#Fiata
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logisticsupdateafrica · 2 years ago
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musicwithoutborders · 5 months ago
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Antonio Bertali/ Musica Fiata, Sonata à 14 . Sancti Placidi I Sonate Festive, 2002
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oncloudatlas · 1 month ago
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lungi da me avere la presunzione di commentare l'operato altrui (lo farò comunque) ma come cazzo si fa a farsi carico della responsabilità di organizzare una zine e poi dimostrare di avere zero capacità organizzative?? nonché una totale mancanza di professionalità, caratteristica che A QUANTO PARE invece si esige nel documento di applicazione like
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buscandoelparaiso · 2 years ago
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sonyclasica · 4 months ago
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LA CAPELLA DUCALE & MUSICA FIATA
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WEIHNACHTS HISTORIE
La "Weihnachtshistorie" de Heinrich Schütz (1585-1672) es una de las obras más conocidas anteriores a Bach y se presenta en esta grabación en su versión final, pocas veces escuchada. A la venta el 25 de octubre.
La obra, estrenada en 1660 y publicada en forma revisada en 1664, incluye una introducción, nueve recitativos, ocho intermedios y un coro final. La nueva grabación de Musica Fiata recoge la versión definitiva descubierta en la Singakademie de Berlín, que incluye importantes revisiones y nuevas composiciones que Schütz realizó poco antes de su muerte para realzar la profundidad emocional y la sofisticación musical de la obra.
La grabación destaca el magistral uso que Schütz hace de los instrumentos para representar diversos personajes y emociones, como las urgentes flautas dulces de los pastores o los solemnes trombones de los sumos sacerdotes. Las secciones recién añadidas y reconstruidas se han integrado cuidadosamente para crear una interpretación que se aproxima mucho al ideal sonoro original de Schütz.
Además de la "Weihnachtshistorie", la grabación incluye otras obras significativas de Schütz, como el espléndido "Magnificat" y motetes de su colección "Geistliche Chormusik" de 1648. Estas obras, grabadas con excepcional detalle e intensidad emocional, demuestran la capacidad de Schütz para expresar musicalmente complejas emociones humanas y también reflejan los horrores de la Guerra de los Treinta Años.
La interpretación de los conjuntos subraya la vigencia intemporal de la música de Schütz, invitando a contemplar los profundos temas espirituales y humanos que abordan sus composiciones.
SOBRE LOS ARTISTAS
Musica Fiata se fundó en 1976 como conjunto dedicado a interpretar música de los siglos XVI y XVII con instrumentos históricos. Un estudio minucioso de las fuentes sobre la práctica interpretativa, los instrumentos originales de este periodo y sus técnicas de interpretación condujeron al desarrollo de un estilo de interpretación expresivo y un sonido característico que hace transparentes incluso las texturas más densas. Debido a sus emocionantes y virtuosas actuaciones, Musica Fiata ha sido invitada a importantes festivales como los de Brujas, Praga, Copenhague, Utrecht, Barcelona, Venecia, Rávena, Israel, Ansbach, Graz, Wrocław y York. Además de numerosas grabaciones de radio y televisión, Musica Fiata ha producido varios CD para Sony Classical y Deutsche Harmonia Mundi, muchos de los cuales han sido galardonados con premios internacionales de grabación.
La Capella Ducale fue fundada en 1992 por Roland Wilson como complemento de Musica Fiata, con el objetivo de garantizar la unidad estilística en obras de mayor envergadura. El conjunto se ha ganado una excelente reputación tanto en sus actuaciones en solitario como en conjunto, y los críticos alaban especialmente la armoniosa mezcla con el sonido instrumental. Sus extraordinarias actuaciones les han valido numerosas invitaciones a festivales de toda Europa. La Capella Ducale está especializada en música barroca italiana, sobre todo del siglo XVII, y ha logrado un importante éxito con interpretaciones de obras de Monteverdi. El conjunto también se centra en la música eclesiástica alemana anterior a Bach, con la que también han obtenido reconocimiento de numerosas grabaciones y conciertos de éxito. Sus grabaciones en CD, especialmente una aclamada grabación de Vivaldi, han recibido elogios internacionales.
Roland Wilson estudió trompeta en el Royal College of Music de Londres. Debido a su interés por la música de los siglos XVI y XVII, empezó a aprender solo a tocar el cornetto y amplió estudios en el Real Conservatorio de La Haya. Como miembro fundador y director de Musica Fiata, ha actuado en los principales festivales de toda Europa y ha sido invitado con frecuencia por otros conjuntos de renombre. Sus actividades musicales se centran ahora en Musica Fiata y La Capella Ducale, e incluyen la investigación sobre la práctica interpretativa y la creación de sus propias ediciones de obras hasta ahora desconocidas. Su amplio conocimiento de la música del siglo XVII le ha permitido realizar reconstrucciones auténticas de muchas obras incompletas de compositores como Biber, Scheidt, Valentini, Buxtehude y Gabrieli. Sus interpretaciones se distinguen por su combinación de precisión histórica e inspiración artística.
TRACKLIST
CD 1
1       I. Eingang      2       II. Es begab sich aber zu derselbigen Zeit      3       III. Intermedium 1 - Der Engel      4       IV. Und alsbald war da bei dem Engel      5       V. Intermedium 2 - Die Menge der Engel      6       VI. Und da die Engel von ihnen      7       VII. Intermedium 3 - Die Hirten      8       VIII. Und sie kamen eilend      9       IX. Intermedium 4 - Die Weisen      10     X. Da das der König Herodes hörte      11     XI. Intermedium 5 - Die Hohepriester      12     XII. Da berief Herodes die Weisen      13     XIII. Intermedium 6 - Herodes      14     XIV. Als sie nun den König gehöret hatten      15     XV. Intermedium 7 - Der Engel      16     XVI. Und er stund auf und nahm das Kindlein      17     XVII. Intermedium 8 - Der Engel      18     XVIII. Und er stund auf und nahm das Kindlein      19     XIX. Beschluss der Geburt unseres Herrn und Seligmachers Jesu Christi      20     Sei gegrüsset, Maria, SWV 333      21     Magnificat, SWV 468      22     Sehet an den Feigenbaum, SWV 394      23     Der Engel sprach zu den Hirten, SWV 395      24     Auf dem Gebirge hat man ein Geschrei, SWV 396   
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lamargi · 3 months ago
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Porto sempre la merenda ai ragazzi mentre studiano, al pomeriggio. È ormai un rito: a una certa ora busso alla porta della camera di mio figlio e porto a lui e ad Antonio, il suo compagno di banco fin dalle elementari, il vassoio, con il tè, i biscotti, le merendine. Sono una brava mamma, giusto?
