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#Fusiones Musicales
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CONCERT A Paris: Sous le Charme de Charlotte Dipanda, Un Rendez-vous Musical Aux Folies Bergère
La chanteuse d’origine camerounaise, Charlotte Dipanda, après avoir annoncé la sortie de son dernier album intitulé CD, disponible sur toutes les plateformes en ligne nous donne rendez-vous pour son retour tant attendu sur la scène parisienne via sa page Facebook. L’événement majeur est prévu pour le vendredi 12 avril 2024, aux Folies Bergère. Je suis très heureuse de vous annoncer que mon…
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elettrisonanti · 2 years
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🎥#ELETTRITV💻📲 Bene ragazzi saluto tutti mi chiamo Giovanni Frezza, questa e’ la mia bottega di liuteria, costruisco chitarre e bassi artigianali, siamo a Civita Castellana sulla sull’area archeologica del santuario arcaico dell’Apollo dello Scasato di Faleri Veteres...
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coffee-con-leche-sf2 · 5 months
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☀️ ☀️ SUNSHINE AIRPORT ☀️☀️
Este es el dibujo que se usa al final y en la portada del Sunshine Airport Fusion Collab dibujado por mi 😼😼
Link:
youtube
Hacer este dibujo fue bastante importante para mí porque siento que luego de ya casi 3 o 4 años de haberme adentrado más a la comunidad de siivagunner y empezar a rippear finalmente pude lograr dejar una marca importante aún que sea en un fan channel de alto nivel como lo es silvalatinagunner 🥹🫶🏽
Estoy muy orgulloso de lo que hice con este dibujo que me tomo casi 31 horas de dibujo JAKSJAK WOW y más aún cuando normalmente suelo hacer 1 o 2 personajes sin color o un fondo plano XD
También estoy muy feliz de como resultaron mis partes para el Collab y con la ayuda de todos los miembros de silvalatina pude aprender algunas cosas y logré terminar rápido mis partes musicales para el Collab antes de que la PC que tenía muriera 🤭
Espero poder seguir aportando mucho más a esta bella comunidad que aunque puede que sea un poco pequeña o mejor dicho de un sector específico de personas/músicos/dibujantes/fans de los videojuegos, para mí es algo que marco bastante mi vida en años pasados y que hasta el día de hoy me sigue dando inspiración para crear cosas originales 😝
Y por último gracias a todo el team de silvalatina por poder darme esta oportunidad de contribuir algo grande al high quality ripping, espero poder seguir aportando mucho más (especialmente ahora que soy PARTE DEL TEAM MUAJAJAJAJA)
SILVALATINA REGRESO BABY LETS GOOO 🗣️🗣️💥💥🔥🔥🔥🔥
(Oh, y gracias a Elsix por ayudarme a organizar el lugar de cada personaje JSJSKAJS)
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Lara Fabian – Ma vie dans la tienne (Official Video)
youtube
Pause musicale du soir...🎵
La chanson « Ma vie dans la tienne » de Lara Fabian traite de la profonde connexion émotionnelle et de l'engagement intense entre deux personnes dans une relation. Dès les premières paroles, la chanteuse s'adresse directement à son partenaire, l'invitant à s'asseoir à côté d'elle pour écouter attentivement ce qu'elle a à dire.
Au travers du premier couplet, Lara Fabian évoque les défis et les luttes auxquelles elle a été confrontée dans sa vie. Elle fait référence aux torrents et aux brûlures qui ont ravagé son corps et son âme. Ces métaphores douloureuses ont provoqué les épreuves auxquelles elle a été soumise. Elle prend du recul et imagine comment sa vie aurait pu être différente si elle avait su ces épreuves à l'avance. Elle aurait alors pu se donner entièrement à son partenaire, symbolisé par le geste de mélanger son sang avec le sien.
Le refrain répète l'idée que la chanteuse met sa vie dans celle de son partenaire. Elle souligne ainsi que celui-ci est son âme sœur et sa reine. Elle l'imagine la protéger, non seulement des éléments extérieurs, mais également d'elle-même. Son partenaire est la seule personne qui la comprend réellement et qui a le pouvoir de la nourrir. Cette relation est décrite comme une fusion totale, où les deux âmes se fondent l'une dans l'autre.
Tous ces mots vibrent et résonnent en moi...
Quand on a trouvé son âme sœur, il faut la garder précieusement dans son cœur...l'aimer en s'aimant sans retenue...éperdument...
s'enrubanner et s'encieler sur des "je t'aime" éternels...
#au-jardin-de-mon-coeur
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diceriadelluntore · 8 months
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Storia Di Musica #300 - Miles Davis, Live-Evil, 1971
Quando si ascoltò questo disco per la prima volta, i critici ebbero un profondo senso di smarrimento: Come bisogna definirlo? Cosa è? È jazz? È rock? È qualcosa di altro? In parte era lo scopo del suo creatore, in parte perfino a lui, genio incontrastato delle rivoluzioni musicali, qualcosa "sfuggì di mano", divenendo addirittura qualcosa di altro dalla sua idea primigenia. Questo è un disco che parte da un percorso iniziato qualche anno prima, quando Miles Davis e il suo storico secondo quintetto iniziano ad esplorare le possibilità che gli strumenti elettrici e le strutture della musica rock possono dare al jazz. I primi esperimenti con Miles In The Sky (1968), poi con quel capolavoro magnetico che è In A Silent Way (1969), il primo con la nuova formazione elettrica, la quale sviluppa a pieno quella rivoluzione che va sotto il nome di jazz fusion con il fragoroso, e irripetibile, carisma musicale rivoluzionario che fu Bitches Brew (1970, ma registrato qualche giorno dopo il Festival di Woodstock, nell'Agosto del 1969). Davis è sempre stato curioso e non ha mai avuto paura di guardarsi intorno dal punto di vista musicale, ne è testimone la sua discografia. E nell'idea che il jazz stesse morendo, era sua intenzione innestarlo di nuova vitalità contaminandolo con altri generi, non solo il rock, ma anche il funk, il soul, la musica sperimentale europea. A tutto ciò, per la prima volta nel jazz (e questa fu l'accusa più viva di eresia), il ruolo del produttore, del suo fido e sodale Teo Macero, è proprio quello di cercare tra le sessioni di prove le parti migliori, o come amava dire Davis "le più significative", e metterle insieme in un lavoro sorprendente e meticoloso di collage musicale, che in teoria elimina la componente espositiva solista del musicista jazz, ma che allo stesso tempo regala una nuova filosofia musicale ai brani, del tutto inaspettata. Decisivo fu, nel 1970, il compito che fu affidato a Davis di curare la colonna sonora del film documentario A Tribute To Jack Johnson, di Bill Cayton, sulla vita del pugile che nel 1908 divenne il primo pugile di colore e il primo texano a vincere il titolo del mondo di boxe dei pesi massimi, quando sconfisse il campione in carica Tommy Burns. Per questa ragione fu considerato una sorta di simbolo dell'orgoglio razziale della gente di colore all'inizio del ventesimo secolo, soprattutto poiché nel periodo erano ancora in vigore le leggi Jim Crow, leggi che di fatto perpetuarono la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici, istituendo uno status definito di "separati ma uguali" per i neri americani e per gli appartenenti a gruppi razziali diversi dai bianchi, attive dal 1875 al 1965.
