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#Daniele Mingucci
pangeanews · 5 years
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“Roma, primavera 2050… iniziano gli Internazionali di tennis”: un racconto di Daniele Mingucci
Non dimenticare, non dimenticare il respiro. Visione periferica, occhi sulla palla e poi sul bersaglio… bum, espira, saltello, inspira. Eccola ancora…
Il sudore scende nello scavo dell’occhio, accanto al naso, ma non posso occuparmene ora. La palla sta ritornando, carica di effetto, angolatissima e velenosa. Non uscirà. Di nuovo il respiro, via! Un colpo dopo l’altro, un impatto dopo l’altro, un punto dopo l’altro. Gioia e frustrazione, frustrazione e gioia si susseguono senza un ritmo preciso, ma scandite dalla velocità del palleggio. Un ritmo anomalo, pressante, fatto di esaltazioni e cadute, ma carico di emozione, di adrenalina, con tutti i sensi acuiti e i battiti a mille. È il momento più alto, è il match, con i follower intorno, le dirette, i commenti, i rumori. È a Roma ed è ovunque perché la palla gira online con le sue traiettorie imprevedibili e perfette. Niente più arbitri, niente distrazioni e un pubblico infinito, mondiale. Eventi, uno dopo l’altro, la possibilità di ripetere tutto all’infinito e di perfezionarsi, perfezionarsi, perfezionarsi. Oggi il tennis permette a ognuno di paragonarsi coi miti, iniziando dalle origini fino ai forsennati delle nuove generazioni che a musica sprangata combattono a velocità e ritmi inimmaginabili. Non è virtuale, è reale come non è virtuale tutto il mondo: siamo connessi, siamo infiniti.
Tolgo la maschera e mi asciugo il sudore attorno agli occhi. È inutile portare la fascia, ma è l’unico difetto di questa macchina perfetta. Poso la mia racchetta e metto in carica i sensori, riguardo i passaggi chiave, analizzo i dati. Sono solo, ma un milione di follower sta ancora parlando di me. Ho battuto mille volte i numeri uno di tutte le epoche, con il legno, con la grafite, con i set infiniti delle origini e con golden point delle next generation. Sono pronto a diventare uno di loro.
*
Roma 2006, finale contro Nadal. Io sono al posto di Federer che ho sconfitto al secondo turno. Sono troppo veloce oramai per quel tennis e ho giocato con la skill di John McEnroe e la sua prima racchetta. Difficile controllare il top di Rafa in quelle condizioni, ma ho la velocità, ho la visione. Vinco io. Le gambe sono le mie gambe, i colpi sono i miei colpi, sento la palla, sento il pubblico, le rugosità del campo, le maledette linee. È una macchina perfetta e non rimpiango di non averlo mai fatto sul serio. Io sono Federer, sono Mac, sono Bjorn, Lendl, Stefan e tutti gli altri. Ho il mio stile perfetto e sono pronto, tra poco, ad attraversare il Foro Italico, respirare la magia del Pietrangeli e immergermi nel verde e nel rosso, coperto solo dall’azzurro del cielo e dagli eroi di marmo intorno. Sono crollati tutti, gli altri miti: le altisonanti architetture di Francia, Inghilterra, America e Australia. Le immense platee sono diventate virtuali e le ripide scalinate – sì, anche quelle di Wimbledon – hanno perso di significato e magia. Ma Roma è diversa, Roma è un altrove rispetto a tutto il resto che si vede nel mondo e sarà qui il grande raduno dei campioni.