L’altro giorno la porta non era ben chiusa e quindi….perchè bussare? È stato così che ho sentito chiaramente quelle parole “…..quel gran pezzo di gnocca di tua mamma…”
A dirle Antonio. La voce era bassa, i due stavano confabulando a bassissima voce, i libri aperti, ma, evidentemente, non era sulla lezione che era concentrata la loro attenzione. Ho fatto assolutamente finta di nulla. E loro avranno pensato che non avessi potuto sentire dalla soglia della porta.
Invece….
Ma guarda il ragazzino, ho pensato nei giorni successivi. Eppure senza che provassi indignazione per quella frase così sfacciata. Anzi….e dire che lo conosco da piccolo, chissà da quanto ha sviluppato questa “cotta” per me…..
Comunque sentirmi definire “gnocca”non mi disturba affatto, anzi mi lusinga e mi stuzzica. Antonio è poi un ragazzo adorabile, carino ed educatissimo, niente affatto sfacciato, anzi piuttosto timido e taciturno di solito…..avesse solo qualche anno di più, il fatto che pensi a me come “un gran pezzo di gnocca” più che soltanto lusingare, bè mi farebbe eccitare….
Doveva accadere, ed è accaduto. Antonio che viene a casa, non trova mio figlio, noi due che restiamo soli…..
Lo faccio sedere, anche se solo non è un buon motivo per non preparargli anche oggi il tè con i biscottini. Servirglielo non nella stanza di mio figlio, ma qui in salone. Farlo accomodare sul divano. Sedermi davanti a lui, sul puff….
Che dirgli? Canzonarlo rivelandogli che l’ho sentito definirmi “gnocca”? No, poverino, morirebbe di vergogna. E comunque mi ci sento gnocca, oggi. E da come mi guarda, lo pensa proprio.
È da gnocca questa gonna corta? Si, è vero, mi sono cambiata quando l’ho sentito al citofono, ma lo avrei fatto comunque, non certo per…..fargli vedere le gambe…
Anche i collant ….direi che sono da gnocca….ma porto sempre le calze velate, anche in casa…e a ben pensarci quante volte mi era sembrato che Antonio mi guardasse le gambe mentre stavo in camera loro e attendevo che sorseggiassero il tè …..esattamente come mi guarda le cosce adesso….
Certo, avrei potuto evitare di non mettere il reggiseno. Con il reggiseno, le punte dei capezzoli che si sono induriti sarebbero meno visibili sotto la camicetta. E questi seni gonfi non tenderebbero la camicetta in questo modo, e i capezzoli duri che si vedono non calamiterebbero lo sguardo di questo ragazzo…..
Mi alzo per prendergli la tazza di tè dalle mani. Noto che gli tremano. Mi seggo stavolta accanto a lui. Molto vicina. Non fiata. Spingo il mio corpo a contatto con il suo. Si sposta un po’ ma il divano è finito…..Lo guardo e poggio la mia mano sulla sua. “ Forse disturbo, vado via?” Non rispondo, gli sorrido e porto la sua mano sul mio seno. Spalanca gli occhi. Spalanca la bocca. Mi faccio toccare il capezzolo attraverso la stoffa leggera della camicetta, poi guido la sua mano sulla mia coscia. Mi protendo e gli sfioro le labbra con le mie. Sono morbide, dolci. Gliele lecco con la punta della lingua.
Poi la lingua la spingo tra le sue labbra, gliele faccio aprire, la infilo dentro la sua bocca per il primo vero bacio con una donna della sua vita.
Sento la sua mano contrarsi sulla mia coscia. Anche io gli stringo la patta con la mia. Duro come il ferro. Proprio come lo volevo.
“E così sono un gran pezzo di gnocca, vero?” I miei gesti e l rivelazione che so cosa pensa lo mettono nella confusione totale. Come un bambolotto si lascia guidare in camera da letto, mentre canzonandolo gli dico che merita una punizione…
Mentre lo spoglio nudo, guardo di sfuggita l’orologio per capire quanto tempo ho a disposizione per farmelo. Tre ore almeno, abbastanza per castigare come previsto di fare questo ragazzino insolente.
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scrivosempreciao · 1 month ago
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Meno male che c'è Daria
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Daria arriva in ufficio prima che l’edificio si animi di vita umana. Le luci al neon, fredde e implacabili, illuminano moquette sporche di passi e scrivanie nude di personalità. Appoggia la borsa sulla sua sedia girevole, controlla la sua agenda, si liscia la giacca stazzonata. La macchina del caffè borbotta nell’open space vuoto, l’odore amarognolo riempie l’aria. Non ha dormito bene, questa notte. Non dorme mai bene quando la luna piena si avvicina. Dentro di lei scorrono scie di sogni feroci; artigli prima invisibili e poi molto concreti lacerano la sua pelle, dall'interno, e le strappano pezzi di sonno. Ha graffi sul corpo, nascosti sotto la camicetta, segni del suo essere altro, oltre la pelle umana. La porta di vetro scorrevole sibila e il primo ad entrare è il direttore delle vendite, Tommaso, con quel suo sorriso storto. Le si avvicina.
«Daria, caffè. Subito. Doppio zucchero. Ho una call tra cinque minuti, sbrigati.» Daria annuisce. Non discute. Devia verso di lui il caffè che stava preparando per se stessa. Riesce quasi a fiutare il disgusto del collega, la sua insofferenza: per lui Daria non è davvero una persona, è un distributore automatico. Una donnina da cui esigere aiuto e assistenza. Lei abbassa gli occhi, con un vago «sì, certo.» Le mani tremano appena. Dentro di lei, qualcosa ringhia, ma è un ringhio silenzioso, acquattato tra le costole. Perché di giorno la sua natura è in letargo, soffocata in un involucro di normalità. A mezzogiorno l’ufficio è un alveare di voci maschili che si accavallano. Pochissime donne, tutte recluse in ruoli marginali: segretarie, archiviste, centraliniste, rare impiegate amministrative. Un paio di stagiste dall’aria intimorita.
