#Duccio Fattori
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firenze, 28 novembre e 12 dicembre: due incontri per/con la fondazione giuliano scabia
Giovedì 28 novembre, ore 18:00, presso la Galleria Immaginaria, Via Guelfa 22/rosso. Presentazione dei primi tre Quaderni della Fondazione pubblicati nel 2024: “Nuova Musica e Nuovo Teatro”, “Sentiero del teatro accanto alla follia” e “Marco Cavallo per immagini”. Saranno presenti Andrea Mancini, Massimo Marino, Duccio Fattori e Giorgia Migliorini. Giovedì 12 dicembre, ore 17:30, presso il MAD…
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IL LINGUAGGIO DELLA PITTURA E DELLA FOTOGRAFIA
di Renzo Saviolo
-- Differenze e identità
- Abbiamo sotto gli occhi tutto ciò che la civiltà pittorica ha prodotto dalle pitture rupestri all’oggi. Opere generate da culture, scopi, generi, tecniche e destinazioni differenti. Eppure chiamiamo tutte queste manifestazioni “arte” perché accomunate da qualcosa che la cultura storica, biografica, iconografica non coglie. Né la storia sociale, politica, economica o altro pur utile elemento, nella sua essenza resta sempre irraggiungibile.
La conoscenza storica è necessaria, ma ancor più quella tecnica,
Rappresentano il mondo dove vive l’opera e nel quale è necessario entrare. Bisogna superare la nozione formale e raggiungere il centro dell’opera, quasi fosse un’entità vivente.
L’artista, per rappresentare il suo scopo, mette in scena una somma di mezzi linguistici facenti parte di un patrimonio comune al suo tempo, usando un linguaggio che non può essere che quello corrente, almeno finchè non giunga un innovatore che scombina i giochi evolvendo la situazione (per esempio, la tridimensionalità volumetrica degli oggetti in Giotto e la spazialità bidimensionale del fondo azzurro, moderna soluzione del tradizionale fondo oro destinato a contenerli).
Ciò poteva avvenire per evoluzione artigianale e per capacità innovative. Oltre la storia il primato va alla tecnica, la quale ci dice “come si fa”.
Si tocca anche il problema di un discorso comprensibile a secoli di distanza, in condizioni totalmente diverse. Così si potranno comprendere i cittadini di Siena che portano in processione attraverso la città la Maestà di Duccio appena finita dalla bottega al Duomo.
Duccio di Buoninsegna- Maestà (Duomo di Siena)
Potremmo citare esempi che dimostrano la nostra distanza da loro, e tuttavia riempiamo con queste opere luoghi deputati, quali musei e pinacoteche.
Come è possibile questa condivisione? Il problema è legato alla nostra capacità di far rivivere le opere del passato.
Come afferma l’Hauser, le facciamo rivivere con la nostra fruizione, che sarà necessariamente diversa da quella dei contemporanei e tuttavia capace di risvegliare un soggetto dormiente.
È necessario di fronte all’opera riconoscere e fare nostre le modalità poste in essere dall’autore.
Questo ci induce a porre attenzione a fattori sfuggenti la comune esperienza.
A cosa serve l’opera, con che denari viene pagata, dove sarà posta, quali ideali deve veicolare, quale fruizione deve riflettere, quale corrente rappresentare, e ancora, tavola o tela, scelte in funzione delle misure e della pittura che dovrà rendere visibile, olio o tempera grassa o magra, ecc.
I modi elencati servono per fissare su una superficie bidmensionale un sistema di segni che assumerà un certo significato. Questo è possibile perché comprendiamo il linguaggio dell’autore e ne condividiamo il modello mentale. Questo verrà sottoposto alla elaborazione coerente allo spirito del tempo e secondo la varietà individuale (stile).
Il mondo cambia, cambiano le forme che lo rappresentano. Lo stile dipende dalle circostanze storiche o ne è indipendente, in quanto segue altri percorsi. Bisognerebbe essere in grado di leggere e riconoscere ciò che l’opera manifesta, in altre parole affiancare ad una conoscenza storica il patrimonio del linguaggio.
Per fare qualche esempio, il passaggio dalla tempera all’olio, il crescere dei formati, l’uso dei teleri a Venezia invece degli affreschi, le tempere grasse veneziane in funzione del formato e poi, l’invenzione dei tubetti per contenere i colori (ciò permette il plain air, senza il quale non si spiega l’impressionismo), la fascetta metallica sui pennelli quadri, il blu di Prussia, ecc.
Vittore Carpaccio – Incontro dei fidanzati dal ciclo di nove teleri della Storia di Sant’Orsola (Venezia, Gallerie dell’Accademia)
Questo non spiega tutto, ma costituisce la base per la lettura consapevole dell’opera, dato che al sublime si ascende con una scala più simile a quella dei pompieri che a quella degli angeli.
