#Donato Antonio d'Orlando
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La Madonna degli Angeli per la cappella dei d’Amato di Seclì della chiesa di San Domenico a Nardò
Riportiamo gli abstract dei saggi pubblicati sul nuovo numero de Il delfino e la Mezzaluna
  Nicola Cleopazzo, E Napoli cominciò a fare scuola nel Salento
in Il delfino e la Mezzaluna, Periodico della Fondazione Terra d’Otranto, anno VI, n° 8, 2019, pp. 137-163
   ITALIANO
Nel saggio, attraverso la rilettura di un atto notarile, già pubblicato nel 1891 e collegato ora a dati storici nel frattempo emersi, viene dimostrato che il pittore napoletano Aniello Laudisello realizzò nel 1590 una grande pala con la Madonna degli Angeli per la cappella dei d’Amato di Seclì della chiesa di San Domenico a Nardò. Un arrivo da Napoli, a cui altri se ne possono aggiungere (come una pala a Racale qui attribuita a Giulio Dell’Oca), che poté avere un ascendente diretto sui maggiori pittori salentini del periodo: Donato Antonio D’Orlando e Gian Domenico Catalano. Alcuni dei caratteri stilistici dei due salentini, a cui vengono restituiti rispettivamente due dipinti a Casarano e Racale, sembrano infatti risentire del contesto culturale partenopeo del terzo quarto del Cinquecento, di cui il Laudisello fu uno dei protagonisti. Contesto, dominato dalla fortunata bottega Lama-Buono, cui sembra appartenere anche una Madonna del Soccorso a Gagliano del Capo, qui restituita a un altro pittore napoletano, Decio Tramontano, forse con la collaborazione del maddalonese Pompeo Landolfo.
  ENGLISH
In the essay, through the analysis of a notary’s act, already published in 1891 and now connected to new historical information, it is shown that in 1590 the Neapolitan Aniello Laudisello painted a large altarpiece
with the Virgin of the Angels for the d’Amato (Seclì’s barons) chapel in the church of San Domenico in
Nardo. This arrival from Naples, to which others can be added (like an altarpiece from Racale here attributed to Giulio Dell’Oca), had probably a direct influence on the main Salento painters of the time: Donato Antonio D’Orlando and Gian Domenico Catalano. Some of the stylistic features of the two Salentines, to which two paintings from Casarano and Racale are respectively attributed, seem to be influenced by the Neapolitan cultural context of the third quarter of the sixteenth century, of which Laudisello was one of the protagonists. To this context, dominated by the successful Lama-Buono workshop, also a Madonna del Soccorso from Gagliano del Capo seems to belong. Here this painting is attributed to another Neapolitan painter, Decio Tramontano, perhaps with the collaboration of Pompeo Landolfo from Maddaloni.
  Keyword
Nicola Cleopazzo, Aniello Laudisello, Antonio D’Orlando, Gian Domenico Catalano, Decio Tramontano, arte
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fondazioneterradotranto · 7 years ago
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Una veduta neretina dell'antica Noyon
di Marcello Gaballo e Armando Polito
Il S.Eligio del pittore neretino Donato Antonio D’Orlando custodito a Nardò nella chiesa della Beata Vergine del Carmine ha ispirato il titolo di questo lavoro1 con un suo dettaglio, anzi con due. Il primo è rappresentato da un paesaggio, il secondo dal testo che vi si legge sovrapposto a mo’ di didascalia. Partiremo proprio da questo facendo notare la sua divisione in due spezzoni: a sinistra la CITTÀ DI NOVI, a destra OME IN BELGI2. La divisione ha lo scopo di evitare che la sovrapposizione invada fino a renderla illeggibile la figura del pastore e del secondo gregge che lo segue, dettagli il cui valore simbolico in riferimento a S. Eligio protettore dei maniscalchi e dalle miracolose capacità veterinarie (si ricordi il miracolo della zampa riattaccata al cavallo, cui allude, forse, proprio il cavallo scalpitante che si nota in basso a sinistra) è, sia pure indirettamente, indiscutibile. Il testo, dunque,  va letto continuativamente: CITTÀ DI NOVIOMI IN BELGI. Noviomi è l’italianizzazione di Noyon, la città appartenente in epoca romana alla Gallia belgica (da qui il successivo IN BELGI) e della quale, com’è noto,  S. Eligio fu vescovo. Il nome latino largamente attestato nel XVII secolo per Noyon�� era Noviomum, come mostra, per fare un solo esempio, il Noviomi (genitivo locativo, dunque solo per puro caso formalmente uguale al Noviomi del dipinto) che si legge in Josephus Geldolphus a Ryckel, Vita S. Beddae, Typis Cornelii Coenestenii, Lovanii, 1631, p. 4213. Una forma femminile, Novioma, è attestata in epoca medioevale; per esempio: nel Chronicon Ecclesiae Sancti Bertini di Giovanni Iperio (seconda metà del XIV secolo) in Recueils des historiens des Gaules et de la France, a cura di Martin Bouquet, Aux dépens des libraires associés, Paris, 1741, v. III, p. 5814.