Gli uomini lì giocano a misurarselo figurativamente per stabilire gerarchie, spandono cologne aggressive, ridacchiano sporcamente all’angolo della macchinetta del caffè, occupano tutto lo spazio, informano gli altri delle proprie conquiste, riappacificano conflitti professionali con una battuta rivolta alle tette della nuova assunta. Daria è la segretaria del capo dei capi, il CEO supremo e intoccabile, Massimo: un uomo sui cinquant’anni, stempiato e con la pancetta, sempre in giacca di lino costosa, con la bocca unta di burrocacao fighetto e arroganza. Si crede il non plus ultra, valuta se stesso usando come riferimento la leccaculaggine dei sottoposti sottopagati. Lei trascrive i suoi appunti, organizza le sue agende, corregge i suoi refusi, aggiusta il tiro delle sue cazzate, fissa le riunioni, fa chiamate importanti al posto suo. Però, è lo stipendio mensile di Massimo a sfoggiare cinque cifre, non quello di Daria. Quando anche lui entra nella stanza, l'aria si fa pesante.
«Daria, oggi niente pausa pranzo, dobbiamo preparare le slide per la riunione di domani. Ricordati di indossare qualcosa di carino, eh?» commenta senza guardarla negli occhi. Lei stringe le labbra. Annuisce. Non risponde. Sa che se fiata, lui la colpirà con un: «Scusa, hai detto qualcosa?» e le farà passare la voglia di replicare di nuovo. In questa Babele di sguardi insistenti, prevaricazione e allusioni, Daria si sente minuscola.
Ma è solo una faccia della medaglia. La sera, quando le scrivanie tornano vuote, lei rassetta i documenti, controlla le ultime email, e poi esce nel parcheggio sotterraneo. Saluta appena il guardiano che le fa un cenno distratto, ignaro di tutto, e torna a casa a piedi. Le strade della città hanno un odore diverso dopo le otto di sera, l’asfalto butta fuori aria più sporca e stanca, ci sono voci agitate che arrivano dai vicoli e dai bar che costellano il quartiere. Daria ingoia la solita umiliazione della giornata e sa, con una certezza atavica, che la notte le darà giustizia. Non giustizia legale, non retribuzione, no: qualcosa di più antico, un equilibrio che si ristabilisce con sangue e denti. Non ricorda come sia iniziato tutto, quando la bestia che dormiva nella sua carne si è svegliata. Forse è sempre stata lì. Forse è il risultato di anni di soprusi, di violenze subdole, di mani sul culo e commenti inaccettabili sussurrati. Forse è l’eredità di una notte di luna piena, di un incontro con qualcosa di inumano. Non importa. Ora quella forza animale è parte di lei. E le serve.
Nella sua piccola stanza in affitto, Daria toglie la camicetta, la gonnella grigia lunga che fa storcere il naso a Massimo, i collant neri e le scarpe col tacco basso consumato. Lancia tutto in un angolo. Indossa una tuta larga, annusa l’aria: la notte è tiepida, la finestra aperta lascia entrare un refolo di vento carico di odori. Il suo olfatto diventa più acuto, la pelle formicola. Sa già dove andare. Nella sua testa si mescolano le voci delle sue colleghe e di tutte le donne che ha conosciuto, storie mormorate di inferni taciuti, di percosse rimaste impunite, di grasse risate sempre così dolorose. Lei non è una giustiziera con spada e mantello. È un animale che risponde agli impulsi ferini che animano i suoi muscoli.
Quando si trasforma, non prova compassione, non prova pietà. Non è più remissiva o titubante. Quella parte sottomessa della sua mente si offusca in una fame antica. Ciò che resta è l’istinto di cacciare i maschi peggiori della città: quelli che gridano “troia!” se guidi troppo lenta, che ti spogliano con gli occhi quando torni a casa sull'autobus la sera, che trascinano le ragazze dietro i cassonetti scambiando la cortesia con un via libera libidinoso. Resta l'istinto di odorare la loro paura, sentire le loro ossa spezzarsi tra le fauci; quello la fa sentire viva.
Daria non giustifica se stessa, sa che questa è una regressione senza ritorno, un atto estremo. Ma è anche un equilibrio: il mondo scivola nella follia e lei si adegua, usando le sue zanne dove la ragione fa male i conti. Quella notte, la luna è quasi piena. La schiena si curva, i muscoli si gonfiano, la pelle si copre di peli scuri e ispidi. Le dita si rompono in artigli, il volto si allunga, la bocca si affolla di denti affilati come pugnali. Una donna lupa alta quasi due metri, su due zampe posteriori, massiccia, la coda che sferza l’aria. Gli occhi gialli brillano nell’oscurità.
Esce dalla finestra con un salto silenzioso. Corre sui tetti, annusa l’aria. Cerca l’odore dell’orrore umano: il sudore rancido di chi sta per fare del male. Lo trova, sempre. Quella città ne è piena. Nelle vie più buie, ci sono uomini che non temono nulla. Non immaginano che la predatrice è in agguato. Individua un maschio che piscia in un vicolo dietro un locale notturno: un omone con l’alito di birra e i pugni chiusi. Daria lo riconosce: è piuttosto noto in zona perché pesta le prostitute e strattona le maniche delle cameriere quando non lo servono subito. Mano, lo chiamano. Lavora in municipio. Mano stanotte ha adocchiato una bambola con cui giocare: magra, giovane, straniera, ingenua. Ce l'ha lì accanto. Lei se ne sta lì con la borsetta stretta al petto, si guarda attorno incerta, come un passerotto. «Ho parcheggiato qui vicino, ti faccio vedere una cosa. Se fai la brava ti do il numero di quel mio amico al commissariato. Se fai la brava.» Lei sbianca. Ma la lupa Daria non conosce diplomazia. Balza giù da un tetto, atterra dietro Mano. Un ringhio bassissimo, un suono che fa vibrare l’aria. La ragazzina scappa via strillando – a Daria dispiace, ma tant'è. L’uomo si volta, con ancora il cazzo in mano; urla peggio della sua preda.
In un attimo, artigli nella gola, zanne in quella carne molliccia, il sangue schizza e dipinge i mattoni sporchi, la trachea di Mano gorgoglia. Il corpo cade a terra come un sacco vuoto. Basta così poco, per morire. Bastano pochi secondi e tutta quell'arroganza scivola via in un rivolo di sangue, urina puzzolente e birra. Daria si lecca il muso, poi si dilegua, risalendo sul tetto con un balzo. Sente la vita pulsare in ogni cellula. Sente l’ingiustizia del giorno mitigata dalla sua ferocia notturna. Non ha rimorsi. Ha solo fame.
La mattina successiva Daria torna in ufficio come se nulla fosse accaduto. C’è un certo brusio nell’aria: qualcuno ha sentito che nella notte c’è stato un omicidio cruento, un altro uomo massacrato come un animale. Non è la prima volta, chiaro, solo che a volte la notizia si fa strada fino ai telegiornali, a volte no, a seconda di quanto è succosa o di quanto era un pezzo grosso il morto. Tommaso ne parla a voce alta, con una certa eccitazione: «Avete sentito? Un altro cristiano fatto fuori. Dove andremo a finire? Che città di merda.»