*
Devo raggiungere il Foro Italico dove è allestito lo spazio per le sfide virtuali. Non c’è pubblico, saranno solo connessi e qui è nostro tutto lo spazio. Entro, senza tornelli e mi incammino. Respiro e mi guardo intorno. Non esiste il vuoto che ho trovato altrove quando ho cercato di visitare i grandi impianti del passato. Tutto è in perfetta armonia e sembra di sentire il rumore dei campi: sono solo con la sacca e cammino senza indossare la mia tuta di gioco. E sento il tennis, forse per la prima volta. Non è una sensazione, ci sono due ragazzini sul Pietrangeli. Sugli spalti è cresciuto disordinato del verde senza che la magia si sia persa. Non indossano tute neurali, ma picchiano una vera pallina, velocissima e un po’ spelacchiata. Colpi potenti, precisi, profondi, corse a perdifiato mentre le braccia volano a tutta forza sopra la testa. Il sudore tra i capelli, i segni profondi delle scivolate, qualche altra pallina sparsa a bordo campo. Un urlo gioioso dopo un lungolinea preciso, una racchetta che vola roteando verso la pallina che ha sbattuto sul fondo. Uno striscione con lembo cadente e il respiro, vigoroso e ritmato. Le palline in mano, poi una in tasca, e un altro punto. Ricomincia lo scambio, vivo di passione e agonismo. Gli sguardi si incrociano, i movimenti si anticipano… Sono immobile a guardare: non è lo stesso che in casa, non è lo stesso che avvolti nella perfetta tecnologia. Appoggio il borsone e muovo impercettibilmente gli occhi per seguire lo scambio dall’alto. Un piccolo bip mi ricorda che una delle racchette è da ricaricare, ma rimango assorto. Visione periferica – cielo – occhi sulla palla – polvere rossa – bum, cielo, bum, il verde intorno… Non c’è nessun campione, non ci sono i Rafa e i Pete virtuali del passato. C’è Roma, c’è il tennis… Respiro.
Daniele Mingucci
*Il racconto di Daniele Mingucci è arrivato primo nel contest letterario indetto da “Bnl Internazionali d’Italia”
**In copertina: Rafa Nadal, che si è aggiudicato gli Internazionali d’Italia, il 19 maggio scorso, contro Dokovic
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dacco1971 · 4 years
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strambawings · 5 years
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Bellissimo articolo di Forchielli Mengoli...
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/06/17/daniele-mingucci-vela-albero/42547/
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FORTUNE (Anonima Startup)
C’è sempre qualcosa sotto, qualche mistero che in qualche modo favorisce il successo. Non può essere solo talento o solo fortuna… L’idea base è questa e l’intreccio della storia è costruito per soddisfare questo pregiudizio e questa curiosità: cosa c’è dietro a una storia di successo?
FORTUNE (Anonima Startup) racconta la nascita di una startup che si occupa di innovative auto elettriche: bellissime auto d’epoca vengono restaurate, svuotate del vecchio motore a scoppio e del serbatoio di benzina e reinventate con modernissime batterie al litio ed efficientissimi motori elettrici direttamente nelle ruote. Design e hi-tech al servizio dell’ecologia si fondono in un progetto molto suggestivo. L’idea è di un certo Rudy Godresi che insieme al fratello David e ad altri partner e amici la porterà al successo. Ma dietro le loro azioni c’è lo zampino, e anche qualcosa in più, di FORTUNE, una società che lavora sotto copertura per favorirne il successo: incontri fortunati, circostanze favorevoli, opportunità non sono solo frutto del caso, al contrario. Gli agenti di FORTUNE e i suoi analisti lavorano nell’ombra perché i giovani startupper possano avere a disposizione il meglio. Rimanendo protagonisti. Non sono i soli, però, a interessarsi dei nostri inventori e non sono i primi ad aver puntato sul loro successo. Una seconda, ancor più misteriosa organizzazione lavora sotto copertura con obiettivi e interessi propri.