Largamente attestato è pure l’aggettivo Noviomensis, come per Nardò Neritonensis da un nominativo Neriton o Neritonum, da cui le forme volgari Neritone e Neritono. Anche per Novionensis uno dei tanti esempi è in un manoscritto del 1190 pubblicato in Martin Marville, Trosly-Loire ou le Trosly des Conciles, Typographie D. Andrieux, Noyon, 1869, p. 2365.
Quanto fin qui detto basta ed avanza per affermare che lo scorcio paesaggistico raffigurato è proprio una veduta di Noyon. La posizione della didascalia appare anomala, ma, d’altra parte, non poteva essere collocata in posizione diversa, come le altre che si leggono ai piedi del santo, le cui caratteristiche grafologiche non appaiono perfettamente compatibili con quelle della didascalia della veduta.6
È d’obbligo, giunti a questo punto, chiedersi se la rappresentazione è di fantasia o se il D’Orlando s’ispirò a qualche modello e, presumibilmente, a quale. Abbiamo condotto la ricerca su due filoni. quello delle opere pittoriche e quello delle opere a stampa cronologicamente compatibili con il pittore, tali, cioè, che potesse averle conosciute personalmente. Il primo non ha dato alcun esito (nel senso che non siamo riusciti a reperire neppure un dipinto raffigurante Noyon), le cose sono andate un po’ meglio con il secondo, che ci ha offerto i documenti che di seguito riproduciamo, lasciando, comunque, ad altri più esperti il giudizio di probabile plausibilità di rapporto con la veduta neretina.
Cominciamo con un’incisione di Joachim Duwiert (1580 circa-1648), del 1611, pubblicata in Alfred Pontieux, L’Ancien Noyon, A. Sevin & C., Chauny, 1912.
La seconda incisione è di Claude Chastillon (1559/1560-1616), topografo reale dal 1592.  Le sue incisioni sono custodite in parecchi musei prevalentemente francesi; questa fu pure pubblicata postuma, insieme con altre tavole, in Topographie françoise ou représentation de plusieurs villes, bourgs, chasteaux, maisons de plaisance, ruines et vestiges d’antiquitez du royaume de France, designez par dessunst Claude Chastillon et mise en lumière par Jean Boisseau, Paris, 1641. Di seguito il frontespizio e la tavola che ci interessa.
Dello stesso incisore è conservata a Noyon nel Musée Jean Calvin un’altra veduta.
Riportiamo, infine, per completezza documentaria un’ultima tavola, anonima, la cui data di pubblicazione non sembrerebbe compatibile con il D’Orlando. Tuttavia va detto che nulla esclude che detta tavola sia stata pubblicata sciolta precedentemente. È inserita in Les plans et profils de toutes principales villes et lieux considerables de France, Sebastien Cramoysi, Paris, 1638.
______________
1 Pubblicato in Decor Carmeli.Il convento, la chiesa e la confraternita del Carmine di Nardò, Mario Congedo editore, Galatina, 2017, pp. 147-150.
