#Dalla terra al cielo
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La storia della Musica
Ricordando Lucio Dalla ❤️
Lucio Dalla muore improvvisamente, stroncato da un infarto, il 1º marzo 2012, tre giorni prima del suo 69º compleanno, presso l'Hotel Plaza di Montreux, cittadina svizzera sede di uno dei festival musicali più importanti al mondo, il Montreux Jazz Festival, dove si era appena esibito la sera precedente. È il suo compagno Marco Alemanno a scoprire per primo il decesso, pochi minuti dopo. I primi a dare la notizia della morte del cantante sono i frati della basilica di San Francesco d'Assisi, la stessa mattina del 1º marzo, su Twitter, esattamente alle 12:10, 23 minuti prima dei lanci d'agenzia.
A due anni di distanza dalla morte del cantante, il 26 febbraio 2014, viene costituita la "Fondazione Lucio Dalla", con relativa ufficializzazione a partire dal giorno 4 marzo 2014. La fondazione avrà sede nella sua casa di via D'Azeglio a Bologna e avrà come obiettivo principale quello di valorizzare l'esperienza e il patrimonio culturale dell'artista.
Trascorsi 10 anni, la città di Sorrento gli dedica un murale.
Il 30 settembre 2022 viene pubblicato Stella di mare, singolo inedito di Cesare Cremonini e Lucio Dalla.
Ti ho guardata e per il momento
Non esistono due occhi come i tuoi
Così neri, così soli che
Se mi guardi ancora e non li muovi
Diventan belli anche i miei
E si capisce da come ridi che
Fai finta e che non capisci, non vuoi guai
Ma ti giuro che per quella bocca che
Se ti guardo diventa rossa
Morirei
Ma chissà se lo sai?
Ma chissà se lo sai?
Forse tu non lo sai
No, tu non lo sai.
Poi parliamo delle distanze, del cielo,
E di dove va a dormire la luna quando esce il sole
E di come era la terra prima che ci fosse l'amore
E sotto quale stella, tra mille anni
Se ci sarà una stella, ci si potrà abbracciare?
E poi la notte col suo silenzio regolare
Quel silenzio che a volte sembra la morte
Mi dà il coraggio di parlare
E di dirti tranquillamente,
Di dirtelo finalmente
Che ti amo
E che di amarti non smetterò mai
Così adesso lo sai
Così adesso lo sai
Così adesso lo sai
(Brano di Lucio Dalla - Chissà se lo sai)
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“a silent story” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Il bosco di betulle, ai piedi della montagna, si ergeva come un santuario silenzioso, un luogo dove il freddo inverno si abbandonava alla grazia candida della neve. Alle dieci di quel mattino, il sole cercava di penetrare tra i rami spogli delle betulle, gettando un bagliore argenteo sui sentieri di neve intonsa. Non c'era un suono tranne il leggero fruscio delle foglie secche cullate dalla brezza.
Guido, un uomo di mezza età con una cicatrice profonda sul viso e gli occhi che portavano il peso di troppi inverni, camminava solitario tra gli alberi. Il suo respiro si trasformava in nuvole vaporose nell'aria gelida. Vestito con un cappotto logoro, con lo sguardo assorto, era un intruso in quel regno di pace e silenzio.
Le betulle si stagliavano come figure spettrali e la loro corteccia bianca risplendeva sotto il tocco del sole invernale. I rami sottili si intrecciavano come dita ossute, protese verso il cielo. La neve, immacolata e incontaminata, scricchiolava sotto i passi di Guido, un suono delicato che sussurrava i segreti di una terra dimenticata.
Nel cuore del bosco si fermò. Poco distante notò uno spazio aperto dove la neve si adagiava come un manto soffice. Si avvicinò e si sedette su un tronco caduto, osservando la vastità del paesaggio innevato. Il silenzio del bosco era sospeso nel tempo, un'armonia serena che avvolgeva ogni pensiero.
Un cervo, timido e maestoso, fece la sua comparsa ai margini del bosco, i suoi occhi si fissarono su Guido. I loro sguardi si incrociarono per un istante, un legame silenzioso tra l'uomo e la creatura selvaggia. Poi il cervo si allontanò, scomparendo tra gli alberi come un fantasma della foresta.
Guido si alzò lentamente, sentendo la solitudine del bosco penetrare nelle pieghe della sua anima. Era come se il silenzio avesse rivelato la fragilità della vita, la bellezza effimera di un momento invernale. Con un'ultima occhiata alle betulle, al loro bianco splendore, si diresse lentamente verso il sentiero di neve, lasciando il bosco alle sue spalle.
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Trovo che nulla parli di noi come le nostre lacrime. Di conseguenza, ho deciso di trascrivere qui una lista di eventi e situazioni che mi fanno piangere inconsolabilmente:
le lettere scritte da mia madre e nascoste in un vecchio diario di scuola, quando andavo ancora alle medie. Le ho scoperte soltanto pochi mesi fa, riaprendolo casualmente, e sono scoppiato a piangere,
il finale di Mary Poppins, quando dopo essere stato licenziato, il signor Banks torna a casa con l’aquilone finalmente riparato e comincia a giocare coi figli, correndo fuori con loro per farlo volare nel parco (scena tuttora inguardabile per me senza cominciare a frignare),
gli abbracci alla stazione,
l’episodio di Doraemon in cui Nobita vorrebbe ringraziare la persona che, durante una gita all’asilo, lo aiutò a rialzarsi, scacciando i bruchi pelosi che lo ricoprivano. Tuttavia, Nobita non riesce a ricordare il suo volto, così Doraemon gli offre l’opportunità d’incontrare chiunque voglia nella Stanza del Rivedersi,
la perduta innocenza,
il finale dell’Uomo dei Sogni, quando Ray incontra suo padre, morto da tempo, e prima che questi svanisca gli chiede: “Ehi papà, vuoi giocare un po’ con me?” (tema a quanto pare ricorrente, dovrei forse dedurne qualcosa?),
l’inesorabile decadimento fisico e psichico dei miei genitori, ormai pressoché anziani,
la tenerezza del mio cagnolino e la consapevolezza della sua ineluttabile caducità,
questo mio talento letterario negletto e sprecato, gettato ormai ad appassire come giardino incolto,
il finale della terza stagione di Person of Interest, quando Samaritan sembra aver ormai vinto, ma il monologo di Root ci ricorda che nonostante tutto il male che ci opprime, non dobbiamo mai smettere di sperare,
Exit music for a film dei Radiohead, dal minuto 2:50, ovvero lo smanioso desiderio di rivalsa che da sempre m’avvampa e mi corrode animo e viscere dopo ogni mortificante derisione, al pensiero che sì, un giorno tutti sapranno, e allora, beh, gliela farò vedere io… (me ne rendo conto, di solito è così che nascono i serial killer). Questa parte, ad ogni modo, mi emoziona a tal punto da avermi spinto a scrivere il finale della mia storia: “Un ventoso mattino di settembre, i servi del marchese avrebbero forzato le porte dello studio, ove il misero scrittore soleva rinchiudersi di notte, e lo avrebbero trovato morto, riverso fra le sue carte in una pozza di vomito. Spalancate le finestre a lutto, i poveri disgraziati sarebbero stati travolti allora dall'empia ferocia di quegli astiosi fogli sdegnati dal tempo e, così finalmente libere, pagine e pagine d'inchiostro si sarebbero riversate in strada, pronte a prender d'assalto case e negozi, scuole e caserme, mulinando burrascose sulla città, fra le strida dei borghesi impazziti e le urla dei bambini accalcati contro i vetri, fino a seppellire il mondo, terra e cielo, sotto cumuli di scritti dissotterati dal fuoco e dagli abissi”,
la morte di Due Calzini in Balla coi lupi (e il tema ad esso collegato), quando il lupo segue fedelmente Dunbar ormai prigioniero e i soldati gli sparano addosso per dimostrare la loro tonitruante possenza di coraggiosissimi esseri umani supercazzuti, finché non l’ammazzano senza pietà.