Le mani sporche di colore del pittore sono il segno che il trascendente non potrà che essere figlio dell’immanente.
Queste considerazioni per citare alcuni problemi della pittura: la fotografia avrà i suoi, altrettanto gravi. Incontriamo subito il primo.
Mentre la pittura è “arte” perché fatta dalla mano dell’uomo, la fotografia non lo è in quanto prodotta dalla macchina, Sciocchezza che si è protratta per quasi mezzo secolo col pittorialismo.
Facilissimo confutarla.
La matita è la macchina fatta per lasciare un segno sulla carta. E’ certamente una macchina semplice, più di una fotocamera o di un’attrezzatura di camera oscura.
È singolare osservare che in arte una affermazione falsa può produrre capolavori, come testimonia il periodo pittorialista. La matita è un mezzo che appartiene agli strumenti del linguaggio visual del disegno.
Altro problema della fotografia è la molteplicità delle copie ottenibili
La riproducibilità praticata nelle botteghe pittoriche ha sempre prodotto serie, copie, duplicati e quant’altro. L’unicità o la molteplicità degli esemplari è solamente in funzione del mercato.
La fotografia appartiene alla categoria della modernità, mentre la pittura è praticamente scomparsa.
Sono cambiate le forme del ritratto, artistico o identificativo quale la fototessera, che è pur sempre un ritratto. Immaginiamo di esibire una patente con la nostra immagine identificativa eseguita dalla bottega di Tiziano. Entrambe avrebbero le stesse possibilità di rappresentazione fisionomica, ma differirebbero profondamente nel loro utilizzo.
In particolare. attuata nel secolo scorso la sostituzione della pittura da parte della fotografia, questa è divenuta inevitabile per tutti gli usi pratici della rappresentazione. Di questa possibilità e del suo potenziale si sono immediatamente accorti i pittori del tempo, e qui inizia quella serie di rapporti conflittuali che caratterizzeranno i due linguaggi operanti nella stessa epoca.
Certo fu l’avvento della fotografia a far dire a Ruskin, impegnato a Venezia nel “The stone of Venice”, che il nuovo mezzo era una meraviglia, essendo capace in un attimo di rendere con precisione assoluta ciò che a lui costava tempi senza limiti nel rilevare in disegni acquerellati l’architettura gotica veneziana.
John, Ruskin – Venezia: Canal Grande e la Cà d’oro
Tutti gli interessati si accorsero subito che la nuova invenzione tagliava loro l’erba sotto i piedi e tennero conto della nuova estetica e tecnica.
I colori non saranno più i colori della pittura, ma quelli della realtà, ecco il “plain air” e la rivoluzione del colore.
Le ombre saranno colorate con straordinari effetti. La fotografia si incaricherà di attuare la stessa riforma con la nuova possibilità di ottenere istantanee capaci di fermare il movimento nell’attimo.
Non a caso la tecnica permise il trattamento dei soggetti in movimento. Non fu certo un caso se Salomon, usando l’Ermanox, diede inizio alla nuova dimensione del reportage giornalistico.
Si può affrontare la realtà che diviene, e la fotografia troverà nella prima decade del secolo il campo privilegiato della sua applicazione nei settimanali illustrati, con l’avvento delle storie sulle pagine appena nate di LIFE.
La fotografia conquistava così il suo genere massimo che, nella seconda metà del secolo, avrebbe superato l’immagine fissa sulla pagina con la nuova dimensione del movimento, offerto dapprima dal cinema e poi dalla televisione.
Il pittorialismo voleva confrontarsi con la pittura, o meglio, col disegno: la fotografia artistica realizzerà le commistioni più varie.
Francesco Paolo Michetti – Scatto stereo-fotografico per “L’incontro” (Archivio Michetti Firenze © Archivi Alinari Firenze)
Michetti e Degas, entrambi pittori, si diversificheranno per l’uso che fanno del nuovo mezzo. Michetti, quale vero e proprio grande fotografo, mentre Degas si limiterà a realizzare fotografie in funzione dei quadri.
Edgar Degas- fotografia di danzatrice che sistema una spallina (1900)
La fotografia rivelerà uno straordinario potere narrativo.
Il dialogo tra i due linguaggi in realtà non è mai cessato. Il secolo brucerà con la consueta furia ogni conquista dagli anni ’70 in poi con la concorrenza della televisione che, mostrando il mondo in tempo reale, renderà la fotografia obsoleta.
Oggi non è il contrasto con il digitale ad essere sulla scena, in quanto l’analogico è già stato eliminato e nuovi sviluppi si possono intravedere. I tradizionalisti futuri allora diranno che “…questo non è più il digitale” e che “l’immagine quantistica (?) non è vera fotografia”.
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