2 M. Cesari in La Puglia il manierismo e la controriforma, a cura di Antonio Cassiano – Fabrizio Vona, Congedo, Galatina 2013, p. 255 la riporta, ma legge IMBELGI, ipotizzando che si tratti di una veduta di Nardò.
3 Hunc vitae canonem sequebantur olim Hospitalariae Parisiis et Noviomi in Francia … (Seguivano un tempo questo canone di vita le Ospitaliere a Parigi ed a Noyon in Francia).
4 Intereà decedente Achario Episcopo urbis Noviomae, ad Episcopatum eiusdem urbis venerabilis vir Mummolinus provehitur … (Frattanto alla morte di Acario vescovo della città di Noyon diventa vescovo della medesiuma città il venerabile uomo Mummolino …). Noviomae è genitivo di Novioma e, come giustamente fa notare in nota il curatore, Mummolino non subentrò ad Acario ma proprio ad Eligio, il futuro santo.
5 … ecclesie beate Marie Noviomensis … ( … alla chiesa della beata Maria di Noyon …).
6 Le tre didascalie del bordo inferiore sono prive di riquadri iconologici di riferimento e sono ancora visibili perfettamente le linee-guida.
Nella prima si legge: TRONCATI LI PIEDI DI QUATRO CAVALLI,/[LA] BENEDITIONE LI FÈ SANI; segue un segno interpretabile come un adattamento rettilineo del lau buru (la croce basca), un altro che raffigura un animale (si direbbe un cane) e un altro ancora, articolato in due elementi, di problematica lettura, anche se ci potrebbe essere una valenza araldica. Tuttavia non è da escludere che la sua funzione sia puramente decorativa e che i segni finali delle due altre didascaklie ne rappresentino la progressiva semplificazione. Nella seconda: S. ELIGIO, FÀ TRONCARE IL PIEDE D’UN CAVALLO DEL RÈ DAL/MINISCALCO, CH’ERA FEROCISSIMO LO FÈ SANO ET HUMILE; segue un segno per il quale vedi la precedente didascalia. Nella terza: S. ELIGIO, PREGATO DA MOLTI MASSARI, ET MOLI/SANITÀ AL LOR BESTIAME; segue un segno che appare come l’estrema semplificazione di quello finale della prima didascalia; MOLI e lo spazio libero all’inizio di quest’ultima’ultima didascalia potrebbe essere un indizio, più che della mutilazione, dell’incompiutezza dell’opera.
  Pubblicato nel volume “Decor Carmeli”:
http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/07/13/decor-carmeli-convento-la-chiesa-la-confraternita-del-carmine-nardo/
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fondazioneterradotranto · 7 years ago
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Decor Carmeli. Il convento, la chiesa e la confraternita del Carmine di Nardò
Venerdì 14 luglio, alle ore 20, nella chiesa del Carmine di Nardò verrà presentato il volume edito da Mario Congedo di Galatina, Decor Carmeli. Il convento, la chiesa e la confraternita del Carmine di Nardò.
Un progetto ambizioso che il sacro tempio meritava, per essere una delle chiese più note e frequentate dalla popolazione ed oggi meta preferita dei tanti turisti che stanno riscoprendo la città di Nardò.
L’edizione, di circa 400 pagine, in formato A/4, con tavole e rilievi del complesso, centinaia di illustrazioni bianco/nero e colore, in buona parte eseguite da Lino Rosponi, è l’ottavo dei Supplementi dei Quaderni degli Archivi della Diocesi di Nardò-Gallipoli, diretti da Giuliano Santantonio. Oltre la Confraternita del Carmine hanno promosso l’edizione la Diocesi di Nardò Gallipoli e la Fondazione Terra d’Otranto.
Curato da Marcello Gaballo, contiene numerosi saggi scritti da studiosi ed esperti, che hanno voluto omaggiare la nota chiesa di Nardò con ricerche e nuove fonti di archivio raccolte negli ultimi anni. Tra questi Marino Caringella, Marco Carratta, Daniela De Lorenzis, Anna Maria Falconieri, Paolo Giuri, Alessandra Greco, Maria Domenica Manieri Elia, Elsa Martinelii, Alessio Palumbo, Armando Polito, Maria Grazia Presicce, Cosimo Rizzo, Giuliano Santantonio,  Marcello Semeraro, Maura Sorrone, Fabrizio Suppressa.