la lettera di Valerie da V per Vendetta, (credo non occorrano spiegazioni né commenti qui),
la mia sciagurata impotenza dinanzi al dolore degli amici,
la morte del commissario Ginz ne Il dottor Živago: “Soldati armati di fucili lo seguivano. ‘Cosa vorranno?’ pensò Ginz e accelerò il passo. Lo stesso fecero i suoi inseguitori. [...] Dalla stazione gli facevano segno di entrare, lo avrebbero messo in salvo. Ma di nuovo il senso dell’onore, educato attraverso generazioni, [...] gli sbarrò la via della salvezza. Con uno sforzo sovrumano cercò di calmare il tremito del cuore in tumulto. Pensò: ‘Bisognerebbe gridargli: - Fratelli, tornate in voi, come volete che sia una spia! - Qualcosa di sincero, capace di svelenirli, di fermarli.’ [...] Davanti all’ingresso della stazione si trovava un’alta botte chiusa da un coperchio. Ginz vi balzò sopra e rivolse ai soldati alcune parole sconvolgenti, fuori dell’umano. Il folle ardire del suo appello, a due passi dalle porte della stazione, dove avrebbe potuto rifugiarsi, sbigottì gli inseguitori. I soldati abbassarono i fucili. Ma Ginz si spostò sull’orlo del coperchio della botte e lo ribaltò. Una gamba gli scivolò nell’acqua, l’altra rimase penzoloni fuori della botte. [...] I soldati accolsero la sua goffa caduta con uno scroscio di risate: il primo lo colpì al collo, uccidendolo. Gli altri gli si gettarono sopra per trafiggere il morto a baionettate”. Non riesco a dire come questa fine mi commuova, ma credo abbia a che fare con goffaggine, spietatezza e umiliazione, cose che mi colpiscono tutte enormemente,
l’episodio de La casa nella prateria, in cui il signor Ingalls realizza una scarpa speciale per la piccola Olga che zoppica a causa di un’asimmetria nelle gambe. Il padre però non vuole che giochi con le altre bambine perché teme possano deriderla o che, ancor peggio, possa farsi male. Aggredisce così il signor Ingalls per essersi intromesso, ma all’improvviso vedendo la figlia giocare felice in cortile, muta espressione commuovendosi profondamente, ed io con lui. È la gioia d’un padre che comprende che sua figlia è finalmente felice.
la vittoria dell’Italia alle olimpiadi di Torino 2006 nel pattinaggio di velocità, inseguimento a squadre maschile. Avevo 17 anni, avevo finito da poco i compiti e non so perché, restai paralizzato di fronte alla tv ad ammirare l’impresa di Enrico Fabris e compagni, esplodendo poi in un inspiegabile pianto liberatorio che ancora oggi sa per me d’imponderabile (disciplina mai più seguita, che quel giorno però mi regalò un’emozione eguagliata solo dall’oro di Jacobs nel ‘21 - senza lacrime),
la canzone Ave Maria, donna dell’attesa: dal matrimonio di mia sorella ad oggi son passati sette mesi, eppure questa canzone mi fa ancora lo stesso perturbante effetto, scuotendomi ogni santa volta.
Isengard Unleashed dalla colonna sonora del Signore degli Anelli, in particolare, il momento coincidente con la marcia degli Ent (vedi sogni di furiosa rivalsa), dal minuto 2:18,
la comprensione altrui,
ogniqualvolta ho dovuto accompagnare qualcuno all’Eterna Porta e dirgli addio in Spiritfarer,




trovare ricci spiaccicati sulla strada,
gli immarcescibili sensi di colpa per la morte del gattino Figaro, quando avevo cinque anni,
le storie di grandi insegnanti, capaci di lasciare tracce di sé nei loro alunni.
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Non è proibito volere la tenerezza, volersi unici per qualcuno, chiedere: “mi vuoi bene?” è come chiedere: “ci sono per te? Sono al mondo? Resti con me, a fare mondo insieme?” Che male c’è? Purtroppo abbiamo il mito dell’autonomia, dell’orgoglio, del faccio tutto da me.
Io ho bisogno degli altri e questo bisogno mi fa paura, ma lo sento lo stesso. Siamo interdipendenti, come lo è la pioggia dalla terra e dalle nuvole, come gli alberi dalle radici e dal cielo, come gli animali dal bosco e dagli altri animali, come tutto fa parte di tutto. Un lavoro a maglia è l’universo e ognuno di noi è un punto: che male c’è, se chiediamo all’altro punto, di fare maglia insieme? Se non lo facessimo, al nostro posto, ci sarebbe un buco.