Daria non solleva lo sguardo dalla sua tastiera. Sorride leggermente. Se solo sapessero. Dopo la presentazione, Massimo la chiama nel suo ufficio e, come al solito, la rimprovera per una sciocchezza inesistente. Le ricorda che deve sorridere di più quando parla con i clienti. Borbotta che a nessuno piace parlare con una musona so-tutto-io. Le fa la predica su tutti i vantaggi che le donne come lei potrebbero avere lì dentro se solo si lasciassero andare. «Daria, puoi averli in pugno quei tizi, lo capisci o no? Sono uomini, un paio di sorrisi, qualche moina e ti firmano qualsiasi contratto. Ascolta me, lo so. Le basi!»
Daria annuisce, sentendo i canini umani premere sulle labbra. Pensa a come sarebbe facile sbranarlo se solo là fuori ci fosse l'eleganza della luna e non l'impertinenza del sole. Ma no, bisogna aspettare. E poi Massimo è troppo in vista, troppo protetto. È un manipolatore subdolo. Lei preferisce colpire prede più manifestamente violente. Almeno per ora. A pranzo Daria non ha appetito. Va a prendere un caffè nell’angolo cottura. Anche altre segretarie gravitano attorno a quel piccolo rifugio temporaneo. Una di loro, Caterina, ha il mento che trema e gli occhi così stanchi da sembrare vuoti. Lavora sotto Fulvio, uno che ha tenuto il broncio a tutti per settimane perché il suo staff non gli aveva fatto i complimenti per il suo nuovo completo Hugo Boss. «Vi incazzate perché i maritini non notano le vostre tinte, ma quando c'è qualcosa di davvero interessante da guardare fate le finte tonte.» Aveva detto.
Daria la osserva, Caterina abbassa gli occhi. La bestia dentro ringhia. Si chiede se quella notte uscirà ancora. Probabile. Ma deve stare attenta, la polizia comincia a cercare pattern, a capire se dietro quei delitti c’è una mano umana o altro. In effetti, nella zona, alcune telecamere di sicurezza hanno ripreso ombre vaghe, sagome impossibili. Gli inquirenti sono confusi. Un animale feroce? Un serial killer impazzito mascherato da animale? Una leggenda metropolitana? Daria si sta sfogando più del solito. Più di quanto non abbia mai fatto. Ne ha bisogno. Il tempo passa, le notti si susseguono, le lune cambiano forma, si gonfiano e si sgonfiano, come lattiginosi polmoni in cerca d’aria, ma la rabbia che scuote le ossa di Daria non muta mai. Aumenta la frequenza delle sue cacce. Non sempre uccide. A volte spaventa soltanto, fa scappare un gruppo di bulli. Altre volte interviene quando qualcuno tenta uno stupro o allunga le mani dove non dovrebbe. In quei casi non c’è pietà: lascia i corpi smembrati e aperti, segnati dai suoi artigli. Non c’è una regola chiara, solo la sua fame di punire.
Ma più la storia va avanti, più l’ufficio diventa un luogo di tensione. Massimo e gli altri manager testosteronici si innervosiscono: le notizie dei morti agitano i loro sogni. Un paio di clienti importanti hanno annullato un meeting proprio all'ultimo; non se la sentivano di fare trasferte. E i giornali parlano di un “mostro della notte” che uccide uomini. I giornalisti esitano a creare connessioni non confermate dalla polizia, anche se quelli più audaci iniziano a far andare a braccetto le parole “violenti” e “uomini”. Qualcuno propone un movente: un gruppo di nazifem esaltate? Una setta? Il dibattito si infiamma. Daria gode di questi dibattiti, anche se non lo mostra. Va avanti a testa bassa, nella sua miserabile vita diurna. Ma una sera, al rientro a casa, trova una pattuglia che gironzola proprio nel quartiere. Annusa la paura degli agenti, o meglio la tensione. Deve stare attenta. Forse deve cambiare zona di caccia.
Ma un giorno Massimo fa una battuta sui tacchi di Daria davanti a un nuovo cliente – «Sembrano due punteruoli! Speriamo non abbia le sue cose o siamo fritti!» – e lei decide che quella notte lo seguirà. Non torna neanche a casa dopo i soliti straordinari non pagati che la inchiodano alla sua scrivania fino a tardi: nel parcheggio dell'ufficio lascia che sia il suo naso a pensare per lei e fiuta l'odore del suo capo; è lì, come una scia rumorosa che aspetta solo di essere svelata. Lo trova in un ristorante costoso a mangiare in compagnia della moglie e della figlia. Daria abbandona la sua forma lupina e si avvicina alla vetrata di quel posto così chic. Li guarda; lui ride e divora il filet mignon che ha davanti, la moglie pilucca distrattamente un'insalata e la figlia è immersa nello schermo del cellulare.
Daria stringe la mascella. Massimo non è uno stupratore di strada, no, ma è uno che distrugge la dignità delle donne ogni giorno, pezzo per pezzo. Non sarebbe giusto punirlo? La bestia scalpita. Ma lui è lì con la famiglia. Non può lasciarsi alle spalle altri testimoni e in fondo detesta traumatizzare le povere donne che hanno la sfortuna di essere in compagnia degli uomini che caccia. Tentenna, anche se prima era così certa sul da farsi: ammazzare un CEO come lui significa chiudere i giochi. Diventerebbe impossibile per lei continuare a fare quello che fa ed essere una donna lupa.
Quella notte lascia stare Massimo e trova un’altra preda: un uomo che sulla strada di casa le chiede ripetutamente quanto vorrebbe per un pompino. «Oh, si fa per scherzare! Sei vestita come una di quelle, ecco» aveva riso. Daria indossa un abito lungo di lana. Beige. Basta un secondo e quell'abito viene fatto a brandelli dal corpo bestiale della lupa. La trasformata Daria piomba sull'uomo, gli fa morire la risata nel petto e poi la strappa dalla sua cassa toracica con una zampata brutale. Torna a casa con un malumore che le fa vibrare un basso ringhio in gola; quel vestito le piaceva.
La mattina successiva, appena mette piede in ufficio, Daria avverte subito un’atmosfera diversa. C’è un chiacchiericcio strisciante. Se tende le orecchie può cogliere stralci di conversazioni: nomi di vittime, ipotesi sussurrate, frasi mezze dette. Sui social, qualcuno ha cominciato a parlare di una “giustiziera”. Una che sbrana gli uomini violenti e abusanti, letteralmente. E lo fa come se fosse una bestia feroce, un lupo. Il cerchio si stringe e a Daria gira la testa; va in bagno. Lì, mentre si sciacqua la faccia, sente due segretarie parlottare. Una dice che sarebbe figo stampare degli adesivi con la silhouette di una lupa nera su sfondo rosso.