Si parte dalle origini della Congregazione dell’Annunziata e insediamento dei Carmelitani Calzati, fino alla loro definitiva soppressione e l’istituzione della parrocchia, soffermandosi sulle vicende del funesto terremoto del 1743, che arrecò danni considerevoli alle strutture, in buona parte ricostruite nel decennio successivo.
Notevoli gli approfondimenti artistici, specie all’interno della chiesa e del convento, senza tralasciare le sorprese dell’insolita facciata cinquecentesca e dei suoi celebri “leoni” posti all’ingresso, che sembrano rimandare al celebre architetto Giovan Maria Tarantino, probabile autore anche dell’altare della Trinità, nella stessa chiesa. Nuove fonti anche per l’altro artista neritino, Donato Antonio d’Orlando, al quale sembra debbano attribuirsi altre opere dipinte, oltre quella firmata del S. Eligio.
Altre sorprese emergono dagli studi sull’altare della Madonna del Carmine, sulla tela dell’Annunciazione, sulla statua lignea dell’Annunziata e su un inedito corpus di manoscritti musicali, conservati nell’archivio della confraternita.
Il ricco corredo fotografico, che rende il volume ancor più interessante, documenta arredi, stemmi, reliquie e suppellettili di cui si è arricchita la chiesa nel corso dei secoli e raramente esposti.
Da ciò l’entusiasmo del priore della Confraternita, Giovanni Maglio, che ha fortemente voluto ed incoraggiato l’iniziativa, con il sostegno dei confratelli e consorelle, inserendola “di diritto nell’attività di valorizzazione del patrimonio culturale civile e religioso, che si sta particolarmente curando in questo ultimo decennio” nella città di Nardò.
Oltre gli Autori, che hanno voluto offrire pagine importanti, mettendo a disposizione di tutti vicende e fonti spesso sconosciute o inesplorate, aiutandoci a leggere nella maniera più corretta ed esaustiva, altrettanto importanti coloro che hanno offerto immagini e foto altrimenti difficili da reperire, tra cui Giovanni Cuppone e don Giuseppe Venneri, Gian Paolo Papi, Clemente Leo e Don Enzo Vergine, il parroco della chiesa matrice di Galatone don Angelo Corvo, Don Domenico Giacovelli e Rosario Quaranta, Emilio Nicolì e Raffaele Puce, Stefano Tanisi, Bruno Capuzzello. Una particolare menzione a Stefania Colafranceschi per aver messo a disposizione parte della sua collezione di santini e immagini antiche, e a Stelvio Falconieri, per due importanti e rarissimi documenti fotografici della chiesa nei primi decenni del ‘900.
All’elenco si aggiungono Pierpaolo Ingusci, Antonio Dell’Anna, Luca Fedele, Emanuele Micheli e Matteo Romano, valido aiuto nell’ordinamento dell’archivio e trascrizione di alcuni documenti. C’è stato anche un silenzioso e paziente lavoro, assolutamente importante, nell’allestimento degli arredi liturgici e nella ripulitura di molte suppellettili in parte desuete ma necessarie per una completa catalogazione. Ed ecco che devono aggiungersi, includendo nel lungo elenco anche Cosima Casciaro, Dorotea Martignano, Teresa Talciano e Anna Violino.
Infine, ma non per minore importanza bensì per sottolinearne il ruolo, la riconoscenza ad Annalisa Presicce, che ha professionalmente rivisto le bozze ed omologato le centinaia di annotazioni per un testo agile, coerente e scientificamente valido, come si spera possa essere.
Il volume sarà presentato dalla Prof.ssa Regina Poso, già docente preso la Facoltà di Beni Culturali dell’Università del Salento.