Il disco di oggi somma tutte queste istanze, in maniera unica e per certi versi selvaggia, divenendo di fatto una sorta di manifesto che Il Signore Delle Tenebre ostenta alla sua maniera, cioè nel modo più sfavillante possibile. Live-Evil esce nel Novembre del 1971, ma è frutto di storiche serate live al The Cellar Dome di Washington DC, dove la band di Davis si esibì per diverse serate nel Dicembre del 1970, e una parte di registrazioni in studio sotto lo sguardo attento di Teo Macero, presso gli studi della Columbia di New York. Con Davis, nelle esibizioni al Cellar Dome, che come prima pietra dello scandalo usa la tromba elettrica, infarcita di pedali di effetti e di wah wah (amore trasmessogli da Jimi Hendrix) c'erano Gary Bartz (sassofono), John McLaughlin (chitarra elettrica), Keith Jarrett (piano elettrico), Michael Henderson (basso elettrico), Jack DeJohnette (batteria) e Airto Moreira (percussioni) e in un brano solo, come voce narrante, l'attore Conrad Roberts. Nelle sessioni in studio di aggiungono altre leggende, tra cui Herbie Hancock e Chick Corea (con lui nei precedenti dischi citati), Billy Cobham, Joe Zawinul e il fenomenale musicista brasiliano Hermeto Pascoal, la cui musica e i cui brani saranno centrali in questo lavoro. Tutto il magma creativo di queste idee sfocia in un doppio disco dalla forza musicale devastante, tanto che oggi alcuni critici lo definiscono un heavy metal jazz, che parte dalle origini più profonde ma sfocia in una musica caotica e sfacciatamente meravigliosa, trascinante e indefinibile, che gioca tutto sulle dissonanze, sugli ossimori, sui palindromi simbolici e musicali. E manifestazione più chiara ne è la copertina, bellissima, di Mati Klarwein, artista francese autore di alcune delle più belle copertine musicali, tra cui quella di Bitches Brew: lasciato libero di creare da Davis, pensò alla copertina con la donna africana incinta, come simbolo di creazione "primordiale", ma fu lo stesso Davis, a pochi giorni dalla pubblicazione, una volta deciso il titolo, che gli chiese un nuovo disegno, che accostasse il "bene" al "male" attraverso una rana. Klarwein in quel momento aveva una copertina della rivista Time che raffigurava il presidente Hoover, che fu presa come spunto per la rana del male, che campeggiò sul retro della copertina, e che vi faccio vedere:
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Musicalmente il disco si divide in brani autografi di Davis, che diventano lunghissime jam session di sperimentazione, di assoli di chitarra, sfoghi di batteria, con la sua tromba elettrica che giganteggia qua e la, che raccolgono quel senso di rivoluzione, anche giocata sulla sua storica abilità di comunicazione (Sivad e Selim, che sono il contrario di Davis e Miles, la seconda scritta per lui da Pascoal, languida e dolcissima), il medley Gemini/Double Image, scritta con Zawinul, e le lunghissime e potentissime What I Say, quasi una dichiarazione di intenti, Funky Tonk, rivoluzionaria e la chiusura con Inamorata And Narration by Conrad Roberts, che è quasi teatro sperimentale, e le altre composizioni di Pascoal, Little Church e Nem Um Talvez, musica che stupì tantissimo lo stesso Davis, che considerava Pascoal uno dei più grandi musicisti del mondo: il brasiliano, polistrumentista, arrangiatore, produttore, è una delle figure centrali della musica sudamericana, e essendo albino è da sempre soprannominato o bruxo, lo stregone. Tutti brani vennero "perfezionati" da Macero, e addirittura nelle ristampe recenti è possibile leggere nelle note del libretto l'esatta costruzione dei brani, ripresi dalle sessioni live e dalle registrazioni in studio. Di quelle leggendarie serate al The Cellar Dome, nel 2005 la Columbia pubblicò un inestimabile cofanetto, di 5 cd, The Cellar Door Sessions 1970 con le intere esibizioni del Dicembre 1970: le parti usate in Live-Evil sono nel quinto e sesto disco, nei precedenti ulteriori esplorazioni musicali da brividi, per una delle serie di concerti storicamente più importanti del jazz.
Il disco verrà considerato il capolavoro che è solo dopo anni, in un periodo, quello degli anni '70, dove Davis accettò apertamente di sfidare la critica con la sua musica. Da allora però, per quanto in parte ancora enigmatico e "difficile", è considerato l'ennesimo pilastro della leggenda Davis, in uno dei suoi capitoli musicali che ebbe più fortuna, poichè buona parte dei fenomenali musicisti che contribuirono a questo disco erano in procinto, o già alle prese, con esperienze musicali che partendo dalla lezione del Maestro, ne approfondiranno i contenuti, e ne esploreranno i limiti: sarà quest'ambito che legherà le altre scelte di Novembre e questo omaggio, che come i precedenti numeri miliari (1,50,100,150,200,250) è dedicato al formidabile uomo con la tromba.
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longliveblackness · 1 year
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History of Black Music Genres
Reggae is one the most globally recognised music genres and its history springs from the social upheaval in post-war Jamaica. Reggae itself is a fusion of different musical eras and styles, coupled with a message of unity and hope. Jamaica was colonised by Spain, in the 1500s, and then Britain in 1655.
Enslaved people were transported from Africa to work on the country's sugar plantations. The resulting mix of cultures contributed to the growth of an identifiable Jamaican sound.
When reggae started out in Jamaica around the late 1960s, it was considered a mixture of many genres including Jamaican Mento and contemporary Jamaican Ska music, along with American jazz and rhythm and blues.
Besides its sound, reggae music is frequently associated with the common themes in its lyrics. The earliest reggae lyrics spoke mostly of love, specifically romantic love between a man and a woman.
In the 1970s, reggae started taking on a heavy Rastafarian influence, this meant that the music was not just about romantic love but also spiritual love for God or "Jah". During this period reggae music about rebellion and revolution was also made as response to the extreme violence, poverty, racism, and government oppression that many were witnessing or experiencing on a regular basis.
Today reggae music has spurred the innovation of a whole new range of musical styles, like modern Jamaican Dub, and been infused into many other popular genres, like hip-hop and rap. Reggae has also been added to the UNESCO cultural heritage list.
Historia de Géneros Musicales Negros
El reggae es uno de los géneros musicales más reconocido globalmente y su historia nace de la agitación social en una Jamaica posguerra. El Reggae es una fusión de diferentes estilos y eras musicales, combinado con un mensaje de esperanza y unidad. Jamaica fue colonizada por España en los 1500 y luego por Bretaña en 1655.
Las personas esclavizadas estaban siendo traídas de África, para trabajar en las plantaciones de azúcar. El resultado de la mezcla de culturas contribuyó al crecimiento de un sonido jamaiquino identificable.
Cuando el Reggae comenzó en Jamaica a finales de los 1960, era considerado un mezcla de muchos géneros incluyendo Mento Jamaiquino y Ska Contemporáneo, junto con Jazz Americano y Rhythm y Blues.
Aparte de su sonido, el Reggae es frecuentemente asociado con los temas encontrados en su lírica. En las etapas tempranas del Reggae, la mayor parte de la lírica era sobre el amor, específicamente amor romántico entre un hombre y una mujer.
En los 1970, el reggae comenzó a tener una fuerte influencia rastafari, lo que significaba que la música no se trataba solo del amor romántico, sino también del amor espiritual por Dios o "Jah". Durante este período, también se hizo música reggae sobre rebelión y revolución como respuesta a la violencia extrema, la pobreza, el racismo y la opresión gubernamental que muchos presenciaban o experimentaban de manera regular.
