Tumgik
#Fratelli Dalla Via
papesatan · 4 months
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Trovo che nulla parli di noi come le nostre lacrime. Di conseguenza, ho deciso di trascrivere qui una lista di eventi e situazioni che mi fanno piangere inconsolabilmente:
le lettere scritte da mia madre e nascoste in un vecchio diario di scuola, quando andavo ancora alle medie. Le ho scoperte soltanto pochi mesi fa, riaprendolo casualmente, e sono scoppiato a piangere,
il finale di Mary Poppins, quando dopo essere stato licenziato, il signor Banks torna a casa con l’aquilone finalmente riparato e comincia a giocare coi figli, correndo fuori con loro per farlo volare nel parco (scena tuttora inguardabile per me senza cominciare a frignare),
gli abbracci alla stazione,
l’episodio di Doraemon in cui Nobita vorrebbe ringraziare la persona che, durante una gita all’asilo, lo aiutò a rialzarsi, scacciando i bruchi pelosi che lo ricoprivano. Tuttavia, Nobita non riesce a ricordare il suo volto, così Doraemon gli offre l’opportunità d’incontrare chiunque voglia nella Stanza del Rivedersi,
la perduta innocenza,
il finale dell’Uomo dei Sogni, quando Ray incontra suo padre, morto da tempo, e prima che questi svanisca gli chiede: “Ehi papà, vuoi giocare un po’ con me?” (tema a quanto pare ricorrente, dovrei forse dedurne qualcosa?),
l’inesorabile decadimento fisico e psichico dei miei genitori, ormai pressoché anziani,
la tenerezza del mio cagnolino e la consapevolezza della sua ineluttabile caducità, 
questo mio talento letterario negletto e sprecato, gettato ormai ad appassire come giardino incolto,
il finale della terza stagione di Person of Interest, quando Samaritan sembra aver ormai vinto, ma il monologo di Root ci ricorda che nonostante tutto il male che ci opprime, non dobbiamo mai smettere di sperare,
Exit music for a film dei Radiohead, dal minuto 2:50, ovvero lo smanioso desiderio di rivalsa che da sempre m’avvampa e mi corrode animo e viscere dopo ogni mortificante derisione, al pensiero che sì, un giorno tutti sapranno, e allora, beh, gliela farò vedere io… (me ne rendo conto, di solito è così che nascono i serial killer). Questa parte, ad ogni modo, mi emoziona a tal punto da avermi spinto a scrivere il finale della mia storia: “Un ventoso mattino di settembre, i servi del marchese  avrebbero forzato le porte dello studio, ove il misero scrittore soleva rinchiudersi di notte, e lo avrebbero trovato morto, riverso fra le sue carte in una pozza di vomito. Spalancate le finestre a lutto, i poveri disgraziati sarebbero stati travolti allora dall'empia ferocia di quegli astiosi fogli sdegnati dal tempo e, così finalmente libere, pagine e pagine d'inchiostro si sarebbero riversate in strada, pronte a prender d'assalto case e negozi, scuole e caserme, mulinando burrascose sulla città, fra le strida dei borghesi impazziti e le urla dei bambini accalcati contro i vetri, fino a seppellire il mondo, terra e cielo, sotto cumuli di scritti dissotterati dal fuoco e dagli abissi”,
la morte di Due Calzini in Balla coi lupi (e il tema ad esso collegato), quando il lupo segue fedelmente Dunbar ormai prigioniero e i soldati gli sparano addosso per dimostrare la loro tonitruante possenza di coraggiosissimi esseri umani supercazzuti, finché non l’ammazzano senza pietà. 
la lettera di Valerie da V per Vendetta, (credo non occorrano spiegazioni né commenti qui),
la mia sciagurata impotenza dinanzi al dolore degli amici,
la morte del commissario Ginz ne Il dottor Živago: “Soldati armati di fucili lo seguivano. ‘Cosa vorranno?’ pensò Ginz e accelerò il passo. Lo stesso fecero i suoi inseguitori. [...] Dalla stazione gli facevano segno di entrare, lo avrebbero messo in salvo. Ma di nuovo il senso dell’onore, educato attraverso generazioni, [...] gli sbarrò la via della salvezza. Con uno sforzo sovrumano cercò di calmare il tremito del cuore in tumulto. Pensò: ‘Bisognerebbe gridargli: - Fratelli, tornate in voi, come volete che sia una spia! - Qualcosa di sincero, capace di svelenirli, di fermarli.’ [...] Davanti all’ingresso della stazione si trovava un’alta botte chiusa da un coperchio. Ginz vi balzò sopra e rivolse ai soldati alcune parole sconvolgenti, fuori dell’umano. Il folle ardire del suo appello, a due passi dalle porte della stazione, dove avrebbe potuto rifugiarsi, sbigottì gli inseguitori. I soldati abbassarono i fucili. Ma Ginz si spostò sull’orlo del coperchio della botte e lo ribaltò. Una gamba gli scivolò nell’acqua, l’altra rimase penzoloni fuori della botte. [...] I soldati accolsero la sua goffa caduta con uno scroscio di risate: il primo lo colpì al collo, uccidendolo. Gli altri gli si gettarono sopra per trafiggere il morto a baionettate”. Non riesco a dire come questa fine mi commuova, ma credo abbia a che fare con goffaggine, spietatezza e umiliazione, cose che mi colpiscono tutte enormemente,
l’episodio de La casa nella prateria, in cui il signor Ingalls realizza una scarpa speciale per la piccola Olga che zoppica a causa di un’asimmetria nelle gambe. Il padre però non vuole che giochi con le altre bambine perché teme possano deriderla o che, ancor peggio, possa farsi male. Aggredisce così il signor Ingalls per essersi intromesso, ma all’improvviso vedendo la figlia giocare felice in cortile, muta espressione commuovendosi profondamente, ed io con lui. È la gioia d’un padre che comprende che sua figlia è finalmente felice. 
la vittoria dell’Italia alle olimpiadi di Torino 2006 nel pattinaggio di velocità, inseguimento a squadre maschile. Avevo 17 anni, avevo finito da poco i compiti e non so perché, restai paralizzato di fronte alla tv ad ammirare l’impresa di Enrico Fabris e compagni, esplodendo poi in un inspiegabile pianto liberatorio che ancora oggi sa per me d’imponderabile (disciplina mai più seguita, che quel giorno però mi regalò un’emozione eguagliata solo dall’oro di Jacobs nel ‘21 - senza lacrime),
la canzone Ave Maria, donna dell’attesa: dal matrimonio di mia sorella ad oggi son passati sette mesi, eppure questa canzone mi fa ancora lo stesso perturbante effetto, scuotendomi ogni santa volta.
Isengard Unleashed dalla colonna sonora del Signore degli Anelli, in particolare, il momento coincidente con la marcia degli Ent (vedi sogni di furiosa rivalsa), dal minuto 2:18,
la comprensione altrui,
ogniqualvolta ho dovuto accompagnare qualcuno all’Eterna Porta e dirgli addio in Spiritfarer,
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trovare ricci spiaccicati sulla strada,
gli immarcescibili sensi di colpa per la morte del gattino Figaro, quando avevo cinque anni,
le storie di grandi insegnanti, capaci di lasciare tracce di sé nei loro alunni.
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colonna-durruti · 9 months
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Alessandro Gilioli
Può sembrare che un po' abbiano ragione i fascisti di Acca Larenzia: la commemorazione con i saluti romani c'è sempre stata, dal 1979 in poi, perché quindi lo scandalo a questo giro?