«Che top, ne vorrei troppo uno. Lo metterei sul computer, terrebbe lontani gli stronzi.» L'altra dice che nei quartieri periferici stanno spuntando dei murales a forma di colpo d'artiglio o di lupo con la bocca spalancata. Dice poi che un collettivo di universitarie femministe ha usato una semplice immagine stilizzata, due orecchie a punta e occhi gialli, per pubblicizzare un talk sulla misoginia. «Un po' pulp tutta questa storia, ma devo dire che mi fa meno paura uscire la sera.»
Daria non commenta, non si mostra. Ma dentro di lei si insinua un sorriso feroce. All’ora di pranzo, Tommaso non fa commenti allusivi quando Daria e le altre entrano nell’angolo cottura. Si limita a un cenno del capo. Evita il contatto visivo troppo insistente. Anche Fulvio, il capo di Caterina, ora ringrazia con cortesia forzata quando le assistenti gli portano delle carte. Come se un interruttore fosse stato premuto. Non c’è rispetto sincero, no, solo timore. Ma funziona. Un'educazione mimata a pappagallo per non attirare l’attenzione di quella punitrice sconosciuta che, come tutti ora sanno, è là fuori. Il giorno trascorre in questo strano limbo. Lei esce col tramonto, respirando l’aria di un universo parallelo: uomini che camminano guardandosi i piedi, spalle curve come a voler prendere meno spazio possibile, parole calibrate, mani in tasca. Non è giustizia, non è pace, ma è qualcosa.
Le notti di caccia continuano, e ogni morte aggiunge benzina sul fuoco della leggenda della lupa. Alcune donne hanno iniziato a radunarsi in piccoli gruppi. S’incontrano in appartamenti disadorni, bar poco illuminati, parcheggi deserti. Indossano spille o magliette con la sagoma di una lupa tutta nera. Leggono le notizie sui femminicidi che nonostante tutto non si interrompono mai e ringhiano tra i denti. Raccontano senza filtri le proprie storie di abusi, violenze, molestie, fanno nomi scandendo per bene le lettere. Una survivor intervistata alla televisione fa addirittura un gesto, alla fine del suo discorso: graffia l’aria con le unghie e mostra i denti. «Un giorno, magari non oggi ma un giorno, sarà il nostro turno di essere le vere belve» dice.
Non è un sogno innocente, è una rabbia antica che trova spazio. Non c’è più solo paura. C’è anche il desiderio acuto di non chinare la testa. Massimo, intanto, ingaggia guardie del corpo. Tre uomini nerboruti che lo seguono come cani da guardia. Ha cambiato atteggiamento verso Daria, la tratta con una finta gentilezza da vomito. Le dice: «Stasera puoi uscire prima, non vorrei mai farti fare tardi…» Lei annuisce, sente l’odore del suo sudore acre. Lui guarda la finestra, come se temesse che un’ombra pelosa possa arrampicarsi sul cornicione da un momento all'altro.
Le altre ridono a fior di labbra: «Hai visto Massimo? Pare abbia coda tra le gambe.» La lupa non ha ancora sbriciolato la sua pelle, ma sta già masticando la sua vanità. Ma nei giorni successivi, però, Massimo mostra di nuovo la sua vera natura. Prima una stagista, poi un’impiegata amministrativa, poi due segretarie a contratto determinato: con la scusa di un calo di fatturato o di ristrutturazioni interne, inizia a licenziare le donne una dopo l’altra, senza pietà né giustificazioni plausibili. Al loro posto, restano solo uomini, maschi rassicurati dalla scomparsa di potenziali accusatrici. Un ufficio tutto al maschile, come un club esclusivo dove le battute zozze sarebbero state accolte con una pacca sulla spalla e nessun senso di colpa. Senza donne non c’è bisogno di fingere rispetto, ovvio. Un modo per poter finalmente respirare il fetore della propria arroganza a pieni polmoni, convinti di aver messo in salvo la loro malsana idea di normalità. Daria è una delle poche che rimangono.
«Meno male che ci sei tu, Daria» le dice Massimo, «sempre così brava e carina.» E la guarda come guarderebbe un topolino con una zampina spezzata. Quel misto di compassione e disgusto che si dà alle creature infime, innocue e inutili. Daria sa che per finire questo circo deve fare l’ultimo passo. Perché no, non lo salverà. Massimo non è meno colpevole degli altri. Meritano tutti la stessa fine? Forse no, ma Massimo non ne uscirà vivo. La leggenda della lupa è nata dal sangue, e dal sangue verrà consacrata.
Quella notte Massimo si rifugia nel suo attico blindato. Le guardie del corpo presidiano l’ingresso. La moglie e la figlia sono via, in vacanza forzata. Lui resta con il suo whisky costoso, la cravatta allentata, il cellulare a portata di mano sudaticcia per chiamare la polizia al primo rumore. Una pistola ottenuta solo Dio sa come appoggiata sul tavolino laccato. Daria sa bene come si muovono le prede impaurite: frenetiche, prive di lucidità. Entra dal lucernario come un’ombra. Le guardie presidiano la porta e l'ingresso, ma non il tetto. Un errore banale, ma comprensibile: chi si aspetterebbe che la “lupa” giustiziera sia davvero una lupa? Daria scivola dentro, camminando carponi sui travetti. Scende con un balzo nel corridoio. Un rumore, una guardia si volta. Troppo tardi: artigli nella gola. L’altra guardia non fa neanche in tempo a urlare: un morso letale gli stacca la testa dalle spalle. La terza si precipita verso la porta, non ci pensa due volte a lasciare il suo capo da solo.
Massimo sente i passi pesanti e quei ringhi mescolati ai grugniti soffocati dei suoi uomini. Ora ha la pistola nella mano sudata. Quando Daria entra nella stanza, lo fa in forma umana. Nuda, coperta di sangue, brandelli di carne e cartilagine dalla testa ai piedi. Una donna, non un mostro. Nell'aria si spande odore di piscio mescolato al profumo di aftershave di lusso; Massimo ha paura. «No… no… ti prego…» balbetta, indietreggiando. Daria non parla, non sorride. Non c’è bisogno di parole, boriosi monologhi o giustificazioni. Si getta su di lui, un proiettile sfiora con un tuono il suo orecchio destro. Lei si sposta in un lampo e afferra il braccio di Massimo, lo torce finché sente l’osso spezzarsi, un suono secco. L’uomo urla, getta la pistola a terra. «Ti faccio ricca! Ti prego, ho soldi, lo sai! Daria, ci conosciamo da anni!»