Hoy en día, la música Reggae ha estimulado la innovación de toda una nueva gama de estilos musicales, como el dub jamaiquino moderno, y se ha fusionado con muchos otros géneros populares, como el hip-hop y el rap. El reggae también ha sido agregado a la lista del patrimonio cultural de la UNESCO.
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jazzandother-blog · 3 months
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PASSPORT es un grupo alemán pionero en el género del jazz fusión, fundado en 1971 por el saxofonista y compositor Klaus Doldinger. Desde su formación, Passport ha sido una fuerza innovadora en la escena europea del jazz, fusionando excepcionales habilidades técnicas con una gran variedad de influencias musicales, como el rock progresivo, la música étnica y la electrónica.
La música de Passport se caracteriza por su energía contagiosa, complejas estructuras de improvisación y arreglos intrincados. La habilidad de Doldinger como líder de la banda y saxofonista principal ha sido fundamental en la evolución del sonido distintivo de Passport. Su capacidad para combinar melodías sofisticadas con secciones rítmicas potentes ha sido alabada tanto por críticos como por fanáticos de la música en todo el mundo.
A lo largo de los años, Passport ha lanzado una extensa discografía que abarca más de cuatro décadas, con álbumes aclamados como su debut «Passport» (1971), «Cross-Collateral» (1975), «Infinity Machine» (1976), «Oceanliner» (1980) y Inner Blue» (2011). Cada álbum de Passport ofrece una experiencia auditiva única, explorando nuevos territorios musicales mientras mantiene la esencia de su sonido característico.
Además de su trabajo en estudio, Passport ha llevado su música en giras internacionales, ganando una base de fanáticos devotos en todo el mundo. Sus actuaciones en vivo son conocidas por su energía y pasión, con improvisaciones enérgicas que llevan al público en un viaje musical emocionante y dinámico.
A lo largo de su carrera, Passport ha dejado un legado duradero en el mundo del jazz fusion, influenciando a generaciones de músicos con su innovación y creatividad. Con su habilidad para fusionar diferentes estilos musicales en una expresión cohesiva y emocionante, Passport continúa siendo una fuerza influyente en la escena musical contemporánea.
Los dejamos con un vídeo del tema "Shirokko" perteneciente al disco debut. En esta grabación podemos ver un ensayo de la banda para lo que sería la grabación del álbum en vivo «Doldinger Jubilee Concert» de 1974.
Fuente: ProgJazz.org
We leave you with a video of the song "Shirokko" from the debut album. In this recording we can see a rehearsal of the band for what would be the recording of the live album "Doldinger Jubilee Concert" from 1974.
PASSPORT is a pioneering German group in the jazz fusion genre, founded in 1971 by saxophonist and composer Klaus Doldinger. Since its formation, Passport has been an innovative force on the European jazz scene, fusing exceptional technical skills with a wide variety of musical influences, such as progressive rock, ethnic music and electronica.
Passport's music is characterised by infectious energy, complex improvisational structures and intricate arrangements. Doldinger's skill as bandleader and lead saxophonist has been instrumental in the evolution of Passport's distinctive sound. His ability to combine sophisticated melodies with powerful rhythm sections has been praised by critics and music fans alike around the world.
Over the years, Passport has released an extensive discography spanning more than four decades, with acclaimed albums such as their debut "Passport" (1971), "Cross-Collateral" (1975), "Infinity Machine" (1976), "Oceanliner" (1980) and "Inner Blue" (2011). Each Passport album offers a unique listening experience, exploring new musical territories while maintaining the essence of their signature sound.
In addition to their studio work, Passport has taken their music on international tours, gaining a devoted fan base around the world. Their live performances are known for their energy and passion, with energetic improvisations that take the audience on an exciting and dynamic musical journey.
Throughout his career, Passport has left a lasting legacy in the world of jazz fusion, influencing generations of musicians with his innovation and creativity. With his ability to fuse different musical styles into a cohesive and exciting expression, Passport continues to be an influential force in the contemporary music scene.
In this video Passport are:
Drums – Curt Cress
Drums, Percussion – Pete York
Electric Bass – Wolfgang Schmid
Electric Piano [Fender-Piano] – Les McCann
Electric Piano [Fender-Piano], Organ – Kristian Schultze
Guitar – Buddy Guy, Philip Catherine
Tenor Saxophone – Johnny Griffin
Tenor Saxophone, Soprano Saxophone, Synthesizer [Moog] – Klaus Doldinger
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menti-senti · 20 days
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Pubblicato da: Redazione in Calabria, Luoghi e Storie, Luoghi e Storie del Sud 12 Giugno 2022
UNA “MANO” CONTRO I MALEFICI
Uno degli elementi rinvenuti è appunto la Mano Pantea (I° sec. d.C.), con le misteriose figure accessorie che la completano: si tratta di una mano destra che sulle due dita ripiegate mostra il busto di Hermes (Mercurio), dio della sapienza (nella fusione sincretica del suo culto con quello del dio egizio Thot), accompagnatore dello spirito dei morti, riconoscibile dal caratteristico copricapo (petaso); il corredo di figure comprende inoltre due serpenti crestati (agatodemoni, con funzione magico-religiosa protettiva), una pigna (simbolo di vitale forza generatrice), una lucertola (simbolo di rigenerazione), e una tartaruga (animale legato a Hermes e considerato dagli antichi dotato della virtù di scongiurare i malefici, nonché simbolo di prudenza e costante protezione). Come si può notare, le fattezze di questa mano attingono a complesse simbologie esoteriche che ritroviamo (con alcune aggiunte o varianti, come il caduceo, la testa di ariete e il fallo, attinenti comunque all’evocazione di potenze soprannaturali in grado di allontanare forze malefiche) in oggetti analoghi ritrovati in altri luoghi d’Italia come Roma, Pompei, Ercolano. Detto anche “Mano di Sabazio”, questo oggetto veniva ricollegato alla figura dell’omonimo dio (originario dell’Asia Minore ma noto anche in Grecia dove riuniva caratteristiche di Zeus e di Dioniso) e costituiva un vero e proprio oggetto liturgico fissato su aste per processioni, oppure destinato ai santuari o al culto domestico. Il suo rinvenimento all’interno di un santuario isiaco non deve sorpendere perché la tendenza all’assimilazione o associazione di Sabazio con altre divinità nell’ambito del diffuso sincretismo religioso in età imperiale, fece sì che lo si trovasse correlato a divinità come Cibele, Mithra e appunto Iside (in quest’ultimo caso non è raro trovare tra gli elementi decorativi della mano la testa di Serapide o il sistro, strumento musicale rituale connesso al culto di Iside).
