Ancora oggi mi chiedo dove ho sbagliato, me ne faccio una colpa. Il parroco dice che non devo, che è così che era scritto in cielo. L’ho sognata soltanto una volta. Vestita di bianco, con una borsetta d’argento, scalza. “Sei senza scarpe”. “Dove sto andando non servono, è un bel posto, si sta bene”. E mi ha sorriso».
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Vorrei tanto parlarti, sfogarmi e dirti quello che provo ogni volta che mi guardi. C’è un turbinio di emozioni, dalla più bella alla più dolorosa, tutte contemporaneamente. E quella che ricordavo essere felicità, adesso è solo tachicardia e voglia di piangere, perché so, sono consapevole di star mandando via l’amore della mia vita senza far nulla per farlo restare. Per trattenerlo ancora un po’.
Sai, da quando ci siamo lasciate, non vivo più. Forse ti sembra strano e stupido da dire, mi vedi quasi sempre felice. Però come te lo spiego che ho perennemente un peso sul petto? Non posso soffermarmi più di due minuti a guardarti o mi viene una nostalgia tale da bloccarmi il respiro; non posso più ascoltare le nostre canzoni, sono inorecchiabili adesso; non posso fare, dire o guardare nulla perché tutto mi ricorda te o qualcosa che abbiamo fatto insieme. Sei sempre con me, lo sai? Per quanto tutto questo faccia male, penso a te per sollevarmi il morale, stringo il tuo codino, levo e rimetto il tuo anello come se potessi farlo tu al posto mio. Dormo tutte tutte le notti con Super Fuffi, ormai senza non riesco più. Una sera mi sono addirittura addormentata abbracciandolo mentre piangevo, immaginavo di avere te al suo posto. Ho pianto un po’ più forte, un po’ per quello che era successo e un po’ perché per un attimo mi sono sentita tra le tue braccia e c’è stato odore di casa, il tuo. Delle volte vorrei dirti che vorrei dimenticare tutto, vorrei dimenticare tutto quello che mi fai provare, vorrei dimenticare quanto mi fai felice facendo una minima stronzata, dimenticare quanto io sia gelosa perché tu sei proprietà mia e questo non cambierà mai, dimenticare quanto io ogni giorno abbia voglia di baciarti e accarezzarti, vorrei poter dimenticare quanto mi piaccia sospirare il tuo nome mentre mi dici che sono bella. Ho tante cose da dirti, te l’avevo già detto, da quando non ci sei io non parlo più con nessuno. Non mi fido, non ci riesco. E non riesco nemmeno più con te. Forse ogni tanto mi esce qualche frase, ma il quadro completo non lo dirò mai. Non puoi vedermi così debole, non me lo posso permettere. Non adesso. Non più. L’orgoglio mi mangia viva da quando ci siamo lasciate ed io non faccio altro che peggiorare. Tu mi facevi bene, mi hai migliorata tanto.
Sai, vorrei tu sapessi quanto mi siano piaciuti questi due anni e mezzo insieme, non mi pento di nulla. Sono stata davvero felice, mi hai resa la persona più felice del mondo con poco e nulla. E ti ringrazio, ti ringrazio tanto perché mi hai fatto capire davvero cos’è l’amore. Non avrei mai immaginato che il mio primo vero amore fossi tu. Ci vorrà tanto per farti uscire da questo cuoricino. Me lo son fatta a pezzi da sola e adesso vorrei solo vedere te felice senza avere me in testa. Vorrei vederti andare avanti con un’altra persona, vorrei tu mi dimenticassi per poter tornare a stare bene. Lo vedi, la tua felicità viene sempre sempre prima della mia. È sempre stato così e sarà così a vita.
Non so se tutto questo vuol dire dirti addio per sempre o realizzare di volerti tener stretta il più possibile, so che avevo bisogno di “parlarti” e dirti almeno un minimo di quello che mi dicono testa e cuore.
L’ultima cosa, criaturè.. ho tanto bisogno di fare l’amore con te. Io sono tua, lo sono sempre stata e come andranno andranno le cose tra noi, sarò sempre la tua principessa. Questo non cambierà mai. Appartengo sempre a te.
Un giorno ci arriveremo a vivere insieme, a Londra o in Germania, come preferisci tu. Avremo una casa tutta nostra, dei bambini e un cane, come piace a noi. Ci sveglieremo ogni mattina insieme e capiremo i drammi di ogni genitore con i propri figli. Sarò tua moglie, posso giurarlo su Dio. Ed io posso dirti che solo in quell’istante capirò cosa vuol dire seriamente toccare il cielo con un dito. Mi piacerebbe addormentarmi stanotte e svegliarmi domani mattina con te accanto, darti il bacino del buongiorno e alzarmi per andare a scuola, non prima di averti svegliata con i bacini ovunque e il caffè a letto. Invece stanotte mi toccherà sognare di nuovo, con la mente che forse cadrà ancora e mi farà fare altri incubi, chi lo sa. Mi dispiace per tutto questo, piccrè.