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fondazioneterradotranto · 7 years ago
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Gian Domenico Catalano nella collegiata di Grottaglie
Riportiamo gli abstract dei saggi pubblicati sul nuovo numero de Il delfino e la Mezzaluna
  Marino Caringella, Una proposta per Catalano nella collegiata di Grottaglie e una notula sul D’Orlando
in Il delfino e la Mezzaluna, Periodico della Fondazione Terra d’Otranto, anno V, nn° 6-7, 2018, pp. 275-283.
  ITALIANO
a Pentecoste collocata nella collegiata di Grottaglie,rielaborazione della pala del Vasari in Santa Croce a Firenze, è qui ricondotta all’ambito culturale della tarda maniera e attribuita al pittore salentino Gian Domenico Catalano (Gallipoli 1560 ca. – Gallipoli? 1627 ca.). A tal proposito l’autore instaura confronti con altre opere note del maestro gallipolino, restituendo al suo catalogo anche la cosiddetta Madonna della Misericordia di Galatone, già data a Donato Antonio D’Orlando (Nardò 1560 ca. – Racale 1636). Circa il pittore neretino, è palese la dipendenza tra la sua Deposizione di Cristo di Castellaneta e le opere di Giovan Bernardo Lama e dello Stradano. Elementi che rendono la personalità artistica del D’Orlando ben più sfaccettata di quanto la letteratura critica abbia sinora compiutamente delineato.
  ENGLISH
Pentecost in the collegiate church in Grottaglie, that is a reinterpretation of Vasari’s altarpiece in Santa Croce in Florence, is here influenced by the cultural realms of late Mannerism and attribuited to Gian Domenico Catalano (Gallipoli about 1560 – Gallipoli? about 1627), a painter from Salento. To this end, the author, comparing other works by the master from Gallipoli, ascribes him also the so-called Madonna of Mercy in Galatone, preaviously attributed to Donato Antonio D’Orlando (Nardò about 1560 – Racale 1636). As regards the painter from Nardò, the author identifies a clear influence of the works by Giovan Bernardo Lama and Stradano on his Deposition of Christ in Castellaneta. Such considerations render D’Orlando’s artistic identity more complex than so far drafted by critics.
  Keyword
Marino Caringella, Pentecoste, Collegiata Grottaglie, Domenico Catalano, Antonio Donato D’Orlando
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fondazioneterradotranto · 8 years ago
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Note sulla chiesa dei Paolotti a Nardò
di Marcello Gaballo
Sorta su una preesistente chiesetta dedicata a S. Maria di Costantinopoli o del Canneto, fu ricostruita dal duca di Nardò Belisario II Acquaviva d’ Aragona (1569-1623), figlio di Giovanbernardino II, per un evento prodigioso occorso nella sua vita tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo, nel giardino annesso al castello ducale.
Lo conferma un atto notarile conservato nell’ Archivio di Stato di Lecce, del notaio Pietro Torricchio, in cui si legge che lo stesso duca Belisario “…tenere et possidere in burgensaticum… jardenum unum cum arboribus communibus et cannito et cum ecclesia sub titulo S. Maria de Costantinopoli, existente intus eodem jardenum, in latere versus boream, et de novo aedificata cum maiori parte espensarum ipsius ducis, sita extra et prope menia et castrus eiusdem civitatis, iuxta tres vias publicas et terras mense episcopalis neritonensem…”.
La chiesa era perciò di patronato della famiglia Acquaviva e lo stesso duca aggiunge nel documento “pro salute eius anima, constituere, erigere et fundare quoddam beneficium ecclesiasticum perpetuum sub titulo S. Maria de Costantinopoli in ecclesia predetta…”.
interno della chiesa con la tomba di Giovan Bernardino Tafuri
  Che la chiesa fosse preesistente al convento lo si rileva in un atto notarile del 1606, quando Gio. Battista Serpante da Forlì annulla il suo lascito del 1/7/1606 ad Alessandro delli Falconi, a favore della chiesa di S. Maria di Costantinopoli “extra moenia in jardeno Ducis”. Già nel 1573 la chiesa risulta comunque esistente, sempre dedicata a S. Maria di Costantinopoli. Secondo il Moroni i frati si insediarono a Nardò durante l’episcopato di Girolamo De Franchis (1617-1634).