Forse, tuttavia, un breve - brevissimo - riassunto di storia recente può darci qualche informazione in più, sul perché.
Storia molto recente: siamo nel gennaio del 2012. Quando, sempre nel giorno dell'anniversario, i neofascisti cambiarono in via Acca Larenzia una serie di cose, a iniziare dalla targa che commemorava le tre vittime.
Quella precedente era stata posta nel 1978 in una cerimonia guidata da Gianfranco Fini, allora segretario generale del Fronte della Gioventù, l'organizzazione giovanile del Msi. Le tre vittime della strage, in quella prima lapide, erano definite "vittime della violenza politica". C'era anche un appello: "Per la libertà e per un'Italia migliore".
Ecco, in quel sabato 7 gennaio 2012 quella lapide venne sostituita da un gruppo di ex missini che contestavano a Fini la sopravvenuta svolta moderata e la condanna del fascismo. Sulla nuova targa c'era scritto che i tre erano stati uccisi "dall'odio comunista e dai servi dello Stato". La firma: "I camerati". I muri attorno alla targa vennero dipinti con murales d'ispirazione tra il romano-imperiale e il fantasy ma soprattutto con una gigantesca croce celtica.
Chi erano quei giovani ex missini che nel gennaio del 2012 inscenarono un restyling commemorativo così identitario, rivendicativo del fascismo e di fatto polemico verso Fini?
Era il gruppo che solo dieci mesi dopo avrebbe fondato Fratelli d'Italia, inclusa l'attuale premier Giorgia Meloni. Con lei, a deporre la targa firmata "i camerati", c'erano tra gli altri Federico Mollicone e Fabrizio Ghera, entrambi tra i fondatori di Fratelli d'Italia. Con loro, quasi tutti i camerati di Colle Oppio, l'ex sede del Msi di Meloni da cui è uscito l'attuale gruppo dirigente del Paese.
In altre parole: quella commemorazione del 2012 - con i suoi saluti romani, la sua nuova targa, la sua grande croce celtica, i suoi richiami imperiali e i suoi "presente!" - è di fatto l'atto fondativo del partito che oggi governa l'Italia. Una fondazione realizzata in contrapposizione al vecchio gruppo dirigente finiano che dal Msi-An era confluito nel Pdl.
Forse per questo ha qualche senso parlarne. E forse per questo Meloni non è esattamente estranea alla sceneggiata dell'altro ieri.
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solosepensi · 7 months
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“Io credo nell’amore, l’amore che si muove dal cuore, che ti esce dalle mani che cammina sotto i tuoi piedi. L’amore misterioso anche dei cani e degli altri fratelli animali delle piante che sembra che ti sorridono anche quando ti chini per portarle via. L’amore silenzioso dei pesci che ci aspettano nel mare, L’amore di chi ci ama e non ci vuol lasciare. Vedi io credo, io credo che è l’amore che ci salverà.”
Lucio Dalla
Suoni ancora...ma per gli angeli
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viendiletto · 7 months
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Nino Benvenuti: «Senza ricordi non c’è futuro»
Campione olimpico nel 1960, campione mondiale dei Pesi superwelter tra il 1965 e il 1966 e dei pesi medi dal 1967 al 1970, Giovanni (Nino) Benvenuti è stato uno dei migliori pugili italiani di tutti i tempi e il suo nome troneggia tra i grandi del pugilato internazionale. È entrato nell’immaginario collettivo in una notte di aprile nel 1967 quando 18 milioni di italiani seguirono la diretta del suo incontro con Emile Griffith al Madison Square Garden di New York. Di quel match che gli portò il titolo di campione mondiale dei pesi medi, ma anche dell’infanzia a Isola, dei primi passi nella boxe, del significato dell’essere pugili, del rapporto con gli avversari sul ring e di tanto altro Nino Benvenuti – insignito nel 2018 dalla Can comunale del premio Isola d’Istria –, parla in un’intervista esclusiva di Massimo Cutò pubblicata di recente sulla Voce di New York, che riproponiamo.
[...]
Chi è un pugile?
“Uno che cerca sé stesso sul ring. Uno che vuole superare i propri limiti come faceva Maiorca in fondo al mare o Messner in cima alla montagna. La sfida è quella: fai a pugni con un altro da te e guardi in fondo alla tua anima”.
Lei cosa ci ha visto?
“La mia terra d’origine, una verità che molti continuano a negare. La storia di un bambino nato nel 1938 a Isola d’Istria e costretto all’esilio con la famiglia. Addio alla casa, la vigna, l’adolescenza: tutto spazzato via con violenza, fra la rabbia muta e la disperazione di un popolo. Gente deportata, gettata viva nelle foibe, fucilata, lasciata marcire nei campi di concentramento jugoslavi”.
Una memoria sempre viva?
“Ho cercato di non smarrirla, per quanto doloroso fosse. Riaffiora in certe sere. Ti ritrovi solo e sale una paura irrazionale”.
Riesce a spiegare questo sentimento?
“Il passato non passa, resta lì nella testa e nel cuore. A volte mi sembra che stiano arrivando: Nino scappa, sono quelli dell’Ozna, la polizia politica di Tito viene a prenderti. Un incubo che mi tengo stretto perché senza ricordi non c’è futuro”.
Che cosa accadde in quei giorni?
“Isola d’Istria odora di acqua salata. È il sole sulla pelle. La nostra era una famiglia benestante, avevamo terra e barche, il vino e il pesce. Vivevamo in una palazzina di fronte al mare: papà Fernando, mamma Dora, i nonni, io, i tre fratelli e mia sorella. Siamo stati costretti a scappare da quel paradiso”.
Come andò?
“Mio fratello Eliano fu rapito e imprigionato dai poliziotti titini, colpevole di essere italiano. È tornato sette mesi dopo, un’ombra smagrita, restò in silenzio per giorni. Mia madre si ammalò per l’angoscia. È morta nel ‘56 di crepacuore: aveva 46 anni. Attorno si respirava il terrore delle persecuzioni. Un giorno vidi dalla finestra della cameretta un uomo in divisa sparare alla nostra cagnetta, così, per puro divertimento”.
Finché fuggiste?
“Riparammo a Trieste dove c’era la pescheria dei nonni. Fu uno strappo lacerante, fisico. Così la mia è diventata in un attimo l’Isola che non c’è. Non potevamo più vivere lì dove eravamo nati”.
[...]
Quant’è difficile invecchiare?
“Dentro mi sento trent’anni, non ho paura della morte. Sono allenato. Sul ring risolvevo i problemi con il mio sinistro, la vita è stata più complicata però ho poco da rimproverarmi. E ho ancora un desiderio”.
Quale?
“Vorrei che un giorno, quando sarà, le mie ceneri fossero sparse da soscojo. È lo scoglio di Isola d’Istria dove ho imparato a nuotare da bambino”.