Voglio solo che tu capisca che l’ho fatto per noi, perché sono convinta che ritorneremo. Non so tra quanto, ma sarà così. Perché io e te siamo fatte per stare insieme, per essere una coppia.
Ti amo dal 20 Febbraio 2021, ti amerò sempre.
Per sempre tua, Ale.
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E quella volta tu sei andata sola Con un biglietto ma di sola andata E mi hanno detto che ci cerca trova Ma non san da quando io ti ho cercata Con me la sorte non è sempre buona Forse sono sulla cattiva strada Io mi sento come al primo giorno di scuola Messo alla prova io sto in cerca di te Perché ti penso ogni volta Alla mia vita hai dato un senso di colpa E non è chiodo schiaccia chiodo Tu sei un chiodo fisso Se per chi odio ho fatto un disco Son fuori di testa Un po' fuori luogo Mai visto un cantante che è fuori dal coro Fuori di me sto fuori da loro Più che dischi Io cerco persone d'oro Se è vero che
Ho la tua foto nella tasca Che piange lacrime di carta Ora so bene quanto costa Restare soli ad una festa Il cielo è terso A San Lorenzo Sarà diverso perché Se fuori è estate dentro è inverno Nessuno è come te Noi cadiamo giù Cadiamo giù, cadiamo giù Giù cadiamo giù, cadiamo giù
Quella volta ti ho rivista ancora Così diversa ed io così lontano Tu bella come quando è estate a Roma Ma fredda come l'inverno a Milano
E ti darei la mia vita Anche se è un po' in salita Puoi cancellarmi ma il mio nome Non è scritto a matita Sei la canzone preferita nella radio Che mi fa restare in auto Fin quando non è finita E so che è strano ma Mi manca ridere e sembrare stupidi Da quel colpo di fulmine Non son passati i fulmini Forse perché tu hai gli occhi come i sogni Grandi E invece io c'ho gli occhi come i sogni Lucidi
Ho la tua foto nella tasca Che piange lacrime di carta Ora so bene quanto costa Restare soli ad una festa Il cielo è terso A San Lorenzo Sarà diverso perché Se fuori è estate dentro è inverno Nessuno è come te Noi cadiamo giù Cadiamo giù, cadiamo giù Mille volte Giù cadiamo giù, cadiamo giù In una notte
Noi siamo una canzone Che ascoltavi per ore Quando fuori piove Sotto le coperte Io Faccio testa o croce Tra la testa e il cuore Se la scelta migliore Ormai non so qual è
Ho la tua foto nella tasca Che piange lacrime di carta Ora so bene quanto costa Restare soli ad una festa Il cielo è terso È San Lorenzo Sarà diverso perché Se fuori è estate dentro è inverno Nessuno è come te Noi cadiamo giù Cadiamo giù, cadiamo giù Mille volte Giù cadiamo giù, cadiamo giù In una notte Giù cadiamo giù Cadiamo giù Giù cadiamo giù Cadiamo giù
Alfa, Annalisa, Yanomi
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In questo momento ti sto odiando tantissimo. Perché? Perché mi rendo conto che probabilmente mi fai ancora un grosso effetto e da quanta ansia ho mi si chiude lo stomaco o mi vengono i conati di vomito. Perché quel giorno sei entrato nella mia vita, quel giorno di 5 anni fa. Perché mi hai fatto soffrire in una maniera incredibile, che per di più non augurerei nemmeno al mio peggior nemico. Come hai detto tu tanto tempo fa, mi hai portata altissimo, a toccare il cielo, le stelle e l’universo intero, per poi mollarmi all’inferno appena ne hai avuto l’occasione. Mi hai distrutta e te ne sei andato via, senza dire nulla, senza dare spiegazioni. Facendomi credere che sia io il problema, che sia io a pretendere troppo. Senza pensare che magari sarebbe stato un problema da affrontare insieme perché si, io pretendevo troppo ma tu non mi davi nulla, e non mi davi nemmeno certezze e sicurezze. Perché io ti amavo proprio perché mi facevi sentire al sicuro rispetto a tutto il resto del mondo perché con te sapevo di poter essere me stessa al 100%, sapevo che non mi sarei mai dovuta nascondere in nessun modo e che mai e poi mai mi avresti trattata male, presa in giro, giudicata, esclusa, abbandonata… e invece. Siamo arrivati alla fine della nostra relazione con cosa? Con te che… Mi hai abbandonata… E io che se per caso ripenso a te, se ricordo quello che eravamo, non riesco a ricordare perché fossi cattivo con me e nemmeno come lo fossi… Sai, è strano, riesco a ricordare praticamente tutte le cose belle ma quelle brutte no. Io vorrei ricordare soprattutto quelle perché sono quelle che mi hanno fatto più male e quelle che teoricamente mi aiuterebbero a