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filorunsultra · 4 months
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Syrah quel che Syrah
Cortona è nota per un codice musicale del Duecento conosciuto come Laudario di Cortona Ms. 91 e conservato all'Accademia Etrusca. È un laudario, cioè un libro che contiene delle laude, canzoni a tema sacro con testo in volgare e di uso non liturgico. Il repertorio laudistico del Duecento ci è arrivato principalmente grazie a due codici: il Magliabechiano Banco Rari 18 di Firenze, che ha delle bellissime miniature ma è pieno di errori di notazione, e il Laudario di Cortona. Mi trovo con Raffaele in un'auto a noleggio sulla Modena-Brennero quando chiamo la bibliotecaria dell'Accademia Etrusca per vedere il codice: mi dice che non è visionabile, cioè, non oggi, forse se arrivassimo prima dell'una, d'altronde ogni giorno qualcuno chiede di vederlo, poi c'è il figlio da prendere a scuola, magari scrivendo per e-mail, o presentandoci come piccolo gruppo... comunque sarebbe meglio rimandare. Dopo quindici minuti di conversazione circolare riaggancio il telefono. Stiamo andando in Toscana per un convegno sul Syrah coordinato da Raffaele, a cui mi ha chiesto di accompagnarlo non so bene perché. La scusa del Laudario era stata buona fino all'uscita dell’autostrada di Affi, poi anche quella era crollata e di lì in poi mi sarebbero aspettati soltanto tre giorni di chilometri di corsa, vino biodinamico e cene a base di chianina (oltre a essere vegetariano, Chiani è il cognome di mia mamma e solo l'idea di mangiare una così bella mucca, che per di più porta il nome di mia madre, mi provoca orribili dolori enterici).
Cortona si trova su una collina affacciata sulla Val di Chiana, più o meno ad equa distanza tra Siena, Arezzo e Perugia. È un classico borgo medievale da "Borgo più bello d'Italia" (ogni borgo italiano è "il più bello d'Italia"). Una rocca sulla cima, qualche chiesa, dei cipressi, un grazioso cimitero e tutte quelle cose inequivocabilmente italiane: l'alimentari, l'enoteca, il bar (da leggersi i' barre, con raddoppiamento sintattico). Turismo, a marzo, poco, e comunque tutto anglofono e interessato solo a due cose: Cortona DOP (principalmente Syrah e Merlot, e in minor parte Sangiovese) e tagliata di chianina. La campagna sotto alla città e la strada regionale che porta in Umbria sono misurate dalle insegne delle centinaia di cantine e dai cartelli con gli orari delle degustazioni. Da Trento a Cortona si impiegano circa quattro ore e così, svincolati anche da quell'unica incombenza presso la Biblioteca Etrusca, a circa metà strada usciamo a Castiglione dei Pepoli, sull'Appennino Bolognese, in cerca di un piatto di fettuccine.
Il lago Brasimone è un bacino artificiale costruito nel 1911. Dal lago attinge acqua una delle uniche due centrali nucleari attive in Italia. Leggendo dal sito ufficiale dell'ENEA: "Il Centro del Brasimone è uno dei maggiori centri di ricerca a livello nazionale e internazionale dedicato allo studio e allo sviluppo delle tecnologie nei settori della fissione di quarta generazione e fusione nucleare a confinamento magnetico. Rilevanti sono le competenze disponibili sulla tecnologia dei metalli liquidi, sui materiali innovativi per applicazioni in ambienti severi, sulla prototipazione di sistemi e componenti per applicazioni ai sistemi energetici anche nucleari." Attraversando in auto la diga, verso la trattoria, Raffaele mi racconta che il referendum sul nucleare del 1987 bloccò la produzione di energia nucleare ma non la ricerca. La centrale nucleare del Brasimone (anche se non è una vera centrale) ricorda vagamente Chernobyl: il camino bianco e rosso, la cupola di cemento del reattore e i boschi tutto attorno, non ci sono invece i classici camini di raffreddamento, dandole un'aria più domestica. Accanto al lago c'è una trattoria sgarrupata per gli operai della centrale. Come in tutte le bettole per operai e camionisti, si mangia divinamente ma non leggero, segno premonitore dell'imminente cena.
L'albergo a Cortona è un quattro stelle e per aperitivo ci offrono cantucci e Vin Santo. Le quattro sciure che ci lavorano sono fin troppo disponibili e ci ammorbano parlandoci dei biscotti. Una volta arrivati in albergo io e il Raffa facciamo una corsa di acclimatamento attorno al paese che mi apre una voragine in pancia, rendendomi sempre più insofferente per quella cena. Restiamo per un po' nella hall dell'albergo ad aspettare Giorgia, una delle relatrici del convegno. Ho l'impressione di essere lì da delle mezzore quando finalmente Giorgia scende dalla camera.
La cena è alla Marelli, una cascina in mattoni rossi di proprietà della famiglia Marelli della famosa Magneti Marelli, e per metà affidata a Stefano Amerighi Vignaiolo in Cortona (da leggersi tutto insieme, di fila, senza virgola), amico e cliente di Raffaele e organizzatore del convegno. Mi aspetto una cena formale in cui mantenere un contegno istituzionale ma si tratta di tutt'altro. La tavola non è apparecchiata e anzi la stanza è alta e semivuota. Ci sono un grande caminetto al centro, un divano, due poltrone, una grande credenza piena di bottiglie vuote di Syrah francese e nient'altro. Siamo in dodici a cena ma arriviamo presto e ci sono ancora solo tre vignaioli francesi già piuttosto avanti col vino e coi trigliceridi, un broker di borsa collezionista di bottiglie d'annata e Francesco, un dipendente di Stefano. Come me, neanche Giorgia conosce nessuno e mi sento meno solo, inoltre lei è un'ingegnere: di vino ne sa più di me ma è comunque fuori contesto. Così ci mettiamo in fondo alla tavola, separati dagli altri commensali da Raffaele, che emana sapienza anche per noi. Il broker stappa una magnum di Champagne e così inizia una serata destinata a durare ore e inframmezzata da un'innumerabile sequela di portate e bottiglie di vino (in realtà, per scopi puramente antropologici, le ho contate: undici, di cui una magnum). L’ospite arriva solo al terzo bicchiere di Champagne: Stefano è sulla cinquantina, capelli e barba brizzolati e occhiali da vista Celine con montatura nera. Neri anche il maglione, i pantaloni e le scarpe. Sulla credenza ci sono dischi di Paolo Conte e qualche cd generico di musica classica, di quelli che si trovavano una volta in edicola e che contenevano qualche grande classico come Tchaikovsky e Beethoven, più qualche russo un po' più ricercato ma meno sofisticato, che ne so, Mussorgsky. Stefano è un melomane, ha scoperto l’opera da adolescente col Così Fan Tutte e poi da Mozart è arrivato a Verdi. Da giovane frequentava il Regio di Parma, che dice fosse il suo teatro preferito (mah), apprezzava anche l’orchestra del Maggio mentre non trovava nulla di eccezionale nella Scala (ancora: mah). Era talmente appassionato d’opera che chiese a sua moglie di sposarlo durante una Boheme, che però raccontandolo attribuisce erroneamente a Verdi. Io mi irrigidisco ma evito di farlo notare, i lapsus capitano a tutti e io non voglio fare quello che alza il ditino per correggere il padrone di casa, così annuisco e continuo ad ascoltarlo. Insieme a lui arrivano anche altri tre vignaioli biodinamici siciliani. Il più anziano, un distinto signore sulla settantina (che avrei scoperto essere l'unico altro vegetariano nella stanza) e i suoi due collaboratori, non molto raffinati in realtà. Alla terza bottiglia di bianco sono iniziati i rossi e, insieme ad essi, un simpatico giochetto in cui gli ospiti dovevano indovinare il vino. Raffale sembrava particolarmente bravo a questo gioco e per un po' ho avuto l'impressione che i due siciliani non facessero che ripetere quello che diceva lui. Anche il broker sapeva il fatto suo e la cosa aveva iniziato a prendere una piega deliziosa. In queste cene, mi ha spiegato Raffaele, ognuno porta qualche bottiglia e il cibo diventa più che altro un modo per continuare a bere. Dividendo una bottiglia in tanti, nessuno riesce a bere più di un paio di dita di ogni bottiglia, per cui il tasso alcolemico, una volta raggiunta una certa soglia, non si alza ulteriormente ma resta più che altro stazionario per tutta la durata della cena, facendo più che altro i suoi peggiori effetti il giorno dopo.