Ciò che oggi si vede fu ricostruito nel 1745, essendo crollata la maggior parte della struttura originaria per il terremoto del 1743. Ciò è ricordato da un’ epigrafe (DOM/ TEMPLUM HOC/ X. CAL. MARTIAS ANNO D.NI MDCCXLIII/MAGNO CIVITATIS EXCIDIO TERRAEMOTU EVERSUM/ NERITONORUM PIETAS/ S. FRANCISCI PAULANI PATRONI PRAESENTISSIMI/ INNUMERIS COMMOTA MIRACULIS/ A FUNDAMENTIS RESTITUIT/ FRATES MINIMI NE POSTEROS LATERET BENEFICIUM/ GRATI ANIMI MONIMENTUM POSUER./ ANNO MDCCXLV).
A ridosso c’era il convento dei Minimi Riformati o Paolotti, che si stabilirono nel convento nel XVII sec. per restarvi sino al 7/8/1809.
La chiesa, con pianta a croce latina, fu consacrata nel 1706 dal Vescovo Fortunato, ma fu in buona parte ricostruita dopo il terremoto del 20 febbraio 1743, forse nel 1749, quando fu riedificata la sacrestia da Mons. Carafa e suo fratello Antonio, come ricorda l’ epigrafe che ancora si vede.
Il prospetto, sobrio ma elegante e slanciato, secondo il gusto dell’epoca, presenta paraste lisce con capitelli adornati da volute. Sui gradini posti all’ esterno della chiesa è visibile l’ insegna dei frati (sole raggiante caricato della parola CHA-RI-TAS).
altare di San Francesco da Paola
  Degno di particolare nota è il bellissimo altare di S. Francesco da Paola, nel transetto destro, realizzato dallo scultore di Alessano Placido Buffelli, e qui trasferito dalla Cattedrale, ove era dedicato a S. Francesco di Sales. Presenta triplici colonne a spirale, con un incredibile animazione di putti in differenti pose. Nella parte superiore vi è la nicchia con la statua del Santo titolare e l’ insegna dei frati, mentre inferiormente sono impresse le armi dei nobili Montefuscoli.
Altrettanto notevoli, dal punto di vista artistico, la tela posta a lato di questo altare e l’affresco originario della Madonna di Costantinopoli. Sempre qui è presente la tela di S. Nicola Pellegrino, del 1615, di Donato Antonio d’ Orlando.
particolare dell altare di S. Francesco da Paola
  Sulla chiesa si veda anche:
http://www.fondazioneterradotranto.it/2010/04/20/1607-lavori-nella-chiesa-di-s-francesco-da-paola-in-nardo/
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fondazioneterradotranto · 9 years ago
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Il dipinto delle sante Maria Maddalena e Francesca Romana del pittore Donato Antonio D’Orlando
  di Stefano Tanisi
Soggetto: Sante Maria Maddalena e Francesca Romana
Epoca: 1618
Autore: Donato Antonio D’Orlando (1560 ca. – 1636)
Tecnica: olio su tela
Misure: cm. 263,5 x 166
Stato di conservazione: recente restauro
Provenienza: Ugento, Museo Diocesano (già nella chiesa delle Benedettine di Ugento)
Iscrizioni: DONATO ANTONIO D’ORL.DO PICTORE DI NARDÒ 1618/ S. M. MADALENA / S. FRANCESCA ROMANA / scene lato sinistro: Christum adit cum Simone leproso mense acumbentem / Domum reversa aurea catena corpus suum asperrime castigat / Ad concionem cum Marta se confert ubi amore Dei vehementer accenditur / Romam adeunt a S. Petro inteletum cum Matalena vera pr[A]edicaret / Madalena indeserium locum abit ubi sacta vitam extremo die claudit / scene lato destro: Moltiplica il pane in refettorio / Esce odore soavissimo del suo corpo / Spesso dopuo la Comunione era rapita in estasi / Sana un putto del mal caduco / […]
  La tela, proveniente dalla chiesa delle Benedettine di Ugento, raffigura le due Sante Maria Maddalena e Francesca Romana. È un’opera autografa del pittore Donato Antonio D’Orlando di Nardò, da come si può leggere dalla firma “DONATO ANTONIO D’ORL.DO PICTORE DI NARDÒ 1618”. Datata dunque 1618, allo stato attuale è l’ultima opera che si conosce con certezza del pittore neretino.