- Chandra Livia Candiani -
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2024 - Sintesi
- Per la prima volta ho iniziato l'anno con un cauto pessimismo e un'adeguata presa di coscienza del fatto che non sono proprio nessuno. Era dal 2004 che non accadeva una cosa del genere.
- Il primo trimestre mi ha fatto ricredere sulle mie posizioni iniziali. Forse ero stato ottimista.
- Il secondo trimestre, quello della pagella di metà anno, ha confermato le aspettative basse, terra terra come alcune persone che t'incantano, poi ti portano al guinzaglio come in cagnolino a una mostra canina e alla fine spariscono.
- Non ho baciato. Si lo so, lo so lo scrivo tutti gli anni. Però escludendo figli e baci di circostanza, io, quei bei baci da limone duro me li sogno ancora.
- "Ho tagliato rami secchi", quante volte l'ho scritto. Bene, sappiate che mi sono specializzato nella capitozzatura. Rami stronzi, foglie ipocrite e germogli di narcisisti. Zac!
- Ho ascoltato tanto, anche quest'anno. Mi chiedo se imploderò per questo, dovrei forse filtrare di più. Però ci sono esperienze di vita che mi arricchiscono tantissimo.
- Ho deluso una persona. Si anche quest'anno. Ma c'è una novità: 'mporta nulla!
- Ho guadagnato la stima di molte persone, questo mi preoccupa seriamente, dovrò impegnarmi molto per non perdere questa stima.
- Ho visto i miei figli crescere, non in altezza, ma in personalità. Sono orgoglioso, ma tanto tanto.
- Ho letto. Ma non quanto avrei dovuto, potuto e voluto... è tutto un uto, come 'mbuto.
- Ho vissuto giorni interi in sospensione, come se fossi appeso a fili invisibili e a metà tra la terra e il cielo.
- Ho accettato richieste d'amicizia, ho scoperto persone meravigliose.
- Questa volta ho bannato io, le persone troppo "intraprendenti", senza rispettare la mia volontà.
- L'Ansia è diventata la mia compagna di vita, mi ha chiesto se la sposerò e se poi la porterò in viaggio di nozze.
- Ho imparato che come non si finisce mai d'imparare nella vita, se stai attento e ti metti in discussione, non finirai mai d'imparare su te stesso.
- Ho scoperto di reggere bene l'alcol, poco le persone senza spirito.
- Anche nel 2024 non ho seguito nessun influencer, anzi, mi sono defollowato da pagine e gruppi che non reputavo più interessanti.
- Non ho guardato per tutto l'anno neanche un telegiornale. No, non è vero. Una volta casualmente mi è partito sotto il naso un telegiornale. Sono andato nel panico.
- Il 2024 ha visto l'arrivo in casa di un gatto rosso, l'ho chiamato Leo. Anche se lui dice di chiamarsi Bucefalo. Non credevo, dopo l'inspiegabile perdita del mio gatto rosso Alvin, che un altro gatto rosso riuscisse con il suo carattere tenerone ad accucciarsi nel mio cuore. Di fianco ad Alvin.
- Ho assistito alla rivincita di chi aveva subito millemila angherie, ho capito quanto la tenacia a volte ripaghi. Alcuni lo chiamano karma. Io lo chiamo coraggio e forza.
- Ho aiutato. Come ho potuto. Lo faccio sempre.
- Ho abbracciato i miei figli dalla gioia per i traguardi da loro raggiunti. Sono incredibili. Qualcuno si stupirebbe che siano figli miei.
- Ho visto tante volte mia madre piangere, ma le ho sentito dire con leggerezza molte frasi che feriscono.
- Ho ancora caparbiamente sognato. Ma ho imparato a sedarmi per ridurre la fuoriuscita di questi sogni.
- Sto scrivendo questo post sulle note di Tunnel of Love dei Dire Straits.
- Anche quest'anno ho sentito dei "tranquillo, mi farò sentire io", m'immagino queste persone lavorare con turni di 36 ore un giorno si e l'altro anche nelle acciaierie siberiane. Sicuro, molto impegnate.
- Ho imparato che anche le cose belle devono finire, per poterne cominciare di migliori. Lo confermo anche quest'anno.
- Ho compreso tantissimo quanto la fiducia sia un bene prezioso da preservare.
- Ho imparato che tutti dovremmo avere e provare l'amore, corrisposto, con un cuore impegnato nell'amare il mondo sarebbe libero da tiranni e gente crudele.
- Credo che la prima cosa che farò nel 2025 sarà quella di guardare il cielo e sorridere.
- Sono rimasto colpito da come alcune persone si mettano in ridicolo, con la presunzione di essere dei fighi stellari.
- Ho visto gente cattiva morire per malattie, non ho mai visto in queste persone un segno di pentimento di quello che hanno fatto. Alcune hanno infierito su altre persone fino all'ultimo. Che possano trovare la serenità in un'altra dimensione.
- La gnagna non è più un obiettivo, ma un dolce ricordo. Amen.
- Ho ascoltato tantissima musica anche questo 2024.
- Per la prima volta ho avuto delle perplessità sul fatto di come esterno i miei pensieri intimi, pubblicamente sui social, più di una persona mi ha chiesto perché. Mi sono sentito uno scemo.
- A volte ho avuto il dubbio di essere trattato da Gesù come se al posto di Giuda, nell'orto del Getsemani, ci fossi stato io.
- Ho abbracciato nuovi ideali.
- Mi sono accorto, a distanza di anni, che Freddie Mercury nel video di I Want to Break Free sia un figo pazzesco. Non so, mi è venuto in mente questo.
- E niente, quel "grumo" a me pronunciato mi manca ma non le manco più io.
- Anche quest'anno mi vorrò bene l'anno prossimo.
- Passerò il Capodanno non da solo ma in solitaria.
Ora.
Ringrazio tutti, ma proprio tutti quelli che mi leggono. Anche quelli che vengono a curiosare, a ridere di me, grazie davvero. Mi siete d'aiuto per comprendere come non mi devo comportare. Per chi mi trova un pochino leggibile e quanto meno simpatico grazie, mi fate sentire meno solo.
Per chi mi ha dimostrato vicinanza spero con tutto me stesso che possiate vivere, vivere a pieni polmoni e con serenità. Non smettete mai di crederci, anche se sembrerà durissima, sono proprio queste prove che danno coraggio e tempra per diventare invincibili.