superarti con più “facilità”. Pensa te, quanto sono malata, a volte mi passano nella testa delle immagini di noi, insieme, che passeggiamo, in treno, a Praglia, in quartiere, a casa, ai campi… Se ripenso ai litigi, ai momenti brutti, l’unica cosa che mi viene in mente è il giorno di quel giugno 2020 in cui ti ho parlato al telefono dopo averti tartassato per avere concessa solo una telefonata dopo un’intera giornata in cui il massimo che sei riuscito a dire è stato “non ho niente da dire e non ho voglia di dire nulla” eri così pieno ed esausto di me che nemmeno mi volevi parlare. Come è possibile che avessi provato Amore per me, io non lo so . Almeno non in quel momento. E dopo averti detto che io così non potevo andare avanti, averti strappato altre due parole che hanno fatto più male di qualsiasi altra cosa, e averti sentito dire che “questa volta è diverso, tranquilla che non torno più” abbiamo riattaccato e io sono crollata a terra, in lacrime, per la disperazione e il dolore che stavo provando. Di nuovo. Ci ho messo tantissimo a “riprendermi” e a tirarmi su… E continuo a chiedermi e a non capire perché hai voluto farmi tutto questo. Tu hai voluto avvicinarti a me nel 2016, tu mi hai continuato a scrivere per un anno facendo sì che mi affezionassi a te, tu nel 2017 sei diventato la cosa più bella che avessi e sempre tu, nel 2019 hai mandato tutto a puttane, senza nemmeno provare a parlarmi… Le relazioni si fanno in due, io ci ho messo il mio cuore, fino alla fine. Ti ho amato come credo non amerò molte persone nella mia vita. Eri il mio migliore amico, il mio amante, il mio confidente, la mia roccia, il mio sostegno, il mio tutto. Ma da un momento all’altro hai deciso che no, non andava più bene, che non mi amavi più, che non avevamo caratteri compatibili… Senza pensare che, magari, se ci avessimo tenuto davvero, con calma un modo lo avremmo trovato. Perché se si vuole un modo lo si trova sempre.
22 ottobre 2022, 10:26
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Chi l’avrebbe detto che saresti arrivato tu a stravolgere ogni mio pensiero?
Non eri nei miei piani, assolutamente.
Tu nel tuo mondo ed io nel mio, in un attimo ci siamo trovati incastrati uno nell’anima dell’altro, senza il tempo di capire se stessimo correndo troppo, i nostri cuori si sono presi per mano ancora prima di noi.
Ho passato giorni a piangere senza sosta, a chiedermi perché dovessi soffrire in quel modo, giorni in cui non facevo altro che darmi colpe, notti insonni e risvegli con gli occhi gonfi, poi mettevo piede sul nostro posto di lavoro e il tuo sorriso mi scuoteva dentro, fermava ogni pensiero e mi faceva sorridere.
Ricordo perfettamente la sensazione di sorridere in quel momento orribile, sembrava acqua fresca in una giornata di caldo infernale, una boccata d’aria durante una crisi di panico. Sei stato sospiri di gioia, sei stato allegria e spensieratezza. Sei stato tanto senza neanche saperlo e mi hai salvato da ogni mio cattivo pensiero, mi hai salvato e non lo sai.
E mi salvi tuttora.
Non hai fatto altro che disattivarmi quell’insopportabile angoscia per otto ore e mi hai portato leggerezza. Hai cullato il mio momento buio senza sapere che lo stessi affrontando, ti sei fatto spazio tra i miei pensieri più profondi e in punta di piedi ti sei preso cura del mio cuore e l’hai ricucito, piano piano, con tanta dedizione e pazienza. L’hai riparato in ogni angolo e l’hai riempito di amore, hai curato la sua frequenza cardiaca e l’hai fatto battere nel modo giusto, dopo dieci maledetti anni di stupide, inutili e strazianti crisi di panico.
Sei arrivato e il mio cuore ha deciso di funzionare. E non sai cosa farei per poterti ringraziare come davvero meriti.
Io ti guardo e non ci credo ancora di meritarmi così tanta perfezione, ti guardo e non c’è niente altro al mondo che amerei più del tuo sorriso, dei tuoi occhi che formano le grinze quando ridi e Dio solo sa quanto mi fanno impazzire. Non c’è altro al mondo di piu perfetto delle tue labbra che sembrano disegnate da Picasso solo per me, labbra che saprei descrivere a memoria.
Continuo a guardarti, senza sosta, amando ogni centimetro che ti caratterizza, conoscendo a memoria ogni tuo neo, adorare offri tua smorfia e soffermarmi su quei particolari che dedichi solo a me, che sono solo miei, che conosco solo io.