Tutto si svolge tra New York, Princeton e la California. Con una importante puntata in Italia, nella Motor Valley emiliano romagnola.
https://www.amazon.it/Fortune-anonima-startup-Daniele-Mingucci-ebook/dp/B01A7LXS0K?ie=UTF8&keywords=fortune%20mingucci&qid=1462979140&ref_=sr_1_1&sr=8-1
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dailypastel · 10 years
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distance #dailypastel 13 Jul 2014
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pangeanews · 6 years
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“Lo sport italiano muore da piccolo, nelle periferie in cui nessuno sembra essere capace di mettere in gioco valori positivi, in cui non si riesce a relazionarsi senza faide e intimidazioni”: lettera aperta di un genitore deluso
Sarà che ho avuto un’infanzia stramba, solitaria. Sono sempre stato competitivo. A me la vita, come dice Leopardi, non “è male”: per me la vita è lotta. E nella lotta vince il più forte, il più intelligente, il più furbo. Da ragazzo, ecco, mi importava vincere. Durante i Mondiali del ’94, sedotto dalle magie di Roberto Baggio, mi venne il pallino del calcio. Solo un cretino può fissarsi con il calcio a 15 anni, quando di solito i ragazzi scalpitano per diventare campioni – Francesco Totti esordisce in Serie A sedicenne… Il mio orgoglio è che ho iniziato con le scarpe da ginnastica, non avevo neanche le scarpe coi tacchetti, mi davano del frocetto, facevo il secondo portiere. Dopo tre mesi il primo gol, in un torneo di periferia; dopo quattro mesi il primo gol in campionato, entrando dalla panchina; in capo a due anni ero il capitano della squadra, giocavo anche con la ‘prima’, che militava in categorie dove al secondo dribbling ti spaccano gli stinchi. Ho fatto tanti sport, senza eccellere in nessuno, perché già allora preferivo il mondo immaginario della letteratura a quello reale: ero un buon velocista dilettante – buoni risultati, in campo regionale, in salto in lungo e in alto, ottimi nella staffetta – un discreto cestista – ripetute finali nazionali con la squadra del liceo, a Torino – un modesto calciatore. Avevo la voglia e la corsa, ecco, correvo veloce, eccellevo nell’arte della fuga. Non mi dispiaceva spadroneggiare. Ora. A uno come me la vita ha dato in sorte un figlio che ha la competitività di un bradipo sul divano. Per anni ha praticato il nuoto, in forma agonistica. I genitori degli altri con il cronometro in mano. Io in macchina, nel parcheggio della piscina di turno, a scrivere. Mio figlio non mi vuole a bordo vasca o in platea. Spesso arrivava ultimo, ogni tanto tra i primi nella sua batteria e sotto il trentesimo posto in assoluto. Però si fa il fisico, mi dicevo, e si allena alla fatica. Giusto. Solo che, poveretto, neanche una gratificazione. Il nuoto, di per sé, è una noia – avvilenti allenamenti avanti-indietro su una vasca – e i coach, secondo l’idiozia comune, nonostante le buone parole, insistevano in sorrisi e complimenti soltanto con quelli che arrivavano primi. Gli altri erano ranocchi degni di bollire per ore in vasca. Mi è capitato di assistere a una patetica cena di fine stagione agonistica con la responsabile del settore che si collega via Skype, su grande schermo, con la figlia, ovviamente la nuotatrice più brava del reame. Questo è sport o frustrazione genitoriale male applicata? Per la cronaca, ora mio figlio gioca a pallanuoto, perde tutte le partite, come la squadra di baseball di Charlie Brown, ma gli va bene così, ha gli amici, contento lui. Quando mi arriva l’articolo di Daniele Mingucci detto ‘Dacco’, però, mi dico, qui c’è un problema. Che valore ha lo sport per i nostri figli? Come bisogna insegnarlo? Inculcando quali ideali? Il problema, ripeto, è enorme. Anche perché, rispettosamente parlando, non mi pare che i risultati dello sport italiano siano eccellenti. Più che crescere campioni ideali, forse, è meglio forgiare uomini. (d.b.)
*
Approcciandomi da papà allo sport giovanile, in meno di dieci anni ho visto di tutto. Fino all’apoteosi di ieri, quando un carabattolo di un metro e mezzo autoproclamatosi profeta dello sport giovanile qui dove vivo io, mi ha aggredito per quasi un’ora con minacce non troppo velate, calunnie e intimidazioni di vario genere. Sperava di farmi saltare i nervi e non ci è riuscito perché, a sua insaputa, stavo vivendo un momento catartico, uno di quelli in cui tanti pensieri confusi piano piano si connettono e improvvisamente – è successo a tarda sera – prendono una forma sensata. I puntini si sono uniti.