Buon 2025. Con affetto, me.
#libero de mente#capodanno#buon anno#2024#2025#auguri#ultimo dell'anno#frase#pensiero#vita#racconto#pensieri
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LA FESTA DEL PAPÀ È DIVISIVA
Ma oramai non credo che esistano argomenti di condivisione comune sui quali poter fare affermazioni nette e aspettarsi che tutti siano d'accordo.
Il cielo è blu? Ma va'... il cielo è celeste! No, guarda che è nero ed è un fenomeno di rifrazione dei raggi solari sull'atmosfera. Ti sbagli, è giallo! Sì, però togliti quel sacchetto dell'Esselunga dalla testa. Basta! Il cielo è marrone con radici che penzolano. Zitto tu che sei morto!
La scelta del giorno della festa del papà, poi, coincide con quel santo del calendario che credo abbia avuto il peggiore martirio fra tutti, cornuto, mazziato e ringrazia pure. Cioè, come papà sfigato il primo posto se lo prende di sicuro Darth Vader ma perlomeno aveva una spada laser e il suo arco di redenzione è stato più appassionante.
Insomma, la festa del papà è divisiva per due ragioni, una sociale e l'altra personale.
Da una parte, è una ghiotta occasione perché alcuni frignino che non esistono più i papà di una volta, tutti pipa e cinghiate, e che anzi, se andiamo avanti così non esisterano più nemmeno gli uomini, dall'altra è che al netto di tutto, i padri molte volte più che festeggiati spesso vanno perdonati.
Adesso come adesso, i papà sul mercato sono figli o nipoti del patriarcato, nel senso che difficilmente non avranno assorbito per osmosi familiare e sociale l'idea di quello che deve essere il ruolo di un genitore maschio all'interno della famiglia.
In sintesi il pater familias.
[maledetto genitivo ellenico ma sono cose mie]
Quando io e la mia compagna dobbiamo fare cose importanti che implichini decisioni tecniche, burocratiche, meccaniche, matematiche o notarili, il mio gesto preferito è questo
perché tutte le volte il venditore di auto parla rivolgendosi a me che distinguo le macchine solo per il colore, l'avvocato quando io risolverei tutto con il trial by combat e la commercialista dove io opterei per il baratto.
Io sarei il pater familias, quindi automaticamente il detentore delle decisioni familiari e è invece è la mia compagna quella che prende le migliori, senza spargimenti di sangue o una pila di conchiglie che l'enel non accetta come forma di pagamento.
Sì, vabbè... non sa accendere la motosega o da che parte si impugna un coltello da lanciare e se proprio dobbiamo dirla tutta non riesce neanche ad accendere il fuoco nel camino (cosa che le rimprovero sempre ricordandole che erano le vestali ad accudire il Fuoco Sacro del focolare domestico). Poi però c'è quell'altra che disegna tubi e motori idraulici usando termini strani tipo 'valvola di massima' o 'dislocamento positivo' e quell'altra ancora che snocciola a memoria le caratteristiche di ogni macchina o moto e parla per due ore di maderizzazione e di vendemmia in neve carbonica.
Questo per dire che i ruoli sono solo ruoli ed è solo questione di abitudine... le abitudini cambiano e ci si abitua al nuovo.
Quindi buona festa a quella persona alla quale dovrebbe essere solo chiesto, dopo la fornitura di migliaia di gameti scodinzolanti, di amare in modo vasto e profondo chi non ha mai chiesto di essere portato su questa spaventosa e bella terra, ricordando che amore non è mai possesso, conferma od orgoglio.
L'amore per i propri figli è essere partecipe della gioia che abbiamo insegnato loro a conquistarsi da soli.
E per concludere, si può essere padre amorevole pure senza aver mai partecipato con un singolo spermatozoo.
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Quando due angeli s'innamorano

Succede. Più spesso di quanto non si pensi. Ma l'etereità della non-materia di cui sono fatti impedisce loro di provare il piacere immenso che deriva dall'unione di due corpi. Lo sospettano, lo bramano, ne hanno sentito parlare. A lungo. Ci invidiano, per questo. Quindi, decidono scientemente di incarnarsi. Sanno perfettamente che dovranno soffrire il freddo, il caldo, l'invidia, la gelosia, la sopraffazione, gli inganni. Poi la fame e la dolorosissima mancanza della Luce. E infine i tentativi di separazione o di condanna da parte di chi non sa ancora cosa sia l'amore e vuole quindi sminuirlo. O annientarlo. Perché amare spaventa, terrorizza. Ma loro decidono comunque di provare, tant’è la voglia di godere dell’amore come lo fanno gli umani.

La maggior parte delle volte prendono ciascuno un sesso diverso; ma capita che, di comune accordo o per preferenze personali, si incarnino in corpi di sesso uguale. Non ha importanza alcuna, agli occhi di Dio. Ne assume solo nel giudizio di chi ha una visione molto limitata della nostra missione sulla Terra. E non esiste giudice più giusto e appassionato alle vicende d'amore di colui che l'amore ha inventato! Egli applaude a ogni nostro orgasmo. E manda inequivocabili indizi d'apprezzamento ed elementi di prosperità a chi s'ama. È triste immaginare che ci sia chi pensa di sapere esattamente cosa sia giusto e cosa sbagliato… per qualcun altro! È il buio estremo della tolleranza, il trionfo del male gratuito. Si tratta di individui ancora ai primi gradini, sulla scala evolutiva della spiritualità. Anime molto giovani che ancora esitano e quindi cercano conferme, dogmi, sicurezze.

Si ha sempre un po’ paura di ciò che non si conosce, è noto. Costoro annaspano per lo più in un mare di sofferenza. Vorrebbero una guida scritta e certificata su ciò che deve o non deve essere fatto. Quindi creano sette, partiti. Compilano liste e manuali. In gruppo puntano un dito che da soli non avrebbero il coraggio di sollevare dal fianco. Condannano in pubblico ciò che desiderano intimamente con tutta l'anima poter fare, provare. Ma la verità è semplicissima ed è nuda davanti a noi tutti: amare è l'unica cosa che importa veramente e l'unico obiettivo. Non cercarne altri. Ama e vedrai che tutto si dipanerà in modo naturale. La vita è solo un unico, lungo, brevissimo sospiro. Fa che il tuo sia per massima parte per amore. Due corpi che si cercano e si amano battono qualsiasi altro spettacolo. Dall'importante fatto di amare qualcuno in modo disinteressato deriva naturalmente tutto il resto.