Quando chiedo a Raffaele se in quell'ambiente ci siano problemi di alcolismo, lui mi risponde che "da un punto di vista patologico, probabilmente no, o almeno non diffusamente, ma in una forma latente sì. Tra cene, presentazioni e fiere, i vignaioli bevono tutti i giorni. Inoltre, durante le cene come questa, si è diffusa sempre di più l'abitudine di aprire la bottiglia tanto per aprirla, spesso finendola in fretta per passare a quella dopo, o buttandone via metà, nella sputacchiera, passata di mano in mano con la scusa di gettare i fondi, e per far spazio alla bottiglia appena aperta. Così non ci si prende il tempo per lasciar evolvere il vino e per vedere come cambia nel corso della sera. È un atteggiamento bulimico e anche poco rispettoso nei confronti di una bottiglia che un povero vignaiolo ha impiegato un anno per produrre. Ogni volta che qualcuno prova a parlare di alcolismo in questo ambiente il gelo tronca ogni possibile discorso, e d'altronde nessuno è interessato a farlo, perché vorrebbe dire mettere in discussione l'intera economia del settore: quando dieci anni fa crollò definitivamente l'idea del vino come alimento centrale per la dieta mediterranea e si capì finalmente che berlo fa male, la comunicazione dell'industria vitivinicola si spostò sul suo valore culturale. Cosa di per sé anche vera, se non che la cultura del vino non sta nella bottiglia ma nel territorio; mentre l'esperienza enologica si ferma sempre alla degustazione e non si spinge mai alla vera scoperta del territorio e della sua storia, soprattutto in Italia." Insomma, quello che dovrebbe essere il pretesto diventa lo scopo.
Durante la cena apriamo una bottiglia di Cornas del 2006, l'ultima annata del vignaiolo che l’ha prodotta, un tale Robert Michel, prima che andasse in pensione. Raffaele mostrandomi la bottiglia mi fa notare che la parola più grande sull'etichetta non è il nome del vignaiolo, che invece è scritto piccolo in un angolo, né dell'uva, Syrah, anche questa scritta in piccolo, ma il nome del vitigno, cioè il posto in cui è stato fatto. Ed è scritto al centro, a caratteri cubitali: Cornas. In Francia il brand non è il nome di fantasia dato al vino dal vignaiolo, ma il nome del posto. Questo fa sì che le denominazioni siano molto più piccole e controllate che in Italia, e che attorno a queste denominazioni si costruisca un'identità più profonda. Lungo il Rodano francese, ad esempio, si trova questo paese, Cornas, dove si coltiva solo Syrah. Il cliente finale sa in partenza che non sta comprando tanto una cantina, ma un territorio, e una storia. Dopo il Cornas, aprono una bottiglia di Pinot Nero del 1959 (puoi avere il palato di una pecora come il sottoscritto, ma l'idea di bere un intruglio fermo in una cantina da 65 anni esalterebbe chiunque). Beviamo qualche altra bottiglia di Syrah di Stefano e in fine un Marsala perpetuo prodotto secondo il metodo tradizionale di produzione del Marsala, prima che gli inglesi lo trasformassero in una specie di liquore aggiungendoci alcol e zucchero per farlo arrivare sano in patria, e che viene prodotto con un sistema che ricorda quello del lievito madre.
Sopravvissuti alla cena, verso le 2 rientriamo in albergo per cercare di dormire prima del giorno successivo. Come accade le rare volte che bevo, il sabato mi alzo prima della sveglia. Devo rendermi presentabile per il convegno, a cui Raffaele mi ha incaricato di registrare gli accrediti per giustificare la mia presenza in albergo. Il convegno si tiene in una bella sala del Museo Etrusco di Cortona in cui sono conservate cose random: sarcofagi egizi, spade rinascimentali, accrocchi di porcellana settecenteschi di rara inutilità, collezioni numismatiche, mappamondi e altre cose. Una volta assolto il mio unico dovere, ritorno in albergo e mi cambio, metto le scarpe da corsa e imbocco la provinciale che porta al Lago Trasimeno.
Micky mi ha programmato un weekend di carico con un lungo lento il sabato e una gara la domenica (vero motivo della trasferta) che farò con Raffaele a Reggio Emilia. Si chiama Mimosa Cross ma non si tratta di un vero cross, è più che altro una 10 chilometri su asfalto, seguita da una salita sterrata sui colli di 500 metri di dislivello e da un'ultima discesa in picchiata stile Passatore. 23 chilometri scarsi e 500 metri di dislivello. Tornando da Cortona, il pomeriggio del sabato, passiamo per Firenze ad accompagnare un’oratrice del convegno, e per uno sperduto paesino sui colli bolognesi per accompagnare Giorgia, che sospettiamo ancora in hangover dalla sera prima. Infine: Reggio nell'Emilia. A cena io e Raffaele riusciamo comunque a bere una birra.
La mattina dopo diluvia, a Reggio fa freddo e tira vento. Albinea, da cui parte la gara, è invasa di persone e dimostra l'indomito podismo di queste lande. Dopo aver tergiversato per qualche quarto d'ora in macchina, per cercare di digerire una brioches troppo dolce, decidiamo finalmente di scaldarci. Poi partiamo: primo chilometro 3'41'', secondo chilometro 3'40''. Passo al quinto chilometro 40 secondi più lento del mio personale sulla distanza, ma non sto malaccio. Poi la strada gira e inizia a salire. La pendenza è impercettibile alla vista ma il passo crolla di 30'' al chilometro. Sono isolato e quelli davanti a me prendono qualche metro, sono attorno alla quindicesima posizione. Inizio a cercare scuse: sono alla fine di una settimana di carico, ho il lungo del giorno prima sulle gambe e il Cornas del 2006 sullo stomaco, poi inizia la salita. Quando inizia lo sterrato cambio gesto e inizio a rosicchiare metri a quelli davanti: via uno, via un altro, come saltano gli altarini, bastardi. In salita un tale dietro di me inizia a urlare grida di dolore, la prima volta fa ridere ma poi inizia a diventare fastidioso, così lo stacco per non sentirlo più. Il maledetto in discesa mi riprende e rinizio a raccontarmi scuse. Valuto seriamente di fermarmi al ristoro per aspettare Raffaele e penso ad altre cose ridicole a cui generalmente mi aggrappo quando mi trovo in una zona di effort in cui non sono abituato a stare. Ragiono sul fatto che è la prima volta che faccio una gara sull'ora e mezza: le campestri sono simili come tipo di sforzo ma sono molto più corte. Nel frattempo i chilometri passano e finalmente inizio a vedere il paese. Sull'ultimo strappo riprendo un tipo e lo stacco sul rettilineo finale. Traguardo, fine, casa.