E a quel punto ci guardiamo, ci sorridiamo occhi negli occhi e io potrei fermare il tempo, sentire quello sguardo addosso che mi fa volare tre metri sopra al cielo e starei ore a vivermi quella sensazione, che per un attimo, un attimo soltanto, mi sento bella per come mi guardi e soprattutto sento fin dentro le ossa l’amore che provi per me ed era proprio questo che desideravo: amare incondizionatamente ed essere amata in egual modo.
Mi sono resa conto, Amore Mio, nel momento in cui mi hai stretto forte a te, di aver vissuto 26 anni a mani vuote e adesso invece ci sei.
Mi giro e ci sei.
Ci sei sempre, c’eri anche prima. Ci sei adesso e so che ci sarai.
Se solo potessi farti vedere cosa sei agli occhi miei, saresti meno autocritico con te stesso e impareresti ad amarti un po’ di più, non hai idea di quello che sei, non riuscirò mai a fartelo capire a pieno però se posi il tuo orecchio sul mio petto, il mio cuore saprà urlarti tutto il suo amore senza riserva alcuna e potrai ripararti da ogni brutto pensiero rifugiandoti nella mia braccia che seppur piccine, sapranno coccolarti e proteggerti da ogni cosa.
Con tutta la gratitudine dell’universo,
A te che sei la mia sola salvezza.
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Non è stato facile accettare
Non è stato facile accettare
Non è stato facile accettare ANTOLOGIA VOL. 264 Iannozzi Giuseppe AMICO D’ARME E DI CUORE Fante, Amico d’Arme e di Cuore, che alle donzelle gliene facesti delle belle, dove sei mai stato per sì lungo tempo? Fra le brume del tempo ti cercavo sempre dimandando allo Straniero se t’avesse incontrato in compagnia o da solo a invocar l’Ebreo Errante Non uno seppe dirmi quale la tua fine, se in Terra…
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#a un somaro#amico d&039;arme e di cuore#antologia vol. 264#Coda di Volpe#confesso#dall&039;alto in basso#giorno di novembre#Ho mai detto al Cielo che sei bella?#Iannozzi Giuseppe#luna bella#mai credesti in me#piano di jazz#poesie di Iannozzi Giuseppe#Salomè
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Alle persone più importanti della mia vita, io ho associato una canzone. Non sempre gliel’ho detto, non sempre gliel’ho dedicata davvero. Alle volte è solo un ritornello che avevo in testa in un momento condiviso. Il mio migliore amico, ad esempio, per me è Those nights degli Skillet; mio fratello True love di P!nk. Beh ecco, tu non lo sai, ma per te io ho fatto una playlist intera. Ho ritrovato te, noi in troppe canzoni. Non me ne sono neppure accorta, l’ho fatta inconsciamente; senza cercarle, senza sforzarmi. Dapprima erano solamente due (Superclassico e Ferma a guardare), che ho ascoltato a ripetizione per settimane; poi se ne sono aggiunte altre, nuove, che volevo sentire subito dopo quelle. Così, in un battito di ciglia, si è creata una vera e propria raccolta. E sai, non sono canzoni inglesi, nonostante io ami i testi stranieri, ne cerchi il significato quando mi sfugge e poi le impari a memoria per saperle cantare correttamente. Sono tutte canzoni italiane; di nuovo, è stato probabilmente il mio subconscio ad agire per me, pensando che avresti colto la bellezza e i riferimenti di quei testi solo se li avessi compresi. E visto che tanto non avrò mai modo di dedicartele, ascoltarle con te sottolineando una frase particolare o cantarle assieme, ho deciso che raccoglierò qui le strofe più belle. Ma anche quelle che sono un pugno nello stomaco ogni volta.
Superclassico, Ernia “Ora che fai? Mi hai fregato, così non si era mai sentito. Io dentro la mia testa non ti ho mai invitata. Vorrei scappare che sei bella incasinata... Ma poi ti metti sopra me e mi metti giù di forza, Sembra che balli ad occhi chiusi, sì, sotto alla pioggia. Poi stai zitta improvvisamente... Ti chiedo, «Che ti prende?» Tu mi rispondi, «Niente» Dio, che fastidio.”
Ferma a guardare, Ernia ft. Pinguini Tattici Nucleari “Poi lo facevamo forte, in piedi sulle porte Dici: «Non ti fermare» Però io guardo le altre E so che d'altra parte Non lo puoi perdonare. Sotto il tuo portone tu m'hai chiesto se ci sto A salire ed era solo il primo appuntamento. Nello stesso punto dopo mesi io ti do Dispiaceri e tu mi stai mandando via dicendo «Non mi fare mai più del male. Ora non voglio più parlare Perché non so restare Ferma a guardare Te che scendi giù dalle scale e te ne vai»”
Pastello bianco, Pinguini Tattici Nucleari “Ti chiedo come stai e non me lo dirai, Io con la Coca-Cola, tu con la tisana thai Perché un addio suona troppo serio E allora ti dirò bye bye. Seduti dentro un bar poi si litigherà Per ogni cosa, pure per il conto da pagare. Lo sai mi mancherà, na-na-na-na.”