Da lì scaturiscono il voler scoprire, ingentilire, scherzare, sorridere, innovare, recare sollievo, benessere e cure agli altri. E quindi di conseguenza arricchire noi stessi: materialmente e spiritualmente. L'amore in genere basta a sé stesso. E traina tutto il resto. Chi ha provato l'amore, quando finisce e s'attenua o muta, passa il resto della propria vita a cercare di ritrovarlo. Si veste, si profuma, si cura: tutto come se ci fosse qualcuno in specifico che lo apprezzerà. Si mostra sensuale, anche se ancora non c’è chi l’ha nel suo radar. Compie disperati tentativi di sedurre, mette sul bancone la sua mercanzia migliore, scende a livelli che non avrebbe pensato mai di raggiungere, pur di sentire intimamente di essere ancora una volta oggetto di puro desiderio sessuale. E poi lo vedi da come guarda gli altri ma non li giudica; dalla sua tolleranza, da come si pone in società. Perché egli cerca di nuovo, con tutta l'anima, quella carezza, quel brivido, quel tuffo al cuore.
Le stelle stanno in cielo - e i sogni non lo so - so solo che son pochi - quelli che s’avverano (V. Rossi)

RDA
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Deus ex machina
Apparizione di un personaggio divino ex machina in una rappresentazione della Medea di Euripide al teatro greco di Siracusa
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Deus ex machina è una frase latina mutuata dal greco "Mechanè", in greco antico: ἀπὸ μηχανῆς θεός? ("apò mēchanḗs theós") che significa letteralmente "divinità (che scende) dalla macchina".[1] Originariamente, indica un personaggio della tragedia greca, ovvero una divinità che compare sulla scena per dare una risoluzione ad una trama ormai irrisolvibile secondo i classici principi di causa ed effetto.
Per estensione, tale espressione è andata ad indicare un evento o un personaggio che, nel corso di una narrazione, ne risolve inaspettatamente gli intrecci, spesso con modalità apparentemente non correlate rispetto alla logica interna della vicenda, al punto di apparire altamente improbabile o come il risultato di un evento fortuito. Al di fuori dell'ambito narrativo, l'espressione indica una persona o un evento che inaspettatamente risolve una situazione difficile.
La definizione della frase "deus ex machina" venne usata per indicare il dio che scende sulla terra e risolve la situazione. La frase trae origine dalla tragedia greca: in tale ambito, quando era necessario far intervenire una o più divinità sulla scena, l'attore che interpretava il dio era posizionato su una sorta di gru in legno, mossa da un sistema di funi e argani, chiamata appunto mechanè. L'attore veniva calato sulla scena dall'alto, simulando dunque l'intervento di una divinità che scende dal cielo.
L'intervento ex machina degli dei veniva usato, soprattutto dal tragediografo Euripide, per risolvere felicemente una situazione intricata e apparentemente senza possibile via di uscita. Secondo Aristotele, quest'espediente non deve interferire con la λύσις, ovvero con lo scioglimento dell'opera, ma deve avvenire fuori dall'azione drammatica.
Nel mondo antico un uso eccessivo del deus ex machina era inoltre considerato prerogativa di autori poco raffinati che non sarebbero riusciti a sciogliere altrimenti trame complesse.
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L’attacco di terra di Israele è come la venuta del Messia, posposta a tempo indeterminato. Si tratta di un giochino che farebbe sorridere se si potesse sorridere di un mattatoio di donne e bambini. Ogni santo giorno i vertici israeliani annunciano al mondo l’imminente attacco di terra. Ma sapendo perfettamente che in un attacco di terra anche il nemico ha l’intollerabile diritto di sparare in risposta, e di uccidere, l’attacco è stato posposto, dal primo annuncio, diciotto volte. Nel frattempo mentre tutto il mondo si concentra trattenendo il fiato sul terribile attacco di terra che non c’è, Israele “prepara il terreno” sbriciolando sistematicamente la Gaza civile (Hamas nel frattempo è per lo più al riparo nei tunnel suburbani), e prendendo per fame e sete la popolazione. Così si procede ad uno sterminio di civili che è sotto gli occhi di tutti – tranne dei cittadini occidentali che si abbeverano al mainstream – e che fa in media 350 morti civili al giorno, ogni giorno. Ora, i sentimenti personali non interessano a nessuno e non sono la base per formare nessun ragionamento costruttivo. Tuttavia, per quel nulla che conta, confesso che la quantità di corpi straziati, di padri estratti dalle macerie abbracciati al figlio, di donne in lacrime che hanno perduto tutto e tutti, la quantità di dolore visto in questi giorni ha colmato per me la misura. Non riesco più a guardare oltre. E gli stessi miserabili pagliacci occidentali che cercavano col lumicino i civili colpiti dai russi in quella che è sempre stata palesemente una guerra tra eserciti regolari, ora tacciono o minimizzano come spiacevoli danni collaterali un massacro unilaterale di civili senza precedenti dalla seconda guerra mondiale (solo nella guerra del Vietnam ci fu qualcosa di simile, ma con minore concentrazione temporale). Ecco, non crediate che dimenticheremo le vostre facce ipocrite, le vostre menzogne come fogne a cielo aperto, il vostro cinismo ributtante. Potete anche continuare da qui all’eternità ad arricchirvi incassando gli assegni per il leasing della vostra anima, potete continuare a darvi ragione a vicenda nei talk show, potete continuare a bullizzare i più deboli. Sappiate che niente sarà dimenticato, in terra come in cielo.
Andrea Zhok - Via: Infosannio
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Tieni i piedi per terra
ma il cuore gettalo al vento
vedrai che il cielo
saprà direzionarlo sempre
dalla parte giusta.

Gio Evan
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Il gioco del mondo si fa con una pietruzza che si deve spingere con la punta del piede. Ingredienti: un marciapiedi, una pietruzza, una scarpa, e un bel disegno col gesso, preferibilmente colorato.