Intervista di Massimo Cutò a Nino Benvenuti per La Voce di New York, 23 luglio 2022
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vintagebiker43 · 1 year
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La dedica di una via di Grosseto a Giorgio #Almirante autorizzata dalla Prefetta di Grosseto (che è anche la moglie del ministro Piantedosi) celebra un signore definito da Giorgia Meloni: «Politico e patriota d’altri tempi, stimato da amici e avversari. Amore per l’Italia onestà, coerenza e coraggio sono valori che ha trasmesso alla Destra italiana e che portiamo avanti ogni giorno. Un grande uomo che non dimenticheremo mai» . Come è ben noto, Almirante prima di essere a lungo segretario del Movimento Sociale Italiano (la cui fiamma mussoliniana arde ancora nello stemma di Fratelli d'Italia, e che ebbe come presidenti criminali di guerra come Junio Valerio Borghese e Rodolfo Graziani), era stato segretario di redazione della fascistissima «Difesa della razza» (sulla quale scrisse, tra l’altro, «che in fatto di razzismo e di antigiudaismo gli italiani non hanno avuto né avranno bisogno di andare a scuola da chicchessia» , rivendicando un ben triste primato), oltre che, da gerarca della Repubblica Sociale, «servo dei nazisti» e «fucilatore di partigiani»: ‘titoli’ la cui legittimità fu sancita da una sentenza passata in giudicato in un processo per diffamazione incautamente innescato da una querela dello stesso Almirante. E bisognerà ricordare che il pubblico ministero che per primo chiese il proscioglimento dei due giornalisti (Carlo Ricchini e Luciana Castellina) era Vittorio Occorsio, poi ucciso dai terroristi neofascisti di Ordine Nuovo .
Tomaso Montanari
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t-annhauser · 3 months
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Nostalgia di Pio XII
Preferisco i papi ultraconservatori, almeno sai chi hai davanti, hanno ragione quelli che non riconoscono gli ultimi pontefici, è dal Concilio Vaticano II che si è diffusa questa moda dei papi moderni, i quali hanno sbiadito via via sempre più i loro connotati, come se si trattasse di una strategia di camouflage appositamente predisposta per disorientare i loro avversari. La figura del papa buono, aperto ai gay e agli esiti della modernità, è un'invenzione spudorata della stampa democratica che ci vuole pigliare per fessi, guardate invece i papi del passato, con quale santissimo piglio si congratulavano con Francisco Franco per il buon esito della controrivoluzione (fonte: radiomessaggio di Sua Santità Pio XII ai cattolici di Spagna, Domenica, 16 aprile 1939):
"paterna felicitazione per il dono della pace e della vittoria con il quale Dio si è degnato di coronare l'eroismo cristiano [...] I disegni della Provvidenza, amatissimi figli, si sono manifestati ancora una volta sopra l’eroica Spagna. La Nazione eletta da Dio come principale strumento di evangelizzazione del Nuovo Mondo e come baluardo inespugnabile della fede cattolica, ha testé dato ai proseliti dell’ateismo materialista del nostro secolo la più elevata prova che al di sopra di ogni cosa stanno i valori eterni della religione e dello spirito. [...] A Voi particolarmente, Venerabili Fratelli nell’Episcopato, spetta di consigliare gli uni e gli altri affinché nella loro politica di pacificazione tutti seguano i princípi inculcati dalla Chiesa, e proclamati con tanta nobilità dal Generalissimo, di giustizia, cioè, per il delitto, ma di generosa benevolenza verso coloro che hanno errato."
Altro che "quante volte vediamo gente tanto attaccata ai gatti, ai cani, e poi lasciano senza aiutare il vicino, la vicina che ha bisogno… così non va". È giunto il momento, insomma, che noi proseliti dell'ateismo materialista dobbiamo prenderci cura anche dei nostri cari rivali, perché ritornino quelli di una volta, in piena salute, così che la nostra affermazione acquisti maggior valore di questa patetica gherminella che è diventata la battaglia per i diritti civili (si veda per es. "Bertinotti: il movimento operaio è morto, in CL ho ritrovato un popolo", ecc. ecc.).
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abr · 1 year
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Un fatto straordinario, ha detto Walter Veltroni commentando il Papa entrato e uscito dalla camera ardente di Napolitano senza nemmeno un segno della croce. Lo dico anch'io: è proprio un fatto straordinario. E però in senso opposto: a differenza del Veltroni gongolante su RaiTre lo giudico un fatto straordinariamente negativo. (...) Un tempo lo facevano tutti e adesso non lo fa nemmeno il Papa. Non mi piace fare la parte dell'apocalittico, è un ruolo ingrato, ma se quanto accaduto nella camera ardente del Senato non evidenzia lo stato agonico del cattolicesimo romano ditemi voi. Per Veltroni la fissità bergogliana testimonia il «grande rispetto del pontefice nei confronti delle istituzioni di questo Paese». L'ex capo del partito democratico sembra dunque confondere il segno della croce con la pernacchia. (...) Un Papa così inerte è sconfortante per tutti i fedeli. Starsene impalato davanti a una bara è un venir meno alla propria missione, assegnata da Gesù a Pietro (e dunque ai suoi successori) durante l'Ultima Cena: «Conferma i tuoi fratelli». Un Papa che davanti alla morte si mostra senza parole né gesti non conferma: smentisce. Forse è stato ultra rispettoso verso l'ateo morto, di sicuro è stato poco riguardoso verso i cristiani vivi (...). In ogni tempo i grandi pensatori cristiani hanno assegnato grande valore al segno della croce. Per Tertulliano bisognerebbe farselo «ad ogni passo, quando si entra e quando si esce, nell'indossare i vestiti, a tavola, nell'andare a letto...». Per Ratzinger è nientemeno che «la sintesi della nostra fede». Invece il video del Papa immoto e silenzioso al Senato mi è sembrato una sintesi dell'agnosticismo costituzionale. E mi ha fatto venire in mente una poesia poco allegra di Cesare Pavese, quella che finisce così: «Scenderemo nel gorgo muti». Vade retro! Gesù nel Vangelo di Matteo ci esorta a fare l'esatto contrario: «Gridatelo sui tetti!». Lui che da quindici secoli fa il segno della croce nel mosaico di Sant'Apollinare in Classe.
definitivo Langone si staglia a 20 mila metri di altezza sopra al pensiero poverissimo dei poveri Veltroni, via https://www.ilgiornale.it/news/politica/com-triste-vedere-francesco-inerte-davanti-morte-esultano-ex-2215492.html
ps.: sul papa mezzo buja nen mezzo arghentino e non solo su di lui, il severo ma giusto giudizio di sintesi lo offre il nostro Javier MILEI.
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elperegrinodedios · 7 months
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Il mio dolore più grande, è quello che dopo aver studiato per 25 anni le scritture conosciuto tutta la storia di questo popolo fino dalle origini, dopo aver calpestato questa terra e dopo aver visitato questi luoghi durante i miei tre cammini in Terra Santa da Nazareth, Gerusalemme, Betlemme le terre dove è nato, vissuto, testimoniato e morto Gesù, ancora oggi si sparge sangue d'innocenti. E questo purtroppo, non finirà mai fino alla fine dei tempi. Religione certo, ma anche dittatura e bramosia, egoismo, ricchezza e vanità. Pensare che ormai quasi tutta la Palestina è musulmana e cosi è insieme agli ebrei per Israele. Io lo so, io l'ho visto con i miei occhi e ho toccato con mani che ormai i cristiani rimasti, sono soltanto i frati che gestiscono i luoghi sacri o parte di essi cosi come la Basilica del Santo Sepolcro.
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Tra una bomba ed un'altra, un'attentato e l'altro, tra una strage di innocenti ed un'altra, alla fine rimane sempre il fatto che, un solo popolo, con lo stesso sangue, combatte contro i suoi fratelli.