L’argomento era lo sport giovanile: tre quarti della squadra dei miei figli smette sul più bello. La spiegazione di noi genitori è che c’è troppa pressione; quella degli allenatori è che i ragazzi “devono” tirar fuori gli attributi. Non è una cosa nuova e chi sta nello sport lo sa bene: a 15 anni circa i ragazzini spesso, spessissimo, mollano. Si può fare qualcosa? “Devono” tirar fuori gli attributi. Ma polisportive, allenatori, genitori, amici, nonni… qualcuno può dare un contributo di qualche genere? No, perché “devono” farlo loro. Al netto della simpatia, la discussione è finita così.
I ragazzi crescono e – giustamente – gli allenatori pretendono di più, di più, di più. Sono le regole dell’agonismo, si dice, e i ragazzi si “devono” adeguare. Solo che i ragazzi di quell’inferno di stress, pressione, rabbia repressa, rimbrotti, mica hanno voglia – tre ore al giorno cinque o sei giorni a settimana. E mollano. Noi genitori, almeno io, li dobbiamo mandare a scuola, far studiare, tener lontani da cattive frequentazioni, dargli degli orari eccetera. Dobbiamo anche forzarli a fare sport? Certo, lo sport è importante, ma non dovrebbe essere anche svago? Insomma, quando hanno un’età e cominciano a esserci anche altri impegni se decidono di mollare, mollano.
Con gli allenatori non c’è margine di trattativa: i ragazzi “devono”, sennò – espresso con parole più o meno gentili – a noi non servono. Se sali di un piano e ti rivolgi ai dirigenti c’è un senso esperto di impotenza: le cose stanno così, gli allenatori non possono fare di più, ci mettono impegno, dedizione eccetera eccetera e se i ragazzi non reggono è un peccato ma… Insomma non c’è niente da fare! Non ci sono valori che si possono mettere in campo, non si può dialogare, mediare: mi sono preso inutilmente un’ora di insulti perché non si può fare altro che fallire!
Lo sport è per i piccoli e per pochi sparuti superstiti (quelli che hanno genitori migliori di me e di chi permette ai figli di mollare).
Ma davvero va bene così? In pratica, il pallino viene lasciato totalmente in mano ai ragazzi e alla loro voglia insicura. Sì, è un modo di far selezione, ma è una selezione talmente ampia che qualche dubbio lo fa venire. Qui dove vivo io, ad esempio, nonostante i migliori impianti forse d’Europa sembra ci sia una tagliola a cui non sopravvivono gli over 15: fino a un certo punto si arriva a livelli regionali e anche più, poi ogni due tre anni si azzera tutto e ci si accontenta della mediocrità. Allenatori e dirigenti hanno davvero la coscienza a posto? Davvero non si può fare di più? Noi genitori (inesperti, per carità) meritiamo davvero di essere aggrediti da nanerottoli morali?
Lo sport italiano muore da piccolo, muore nei paesini e nelle periferie in cui nessuno sembra essere capace di mettere in gioco valori positivi, in cui non si riesce a relazionarsi senza faide minacce calunnie intimidazioni, in cui le piccole aspirazioni di chi è alla guida rendono piccole anche le persone: il grande potenziale dei nostri ragazzi viene disinnescato prima che possa esprimersi. Forse perché si spera nel campione con una tale ansia da prestazione che non si riesce a dare il tempo di crescere a nessuno, forse si buttano in campo frustrazioni adulte da cui i giovani stanno volentieri alla larga, forse si lavora semplicemente male, senza considerare le persone – grandi e piccole – nella loro interezza e ci si accontenta di contare i partecipanti senza curarsi di chi siano. E si perde, entusiasmo e persone, mica solo le partite…
È una pentola in cui non sta bollendo niente, suona a vuoto e i nostri ragazzi se ne vanno – giustamente – altrove. I mezzi uomini, anche se trovano un contesto per sbraitare e comandare, restano mezzi uomini in un mondo mediocre. Peccato!