In alto è il Cielo, sotto la Terra, è molto difficile arrivare con la pietruzza al Cielo, quasi sempre si calcola male e la pietruzza esce dal tracciato. A poco a poco però, si acquista la abilità necessaria per conquistare ciascuna delle caselle e un bel giorno s’ impara ad uscire dalla Terra e a far risalire la pietruzza fino al Cielo, fino ad entrare nel Cielo, il guaio è che proprio a questo punto, quando quasi nessuno si è mostrato capace di far risalire la pietruzza fino al Cielo, termina d’un tratto l’infanzia e si cade nei romanzi, nell’angoscia per il razzo divino, nella speculazione a proposito di un altro Cielo al quale bisogna imparare ad arrivare. E perché si è usciti dall’infanzia si dimentica che per arrivare al Cielo occorrono, come ingredienti, una pietruzza e la punta di una scarpa.
- Julio Cortázar, da Rayuela. Il gioco del mondo
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"Non è proibito volere la tenerezza, volersi unici per qualcuno, chiedere: “mi vuoi bene?” è come chiedere: “ci sono per te? Sono al mondo? Resti con me, a fare mondo insieme?” Che male c’è? Purtroppo abbiamo il mito dell’autonomia, dell’orgoglio, del faccio tutto da me. Io ho bisogno degli altri e questo bisogno mi fa paura, ma lo sento lo stesso. Siamo interdipendenti, come lo è la pioggia dalla terra e dalle nuvole, come gli alberi dalle radici e dal cielo, come gli animali dal bosco e dagli altri animali, come tutto fa parte di tutto. Un lavoro a maglia è l’universo e ognuno di noi è un punto: che male c’è, se chiediamo all’altro punto, di fare maglia insieme? Se non lo facessimo, al nostro posto, ci sarebbe un buco."
(Chandra Livia Candiani)
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BATTAGLIA

In questi primi giorni di dicembre, cinque anni fa, se ne andava nonna Elena. Se ci penso, ancora mi manca. Al suo funerale la chiesa era piena, nonna era bellissima e aveva dei fiori sulla bara di legno. Io piangevo perché lei non c'era più e quando una nonna non c'è più puoi avere anche 30 o 40 anni, le gambe ti tremano lo stesso. La persona che più mi proteggeva al mondo era svanita nel nulla, forse mutata in qualcos'altro, forse niente, soltanto ossa sepolte nella terra fredda. La morte cancella ciò che siamo e ci trasforma in ricordi che i vivi sfogliano quando il cielo si fa il grigio, per far entrare la pioggia, riempirsi fino all'orlo e farla uscire come lacrime che sanno di mare. Sento ancora la sua voce e mi costringo a non dimenticarla. Sento il rumore della sua macchina da cucire, sento il profumo di ragù uscire dalla sua piccola cucina sgangherata. Elena ha vissuto 96 anni con la mente limpida come le notti di montagna. Per me era impensabile che morisse, e quando è successo ho capito che in realtà le nonne non muoiono. Le nonne, come diceva Fredrik Backman, sono persone da portare in battaglia.
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06/08/1945
La prima bomba atomica
fu sganciata su Hiroshima

Sono le 8,14. L'aereo è giunto su Hiroshima. La bomba denominata Little Boy precipita. Alle 8,15 la bomba esplode a poco meno di seicento metri d'altezza.
Un lampo, un ciclone di fuoco, un fungo gigantesco che saliva al cielo, poi un vento della forza di 1200 chilometri e la città scomparve dalla faccia della Terra, non con una morte nera ma con un abbagliante sole sceso sulla terra.
In 70 mila muoiono all’istante, spazzati via dalla potenza della deflagrazione dell’ordigno, come circa il 90% degli edifici presenti in città. Altri 100 mila moriranno nelle settimane e nei mesi successivi a causa delle ferite riportate e per l’avvelenamento da radiazioni.
Vite umane liquefatte, ritornate atomi, calcinati i corpi, ustionati, piagati e contaminati dalle radiazioni dal punto zero fino a dodici chilometri di raggio. Fu questione di un attimo, per molti abitanti appena il tempo di percepire l’immenso lampo luminoso.
Nella zona dell’ipocentro la temperatura balzò in meno di un decimo di secondo a 3000-5000-50.000- 800.000 °C. Ogni forma di vita nel raggio di ottocento metri svanì in seguito all’evaporazione dovuta al tremendo calore.
Tutto è finito, arso, smaterializzato, tutto è ritornato in molecole, in atomi. In quel fungo rossiccio che si alza in cielo, ci sono gli atomi di migliaia di esseri umani.
Quando scompare la nuvola, di Hiroshima non resta più nulla. Una città con la cornice della morte.
La sera, il Presidente Truman annuncia la verità al mondo. Truman è felice.
"Con questa bomba noi abbiamo ora raggiunto una gigantesca forza di distruzione, che servirà ad aumentare la crescente potenza delle forze armate. Stiamo ora producendo bombe di questo tipo, e produrremo in seguito bombe anche più potenti." (Comunic.Ansa, 6 agosto 1945, ore 20,45).
- web
"L'uomo ha inventato la bomba atomica,
ma nessun topo al mondo
costruirebbe una trappola per topi."
- Albert Einstein
Albert Einstein non partecipò mai attivamente alla costruzione della bomba atomica, ma la sua formula E= mc^2 fu indispensabile per sviluppare la bomba atomica perché implicava l’equivalenza tra massa ed energia generando una bomba a fissione nucleare, un’arma di distruzione di massa.
Einstein si oppose all’uso militare del nucleare, ma aiutò la ricerca fiducioso del fatto che l’America non avrebbe mai usato le bombe per attaccare e distruggere ma solo in caso di difesa, qualora costretta.
- InStoria, Einstein e la bomba atomica
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Niente catene - Prefazione
Quel che segue è la prefazione al bello scritto di filosofia morale che intendo presentar come manifesto del far de la mente propria un paradiso d'inferno, od un inferno di paradiso.
È insito nella natura di uomo che ci accomuna che il nostro prosperar sia, seppur limitatamente alla potenza, infinito, e che dunque il nostro osar non si soffochi con l'oppressione de le cose che vengon da fuori o da dentro. Qualcosa di evanescente impregna le nostre membra carnose, e questo è non la brama di vivere, ma quella di affermarsi, che differisce dalla volontà di potenza nella misura in cui essa è l'anelito della sopravvivenza dell'identità, della libertà dell'essere della stessa essenza, la guerra all'onnipotenza del fato.