Ridere, Pinguini Tattici Nucleari “E non ho voglia di cambiarmi, Uscire a socializzare... Questa stasera voglio essere una nave in fondo al mare. Sei stata come Tiger: Non mi mancava niente E poi dentro m'hai distrutto Perché mi sono accorto che mi mancava tutto. Però tu fammi una promessa Che un giorno quando sarai persa Ripenserai ogni tanto a cosa siamo stati noi.”
Nonono, Pinguini Tattici Nucleari “E spettinata resti qua Perché la più grande libertà È quella che ti tiene in catene. I pugni in faccia che mi dai Li conservo nell'anima Accanto a tutti i "ti voglio bene". Ieri mi sono svegliato (no, no, no) Erano circa le tre. Quando il telefono non ha squillato, Io l'ho capito che eri te. Hai detto: «Impara a vivere da solo» (No, no, no) Ma solo ci sapevo stare. La mia solitudine era un mondo magico Che io ti volevo mostrare.”
L’odore del sesso, Ligabue “Si fa presto a cantare che il tempo sistema le cose, Si fa un po' meno presto a convincersi che sia così. Io non so se è proprio amore Faccio ancora confusione. So che sei la più brava a non andarsene via. Forse ti ricordi... ero roba tua. Non va più via L'odore del sesso, che hai addosso. Si attacca qui All'amore che posso, che io posso... E ci siamo mischiati la pelle, le anime e le ossa Ed appena finito ognuno ha ripreso le sue. Tu che dentro sei perfetta Mentre io mi vado stretto. Tu che sei la più brava a rimanere, Maria, Forse ti ricordi, sono roba tua.”
Andrà tutto bene, 883 “Io e te chi l'avrebbe mai detto. Io che avevo giurato che non avrei fatto Mai più il mio errore di prendere e via Buttarmi subito a capofitto In un'altra storia impazzire per la gloria, Io no. Mi spiace ho già dato E l'ho pagato. Però sta di fatto che adesso son seduto con te In un'auto a dirti all'orecchio che Andrà tutto bene non può succedere Niente di male mai a due come noi.”
Ad occhi chiusi, Marco Mengoni “Da quando ci sei tu Non sento neanche i piccoli dolori. Ed oggi non penso più A quanto ho camminato per trovarti. Resto solo adesso, mentre sorridi e te ne vai Quanta forza che mi hai dato non lo sai e spiegarlo non è facile. Anche se non puoi tu sorridimi; Sono pochi, sai, i miracoli Riconoscerei le tue mani in un istante. Ti vedo ad occhi chiusi e sai perché Fra miliardi di persone ad occhi chiusi hai scelto me.” Sai che, Marco Mengoni “Eravamo davvero felici con poco, Non aveva importanza né come né il luogo. Senza fare i giganti E giurarsi per sempre... Ma in un modo o in un altro Sperarlo nel mentre.” Sembro matto, Max Pezzali “Il tempo si ferma quando siamo assieme Perché è con te che io mi sento bene. Voglio quei pomeriggi sul divano In cui mi stringevi e respiravi piano. Ho perso te e la mia armatura di vibranio. Sembro strano... Sembro matto, matto. Come un tornado hai scompigliato tutto, Mentre dormivo lì tranquillo a letto Hai fatto il botto, dopo l'impatto.” La paura che, Tiziano Ferro “La lacerante distanza Tra fiducia e illudersi È una porta aperta E una che non sa chiudersi. E sbaglierà le parole Ma ti dirà ciò che vuole. C'è differenza tra amare Ed ogni sua dipendenza. "Ti chiamo se posso" O "Non riesco a stare senza". Soffrendo di un amore raro Che più lo vivo e meno imparo. Ricorderò la paura che Che bagnava i miei occhi Ma dimenticarti non era possibile e Ricorderai la paura che Ho sperato provassi, provandola io Che tutto veloce nasca e veloce finisca.”
Vivendo adesso, Francesco Renga “A te che cerchi di capire E che provi a respirare aria nuova. E non sai bene dove sei. E non ti importa anche se in fondo lo sai che ti manca qualcosa. Amami ora come mai, Tanto non lo dirai. È un segreto tra di noi. Tu ed io in questa stanza d'albergo A dirci che stiamo solo vivendo adesso.”
Duemila volte, Marco Mengoni “Vorrei provare a disegnare la tua faccia Ma è come togliere una spada da una roccia. Vorrei provare ad abitare nei tuoi occhi Per poi sognare finchè siamo stanchi. Vorrei trovare l'alba dentro questo letto, Quando torniamo alle sei, mi guardi e mi dici che Vuoi un'altra sigaretta, una vita perfetta Che vuoi la mia maglietta. Che vuoi la mia maglietta. Ho bisogno di perderti, per venirti a cercare Altre duemila volte, Anche se ora sei distante. Ho bisogno di perdonarti, per poterti toccare Anche una sola notte.”