No, non è soltanto una disputa e una guerra tra Israele e Palestina bensì, una situazione che di fatto coinvolge l'intera umanità ed il silenzio o il non prendere posizione in merito, ci rende tutti complici. Da parte mia l'uomo, cosi come fa fin dal principio (Caino con Abele) potrebbe anche continuare ad uccidersi l'un l'altro tanto è la sua natura, ma che a pagarne le spese e a versare il sangue siano bambini innocenti e le loro madri, questo no, questo è l'abominio che toccherà la pupilla di Dio che a suo tempo farà giustizia. 💧
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Queste sono due foto che scattai durante il mio ultimo cammino in Terra Santa. Basta quella in alto, per capire quanto loro stessi sappiano che stanno combattendo una guerra fratricida. Una guerra non religiosa dicono loro, ma politica nel nome d'una propria indipendenza e di una reale autonomia. Due muli che vogliono andare per la loro via in direzioni diverse ma che non possono perchè legati dalla loro stessa natura e origine e dallo stesso sangue. Questa foto del murales, si trova sulla parete di un edificio, diviso in due dal muro di confine dalla parte di Gerusalemme e in pratica divide Israele e Palestina. Tale murales è stato di grande impatto su di me. Mentre l'altro in basso invece si trova (come si può vedere) sul muro stesso alto sette metri che segna proprio il confine tra Betlemme e Gerusalemme che dista nove km. Il leone che divora la colomba e siamo sempre all'interno della Palestina. Un anziano di quei luoghi mi raccontò che il muro al momento della costruzione, non ha avuto nessun riguardo e ha di fatto separato intere famiglie che si sono ritrovate già dal giorno dopo, ad essere cittadini palestinesi se erano nativi israeliani e, viceversa.
Uno scempio!!! Come possiamo girarci dall'altra parte? Come può questo mondo infame restare a guardare, senza almeno restarne indignato?!?!
Si spacciano dittature per democrazie contando sull'ignoranza e, sul menefreghismo del popolo, basti vedere chi tiene e tira i fili in queste guerre più conosciute, come Israele e Palestina, Russia e Ucraina o anche nel Congo. Noi non possiamo fare nulla, ma sappiamo scrivere e spargere foto e lamenti e preghiere e lacrime di condanna e di orrore. Abbiamo potere, lasciamo le cose futili e condividiamo le sofferenze ed il dolore, di quelle madri e di quelle povere anime innocenti, che la sola colpa che hanno è quella di essere nati. 💔
lan ✍️🙏
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aitan · 3 months
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"Frattamaggiore è una piccola città a Nord di Napoli, un comune di poco più di cinque chilometri quadrati, ma molto densamente popolato, cementificato e trafficato.
A Frattamaggiore ci sono molte banche e poche attività produttive ed è presente un gran numero di istituti scolastici pubblici e privati. Inoltre, a Fratta, ogni giorno si inaugurano nuovi bar, pub, sale giochi, punti scommesse e pizzerie che aumentano la capacità di attrazione di questo piccolo territorio di periferia.
Pochi, invece, gli spazi pubblici di aggregazione culturale, soprattutto per i giovani, che si riversano per le strade con in mano una birra, un cicchetto, una pizzetta o una canna di erba o di fumo e vengono accusati di schiamazzi notturni da una generazione che offre loro scarse alternative e pochi modelli culturali che esulino dalla logica della dipendenza e del consumo.
Eppure, per la sua storia e per la grande quantità di artisti nati in questo territorio, Frattamaggiore potrebbe diventare una autentica *città della musica*, con tutto l’indotto economico e socioculturale che questo potrebbe comportare.
Era di Frattamaggiore un genio dell’armonia come Francesco Durante (1684-1755) precursore della Scuola musicale che fece di Napoli, nel XVIII secolo, uno dei massimi centri operistici mondiali.
E sono o sono stati di Frattamaggiore una lunga serie di musicisti, soprattutto clarinettisti, sassofonisti e batteristi, legati al mondo del jazz, della musica classica, del rock e del pop.
Una lunga serie di cui sono stati antesignani i fratelli Pierino, classe 1927, e Gegè Munari, classe 1934, due meravigliosi diffusori del drumming jazz e del verbo swing in Italia.
Pierino – per anni nella Big Band della RAI e batterista di centinaia di colonne sonore composte da artisti del calibro di Ennio Morricone, Nino Rota e Piero Umiliani – se ne è andato nel 2017; Gegè, invece, è ancora attivo, energico e trascinante alle soglie dei 90 anni che compirà tra un paio di giorni, ed è giustamente considerato uno dei padri fondatori della “musica sincopata” italiana [...]."
Questo lo scrivevo un paio di giorni fa.
Oggi è arrivato il grande giorno del compleanno di Gege Munari. 90 anni compiuti.
Ieri, gli è stato conferito dal Presidente Sergio Mattarella il titolo di "Ufficiale della Repubblica".
Per chi si trovasse a Roma, Gegezz festeggia nel ristorante di Stefano Di Battista e Nicky Nicolai "Da Peppe a Tor Cervara".
Chi, invece, si trova a Frattamaggiore città della musica può venire alla prima serata dell'ottava edizione del Mediterraneo Reading Festival, che si tiene alle 20:30 al civico 27 di Via Lupoli.
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sognidicarta · 14 days
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27) gioco
Il primo ricordo è un gioco che facevo con mio cugino. Lo chiamavamo "Fratelli". Era il nostro piccolo mondo, il nostro negozio in cui vendevamo prelibatezze fatte rigorosamente con la nostra cucina giocattolo. Prendevamo due sedie e le univamo per creare un bancone; alla porta affiggevamo un cartello di cartone con su scritto "The Chef". Le risate erano le nostre vere ricette.
Poi c’è il gioco che ho inventato con mio fratello più piccolo. Lo caricavo sulle gambe, lo sollevavo, e insieme simulavamo di essere una navicella spaziale, un viaggio verso l’infinito. Ci bastava questo: le mie gambe e la sua immaginazione. E in un attimo volavamo via, tra le stelle.
Ma c'è un ricordo che spicca tra tutti, quello più dolce e prezioso. Era il gioco con mio papà, che chiamavamo "Corri corri". C’era un lungo corridoio che separava la cucina dalla camera da letto. La corsa iniziava in cucina, con una tensione divertente nell’aria. Io sentivo il battito del cuore accelerare mentre scattavamo, il rumore dei piedi che rimbombava sulle piastrelle fredde. E poi, lui mi afferrava, mi sollevava in un volo improvviso e mi gettava sul letto. In quell’attimo di aria e di risa, io ero Superman. Un salto, un volo, una piccola eternità in cui tutto sembrava possibile.È questo il mio gioco preferito: un corridoio, un letto, mio padre e io che diventavo invincibile.
Grazie per la domanda ❤
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Cara Sara,
Forse è un po’ all’antica scrivere lettere, però mi piace l’idea che questo discorso non svanirà nell’aria e che rimarrà per sempre con te, se lo vorrai…
Tu sei stata la mia ancora, il mio punto di forza, una sorella maggiore, e molto altro ancora. Quando avevo bisogno di un consiglio, di un aiuto o semplicemente di una spalla su cui piangere, tu c’eri sempre, semplicemente oltre la porta di casa mia. Non hai idea di quante volte ho provato paura o ansia a causa di una qualsiasi situazione che stava avvenendo, ma riuscivo a calmarmi semplicemente pensando “c’è Sara qui accanto, se le cose dovessero andare male”. È vero, non sei una maga (o almeno credo), eppure hai sempre avuto le risposte esatte al momento esatto, magicamente sapevi cosa volessi sentirmi dire in quel momento o cosa avessi bisogno di sentirmi dire. Tante volte mi sei venuta incontro, mi hai capita, mi hai accolta tra le tue braccia, e tante altre volte mi hai rimproverata se stavo sbagliando e mi hai fatto capire i miei errori. Sin da quando ero piccola, e ora che sto crescendo ancor di più, sei sempre stata per me un “modello da seguire”, una donna indipendente, forte, bella, altruista, che nonostante le difficoltà della vita aveva sempre il coraggio e la maturità di rialzarsi e andare avanti. Sappiamo entrambe le batoste che hai preso dalla vita, e sicuramente non sono poche, eppure, ognuno di questi brutti momenti ti ha aiutata a fortificarti e a diventare la donna meravigliosa che sei oggi. Il mio più grande desiderio è quello di poterti somigliare almeno un po’; quando sarò grande, spero di avere la tua stessa forza, il tuo stesso coraggio e la tua stessa determinazione.