Quel che Milton immortalava co'l verbo di Lucifero era più che vero, nella sua assolutezza, poichè non fa che render manifesta la viltade propria dell'umanità.
Allor io sancisco Pandemonio la nostra Terra, e Inferno lo bello universo che a noi si para.
La giustificazione di Dio non reggerà giammai. Dio è il signore delle catene.
L'argomento che tratterò principalmente in questo saggio è, per l'appunto, quel de le catene. La tensione al rimuoverle, la loro natura, la loro classificazione, e confronterò lo mio bel pensiero a quel che fu di grandi menti a me anteriori.
Se mi fusse dimandato di esser nudo pe le strade del mondo nostro direi di no, poichè quel sarebbe umiliazione et deumanizzazione. Privar dell'umil decoro gli uomini è tremendo e sfrontatamente osceno; questo si suppone. Ma si io vi chiedessi di sollevar motivo per cui questo sia tale, nulla si reggerebbe se non su se stesso. Nello uomo razionale, che si fa diverso dagli animali altri, alla maniera istessa del variar della meccanica novella e quella classica, non è insita catena di genere alcuno, ma meramente indotta da fattori di tipo diverso. Ma definiamo a modo l'essenza de le catene.
Una catena è quel che potremmo dire valore, in termini di filosofia nietzschiana, ma esteso a tutto quel che non è naturale. È d'ausilio mio l'introduzione breve di un dialogo da me scritto, con protagonisti la luce et l'ombre, per dispiegare le valenze delle catene.
Il cielo crepuscolare, laggiù ove si feriva, si dissanguò di uomini eretti e iracondi, sgorgando per le spoglie di Dio onnipotente poiché lo avevano giustiziato.
Che costui fosse morto o in pena eterna e viva è mistero.
Fratelli e sorelle vi ascendevano per natural torri di nude membra, commosse delle passioni più libere di ogni uomo o bestia.
Cosa poteva più trattenerli? Ciò che si può naturalmente è l'unico vero ch'è giusto perchè instabilito.
Lontana, a tender verso l'aspra ferita celeste, era la terra, come minuta collina aguzza.
Vi serpeggiavano attorno radici avvizzite e antiche, gambe di un albero mille volte narrato. Era così secco, vecchio e nel passato stagnante che i rami magri non erano dai suoi piedi distinti.
Lì arrivarono due, alla destra e alla sinistra della pianta moribonda, un seduto e l'altro a toccar la volta con la testa. Uno brillava, e le sue luci esistevano ed erano sul resto; il secondo era, e ciò che splendeva esisteva solo su ciò che era.
Iudex. "L'hai capito, cosa sia davvero Dio, Qadmon?" chiese uno.
Qadmon. "Me lo chiedi perchè vuoi parlarmene tu, Iudex?" rispose l'altro.
Iudex. "Dio è come ciò di cui è stato immagine nella narrativa dei secoli. Sole."
Qadmon. "Concordo."
Iudex. "Tu credi dunque, come me, che Dio rischiari il tutto a tutti?"
Qadmon. "Ciò che credo differisce, in parte. L'operazione del Sole è diversa. L'operazione del Sole consiste nel farsi morsa incandescente della totalità delle cose, che questa sia morsa effettiva o teporoso abbraccio poco importa. È imposizione, anche di bene resta tale."
Iudex. "Può esistere una completa e natural naturalezza, dunque?"
Qadmon. "Quel ch'è scelto è imposto, anche la libertà. Ammettere un creatore è torto a ciò che è generato."
Iudex. "Ma non credi anche tu, Qadmon, che personificar l'atto di generare ti stia ottenebrando come tanto critichi? L'esistenza ammette logicamente un creatore, che esso sia persona o meno, ed è per logica stessa che le cose debbano esser come sono alla radice e in alcun altro modo. Sostieni vi sia differenza?"
Qadmon. "La peccaminosa natura della volontà degli opulenti."
Iudex. "Ripeti uroborici i medesimi errori. È vano discutere su quest'etica, poichè all'accidente, non resta che accettare l'impossibile essenza della vera libertà."
Qadmon. "Lo scurimento delle cose è aberrazione grammaticale. La dispersione dei raggi di luce fa naturalmente essere la naturalezza."
Iudex. "Perché ciò che è naturale è necessariamente migliore?"
Qadmon. "Non parlo di migliore, Iudex, io parlo di vero."
Quel ch'è inteso nelle parole che sovra ho scritto non è che un'analogia di simboli. Le catene non sono che luce, ed è per motivo espresso che si può viver d'ombre, di luce a moltitudine o di mediocritas neutrale.
Il nostro Inferno è irradiato accecatamente da un mondo di brillamenti demiurgici, opera di quel che diremo un malvagio fabbro che si impone su ogne cosa con le veci d'un sole, portandovi il Paradiso.
Il fabbro è sia ente di luce che fautor di catene, poichè le abbiamo capite esser cosa medesima, e altri non è che la mostruosa e aberrante società radiosa.
La società radiosa o lunare, res extensa del fabbro, ha pilastri e costrutti deboletti ma dall'inespugnabil aestetica, brillante e splendente e maravigliosamente lucente, che ne fan parer la solidità invera - e si badi al prefisso in, poichè non si parla di non verità ma del suo inverso perfetto e lunare, come luna si finge ente della notte ma non è che riflesso del malvagio fabbro -.
Per chiudere l'opera magna del demiurgo: la società, pregna di luce e con immagine un maligno fabbro, incatena chi la compone e inonda di Paradiso l'Inferno.
In qual modo ciò definisce una catena?
Una catena è definita dalla negazione dell'attuarsi di una potenza umana che sia logicamente nelle sue facoltà. Una catena è un raggio di luce che s'impone sulla tela buia.
Quel ch'erano prima di me affermavano che vi fosse un superuomo, tal che chi l'era in latenza si trasfigurasse dapprima in un leone dal suo stato di cammello, zavorrato dal bagliore delle catene riflettenti, e infin in un fanciullo libero e buio. Io credo che questo sia un atto di debolezza. Io credo che nè Qadmon nè Iudex abbiamo ragione, ma che il patto dalle loro mani stretto sia la scelta da percorrere. La libertà totale di quel genere non è che un'in-incatenazione, nonchè l'opposto modulare e perfetto dell'incatenazione. Come Nidhogg rosicchiava le radici di Yggdrasil, così il malvagio fabbro irradia l'Inferno e il Pandemonio, in un bilancio necessario per la libertà di discernimento e il libero arbitrio. Quel ch'è giusto è una cartesiana ristrutturazione dell'etica e la morale, un abbattimento di quel che c'è e c'era al fin di ottenerne una faccia novella, che sfugga e affronti luciferina il fabbro e la luna.