Ma stasera, Marco Mengoni “Senza di te nei locali la notte io non mi diverto. A casa c'è sempre un sacco di gente ma sembra un deserto. Tu ci hai provato a cercarmi persino negli occhi di un altro, Ma resti qui con me.”
Dove si vola, Marco Mengoni “Cosa mi aspetto da te? Cosa ti aspetti da me? Cosa sarà ora di noi? Cosa faremo domani? Potremmo andarcene via, dimenticarci Oppure giocarci il cuore, rischiare. Fammi respirare ancora, Portami dove si vola, Dove non si cade mai. Lasciami lo spazio e il tempo E cerca di capirmi dentro. Dimmi ogni momento che ci sei. Che ci sei, che ci sei.”
Venere e Marte, Marco Mengoni “Certe storie brilleranno sempre ed altre le dimenticherai. Ci sono cose che una volta che le hai perse poi non tornano mai. E se già ti dico porta le tue cose da me Non dirmi è troppo presto perché Io ti prometto che staremo insieme, senza cadere, E ogni mio giorno ti appartiene. Ti prometto che inganneremo anche gli anni Come polvere di stelle filanti. E sarà scritto in ogni testo Che niente può cambiare tutto questo. Incancellabile... ogni volta che mi guardi. Posso farti mille promesse o ingoiarle come compresse E mandare giù queste parole senza neanche sentirne il sapore. Questo mondo da soli non è un granché; sì ma neanche in due. Però con te è un po' meno buio anche quando il cielo è coperto di nuvole. E aspettavi smettesse di piovere, ma sei rimasta tutto il giorno, Io speravo piovesse più forte perché è bello riaverti qui intorno. Certe storie diventano polvere, non ti resta nemmeno un ricordo. Altre invece nonostante il tempo ti restano addosso.”
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E' che davvero nelle notti prendi le somiglianze di ciò che ho sempre desiderato. In altre diventi quasi non - umana, con una sostanza magica e fantasiosa. E divento piccola, piccola prendendoti come cuscino personale per poi stringerti; e non fa niente se fuori dovessero fare 45 gradi. Nelle albe in cui quando sei sveglia prima di me, sei lì con il gomito appoggiato sul letto e stesa su un fianco mentre mi guardi. I nostri occhi così vicini. Non so te, ma stanotte ho avvertito la scena di come stiamo stese sul nostro nido d'amore. Il nostro sussurrare parole, baci nel buio ed il tocco di mani fino allo stringersi ed appartenersi. In questa notte poteva anche esserci un forte temporale lì fuori, avrei sentito solo e soltanto i tuoi respiri, sospiri e sorrisi. E sì, sento anche i tuoi sorrisi. Non so come sono quando ti dormo accanto, perché quando chiudo gli occhi è te che vedo. (e tu lo sai)..e allora ti chiedo: tu com'è che mi vedi? L'amore costruito sempre dalle basi, costruito sempre dalle fondamenta ha l'anima leggera ed una voce distesa come la mia quando ti parlo: perché quando sai a cosa vai incontro per te, a cosa non respingi le cose devono andare sempre bene ed hai già delle risposte. Tu non è che mi insegni qualcosa, tu mi insegni tutto. I nostri punti d'incontro costanti, i nostri sigilli al legame non stanno facendo altro che incorniciare quello che si è quando si sta in due. Nella vita ci si può innamorare delle persone, il fatto è che sono gli scheletri negli armadi condivisi con quella persona lì a fare la differenza. L'accumulo di macerie, i fantasmi che vediamo e/o sentiamo di cui si ha paura...sì, paura..ma...amando. Solo amando davvero. E tu mi credi che non ho mai amato una persona non dico quanto ma come amo te?
L'amore rincoglionisce. Quanto è bello sentirmi rincoglionita. Solo a pensarti, ho sempre capito davvero che cosa stavo provando e di quanto cresceva, aumentava. Mi son spogliata davanti a te senza nessun ego, sono come la tua anima che ama incondizionatamente.
E tutto ciò che ancora non ti ho detto lo sto lasciando nell'aria con la sua forza di gravità, si manifesta e si trasforma in tantissime forme per cercarti e trovarti. Sempre con il cuore ed i suoi boom, anche quando resta calmo. Tu che non sei il mio passaggio, tu che assomigli tanto alla memoria incancellabile dell'idea che mi son sempre fatta sull'amore. Rimane stretta la mia mano nella tua, perché al mondo non c'è niente che valga come un solo momento passato con te. Il mondo ti lascia sempre i miei pensieri delicati, ottimo messaggero come il mare...come il cielo.
Condividere tanto...tanto oltre semplici conversazioni, di cose intime veramente.