Daria ringhia e in un attimo la lupa torna a essere pelo, denti e artigli. Non è questione di soldi, ovviamente, e mai lo è stata. È questione di equilibrio. Di sangue. Chiude le fauci sulla mascella di Massimo e tira, forte. Snap. Il sangue sgorga generoso sul lusso di quella casa, lui rantola e poi si ammutolisce. Un altro cosiddetto maschio alfa ridotto a carcassa vuota e inutile. L’indomani la città è nel caos. Massimo era importante, conosciuto, intoccabile. E ora è morto, sbranato come un coglione qualsiasi, in casa sua. Le donne che organizzano incontri clandestini si scambiano sguardi allibiti, alcune quasi piangono di commozione. Gli uomini, tutti, sentono un peso sullo stomaco. Ora sanno che nemmeno la ricchezza, le guardie o i piani alti li salvano. La donna lupa può arrivare ovunque. Qualcuno si convince che è ora di cambiare. Altri semplicemente si nascondono. Le donne indossano la spilla della lupa con ancora più orgoglio. Ma Daria non resta a godersi lo spettacolo. È braccata, lo sa. La polizia ispezionerà l’azienda, farà domande, cercherà tracce. Lei non può restare. C’è stato un tempo in cui voleva solo riequilibrare i conti. Ora ha generato un mito. E i miti sono pesanti.
Quella sera, se ne va. Si volta indietro un’ultima volta, dalla stazione degli autobus. Vede un gruppo di ragazzine incappucciate agitare bombolette spray davanti alla serranda chiusa di un negozio. Iniziano a disegnare la silhouette di una lupa. Daria tende le orecchie e le sente mormorare slogan ancora confusi, ma già colmi di rabbia e determinazione. Non hanno bisogno di conoscerla davvero, di metterla su un piedistallo. A loro basta un'idea. E a Daria basta sapere che sono meno sole. Daria sale su un autobus diretto lontano, con uno zainetto e poche cose. Avrà tempo per decidere cosa fare del suo potere, del suo futuro. Per ora quello che doveva e voleva fare è stato portato a termine. Dietro il finestrino sporco, la luna sfuma tra i palazzi, di nuovo quasi piena, ancora affamata di grida e giustizia imperfetta ma vera. La lupa è in cammino.
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lesser-known-composers · 1 month ago
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Heinrich Schütz (1585–1672) - Symphoniae Sacrae III, Op. 12: No. 16, Hütet euch, daß eure Herzen nicht beschwert werden; SWV 413 ·
Musica Fiata · Kammerchor Stuttgart · · Frieder Bernius
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gorskijulian · 2 months ago
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Historia Maserati
Historia Maserati to dzieje włoskiej pasji, innowacji i luksusu, które zdefiniowały markę na ponad sto lat jej istnienia. Maserati narodziło się jako rodzinny projekt, szybko stając się synonimem wyrafinowanej inżynierii i osiągów. Od początku marka była związana z wyścigami, a jej auta zdobywały uznanie na torach i wśród wymagających klientów. Przez dekady Maserati przechodziło zmiany właścicielskie, przekształcając się w globalną ikonę motoryzacji.
Narodziny marki i pierwsze sukcesy Maserati zostało założone w 1914 roku w Bolonii przez braci Alfieri, Ettore i Ernesto Maserati. Rodzina pasjonowała się mechaniką i wyścigami, co znalazło odzwierciedlenie w ich pierwszych projektach. Początkowo firma zajmowała się przygotowywaniem silników i samochodów do wyścigów. Pierwszym samochodem w pełni zaprojektowanym przez Maserati był Tipo 26, który zadebiutował w 1926 roku. Już w swoim pierwszym wyścigu Tipo 26 odniosło zwycięstwo w kategorii do 1,5 litra podczas Targa Florio, co zapoczątkowało sukcesy marki na arenie międzynarodowej.
Logo Maserati, słynny trójząb, zostało zaprojektowane przez Mario Maserati, brata założycieli. Inspiracją była rzeźba Neptuna stojąca na Piazza Maggiore w Bolonii. Symbol ten miał podkreślać siłę, elegancję i związek marki z jej włoskimi korzeniami.
Czas wyzwań i zmian właścicielskich Po śmierci Alfieriego Maserati w 1932 roku firma przeszła trudny okres, jednak bracia kontynuowali rozwój marki. W 1937 roku rodzina sprzedała większość udziałów Adolfo Orsiemu, przedsiębiorcy z Modeny, który przeniósł siedzibę firmy do tego miasta. Pomimo zmiany właściciela, bracia Maserati pozostali związani z marką jako główni inżynierowie. W latach 40. Maserati skoncentrowało się na wyścigach, osiągając liczne sukcesy, takie jak zwycięstwa w Grand Prix i na Mille Miglia.
Po wojnie marka zaczęła produkować samochody drogowe, dostrzegając rosnące zapotrzebowanie na luksusowe i sportowe auta. Model A6 1500 stał się pierwszym seryjnie produkowanym Maserati, co zapoczątkowało nową erę dla firmy.
Era sukcesów wyścigowych Lata 50. to złoty okres dla Maserati w motorsporcie. W 1957 roku Juan Manuel Fangio, legenda Formuły 1, zdobył mistrzostwo świata za kierownicą Maserati 250F. Był to jeden z najbardziej znaczących sukcesów marki. Pomimo tych osiągnięć, udział w wyścigach okazał się kosztowny, co skłoniło firmę do wycofania się z motorsportu w 1958 roku i większego skupienia na produkcji samochodów drogowych.
Rozkwit luksusowych modeli W latach 60. Maserati wprowadziło na rynek kilka legendarnych modeli, które stały się ikonami stylu i luksusu. Jednym z nich był Maserati Quattroporte, luksusowa limuzyna, która do dziś jest jednym z najbardziej rozpoznawalnych modeli marki. Kolejnym hitem był Maserati Ghibli, eleganckie coupé o imponujących osiągach.
W tym okresie firma przechodziła zmiany właścicielskie, trafiając w ręce Citroëna w 1968 roku. Dzięki współpracy z francuskim producentem Maserati rozwijało nowe technologie, jednak kryzys naftowy z lat 70. oraz problemy finansowe Citroëna wpłynęły negatywnie na sytuację marki.