Daniele Mingucci
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dacco1971 · 5 years
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Il genio è Mister Hyde
Conosco Daniele Mingucci, non è un genio. È un depresso che fatica a controllare la rabbia. Gli episodi che si possono citare - dalle stalle alle… stalle - sono innumerevoli. Solo stasera ha sbroccato fino a tremare per il bagno in disordine e un sorpasso azzardato, in autostrada. I pensieri di rivalsa si sono spinti verso scenari da mille e una notte, Stephen King e Kafka. No, Freud… Ma i nemici più impervi sono quelli del passato, i ricordi di quando giovane e incerto non trovava una strada, una dimensione. E il rispetto, anzi la considerazione degli altri. Poi la vita è gentile, e magari offre premi e rivincite, ma nemmeno quelli bastano a sopire tutta la rabbia, il rancore, il grido represso di una realtà che, nella sua meraviglia, non basta mai. E tutto si mescola, una confusa miscela di bellezza rancore pienezza meraviglia errori errori errori, incoerenze, qualcosa di indefinito, l’amore pieno, l’incapacità di volare - perché volare necesse, altro che navigare - insieme ai vari casini. E ci si butta in pensieri mirabolanti, con energia, per non cedere all’abisso infinito che ha ingoiato Mister Hyde fino a mangiare, letteralmente, l’altro affermato scienziato. Una sfida esasperata all’abisso che gorgoglia nel cuore, una resistenza sfinita che allarga le spalle nuotando contro la corrente del gorgo e solo per non annegare dove annegano tutti - con piccole o grandi aspirazioni - supera se stessa.
Non è genio, non è positività, è lotta, è incapacità di accettazione, anche del limite più evidente, il proprio. È ricerca, ribellione all’orco più grigio, nero… Non vuole restare da solo a immaginare bellezza, ha bisogno che tutto diventi reale e che i maledetti gufi che lo sanno quanto vale poco il suo cuore, loro, tacciano di una parola definitiva. Possible, true… incredible.
La rabbia tracima ogni argine, uccide, magari solo con la mente, tortura, abbatte, macina tritura agghiaccia, poi si placa e piange se stessa. La rabbia è il gorgo, la paura è il gorgo, l’inettitudine, lo sconforto, la vita, tutto… Daniele non si basta e cerca uno sfogo, sogna, immagina, muove le mani, urla piange vomita. Perde il controllo di se stesso e solo grazie a dio non ha abbastanza energie per distruggere tutto, Thanos di merda. Allora si è arreso a quel limite odioso e ha duellato con l’orrore, quello di Conrad e di Spielberg, quello dei bimbi degli anni settanta della bomba e The day after… fino a imparare che solo un sorriso può spingere indietro le lacrime e farle brillare, come bombe lucenti, per diventare sogni, forza, abbracci, un mondo di amici.
Daniele Mingucci è solo un depresso che resiste all’orrore, alla paura, allo schifo che ha dentro, che non sa sorridere abbastanza dei propri figli e che è stato salvato da un angelo.
Lo scrivo per senso di responsabilità, perché non c’è nessuno meno dotato di lui, nessuno più inadatto alla vita, all’invenzione, al coraggio. Solo che lui, come uno stupido calabrone, non lo sa… e vola. Volate più in alto di lui. Lo meritate, lo merita il mondo, i Greta Van Fleet e i vostri figli.
Grazie Michele,
un amico.
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dailypastel · 10 years
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crop circles #dailypastel 12 Jul 2014
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colorful #dailypastel 11 Jul 2014
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beach #dailypastel 10 Jul 2014
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cheerful souls in the square - Siracusa, Sicily #dailypastel 9 Jul 2014
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souls in the hamlet - Marzamemi, Sicily #dailypastel 8 Jun 2014
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blossoms of prickly pears #dailypastel 7 Jul 2014
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kids at the sea #dailypastel 6 Jul 2014
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wait for me... #dailypastel 5 Jul 2014
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