Ti ringrazio perché in uno dei periodi più bui della mia vita, mi hai mostrato che c’era una via per uscirne, mi hai fatto capire che c’era una vita avanti a me ad attenermi, mi hai mostrato la direzione verso la luce e mi hai guidata. Mi hai amata senza mai chiedermi nulla in cambio, se non fosse stato per te e per la tua famiglia, che rappresentate per me una seconda famiglia, io probabilmente non avrei mai capito cosa significa amare ed essere amati senza alcun secondo fine. Tantissime volte hai nascosto dietro ad un sorriso il tuo dolore, e tutto questo per farmi forza, tante volte nonostante avessi da fare fare mille cose, trovavi sempre del tempo per me, hai sempre messo tutto in stand by per me, mi hai fatto sentire la priorità, ed è bello, sapere che esiste qualcuno al mondo per il quale sei talmente importante, da mettere te al primo posto. Ti sono grata di esistere, perché senza di te la mia vita non sarebbe stata la stessa, e io non sarei stata la stessa, mi hai dato importanti lezioni di vita che custodirò per sempre nel mio cuore e mi hai donato un’ Infinità di meravigliosi ricordi grazie ai quali so che la vita è bella, se la condividi con qualcuno di speciale come te.
Grazie per avermi concesso l’onore di sentirmi partecipe della tua famiglia, grazie per aver amato i miei fratelli come se fossero anche i tuoi.
Grazie per avermi capita, amata, supportata, sopportata, appoggiata, rimproverata, accudita, coccolata.
È vero, il pensiero di non poter semplicemente bussare un campanello quando le cose andranno male o quando andranno bene, o semplicemente perché mi va di vederti, un po’ mi spaventa, però si sapeva che prima o poi questo sarebbe successo, e ci farò sicuramente l’abitudine, ma in questo momento non è molto semplice per me accettarlo.
Sono felicissima per te, perché meriti il meglio dalla vita, ti auguro tanta gioia e tanta felicità, perché una persona pura come te al mondo non esiste. Sappi solo, che se anche non saremo più porta a porta, io sarò ugualmente felice se lo sarai anche tu, infondo come mi hai detto tu un po’ di tempo fa, “io sono la tua sorella maggiore”, è vero, non di sangue, ma per scelta. Io penso che più che una scelta, sia stato il destino a farci incontrare, perché il nostro legame è fortissimo e non ci separeremo mai, la mia mente e il mio cuore saranno sempre dove sarai tu.
Questa non è una lettera di addio, infondo ci continueremo a vedere molto spesso, è solo una lettera per dirti tutto ciò che non ti ho detto e che più volte ho dato per scontato, una lettera di augurio per questo nuovo importantissimo capitolo della tua vita che stai per aprire e una lettera che potrai rileggere quando magari sarai un po’ giù di morale e vorrai sentirti dire belle parole, parole sincere, parole che sappiano cullarti e accarezzarti, pur non essendo nient’altro che un po’ di inchiostro su un foglio bianco.
Commarella mia, ti voglio un mondo di bene, grazie di tutto, grazie grazie grazie, non potrò mai ripagarti per tutto il bene che mi hai donato, te ne sarò eternamente grata.
Per concludere,
ovunque,
per sempre,
io e te,
lontane,
vicine,
con la mente o con il cuore,
rimarremo legate fino all’ultimo battito.
In un’altra vita, se dovesse esserci, mi auguro solo di rincontrarti, perché se ho te al mio fianco, il mondo mi fa meno paura.
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Quella mattina a scuola c’era il compito in classe di italiano. Il titolo del tema era
“La persona più speciale per me”.
Umberto scrisse tutto d’un fiato, come se le parole si scrivessero da sole.
“Mio fratello si chiama Bruno.
Sono sicuro che mi vuole un mondo di bene, come io ne voglio a lui, anche se non me l’ha mai detto. Lui le cose le dimostra, non si perde in inutili parole.
Quando è entrato nella nostra famiglia, era già grande, i miei l’hanno adottato un giorno di quattro anni fa. E dal primo momento in cui ci siamo guardati, è come se fossimo stati sempre fratelli.
Mio padre dice che l’amore, in qualunque sua forma, è proprio questo: due anime che si riconoscono, tra miliardi di anime.
Non so nulla della sua storia prima che entrasse in casa nostra, ma mi piacerebbe sapere se era amato quanto lo amiamo noi.
E perché si sia ritrovato solo.
So che un giorno lo scoprirò, e che quel segreto mi farà piangere. Perché allora capirò quei momenti di malinconia in cui ogni tanto lo trovo perso.
Ma anche se non conosco la sua storia, sento che il suo mondo è così simile al mio, da potercelo scambiare.
Noi abbiamo diviso tutto, fin dal primo momento: i giochi, il letto, i genitori. Le bravate. Lui è un complice perfetto, non fa mai la spia e mi dà fiducia assoluta.
Ogni volta che gli propongo qualcosa, è sempre pronto a seguirmi. Come se non avesse mai di meglio da fare che stare con me, come se fossi io il suo meglio.
E questo mi fa sentire la persona più importante al mondo.
Una delle sue passioni più grandi è il cibo, ad ogni pasto mangerebbe fino a scoppiare, come se non si saziasse mai. Ma nonostante questa sua debolezza, non è grasso, e si mantiene in forma perché è un tipo sportivo.
Corre tutti i giorni e nuota appena ne ha la possibilità.
Quando vede una qualunque distesa d’acqua, che sia il mare, un lago o un fiumiciattolo, lui si butta e comincia a nuotare, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
La scorsa estate al mare ha salvato anche un paio di bambini che stavano per essere trascinati via dalla corrente.
Lui li ha visti per primo, e si è buttato in mare senza nessuna esitazione, senza nessuna paura, riportandoli a riva sani e salvi, tra gli applausi commossi e increduli di tutti i bagnanti.
Quando sono in ospedale, è lui che mi manca più di ogni altra cosa al mondo. La sua contagiosa allegria. Le risate che mi fa fare. Quel suo modo speciale di essermi vicino, sempre.
So che quando sto male, lui non soffre per me, ma con me, e allora il dolore si divide, ed è come se facesse meno male.
E quando sono felice, lui non è felice per me, ma è felice con me, e allora qualunque felicità si moltiplica e diventa ancora più grande.
Pochi al mondo sanno esserci, come lui.
Un giorno, dopo un’anestesia, lo vidi stare male, trascinarsi a terra stremato, guardarmi con gli occhi sbarrati, tremare e cercare con tutte le forze il mio aiuto.
Io non potevo fare nulla per salvarlo, allora mi feci mettere a terra vicino a lui e l’abbracciai più forte che potei, finché non riprese le forze.