Nowe początki i globalna ekspansja W 1975 roku Maserati zostało przejęte przez De Tomaso, a następnie, w latach 90., trafiło pod skrzydła Fiata. Przełomem było zaangażowanie Ferrari w rozwój Maserati w 1997 roku, co przyczyniło się do unowocześnienia technologii i wzrostu prestiżu marki.
W XXI wieku Maserati skoncentrowało się na globalnej ekspansji, wprowadzając modele takie jak GranTurismo, Levante czy nowe wersje Quattroporte i Ghibli. Te samochody łączą sportowy charakter z luksusem, przyciągając klientów na całym świecie.
Maserati dziś i wizja na przyszłość Obecnie Maserati stawia na innowacje i zrównoważony rozwój. W ramach globalnego trendu elektryfikacji firma wprowadza na rynek modele hybrydowe i elektryczne, takie jak Maserati GranTurismo Folgore. Marka kontynuuje swoją misję łączenia włoskiej elegancji z zaawansowaną technologią, stawiając na indywidualizm i luksus.
Maserati, mimo wielu wyzwań, pozostaje ikoną motoryzacji. Jej historia to przykład nieustannego dążenia do doskonałości i pasji, która definiuje włoską motoryzację od ponad stu lat.
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procrastinareconpigrizia · 1 year ago
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domani: due esami
dopodomani: altro esame
venerdì: tutto il giorno a Milano
questo weekend il primo che fiata si ritrova un calcio rotante in faccia.
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megabif · 10 months ago
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Richard Serra
Tilted Arc
Nel 1979 il General Service Administration (GSA), un’agenzia indipendente del governo degli Stati Uniti, in accordo con il National Endowment for the Arts (NEA), decide di commissionare una scultura all’artista Richard Serra. È destinata alla Federal Plaza di New York. Dieci anni dopo, la scultura, chiamata Tilted Arc, viene smantellata, segata a pezzi, i suoi resti immagazzinati a Brooklyn. Nel mezzo accade di tutto. L’affaire Serra ridefinirà il concetto di site specificity di una scultura inserita nel tessuto urbano. In effetti, c’è qualcosa di radicale in questo artista che fin dagli inizi della sua carriera aveva deciso di utilizzare acciaio e piombo come materia espressiva. Nelle Lettere a Miranda Quatremère de Quincy si poneva domande riguardo allo spostamento delle opere d’arte italiane. All’epoca, la Rivoluzione francese aveva appena fatto il suo corso. Due secoli dopo la questione resta: distratta dal suo contesto l’opera perde il suo valore? “Rimuovere l’opera significa distruggere l’opera” afferma Richard Serra. La Street Art pone problemi simili.
Nel 1979, quando viene scelto dal GSA, Serra è già conosciuto, apprezzato. Nel 1970 aveva piazzato una struttura circolare in acciaio nel manto stradale di una via del Bronx (To Encircle Base Plate Hexagram Right Angles Inverted). L’anno successivo, piazza il St. John’s Rotary Arc nei pressi della rotatoria dell’Holland Tunnel. Certo, finché si tratta di una strada del Bronx, o di una rotatoria, nessuno fiata. Ma quando ti trovi di fronte il Federal Bureau of Investigation o una sede della corte di giustizia, è difficile farla franca.
Tilted Arc viene inaugurato nel 1981. Una linea di acciaio color ruggine di quaranta metri, alta quattro, leggermente curva e inclinata, taglia in due la piazza. Apriti cielo. La struttura “teatrale” del sito viene alterata, ciò di cui Serra era ben conscio. I cittadini si ritrovano proiettati dentro un nuovo contesto ambientale, ridefinito dalla scultura. È come se lo stesso concetto di “temporalità” subisse una torsione. Chi cammina sulla piazza è costretto a costeggiare l’opera. In un sito percorso usualmente di fretta, per motivi di lavoro, Serra costringe i passanti a rallentare, a lambire e “sentire” l’opera. Grazie a questo taglio in acciaio lo spazio viene ora sovvertito. Questa linea funge da contrappunto ambientale. È l’opera che ora definisce, impone il proprio territorio.
Ne succedono di tutti i colori. Un giudice protesta. Pone problemi di sicurezza. Finisce come in una lite condominiale, ma su larga scala. C’è chi pone questioni di decoro. La gente vi urina sopra (intervistato dal New York Times, che gli domanda quale sia il suo luogo favorito in città, Matthew Barney risponde: “Urinare riverentemente su Tilted Arc”). C’è chi vi aggiunge graffiti. Alcuni tirano in ballo il Muro di Berlino. Si tengono pubbliche udienze. Autorevoli critici d’arte difendono il lavoro di Serra. Nel 1985 la sede di Washington della GSA chiede che all’opera venga trovato un altro spazio. Serra avvia una causa per difendersi. La causa viene rigettata. Nel 1987 la NEA dichiara Tilted Arc “site specific”, e per questo inamovibile. Serra intanto va in appello. Nel 1989, dopo che Ronald Reagan ha firmato la Berne Convention, legge in difesa dei beni letterari e artistici, Tilted Arcviene smantellato. Per qualche tempo, una specie di cicatrice sulla pavimentazione funziona da indice dell’opera. Ora, restano solo fotografie, più la documentazione, gli atti di questa battaglia espressiva.
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scarabesque-returns · 8 months ago
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What is your opinion on the Fiata that fiat and Mazda bad for a few years
I liked the looks.
Other than that, it was a Miata with more weight, more length, and a Fiat engine. It missed the point. I had no interest in driving one.
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musicwithoutborders · 11 months ago
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Johann Heinrich Schmelzer/Musica Fiata, Sonata XII à 7 I Sonate e balletti, 2003
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mnsrykt · 2 years ago
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"Sâbık ikinci nüktede, kuvve-i zaika kapıcıdır dedik. Evet ehl-i gaflet ve ruhen terakki etmeyen ve şükür mesleğinde ileri gitmeyen insanlar için bir kapıcı hükmündedir. Onun telezzüzü hatırı için israfata ve bir dereceden on derece fiata çıkmamak gerektir. Fakat, hakikî ehl-i şükrün ve ehl-i hakikatın ve ehl-i kalbin kuvve-i zaikası -Altıncı Söz'deki muvazenede beyan edildiği gibi, kuvve-i zaikası- rahmet-i İlahiyenin matbahlarına bir nâzır ve bir müfettiş hükmündedir. Ve o kuvve-i zaikada taamlar adedince mizancıklarla nimet-i İlahiyenin enva'ını tartmak ve tanımak; bir şükr-ü manevî suretinde cesede, mideye haber vermektir. İşte bu surette kuvve-i zaika, yalnız maddî cesede bakmıyor. Belki kalbe, ruha, akla dahi baktığı cihetle midenin fevkınde hükmü var, makamı var."