Quando racconto al Micky che un paio di persone mi hanno superato in discesa mi dice che dobbiamo diminuire il volume e aumentare la forza: mi dimostro poco interessato alla cosa. Cerco di spiegargli che la priorità non sempre è migliorare e che non a tutti i problemi bisogna cercare delle soluzioni, e che preferisco divertirmi e godermi il processo senza chiedere di più alla corsa. Roby allora mi ha chiesto a cosa serva un allenatore: a migliorare, certo, ma non significa che questa sia la priorità. Non sono disposto a togliere tempo alla cosa che mi piace fare di più, e cioè correre, per fare degli esercizi orribili solo per non farmi superare da due stronzi in discesa o per correre in un'ora in meno la 100 miglia "X". Cerco di fare del mio meglio ma senza bruciare il percorso. Ho sentito spesso amici fare frasi del tipo "quest'anno voglio dare tutto quello che riesco a dare". No, non me ne potrebbe fregare di meno; preferisco arrivare tra 20 anni ancora con la voglia di correre e con qualcosa da scoprire. Non vincerò mai una 100 miglia e non sarò mai un campione, e questo è uno dei più grandi regali che il destino potesse farmi. Non devo impegnarmi a vincere niente perché semplicemente non posso farlo, così posso godermi il processo senza riempirmi la testa di aspettative e di puttanate, senza fare un wannabe e senza dover attendere le aspettative di nessuno. Posso semplicemente dare quello che ho voglia di dare nel momento in cui voglio darlo. Al 13 marzo 2024, nel TRC, sono quello che ha corso più chilometri di tutti, e forse sono l'unico che non ha ancora deciso che gara fare quest'anno. Perché non ha importanza, l'unica cosa che conta è uscire a correre, per il resto, Syrah quel che Syrah.
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micro961 · 4 months
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Cristina Russo & NeoSoul Combo - Pieces of a Woman
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Pronto all’uscita il nuovo lavoro discografico
Si apre nel migliore dei modi il 2024 per l’artista siciliana Cristina Russo, cantante ed autrice catanese tra le più apprezzate nel panorama indipendente musicale italiano.
Il 7 Marzo esce il nuovo album in formato vinile intitolato "Pieces of a Woman", un progetto che ci trascina musicalmente nel mondo di sonorità alternative e contaminate da diversi stili caratterizzanti dell’artista, affiancata dalla sua fidata band i Neo Soul Combo.
La firma del lavoro è proprio “Cristina Russo & Neosoul Combo", ovvero il nome che da anni ormai accompagna i suoi progetti e le performance “live” in giro per l'Italia. L’artista , con sue parole, ha reso noto che è stato un duro lavoro di studio che ha visto molti brani venire alla luce con spunti ed idee in brain storming insieme ai suoi musicisti, ormai una vera e propria famiglia. La scia sonora ricalca lo stile dell'album Energy, uscito nel 2019. Questo nuovo ed appassionato progetto non sarebbe stato possibile senza la direzione artistica e gli arrangiamenti musicali di Marco Di Dio, la cui mano sapiente ed estro artistico sono dietro al successo ed ai lavori di altri artisti siciliani in vari ambiti diversi: da Club Rivera, ad Andrea La Ferla, da VIVO ad Alice B. "Pieces of a Woman" pubblicato in vinile (e dunque un tocco di classe ma anche alla moda) ha dei tratti “urban” molto vicini al sound “new jazz”, quindi in perfetto stile neosoul, ma non manca qualche sorpresa come degli accenni musicali in stile anni ‘80 che hanno influenzato le ritmiche e le melodie presenti in alcuni brani, come ad esempio nella canzone "Splendidi".
La “urban fusion music” che Cristina Russo e la sua band propongono in "Pieces of a Woman" è ritmata senza tralasciare la raffinatezza che accomuna molti dei loro lavori; la caratteristica voce graffiata e calda, in puro stile soul black di Cristina, si presta in questa occasione ad un sound più moderno: il nuovo jazz d'oltreoceano, dove il piede non smette di muoversi. Cristina Russo e la sua band ci trascinano come sempre nel loro mondo alternativo e “contaminato”; la passione per il così detto sound neo soul, mixato secondo mood e creatività con tocchi di “urban fusion” ,“ new jazz” e “new reggae” sono la base dei loro progetti. Il tutto espresso con uno stile personalissimo e di grande fascino, che si sprigiona ancor più nei “live” dove la formazione completa dà il meglio di sé, con estrosa raffinatezza, lasciandosi spesso coinvolgere dall’atmosfera del momento e dal feedback del pubblico. 
Cristina Russo & Neosoul Combo: Cristina Russo - voce  Mariano Nasello - basso  Angelo Di Marco - tastiera  Marco Di Dio - batteria
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mycoversbox · 7 months
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Salut à tous les amis de la musique ! 🎵 Nous sommes extrêmement excités de vous présenter notre toute nouvelle chanson, qui est également la première piste de notre tout nouvel album tant attendu. Nous avons mis tout notre cœur et notre passion dans la création de cet album, et cette chanson en particulier occupe une place spéciale dans nos cœurs.
🔥 Titre de la Chanson : "HELLO HEAVEN"
🌟 À propos de la Chanson : "HELLO HEAVEN" est une fusion captivante de mélodies envoûtantes, de paroles profondes et de rythmes entraînants. C'est une aventure musicale qui explore une gamme d'émotions, et nous sommes impatients de partager ce voyage avec vous. Chaque note, chaque mot a été soigneusement élaboré pour créer une expérience musicale immersive et mémorable.
📀 Nouvel Album : Cette chanson est le préambule d'un tout nouvel album qui promet d'être une expérience sonore extraordinaire. Nous avons travaillé sans relâche pour offrir un ensemble de chansons qui touchent le cœur et stimulent l'âme. Soyez prêts à plonger dans un univers musical où chaque piste raconte une histoire unique. 🌐 Partagez, Commentez, Abonnez-vous ! Nous avons besoin de votre soutien pour propager la magie de notre musique. Partagez cette vidéo sur toutes vos plateformes sociales, laissez des commentaires pour nous faire savoir ce que vous ressentez, et n'oubliez pas de vous abonner pour ne rien manquer de nos futures créations musicales !
🚀 Ensemble, créons une communauté musicale forte et passionnée. Merci infiniment pour votre amour et votre soutien constant. Nous avons hâte de lire vos réactions et de partager cette incroyable aventure musicale avec vous tous ! 🎉 Cliquez sur play et plongez dans l'univers de "HELLO HEAVEN" dès maintenant !
  Merci infiniment pour votre soutien ! Profitez de la musique et à très bientôt pour de nouvelles aventures musicales. 🎵
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jamessixx · 7 months
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Riot dei Three Days Grace in una cover alternativa. Conosci l'energia esplosiva di Riot, il brano degli Three Days Grace che ha conquistato il cuore degli amanti del rock. Scopri le potenti liriche e l'emozionante melodia di questa canzone iconica. Pertanto, leggi di più sul significato di Riot e sull'influenza degli Three Days Grace nel panorama musicale. Un viaggio emozionante nel cuore del rock ti aspetta, approfondisci con noi l'universo di Riot e della band che ha scritto la storia del genere.
Lasciati avvolgere dall'energia cruda e la potenza sonora di Riot Three Days Grace attraverso la nostra esclusiva recensione. Inoltre, scopri il significato dietro le testi intensi e immergiti nella fusione unica di alternative rock e post-grunge che definisce il distintivo stile della band. Leggi di più per vivere l'esperienza di Riot e comprendere perché Three Days Grace è una presenza iconica nel panorama musicale moderno.
Dunque, l'energia travolgente di Riot, la potente canzone dei Three Days Grace. Scopri il significato dietro le intense liriche e immergiti nell'universo sonoro di questa band iconica. Leggi di più su come Riot ha lasciato un'impronta indelebile nel panorama musicale e sull'influenza duratura dei Three Days Grace. Un viaggio emozionante attraverso la potenza musicale che definisce Riot e il suo impatto duraturo.