Lo aspettai.
Mi ha insegnato lui a farlo.
Guardandolo, ogni giorno imparo qualcosa...
La dignità, la lealtà, il coraggio, il rispetto, la riconoscenza, il perdono. L’amore.
Ah, dimenticavo… lui non è una persona,
è un cane, anzi un labrador,
ma per me non fa nessuna differenza.
E’ il fratello migliore che potessi avere.
I fratelli non si scelgono, ma se si potessero scegliere, pure in altre mille vite,
io sceglierei lui.
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Adesso basta sangue
Ma non vedi?
Non stiamo nemmeno più in piedi
Un po' di pietà
Invece tu, invece fumi
Con grande tranquillità
Così sta a me
A me che debbo parlare, fidarmi di te
Domani, domani
Domani chi lo sa che domani sarà
Oh-oh, chi non lo so quale Dio ci sarà
Io parlo e parlo solo per me
Va bene, io credo nell'amore
L'amore che si muove dal cuore
Che ti esce dalle mani
E che cammina sotto i tuoi piedi
L'amore misterioso anche dei cani
E degli altri fratelli animali
Delle piante che sembra che ti sorridono
Anche quando ti chini per portarle via
L'amore silenzioso dei pesci
Che ci aspettano nel mare
L'amore di chi ci ama e non ci vuol lasciare
Ok (ok), lo so che capisci
Ma sono io che non capisco cosa dici
Troppo sangue qua e là sotto cieli di lucide stelle
Nei silenzi dell'immensità
Ma chissà se cambierà
Oh, oh, non so
Se in questo futuro nero buio
Forse c'è qualcosa che ci cambierà
Io credo che il dolore
È il dolore che ci cambierà
Oh ma, oh il dolore che ci cambierà
E dopo chi lo sa
Se ancora ci vedremo e dentro quale città
Brutta, fredda, buia, stretta o brutta come questa
Sotto un cielo senza pietà
Ma io ti cercherò
Anche da così lontano ti telefonerò
In una sera buia, sporca, fredda
Brutta come questa
Forse ti chiamerò perché vedi
Io credo che l'amore, è l'amore che ci salverà
Vedi io credo che l'amore è l'amore che ci salverà
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deliriumtropos · 27 days
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r18❗️ parte seconda di una fan fiction in revisione; 🇮🇹
capitolo incompleto!
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— Allora che si fa, eh? O Planetario, ma che si fa?
Pistonai fuori dall'autobus alla fermata del Center col sole sulla biffa e i fari schermati dalle travegghie scure, da vero duro della ti vù tipo. Poi con un bel dito centrale verso l'autista e il suo tentativo d'acciuffarmi in tempo per la collottola, e controllarmi così le gaioffe come in caccia della solita bella maria che mai gli avrei dato, manovrai quasi volando sulla strada nella speranza che questo non volesse insistere oltre. E forse questo martino mi lesse nel cardine, O fratelli, perché il poldo autista - un tipo bigio stagionato col corpo tutto molle e tarchiato e con una certa sguana nella sudata - agitò le granfie verso il sottoscritto, proprio noncurante dei passeggeri imburianati dall'attesa, e provò a scendere coi fari tipo su tutte le furie contro di me. Ma questo era appunto un poldo bigio e grasso da fare invidia a Orwell coi suoi porci nel porcile, e anche assai lento.
Allora gufai, accompagnando perbene il misero teatrino e la ciangotta affannata e stanca dell'autista con un po' di musica labiale: brrrrzzzzrrrr.
Il poldo del porcile prese la rincorsa più friggibuco del secolo. — Ora ti acchiappo, ora ti acchiappo! —, sborgnò. Ma, più che acchiappare il vostro Umilissimo narratore, acchiappò il marciapiotte inciampando come un sacco di letame sguanoso e io fui pronto, tipo, a un tanti egregi saluti alla tua vecchia fattoria lerciosa, e nemmeno a dirlo lo seminai allampo.
— Ma io Ti conosco, ma tu sei quello sui giornali! — abbaiò il poldo, ancora più imburianato di prima e col grosso biffone sgarrettato e rosso. — Non credere che non ti conosco! ti conosco, hai capito che ti conosco? —
Gli gufai sopra con una gufata più grassa di lui. — Senti, amico, io non ho tempo, — dissi facendo flash flash coi zughi di fuori e il labbro tipo a scimmione per imitare quanto più fedelmente possibile la biffa sguanosa che continuavo a locchiare come a volerlo provocare o ca cate simili. — C'è una questione di vita o di morte al varco, afferri il concetto? Ma che ne puoi capire tu? Amico, senti, perché non prendi un respiro? —
Il poldo martino Santo Martire degli autisti digrignò i zugh festati perbene e ecco che esce il sangue per lo scapriccio del marciapiotte senza farci flash flash come il sottoscritto faceva. E fu uno spettacolo cinebrivido, compagni miei, una vera bellezza. Poi il mio stomaco cominciò come a voler protestare, e allampo e senza apparente ragione rovellai di voltarmi e di lasciarlo lì. Strano, pensai in un primo momento. Ma, come dicono, non tutto deve sempre averci del significato, e così attribuii il mio distacco dalle sue macerie al pensiero di cosa ci avrei trovato di friggibuco per il Van, e cominciai a non darci chissà quale peso. Manovrai via dalla fermata e dal Martire festato dal marciapiotte, imboccai la strada per il Taylor Place e continuai per la Missione.
Fu proprio una volta che il sottoscritto si trovò di fronte alle insegne della disco-butik che mi fermai con le patte, e sempre lì che il mio planetario suggerì alla svelta di far retro marcia e baracca e burattini, mica molto convinto d'aver fatto cosa buona e giusta nel lasciar casetta, o casa dolce casa. Ma ormai ero lì, e nonostante il pizzicore e la sguana e l'ira coi coltelli dentro, per com'ero fatto le cose lasciate a metà non mi si facevano.
Dissi al planetario, tra sottoscritto e sottoscritto:
— E allora si entra o si entra? O no? Sei un malcico fatto e finito, e coi venti e sette anni sul groppo pure. E allora che sguana di cosa t'aspetti, se indugi e non ti ci smuovi? Ci entri alla disco-butik oppure no? — E gli ci aggiunsi che gli sarebbe pure convenuto di darsi una mossa e di agire sul punto. Ma, nel mentre, le mie patte avevano preso come sù il peso del puro piombo, come se la figura del bebbeotto indeciso fosse già poca cosa, e non mi veniva idea d'un rimedio o una trucca qualsiasi dalla soluzione immediata che potesse, con ogni mezzo, sbrogliare la faccenda. Nemmeno un lampo che suonasse di genio alla Ein e Stein! Non mi garbava di sentirmi le granfie mezze date alla voglia di darsi a gran festoni sui primi martini a tiro di biffa in pieno giorno, O fratelli: con Zio e Tutti gli Angeli a locchiarmi e ammonirmi, e magari a suon di cerini e auto-pol.