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patchedd · 1 year ago
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The Art of the Slowpoke, or How I Stopped Caring About HP
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This is the Lamborghini SC20. It's a one off, some 750 HP and uh, well no roof. I don't know the name of this style, but it has been a thing with a lot of one-off, or limited run cars. I don't really get it, but to be frank, I don't really hate it either. I do like this car, it's a nice design, the color scheming is rather different (when was the last time you saw a stock blue & white Lambo?), but to be frank, I would never own it. Yeah, I couldn't afford it ever my life, but even if I could, it wouldn't be my first pick of car. Hell, it wouldn't even be the first Lamborghini I'd go for. That'd be the Diablo. But, well, there's still a dozen dozen cars I'd go for first.
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Frankly, it'd be something like this. An AMC Gremlin. A little shitbox American car from the mid-70s with a V8 that barely shits out as much power as a modern Miata. Top speed of 100 when it goes downwind, bodywork with more rust than solid metal, cheap as shit. It's perfect. It's pure, shithole 70's Detroit, when the oil crisis meant "lets make the worst fucking cars imaginable and kill the muscle car."
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Meanwhile, only 5-6 years ago, Italy pushed out this absolute centerfold of a car, the Alfa Romeo 33 Stradale, a car with as much horsepower as an RX8 but enough oomph to still hit 200 mph. In 1968. It's one of those multi-million dollar cars nowadays, a holy grail of ownership that half the examples are probably rotting away in some dickhead's collection. And I absolutely adore this car, don't get me wrong. I'd kill to drive this for a day, even. But I'd still buy a Gremlin first.
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Cool shitboxes really aren't a thing anymore, frankly. Low horsepower, but high fun factor. Japan puts out a lot of cheap, sporty cars, sure, but a lot pale in comparison to their older generations. Would sooner buy a '93 Civic than a '23. But in a fun, almost poetic twist, you have thisun. The Abarth 124 Spider. Well, it's mostly a Miata, but all the fixin's are done up by Abarth. It's still only 165 HP, less than a fucking Kia Soul Turbo, but come on, would you really buy one of those over this? The Miata might've turned from the hairdresser car to the weird cult icon it's become in recent years, but this one stands out from the rest. The Fiata as they call it, sounding 100 HP more aggressive than it is, only able to hit 140 on a good day. And it goes racing. Brings to mind something else, really...
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Yeah, the Ford Escort. A car that started life as a cheap family car, a replacement for the Anglia (The stupid flying car from Harry Potter), turned into a long running icon of Ford's rallying success. It's a tale not unheard of in the sport, the Fiat 131 in the 80's was a similar story, but its an inspiring story. Something so simple, so low-power, under the radar, turning into a motoring icon on the dirt. That is something I just adore. Seeing these cars some would consider lower echelon becoming full-blown powerhouses almost out of nowhere. Something that a lot of cars have kinda lost. Sure, the Focus is a cheap, fun car, but it's been pretty heavily involved with motorsport that it kinda loses its luster.
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Cases like this fucking drift Corolla. Who fucking cares about the Toyota Corolla? It's arguably played second fiddle to the Celica for a long time, but here you have this one that's a part of the Formula Drift circuit, sporting over a thousand horsepower, it's barely even close to the original. But god you have to just love this thing. The engineering behind it, the sheer insanity of it. The gall to take something so basic, so common, and make it a contender in the drift scene. That is some real love for the little guy. A love that has really been left wanting in the modern times.
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In a world where you have active-aero so ridiculously advanced it tilts in 20 different directions at different speeds on a road car, there's not much fun for the little guy. There's a reason that so many slower, yet interesting cars are all 15+ years old. Automakers, owners, hell, most people don't have cars to care about these days. The age of the SUV is upon us. And yeah, some of those are pretty interesting, fast and powerful. But even the 70's and 80's put out more interesting garbage than most modern stuff. Just look at the new Integra. What about that screams "Integra?"
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This was a bunch of rambling that really didn't pay much attention to the topic I wanted to talk about, but maybe the point gets across. Power and luxury don't make a dream car, always. Just spirit, a love for the machine, and maybe just a pinch of personal experience.
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abr · 1 year ago
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Gli stop alle macchine adottano il medesimo meccanismo del green pass. Vengono dalla UE. Riguardano una minoranza. La minoranza è toccata nel vivo quindi reagisce. Però è minoranza. La maggioranza non toccata dai divieti è così divisa: - Favorevoli (inquinano, cazzo vogliono?). Sono la maggior parte, tutto il PD, tutti i conformisti, tutti i farisei che non mancano mai. - Indifferenti (cazzomene, io c'ho il Porsche benzina, cazzomene, io manco ho la patente ecc. ecc.) Sono appena inferiori come numero alla prima categoria: qui troviamo i molto ricchi, i molto poveri, i molto indaffarati... - Contrari (eh però queste limitazioni non sono giuste, i crediti cinesi, la finestra di Overton) Quattro gatti: intellettuali controcorrente, ribelli, gente che ha capito il gioco, ecc. ecc... Rimane quindi la minoranza dei toccati dal provvedimento più quattro gatti idealisti fra cui io (ho una (...) euro 6, potrei tranquillamente essere nella categoria dei cazzomene). Scene già viste. Risultato? Il solito: il piddino mette i limiti prima di tutti (Beppe Sala, area B, 2018) e nessuno fiata, anzi lo rieleggono di corsa. Il centrodestra si divide in entusiasti (la maggioranza dei miei cittadini lo vuole!!!) e prudenti. I prudenti traccheggiano finché non arrivano le sentenze, allora cedono. Cedendo perdono voti perché la minoranza impattata dai divieti di sente tradita. Alle elezioni dopo vince il PD e mette le limitazioni triple. Quindi suggerimento mio alle amministrazioni locali prudenti: la prudenza non vi salverà, o vi omologate e sperate che il vostro elettorato vi consideri un piddino ma un po' meglio del piddino doc salvandovi (succede raramente ma succede) o prendete eroicamente posizione contro tutte le limitazioni e provate a vedere se sposare una battaglia giusta se pur minoritaria vi porterà bene, pur sapendo che le conseguenze, anche giudiziarie, non tarderanno ad arrivare. Tutto qui.
sintesi perfetta di Claudio Borghi: il problema è SISTEMICO, sta nell'esser provinciali dentro (non per caso il Piemont è il primo, dopo Milan ovviamente), via https://twitter.com/borghi_claudio/status/1694131481940013153
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