Il dipinto, come spesso si riscontra nelle opere del pittore, ha un carattere devozionale e didattico, grazie all’utilizzo di scenette che ritraggono gli episodi salienti della vita delle due sante accompagnate dalle relative didascalie che permettono ai fedeli una più facile lettura della rappresentazione sacra. Come in altre opere, il pittore utilizza delle bordature in foglia oro per delimitare le scene.
In passato la Chiesa latina accomunava nel culto di santa Maria Maddalena tre donne diverse: 1) la peccatrice perdonata a casa di Simone il lebbroso; 2) Maria di Betania, la sorella di Marta e Lazzaro; 3) l’indemoniata Maria Maddalena (da Magdala, città da dove proveniva) liberata da Gesù che diverrà la sua devota discepola. Essa fu tra le donne che assistette alla crocifissione e divenne la testimone diretta della resurrezione di Cristo. Ed è quest’ultima che va correttamente indicata come la nostra santa.
Nel dipinto ugentino la Maddalena è raffigurata a sinistra in ginocchio con le mani congiunte in segno di preghiera; il suo sguardo è diretto verso il cielo. Alle spalle è un vaso di vetro trasparente contenente il profumo con il quale avrebbe dovuto ungere la salma di Cristo la Domenica di Pasqua. Il lato sinistro è ripartito da cinque scenette con gli episodi della vita della santa, accompagnate da sintetiche didascalie in latino stentato, dove troviamo a partire dall’alto: Gesù mentre è a cena a casa di Simone guarito dalla lebbra, la peccatrice s’inginocchia ai suoi piedi (Christum adit cum Simone leproso mense acumbentem); a casa la santa fa penitenza in ginocchio frustandosi il petto con una catena d’oro di fronte a un tavolo dove è poggiato un crocefisso, il vaso dei profumi e il teschio simbolo della vanitas (Domum reversa aurea catena corpus suum asperrime castigat); Maria con la sorella Marta insieme a un gruppo di donne ascoltano la predica di Cristo posto su di un pulpito (Ad concionem cum Marta se confert ubi amore Dei vehementer accenditur); lo sbarco della Maddalena a Marsiglia, anche se la didascalia allude a una predica con san Pietro a Roma (Romam adeunt a S. Petro inteletum cum Matalena vera pr[A]edicaret); la morte della Maddalena e la gloria tra gli angeli (Madalena indeserium locum abit ubi sacta vitam extremo die claudit).
La Maddalena ugentina, pur nella rigidità della posa, ricorda la stessa santa raffigurata nella Crocifissione della chiesa matrice di Galatone. Entrambe, anche se dipinte specularmente, si dimostrano simili nella fisionomia del volto, nell’attacco della testa al lungo tozzo collo, nel modo di trattare la fluente capigliatura, nell’anatomia delle mani.
Queste due opere si rivelano assai decisive nell’attribuzione al D’Orlando di un noto dipinto raffigurante la Pietà, conservato nella chiesa dei Carmelitani di Nardò, attribuito nel 1964 da Michele D’Elia e Nicola Vacca al pittore Gian Serio Strafella (documentato dal 1546 al 1573) di Copertino: nonostante il recente restauro che ha evidenziato i colori e le forme, nel 2013, nel catalogo della mostra leccese dedicato ai pittori manieristi (Cassiano-Vona, 2013), gli studiosi hanno confermato tale dipinto al pittore copertinese. È chiaro che la qualità pittorica e coloristica dei tre dipinti menzionati è certamente differente (cosa assai palese nella produzione del pittore), ma mettendo a confronto i tre volti della Maddalena sorprendentemente si richiamano tra loro nella configurazione del naso e delle palpebre dell’occhio, particolari fisiognomici – riscontrabili anche in altri dipinti autografi – che sono peculiari della produzione del D’Orlando. Conferma si ha quando si raffronta anche l’anatomia del corpo esanime del Cristo nel compianto di Nardò con quella del Crocifisso di Galatone (confronta anche con il corpo di Cristo della tela della Madonna della Misericordia della chiesa omonima di Nardò o con quello dell’Allegoria del Sangue di Cristo della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Seclì).