Riot, il brano iconico dei Three Days Grace. Scopri le emozioni intense e la potenza musicale di questa band attraverso la nostra analisi approfondita. Leggi di più per comprendere il significato dietro le parole e immergiti nell'universo sonoro unico dei Three Days Grace con la loro traccia epica, Riot. In conclusione, l’album dei Three Days Grace concerne dei brani iconici e immortali.
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vincentdelaplage · 1 year
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LES LUMIÈRES DE VERSAILLES « Messieurs, voilà le roi d’Espagne. La naissance l’appelait à cette couronne, le feu roi [d’Espagne] aussi par son testament, toute la nation l’a souhaité […] C’était l’ordre du ciel, je l’ai accordé avec plaisir. » LOUIS XIV (1638-1715), à la foule des courtisans, après un Conseil resté célèbre, 16 novembre 1700. Mémoires (posthume), Saint-Simon. 1- UNE IDÉE DE PEINTURE Philippe V (1683-1746) par le peintre Jean Ranc (1674-1735) Il s'agit d'un portrait officiel de Philippe V, le premier roi Bourbon d'Espagne. Petit-fils de Louis XIV de France, il naquit à Versailles le 19 décembre 1683 et fut proclamé roi d'Espagne en 1700. 2- UNE MUSIQUE D'UN BONHEUR CONTAGIEUX Lully: Les Folies d'Espagne https://youtu.be/aC02mduyq0E La Folia, également appelée Follia (en italien) ou Folies d'Espagne, est une danse apparue au xve siècle probablement au Portugal dont le thème a servi pour des variations à plus de 150 compositeurs, de Lully à Sergueï Rachmaninov en passant par Arcangelo Corelli, Antonio Vivaldi, et Vangélis Papathanassíou, et qui se retrouve encore dans des cantiques populaires comme Perdono, mio Dio. Jean-Baptiste Lully Compositeur français d'origine italienne (Florence, 1632 – Paris, 1687) Compositeur, musicien, danseur et chorégraphe, Jean Baptiste Lully a résolument marqué la musique de son temps. Tout son génie repose sur la fusion des traditions musicales italienne et française. #leslumièresdeversailles https://www.instagram.com/p/CqAb-jGMn4I/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Jazz : l’odyssée cosmique de Magma en cinq albums mythiques
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Oltre la percezione
Stavo attraversando la barriera temporale. Se il tempo lo si può guadare con moto proprio e volontario, liberandosi dalle rapide perenni dei secondi che si gettano nel passato, io lo stavo percorrendo, senza freni né limiti, espulso dal suo flusso monocorde. Non so come lo compresi: ne possedevo una spontanea consapevolezza che non ammetteva dubbi. Il gorgo che roteava dentro di me era ripido, sottraeva il fiato, sbriciolava i pensieri. Poi la mareggiata di percezioni sensibili mi travolse. Rumori, odori, sapori, aderenze, colori. Tutti di un calibro inimmaginabile, incontenibile per i miei recettori finiti. La luce fluida, densa, fumosa, impermeabile, che non si lasciava attraversare dallo sguardo, mi avvolse. Era una luce che urlava, i suoi acuti erano opprimenti, le sue dita di acciaio ti stringevano l’anima. La luce era fredda, priva di calore, e le sue volute erano cangianti, in profondità i colori ristagnavano imprigionati tra le pieghe, come in camere dalle pareti sbarrate e imbottite. Colori estremi, tutti, senza ordine, fusi uno nell’altro, e poi di nuovo indipendenti, nitidi, senza sfumature, senza la razionalizzazione imposta dalla spettrografia, ribelli alla pacifica convivenza nella luce bianca. Colori estremi. Nessun artista avrebbe mai potuto riprodurli, nessuna suggestione paesaggistica, nessuna incarnazione della natura poteva avvicinarsi a quella disperata perfezione.
I colori. I colori vibravano svincolati da ogni contenuto, isolati nel fattore cromatico, divinità primordiali prigioniere nei recessi di un culto estinto, non più figli obbedienti della luce, i colori come uno spasmo verso la vita, un lamento di esistenza mancata. Fui immerso nei colori. E assieme ai colori i suoni, gli odori, i sapori, le aderenze, l’idea stessa di sensibilità, l’anima priva del corpo, rumori, note musicali scappate disordinatamente da un pianoforte, staccate dal pentagramma, dall’ordine musicale, dall’armonia dell’universo, rumori e note vibravano assoluti, né mano umana avrebbe potuto trascriverli su carta e ripeterne le melodie antiespressive, né orecchio aveva mai udito il loro forsennato infuriare. Il suono selvaggio, il richiamo brado di animali indomabili, le percussioni ottuse dei pensieri dell’uomo contro la paratia della stiva, contro l’insufficienza del cosmo, l’esplosione di stelle traboccanti miliardi di anni e materia fibrillante.
E il tatto, l’aderenza completa del corpo, l’appartenenza, la fusione con la luce densa, era dentro di me, mi attraversava, una compenetrazione tra le membra, come disgregarsi in infinite particelle infinitesimali e ognuna di esse abbracciava una particella di luce, si avvinghiava a lei e poi tornava a ricollocarsi al suo posto per dare vita al mio corpo ricostruito, intatto, invaso dalla luce densa, cangiante che pulsava dentro di me con i suoi colori, i suoni, gli odori, i sapori.
Furono istanti intensi, ma non provavo ancora orrore. Assistevo a uno spettacolo inenarrabile, come mai avrei immaginato possibile, un trionfo di elementi incontaminati, puri, che si avvolgevano, si contorcevano, stridevano l’uno con l’altro in una contrazione disperata verso la vita, la creazione, l’incarnazione nell’essere, la codificazione della materia. Ne percepivo la sofferenza diffusa, più che sofferenza era un fremito: quegli elementi primari erano intrappolati nell’assenza della vita, ma non ne soffrivano coscientemente, come animali nati in gabbia, che non conoscendo la libertà non comprendono la propria prigionia e fremono nello spazio angusto che hanno a disposizione. Conobbi l’esaltazione dei sensi, il loro pulsare fino all’ultimo stadio, oltre i vincoli della vita e della morte, del tempo, della distanza. Il vortice iniziale nel quale sentivo di precipitare si attenuò, ora galleggiavo sospeso in un alone di fumo scuro, come se fossi stato avvolto da un anticorpo prodotto dall’immenso organismo all’interno del quale ero un estraneo. La mancanza di direzioni, non un suolo su cui poggiare i piedi, un soffitto da sentire sopra la testa, rettilinei d’aria in cui infilare le braccia, mi rendeva impossibile definire la posizione del mio corpo. Ero ancora in piedi o ero svenuto, sdraiato a terra esanime, mentre il mio spirito si dissociava in una emulsione onirica; sarei mai tornato alla realtà. Ma esisteva una realtà che potesse definirsi tale in contrapposizione alla quale potevo riconoscere l’irrealtà o il sogno, l’incubo o le allucinazioni, l’assurdo o il metafisico.
Il flusso costante di particelle che mi attraversava non era spiacevole, la paura si attenuava prevaricata da una curiosità inappagata da una lenta assuefazione a stimolazioni nuove. Poi all’improvviso, quando già cominciavo a ritenere un’esperienza piacevole l’immersione nel primordio, divenne morbo contagioso, ferita infetta e maleodorante. Non mutarono i colori nel loro aggrovigliarsi confuso, non mutarono le cascate di suoni e note che rutilavano nella densa foschia violacea, ma cambiò improvviso il mio modo di sentirli, la compressione del mio spirito nel ricevere quelle sollecitazioni.