Anima bella ti ama dell'amore non astratto, ma palpabile..indecifrabile.
Ilaria Sansò
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C’ho messo tanto tempo ad accettare ogni caduta, ogni pianto, ogni distruzione verso me stessa. C’ho messo tanto tempo sai, ad abituarmi alla solitudine quando si è in due. C’ho messo tempo a comprendere il mio vuoto che mi lacerava dentro. C’ho messo tempo a conoscermi, ad amarmi, a volermi bene. C’ho messo tempo sai? Ad accarezzare il mio dolore.. a smettere di pensare perché mentre piangevo eri tranquillo. Prima mi chiedevo come facevi a dormire tranquillo mentre io non riuscivo a dormire a causa delle lacrime, dei pensieri brutti, degli incubi dove tu mi abbandonavi. Non ricordo il momento esatto dove ho detto “lo amo” , venne tutto così naturalmente.. e ti ho amato e basta. Ti ho amato più della mia vita, più di me, più degli amici e della famiglia. Eri la persona più bella della mia vita, vivevo per il tuo amore, vivevo aspettando “ci vediamo?” .. vivevo dei tuoi ti amo. Vivevo di questo, anche quando tu non mi amavi ancora.. ma io lo sapevo dentro che amavo io per due e mi andava pure bene. C’ho messo tempo a capire che io non stavo vivendo affatto, ero in una bolla da cui non sapevo uscire per paura. Paura di non provare più quell’amore, di diventare un cuore di pietra. Ed è proprio lì , quando tu mi hai dato per scontata che hai iniziato a perdermi. Non so cosa è scattato in me, quella notte del 4 agosto. Ma qualcosa dentro il mio cuore si era rotta, e quell’amore diventò odio. Ti odio per il male che mi hai causato, per i pianti, per le urla sotto casa , per la disperazione, per tutte le volte che ho urlato sola in macchina, per tutte quelle volte che ti pregavo di restare con me e non restavi mai. Ti odio per avermi fatto diventare tutto ciò che io ho sempre odiato, ti odio perché mi hai cambiata. Non so più provare amore, non so più voler bene, non so più fidarmi, non so più piangere. Adesso provo solo tanto rancore. Ti guardo e vedo il te che mi ha resa ciò. Ma, quando ci siamo rivisti ammetto che rimanere della mia idea quando mi sei arrivato davanti con quegli occhi grandi, quei occhi verdi che ho amato per anni, con quel sorriso bellissimo e quella risata, è stato a dir poco difficile. E ho ceduto. Ho cercato di riprendere tutto quell’amore che avevo perso. Mi hai sorpresa con il tuo essere così te stesso, con il nuovo te stesso. La persona che avevo aspettato per tutta la vita. Così diverso da tutti gli altri. In quell’aeroporto tutto il dolore si era annullato. Volevo te. E ho continuato a volere te. Solo che più passava il tempo e più quella magia si mischiava al rancore. Alla paura di soffrire di nuovo. Perché io ho paura. Tanta. Che al solo pensiero le lacrime scendono. Il solo pensiero del dolore di prima , mi fa ancora tanto male e questo mi ha fatto capire che io ancora non l’ho superato. La nostra storia non è stata una primavera, so di amarti ma non ti posso chiedere di aspettarmi. Quindi ti dico, vai. Vivi. Divertiti. Te lo meriti, adesso sei una persona che merita tanto dalla vita. Non meriti in questo momento me. Sono troppo ferita per dare amore a una persona. Non so amare. Il pensiero dell’amore, mi fa solo male. Voglio solo isolare il mio cuore, ripararlo. Se io e tu, siamo destinati un giorno all’amore nostro ci ritroveremo. Perché quando prenderemo strade diverse, il mondo sarà sempre rotondo. Perché ovunque tu sarai e io sarò, guarderemo lo stesso cielo. Perché c’è sempre quella parte di me che spera che ci ritroveremo una seconda volta, anche se il tempo ci avrà cambiato perché sarà come la prima volta che ci siamo conosciuti. Ci ritroveremo a metà dei rimpianti, senza rancore del passato e con un amore forse mai finito. E dico forse, impareremo a tenerci senza perderci mai più .
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3 set 2023 19:57
“È ARRIVATO IL MOMENTO DI DIRE A NICOLA PIETRANGELI CHE HA ROTTO I COGLIONI” – LA VERSIONE DI ADRIANO PANATTA DOPO L’INTERVISTA A CAZZULLO SUL "CORSERA" DELL’EX CAPITANO PIETRANGELI – “NON L’HO MAI TRADITO. LE CRITICHE ALLA DOCU-SERIE "UNA SQUADRA"? LUI SVILISCE TUTTO E TUTTI. PORTA RANCORE E HA UN EGO SPROPOSITATO. E' UNO CHE DISSE A GIANNI RIVERA: SEI FORTUNATO CHE NON HO SCELTO DI GIOCARE A PALLONE..." - PIETRANGELI DICE CHE NON L’HA INVITATO ALLA FESTA PER I 70 ANNI: “MA NON C’ERA NEANCHE BERTOLUCCI. NON POSSO STARE DIETRO ALLE PATURNIE DI NICOLA...” -
Estratto dell’articolo di Gaia Piccardi per il Corriere della Sera
«Aridagli...». Pare di vederlo, Adriano Panatta, a bordo piscina dell’omonimo Tennis club a Treviso con l’intervista di Aldo Cazzullo a Nicola Pietrangeli sul Corriere in grembo, e gli occhi al cielo.