Più che Melodia – questo il nome del commerciante di musica in padellami dei miei tempi d'oro e argento –, già friggibuco come nome a quell'epoca, e poi Van (e questa era cosa buona e giusta, amici rari), l'ennesimo cambio di gestione alla cassa e alla vecchia maria suonava come un rutto meschino e intollerabile. Vogue era adesso il suo nome, e era proprio un nome da bigia, di quelle che ci passano intere ore a rifarcire il truglio raffazzolettato con la trucca del trucco, e coi specchi tutti rotti per la vergogna tipo, se capite cosa intendo. Al solo pensiero mi ci scardinavo tutto al centimetro quadro, e tutta quella sguana. Nessuna precedente insegna pareva superare in mielestrazio questa qua nuova, a cominciare da quel tanto di logo friggibuco del Van che adesso si chiamava Vogue, perché era una gran schifo d'insegna e di situazione, potete starne certi, né il sottoscritto amante dei compromessi e del porgi-la-guancia-amico. Allora i miei fari tornarono frappè, e per una volta pensai che in fin dei conti ogni sosto sarebbe stato cento sguane meglio d'un locale ormai ridicolo come questo sostaccio, anche un sosto sgualcito come la rozzeria centrale, per esempio. Ed era tutto dire.
Mentre ancora scricciavo al planetario di trovare una maniera per farmi coraggio, stupendomi instupidito di quanto certe volte certi sogni dicano il vero (e potevo anche confermarlo, fratellini), e che non trarne poi tutta quella tragicomica da gedia avrebbe migliorato in parte il bel pome che tutto sommato era sereno e spumante, le mie granfie pigliavano a rovellarsi tra di loro e ci facevo pochi passi che quasi subito mi rovellavo di nuovo di non oltrepassare la soglia con le patte a un metro dalle porte della friggi-butik, sguana and company. O locchiavo a destra e a manca per tutta Taylor Place, e anche per diritto nel caso, coi fari cinebrivido e severi.
Ci passò molto altro tempo, tipo lo scorrere in stile un-due-tre-stalla o giù di lì. Poi le mie gambe e le mie patte reagirono, si fecero finalmente di forza in avanti e il vostro Umilissimo narratore si decise a procedere verso il rivenditoriale che pensavo di conoscere come le mie gaioffe sacre, o fratelli, e ecco che superai l'insegna buzzurra e mielestrazio del Van che ora si chiamava Vogue del porco mondo, e ci entrai con i zughi da finto ghigno perbene: tutto sorridente, insomma, come un malcico tranquillo tranquillo, sbarbato e lavato. E almeno sulle ultime due c'era del vero, mi ero lavato cioè.
Le mode, anche se poco cinebrivido, cambiano. Ma Vogue era proprio un nome sguanoso, e mai mi sarei pentito di definirlo in questo modo, e era pure peggio del primo nome di Melodia, e Van-non-più-Van-ma-Vogue a questo punto leggenda da tramandare ai figli dei figli dei figli e amen, da tramandare, dico, coi fari da piagnisteo e condoglianze vivissime, cari.
Delitto! In cinque o sei anni d'assenza del VUN, tutti mi ci avevano tipo ballato alle spalle alla maniera dei ratti che ballino alla scomparsa del Gatto, e la rabbia mi prese un piccolopoco. Locchiai male il primo capitato a tiro, scapricciando di prenderlo davvero a tiro con l'aire d'un festone sulla sua biffa coi zughi da coniglio, altro che indugiare per il pugno dei rozzi e dei cerini coi parazzucchi! Ma gli evitai il buon giro tipo quarto d'ora di porco diciannove ultraviolento del sottoscritto, non so come né perché, e nel portarmi lontano dal martino coi zughi da coniglio senza la sua carota m'infilai a dar di perlustrazione per gli scaffali dandogli un'ultima locchiata di fari minacciosi per evitarmi, almeno, la figura del Bamba che si pigli la coda tra le gambe come i cagnacci. Certo, Bamba ormai non era più così Bamba, ma nel mio planetario speravo ancora che il nuovo bamba col parazzucca da rozzo fosse una qualche genere di trucca tipo fantascientifica o un clone.
Le mode cambiano, anche i soma a quanto pare, ma la musica no. Ci si deve accontentare nella vita, perché Zio ha da fare e non può sempre starsene lì a soffocarti la granfia con la sua salda d'acciaio e vino e ostie per dirti di ritentare che la prossima volta sarai un malcico fortunello. E almeno la bella musica (quella vera, se capite), non era cambiata, ma nemmeno di poco, e locchiato alla buona un dieci o poco più di scomparti di dischi affloscia-plotto con le solife biffe del malcichi friggibuco di turno, suggerendo al plantetario di darci fuoco in onore dello Zio, per quanto assente come sempre, abbracciai le sezioni della Classica coi fari appannati dalla gioia e col cuore pronto a far di nuovo bumbumbum.
Rovistai subito alla ricerca del grande e insuperabile Ludovico Van. Perché la musica non cambia, se sapete dove andare e cosa cercare con la dovizia di un tedesco spia della galassia galattica e compagnia bella, fratelli; e poi, una volta guarito, potevo permettermelo un certo esercizio di sacrosanto potere.
Mentre il mio planetario tornava alla contemplazione massima della biffa del Grande Ludovico Van stampata sulla copertina del bel padellame che avrei acquistato senza rovellarci sú due volte, e il mio plotto si drizzava ritrovando l'amicizia molto lecita con Lui, la mia attenzione si distaccò allampo dal vinile prescelto e la locchiai. Una bella mammola da urlo. E anche lei vide me, tutta sorrisi e battiti di ciglia o da cerbiatta mammolosa.
Era la mia occasione, dissi tra me e me. Non potevo mica sapere di tutti quegli effetti collaterattivi o quel tipo di sguana lì, del tipo sguane dei disturbi di traumi o postumi, O fratelli, anche perché ormai l'avevo locchiata, ci eravamo l’occhiati l’un l’altra, e avevo già deciso pure sul da farsi e non c'era freno che potesse fermarmi — proprio no — e, come sempre, nemmeno il Bog innominato. Nemmeno me medesimo.
Londra, O fratelli, quel certo fascino d'antico – non di bigio, sia chiaro – l'aveva sempre avuto, e come sosto c'era da dire che avesse, pure, un non so che di Misterioso. Ma quando i fari del vostro Umilissimo narratore locchiarono ancora una volta e con dovizia la mammola a poca distanza da lui, con sù quei capelli di miele come a carati e lisci lisci come ultimamente era circa di mio gusto, dovetti allampo averci da ricredere in fatto di fascino londinese. Poi le locchiai perbene la trucca leggera sopra i fari delicati, e sul truglio lo stesso, e quando mi ci posai ad analizzare come s'era tappata, amici, mi sentii festato per il senso buono, convinto difatti di averci a che fare con una francesina. Altro che Londra e soliti soma e solite soma! La mammola in questione, infatti, era quel genere di mammola diversa dalle altre ormai fatte quasi a stampino, —o omologazione se preferite, con quelle maglie vomitosamente colorate e gommose,— ed era tutta tappata all'ultimo grido del vestire come ai bei tempi gotici a partire dalla Francia, ma che in quei giorni aveva preso piede anche in poche periferie di Londra – tra cui il Palace, il Churchill e il New Creston e basta. Il suo tappo consisteva in quelle palandrine lunghe, rigorosamente nere di cui sù, nella parte tuberosa, motivetti a lacci, neri uguali, e la presenza d'altri motivi a rete che lasciavano intravedere la pelle diafana delle braccia (erano tutte mammole color latte, comunque, quelle poche tappate in questo modo; ma non si locchiavano purtroppo quasi mai al Korova, quelle volte in cui ci tornavo).
La locchiai di nuovo, lei inclinò il collo, poi mi decisi e le mie patte si mossero nella sua direzione e la voglia di far numero crebbe. Smisi così di rovellarmi il cardine una volta per tutte ed ebbi un guizzo volpino.