Niente catene. Questo è il giusto principio. Ma poi che ve ne siano di nuove, nostre e corrette, con una tensione allo zero.
Tendere alla vetta è imperativo per l'uomo novo, l'uomo libero, l'uomo vero e naturale.
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IL RAGAZZO E LA MONTAGNA
C'era una volta un giovane esploratore, la cui più grande passione era addentrarsi in tundre, scendere in ghiacciai e percorrere deserti alla ricerca della Gemma Preziosa.
Ogni luogo della terra aveva una propria Gemma Preziosa - scintillante, tenebrosa, rubescente o lattiginosa - e lui aveva viaggiato già mezzo mondo ed esplorato mille lande impervie per trovarle e collezionarle tutte.
Nella sua casa aveva una stanza intera piene di tali meraviglie, tutte racchiuse in teche di cristallo, ma il giovane esploratore non amava tornare nella propria casa, se non per riporvi i suoi tesori.
Intendiamoci, adorava la propria casa e la propria città, voleva bene ai suoi genitori e stava bene con i suoi tanti amici, ma il suo animo inquieto lo portava puntualmente a guardare le nuvole fuori dalla finestra, desiderando di poterle cavalcare e andarsene via col vento.
Un giorno sentì parlare dell'Ultima Montagna e di come al suo interno fosse la celata la pietra più preziosa di tutte: il Cuore di Gea.
L'Ultima Montagna si trovava nel paese di Finisterrae e il suo vecchio mappamondo non aveva ancora finito di girare che lui si era già messo in cammino.
Non fu un viaggio facile, né per le gambe né per il cuore, perché dovette salutare molte persone - Finisterrae era lontana - e parte del suo percorso lo dovette fare a piedi, passo dopo passo, senza mai più incontrare anima viva (tranne i ragni, che gli tennero compagnia nelle lunghe notti insonni ma che però non erano gran conversatori).
Quando arrivò all'Ultima Montagna rimase con la bocca spalancata per qualche minuto (i ragni controllarono preoccupati se ci fossero delle carie ma uscirono soddisfatti): un'enorme montagna scintillante di materiale translucido giallo paglierino svettava fino a quasi bucare la volta del cielo.
Ma il suo stupore si tramutò ben presto in preoccupazione quando, a un esame più attento, il giovane esploratore si rese conto che la montagna era in realtà un enorme conglomerato di Crisoberillo come non se n'erano mai visti in alcun libro di geologia.
Molto bene - pensò con stanca autoironia, guardando il suo piccone - sulla Scala delle Durezza di Mohs il crisoberillo ha un punteggio di 8,5 ma volendo considerare il bicchiere mezzo pieno mi è andata anche bene... la montagna poteva essere fatta di Rubino o di Zaffiro!
E cominciò a scavare una galleria per raggiungere il Cuore di Gea.
Man mano che avanzava a fatica all'interno della montagna, egli si rese conto di una cosa molto strana: per ogni colpo di piccone e di scaglia di crisoberillio che cadeva a terra lui sentiva di perdere qualcosa.
Ma cosa? - si chiese.
Non lo so - si rispose.
E allora pensò di riempire quei vuoti nel cuore immaginando il momento in cui avrebbe finalmente scalzato dalla roccia il Cuore di Gea... la gioia di sentirlo pulsare tra le proprie mani, gli occhi socchiusi per schermarsi dal bagliore di mille soli di puro cristallo, lo stupore delle persone al suo ritorno, la teca gigante già pronta al centro della sua collezione.
Quello di cui in un primo momento il Giovane Esploratore non si rese conto è che ogni picconata stava sottraendo un minuto alla sua vita e le picconate erano tante e il tempo scorreva avanti in una sola direzione, dritto come la galleria che sventrava la montagna.
Le mani che impugnavano il piccone invecchiavano, come invecchiavano le domande che lui si faceva...
Perché? Da dove? Verso cosa?
Quando le domande diventano opprimenti, i colpi del piccone rallentavano, salvo poi riprendere forza al pensiero della gemma che ogni giorno si avvicinava.
E poi, dopo mille eternità l'ultima picconata, la parete che crolla ed ecco il Cuore di Gea, sospeso nel buio luminescente di un antro nel ventre della colossale montagna.
Ma il Giovane Esploratore non poteva più definirsi tale.
Non stava più esplorando nulla e di certo non era più giovane.
Con passo incerto e polverose mani tremanti si avvicinò al Cuore di Gea e fece per prenderlo.
Ma si fermò.
Verso cosa? E perché?
E poi la domanda giusta.
Da dove?
Da dove vengo? Cosa ho lasciato? Chi ho lasciato?
E voltandosi vide che la lunga galleria che portava all'esterno era disseminata di corpi, congelati nell'atto di colpire la roccia.
Erano tutti lui, metro dopo metro sempre più vecchio, bloccati nell'attimo in cui aveva deciso di cancellare un ricordo per fare spazio al pensiero della Gemma Più Preziosa.
Sono morto? - si chiese.
Sì, ogni volta - si rispose.
Il Cuore di Gea lo guardava con occhio pulsante ma la mano, dimagrita e raggrinzita, scese sul fianco.
Non era quello che voleva... quello era ciò che aveva deciso di volere per cancellare i veri desideri, quelli che lo tenevano vivo in attesa del domani.
E il vecchio ragazzo si voltò e tornò indietro, accarezzando con una mano sempre più giovane tutti i sé che aveva lasciato morire per non aver voluto ricordare come vivere.
E li perdonò tutti, uno a uno, finché la luce del sole non gli baciò le palpebre socchiuse e lui non ritrovò la voglia di esplorare, mai perduta ma solo addormentata sotto a una pesante coperta di tristi rimpianti.
E come il mappamondo tornò a girare, il vero Cuore di Gea riprese a battergli nuovamente nel petto, perché Finisterrae è quel luogo che comincia nel punto in cui appoggi il piede per iniziare il viaggio verso il domani.
Questo post è dedicato a @seiseiseitan, per me il più grande esploratore <3
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