Muffa, fuliggini, putrefazione, rigagnoli di sangue scuro, il suono cupo del distacco, il sapore della malattia. Le grida dei colori, disperate, la luce che urlava i suoi acuti opprimenti di orrore. La luce era gelida, priva di calore, le sue volute erano cangianti, in profondità i colori erano imprigionati tra le pieghe, come in camere dalle pareti sbarrate e imbottite contro cui scagliavano esasperati la propria impotenza. L’immersione in un fluido di non vita, nella brodaglia indifferente divenne soffocante, mi rivoltai, cercai di nuotare per sottrarmi, per tornare alla vita, lontano dalle tenebre del pensiero, dove era sottratto anche il riparo dell’oscurità.
Poi mentre l’esasperazione iniziò a bruciarmi nella testa, dal fondo limaccioso di quella palude di sensazioni perverse, emersero due mani ruvide, rinsecchite ad artiglio che si diressero verso di me…
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diceriadelluntore · 8 months
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Storia Di Musica #302 - The Mahavishnu Orchestra with John McLaughlin - The Inner Mounting Flame, 1971
Mahavishnu: nella religione induista è uno dei nomi di Vishnu, e vuol dire all'incirca Divina compassione, potere e giustizia. Fu il maestro spirituale Sri Chinmoy, una delle figure più carismatiche e importanti nella diffusione delle filosofie indù in Europa e negli Stati Uniti, a dare questo nome al nuovo progetto di John McLaughlin. Il chitarrista era agli inizi degli anni '70 la nuova stella della chitarra jazz, uno dei personaggi decisivi e più incisivi nella nascita della jazz fusion. Era già famoso per il suo virtuosismo quando nella seconda metà degli anni '60 arriva negli Stati Uniti, dopo aver svezzato un'intera generazione di chitarristi inglesi (primo fra tutti un certo Jimmy Page). E fu quasi per caso che appena prima delle registrazione di In A Silent Way (1969): McLaughlin era negli USA da poche settimane per registrare con il fido batterista del secondo quintetto di Miles Davis, Tony Williams (il disco era Emergency! in power trio Williams, McLaughlin e Larry Young al basso), che con il suo fiuto eccezionale gli chiede di partecipare alle registrazioni. Ed è con il magone in gola per poter suonare con un suo mito che John inizia una collaborazione che lo porterà ad essere punta di diamante del successivo, e inimitabile, Bitches Brew, che fu registrato a poche settimane da In A Silent Way ma che vide la luce solo l'anno successivo. Nel mitico disco, una parte del suo assolo di chitarra in Bitches Brew fu isolato dal lavoro paziente e certosino di Teo Macero alla cabina di regia musicale e divenne un omaggio del maestro al suo chitarrista: John McLaughlin, dove Davis non suona nemmeno. Partecipa anche a On The Corner, ma già durane le prime registrazioni del 1969 fu lo stesso Miles a spingerlo alla carriera solista. Inizia con un gioiello: Extrapolation del 1969 lo vede in quartetto con John Surman (sassofono), Brian Odgers (contrabbasso) e Tony Oxley (batteria) in un disco che si lega ancora al bop ma che contiene già i semi di quell'albero fruttuoso che di lì a pochi anni inizierà a incantare una generazione di musicisti jazz. Nel 1971 fonda la sua band, come mentore Chinmoy, che fu influente consigliere anche di Carlos Santana, che diventerà grande amico e sostenitore del chitarrista inglese. La Mahanishnu Orchestra fu fondata insieme a Jan Hammer alla tastiera, Jerry Goodman al violino, Rick Laird al basso elettrico e Billy Cobham alla batteria, quest'ultimo anch'egli collaboratore di Miles Davis e uno dei più influenti batteristi di tutti i tempi per stile tecnica e innovazioni musicali.
Tutto è pronto per l'esordio. Presso i Cbs Studios tra la 49 East e la 52.ma strada in Midtown, Manhattan, in una sola e leggendaria sessione di prove ad Agosto del 1971, dopo averlo suonato solo un paio di volte in precedenza, viene registrato The Inner Mounting Flame, che esce prodotto da McLaughlin nel Novembre dello stesso anno. Sin da subito si capisce che la sintonia telepatica tra i musicisti è a livelli superiori, e rimarrà proverbiale negli anni a venire, e la scaletta sciorina il meglio della band e delle singole abilità dei musicisti. Meeting Of The Spirits è l'invocazione magica a colpi di assoluti istrionici di McLaughlin alla chitarra e Billy Cobham alla batteria, a cui si aggiungono pian piano quelle degli altri musicisti, in un incedere ipnotico e vorticoso. Con Dawn è come un momento di relativa pausa, un prendere fiato per ripartire con Noonward Race, rappresentazione clamorosa della velocità e della tecnica di Cobham e la chitarra che omaggia il da poco scomparso Jimi Hendrix di McLaughlin, sostenuti dal basso pulsante di Laird, il piano jazzato di Hammer e il violino “scanzonato” di Goodman. A Lotus On Irish Streams vede protagonista il violino di Goodman, grande colonna del brano, che disegna delle scie musicali che davvero fanno pensare al fluire liquido dell'elemento, in uno dei brani più sognanti dell'intero repertorio. Vital Transformation riporta sul groove funk e veloce di Noonward Race ma l'atmosfera cambia per The Dance Of Maya che parte misteriosa, poi diventa blues e finisce nella solita e proverbiale corsa a rincorrersi tra chitarra e batteria, vero marchio di fabbrica della banda. You know, You know, dalla struttura delicata, diventerà fornitura pregiata per molti artisti, ricordo David Sylvian in I Surrender, i Massive Attack in One Love, addirittura il rapper Mos Def, Cecil Otter e altri ancora. Awakening conclude con le tastiere di Hammer un disco dove la velocità e la potenza del motore musicale impressiona ancora oggi per precisione, vitalità e per la padronanza assoluta delle variazioni ritmiche, strutturali e sentimentali dei brani.
Il disco fu un successo, e venderà negli anni un milione di copie, uno dei più grandi successi del jazz. Il successo riporterà in classifica persino i primi esperimenti da solista di McLaughlin. La band si riproporrà con Birds Of Fire del 1973 (dove c'è un omaggio al Maestro in Miles Beyond), altra meraviglia, e si ritrova in studio a Londra, ai Trident, per registrare quello che secondo loro dovrebbe essere l'album definito del connubio jazz e rock. Ma la tensione è alle stelle e la band si scioglie a metà lavoro (qualcosa verrà pubblicato in Between Nothingness & Eternity). La band si scioglie, ma McLaughling continua e stavolta costruisce una nuova grande Orchestra con fiati, trombe e il violino di Jean Luc Ponty, fedele collaboratore di Frank Zappa, ed altri grandi musicisti per ampliare le visioni della musica che ha in mente, con risultati altalenanti. La Mahavishnu Orchestra avrà persino una terza rinascita a metà anni '80, e continuerà ad essere il sogno musicale di un eterno ragazzo inglese che una volta disse: Mia madre dovette sequestrarmi la chitarra per mesi perché stavo tutto il giorno a suonarla e andavo avanti nonostante mi sanguinassero le dita.
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