Dissi: — La mia fama mi precede o mi son sporcato il ceffo, sorellina?— con la ciangotta quatta quatta e accomodante. Ci feci di flash flash coi zughi, o meglio fissai i fari svicci verso di lei, e i suoi erano fari del tipo grigio grigio da gattona, e ci sorrisi da malcico baccagliatore. Allora seppi d'averla incuriosita in buona parte, piuttosto che inquietata, e allungai il truglio con fare un piccolopoco beffardo quando intravidi il bagliore di un sorriso. Eppure, fu un'ombra soltanto dell’antico brio. — Ma no, ma no, sicuramente hai letto il mio pensiero, come in quegli sceneggiati fantascientifici che ci vanno giù pesante con le più strane tramuccole e vorresti riavere il Van, vero? —
La mammola d'urlo socchiuse il truglio come per rispondere, ma fui ancora io a precederla, e aggiunsi:
— Ma no, certo che no, Sorellina. Né temi le brutture della nostra epoca, ora che entrambi ci troviamo in un luogo pubblico, tipo, e di certo non ambisco a destare altri scandali alla pubblica opinione di figli cinti di fiori alla porta. Dopo tutti questi anni ne faccio anche a meno, fidati di un drugo perbene. Lo sono diventato, lo prometto.—
— Ma non mi pare d'averti mai visto, né di averti dato il consenso di chiamarmi in questo modo, lo sai? Forse ti confondi con qualcun'altra, temo sia così— disse la mammola dal tappo gotico, ma con un sorriso lungo il truglio che suggerì bene al sottoscritto d'aver fatto mirino in qualche modo dalla forosa. — Però lo ammetto, mi pari simpatico.— A quel punto era diventata tipo un piccolo poco rossa, di un rosso gradevole a locchiarsi.
Si lasciò a una gufatina divertita. — Ma il tuo modo di parlare…— si portò le granfie snelle a trattenere la melodia labiale del truglio sottile e calò la biffetta, e fu quel genere di trucca sana e favorevole che, per una volta, il vostro Umilissimo narratore trovò spontanea e gradevole.
Più la mammola sorrideva e rideva con quella ciangotta cristallina e innocente, più quell'innocenza mi portava il cardine a rovellare imagini non proprio caste nel sottoscritto. poi, tipo subito, lo stesso planetario -non si sa come o perché- si rimangiò la parola data, e dagli intestini arrivò una nota non poco chiassosa di dissenso per ogni pensiero che ci facevo.
Per un poco rovellai allora che potesse trattarsi, come in passato, di quei pensieri che gli erano stati inculcati dalla Cura Ludovico. Poi me la gufavo col cardine imponendogli dimettersi a tacere.
La mammola mi guardò un po' confusa.
— Hai un nome, oltre agli occhi azzurri? Sto parlando con te, sicuro che va tutto bene? Io, comunque, mi chiamo Jennì— disse dopo un po'. E aveva tutte le ragioni dalla sua, o fratelli, perché sicuramente dovevo esserle apparso un po' fané, e non volevo proprio immaginare che razza di biffa da stronzo friggibuco dovessi averle tirato fuori.
— Alex DeLarge, Alexander per le anagrafi, amica— dissi allampo, riportandomi al qui-e-fottuto-ora. — Ma basta Alex, per i soma e i vicini, Sorellina. Sì, nient'altro che Aleuxo Bello. Con modestia—. Poi mi fissai profondamente nel grigio dei suoi fari, come se granfie invisibili ci uscissero dai fari (questavolta miei) per agganciare quelli di lei, e la mammola rosseggiò più di prima. — Jennì come nome è proprio carino, in ogni caso, o dolce pulzella. E sei pure francese, magari? Come la Giovanna che accende cancerose.—
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Continua ~~~~>
Spero vi piaccia. per quanto riguarda il primo capitolo, ovvero Latte di Suocera, appartiene a un testo cominciato se non erro nel lontano 2021/2022, quindi aveva bisogno di sul serio ancora pochi accorgimenti; questo qua, la seconda parte insomma, è già più recente e mi sembra come di averci perso la mano con il linguaggio moschetto/Nadsat.
il mio sogno è quello però di portare avanti la fan fiction e di riprendere la mano con lo stile adottato da Burgess! Fatemi sapere la vostra!
gif a caso.
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klimt7 · 6 months
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ATTUALITÀ\ actualité politique
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Quando l’Europa deciderà di avere un esercito unico? un unico Ministero degli Esteri? Un sistema sanitario unico e universale?
L’Europa costruita esclusivamente sull’euro si è rivelata un completo fallimento (non fa altro che mettere insieme gli egoismi nazionali!).
È ora di cambiare e ricominciare a sognare in grande. Un grande Paese europeo ha bisogno di grandi “visionari” che si preoccupino di immaginare un futuro degno delle nostre comuni aspirazioni.
Non abbiamo bisogno di questi piccoli uomini grigi senza immaginazione per il futuro che desiderano i cittadini europei.
Sono dei piccoli politici miserabili. Sono contabili e burocrati.
Abbiamo bisogno di pensatori e visionari come lo furono, nel loro tempo, Altiero Spinelli e i fratelli Rosselli.
Français :
Quand l’Europe décidera-t-elle de se doter d’une armée unique ? un seul ministère des Affaires étrangères ? Un système de santé unique et universel ?
L’Europe construite uniquement sur l’euro s’est révélée être un échec complet (elle ne rassemble que les égoïsmes nationaux !).
Il est temps de changer et de recommencer à rêver en grand. Un grand pays européen a besoin de grands « visionnaires » qui prennent soin d’imaginer un avenir digne de nos aspirations communes.
Nous n’avons pas besoin de ces petits hommes gris sans imagination quant à l’avenir que souhaitent les citoyens européens.
Ce sont de misérables petits politiciens. Ce sont des comptables et des bureaucrates.
Nous avons besoin de penseurs et de visionnaires comme Altiero Spinelli et les frères Rosselli l’étaient en leur temps.
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vintagebiker43 · 8 months
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Raccontereste ai vostri figli una fiaba in cui una madre diventa così gelosa della bellezza della figlia di sette anni da chiedere a un cacciatore di condurla nel bosco e ucciderla e portarle fegato e polmoni da cucinare, con sale e pepe? E poi, visto che la piccola si è salvata, la madre snaturata tenta due volte di ucciderla, con un pettine avvelenato e poi con una mela avvelenata? E quando la povera ragazzina giace come morta, passa un principe che chiede ai suoi custodi, sette nani, di portarsi a casa il cadavere? E quando al castello i servitori del principe, stanchi per le continue richieste di spostare avanti e indietro la bara, tirano fuori il corpo della poveretta e lo pigliano a calci, e così facendo fanno saltare via dalla gola il pezzo di mela avvelenato? Ebbene, questa è la versione originaria della favola di Biancaneve e i sette nani, così scritta dai fratelli Jacob e Wilhelm Grimm nel 1812, basandosi su elementi e intrecci della tradizione orale popolare.
Dite che non ve la ricordavate così? Certo che no. La versione del 1812 venne cambiata più volte, nelle successive sette (ripeto, sette), fino a quella del 1857. Spariti la madre degenerata, il cannibalismo, la necrofilia del principe (non tutta, in effetti), la cattiveria profanatrice dei servitori. Secondo il ben noto meccanismo di “ingentilimento” dello sfondo cupo e brutale che accomuna alcune delle fiabe più antiche, note e amate.
@Anna Mallamo
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