Adriano, alla soglia dei 90 anni Nick Pietrangeli ha due chiodi fissi: Licia Colò e lei.
È che quando diventi molto anziano, perdi la memoria. La verità è stata raccontata nella docu-serie Una Squadra di Procacci, che Nicola svilisce. Ma lui svilisce tutto e tutti, è una vita che lo fa».
La trasferta in Cile, la maglietta rossa contro Pinochet, la Davis conquistata nel ‘76: i temi di un’esistenza.
«Io capisco che possa confondere, in quel contesto storico, un gesto politico per una sceneggiata: lo conosco. La maglia rossa non la capì nessuno, incluso Pietrangeli. Mimmo Calopresti ne fece un bel film. Capisco che possa inciampare nell’obbrobrio di mettere sullo stesso piano Allende e Pinochet: lo conosco. Dice che ho le gambette come Berrettini, vabbé. Avendo avuto 1400 donne sarà stanco però ha ancora la voglia di far sapere a tutti che è stato il più forte e il più bello. È arrivato il momento di dire a Nicola, con simpatia e senza giri di parole, che ha rotto i coglioni».
Come un fiume carsico sotterraneo scorre affetto, però.
«Massì, a Nicola gli si vuole bene, spero campi altri 90 anni però ha scocciato con questo modo di porsi. Il suo, più che affetto, sembra rancore. Non è mai stato tenero né con me né con i miei compagni di Davis: a me questo non piace. Io non ho mai messo in piazza le mie storie e i miei successi, parlo bene di tutti, soprattutto delle donne: è la mia legge. Ma come regalo per i 90 anni glielo dico: Nicola caro, sei stato il più figo però a un certo punto bisogna rendersi conto che verremo dimenticati».
L’ha invitata alla cena di gala, l’11 settembre al Circolo Canottieri Roma?
«Sì ma non andrò: non posso. Faremo una cosa insieme a Bologna con la squadra del ‘76, durante la Davis».
Rivendica di avervi portati in Cile, contro tutto e tutti.
«È vero, si battè tantissimo, gliel’abbiamo riconosciuto mille volte, è stato detto e ridetto. Lui ha sempre questo atteggiamento e non ci fa bella figura: vuole il merito di tutto ma quella Davis, a Santiago, la vinsero i giocatori in campo. Io ho 73 anni, dirigo un circolo, non posso stare dietro alle paturnie di Nicola né far polemica ogni volta...».
Pietrangeli dice che non l’ha invitato alla festa per i 70 anni.
«Ma non era una festa, era una cena! Io, mia moglie Anna, i miei figli riuniti a Forte dei Marmi. Non c’era neanche Paolo Bertolucci!».
Dice che lei, Adriano, per lui figlio unico era un fratello.
«Io un fratello e una sorella ce li ho. Mio fratello di tennis è Paolo: siamo cresciuti insieme. Ma Nicola l’ho frequentato da adulto. Anche la nostra rivalità è un film nella sua testa: sarà durata un anno, ne abbiamo 17 di differenza! Lo sconfissi agli Assoluti del ‘70, è finita lì. Poi l’ho ritrovato in Davis come capitano».
Dice che si sente tradito.
«Aridagli. Io non avevo il potere di esonerare nessuno, la verità è che Nicola c.t. dopo la Davis non lo voleva più nessuno, dal presidente Galgani ai giocatori. Era diventato insopportabile e indifendibile. Bitti Bergamo è arrivato dopo. Ma che sta a dì?».
Sembra che non riesca ad accettare di essere stato destituito dai suoi ragazzi.
«Nicola ha un ego spropositato. È uno che ha detto a Rivera: sei fortunato che io non abbia giocato a pallone... Però non riesco a volergli male».
Dice che una sera, a Cortina, lei pianse sulla sua spalla.
«Forse gli ho detto che mi era dispiaciuto, di certo non ho mai pianto sulla spalla di nessuno. Né mi sono scusato: scusarmi di che, poi?».
(…)
Ma è così bello arrovellarsi nell’impossibilità di arrivare a una risposta che accontenti tutti.
«Spero di eguagliare il suo record di longevità, però basta. Le grandi imprese dello sport non danno l’immortalità. Tutto finisce e passa. Ed è giusto che sia così».
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