Simmetricamente a destra troviamo raffigurata, sempre in ginocchio, santa Francesca Romana. La santa, vissuta tra il XIV e il XV secolo, fu sposa, madre, vedova e fondatrice a Roma dell’ordine religioso delle Oblate Benedettine di Monte Oliveto. Ha dedicato la sua vita all’unità della Chiesa, ai poveri, malati e morenti. Nel dipinto ugentino l’oblata è raffigurata nella sua consueta iconografia: vestita con abito nero e lungo velo, mentre nelle mani regge il libro delle regole. È affiancata dall’angelo custode – abbigliato con una vistosa dalmatica rossa e tiene in mano una palma con i datteri – che la difese dal demonio. Anche il lato destro è occupato da cinque scene dei miracoli della santa, con le relative didascalie scritte invece in italiano, dove troviamo: santa Francesca che moltiplica il pane nel refettorio di fronte alle consorelle (Moltiplica il pane in refettorio); la salma della santa distesa su un catafalco, dal cui corpo esce un odore soave, mentre le consorelle assistono sorprese e un monaco gli si è inginocchiato ai piedi (Esce odore soavissimo del suo corpo); la santa raffigurata in ginocchio davanti il tabernacolo mentre è rapita in estati dopo la Comunione (Spesso dopuo la Comunione era rapita in estasi); la santa guarisce dall’epilessia un giovane trattenuto da un anziano (Sana un putto del mal caduco); la santa visita un’ammalata distesa nel letto (didascalia consunta).
Lo sfondo, dalle contrastate tonalità fredde grigio-verde, è occupato in alto dal cielo plumbeo che va gradualmente a rischiarirsi sulle vette delle montagne alle cui pendici compaiono dei piccoli nuclei abitativi.
Il recente restauro ha restituito i colori e i dettagli del dipinto, oscurati da numerose ridipinture e strati di sporco. Nella rimozione delle parti ridipinte è emerso che le labbra delle due sante sono state in passato volutamente sfregiate.
  Bibliografia:
– D’Elia M. (a cura di), Mostra dell’Arte in Puglia dal tardo antico al rococo, catalogo, Istituto Grafico Tiberino, Roma, 1964, p. 136;
– Vacca 1964 = Vacca N., Nuove ricerche su Gian Serio Strafella da Copertino, in Archivio Storico Pugliese, XVII, 1964, p. 33;
– Corvaglia F., Ugento e il suo territorio, ristampa, Tipografia F. Marra, Ugento, 1987, p. 110;
– Palese S., Monasteri e società in Terra d’Otranto. Le monache benedettine di Ugento, in «Archivio Storico Pugliese», Bari, Società di Storia Patria per la Puglia, a. XXXIII, 1980, pp. 271-272;
– Cazzato M., Sulle vie delle capitali del Barocco, Antonio Donato D’Orlando (XVI-XVII Sec.), Aradeo 1986, p. 22
– Cassiano A., Il Museo Diocesano di Ugento, in Antonazzo L., Guida di Ugento. Storia e arte di una città millenaria, Galatina, Congedo Editore, 2005, p. 90;
– Cassiano A. – Vona F. (a cura di), La Puglia il manierismo e la controriforma, catalogo della mostra, Congedo Editore, Galatina 2013, pp. 56-57, 224-225.
  (Tratto da: Tanisi S., Scheda 6. Sante Maria Maddalena e Francesca Romana, in S. Cortese (a cura di), La fede e l’arte esposta. Catalogo del Museo Diocesano di Ugento, Domus Dei, Ugento 2015, pp. 51-53)
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