#DOLORE MESTRUALE
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Limone🍋
PER DEPURARE
Questo grazie all'antiossidante D-limonene, che contribuisce ad attivare gli enzimi nel fegato responsabili della intossicazione. Inoltre, l'elevata quantità di vitamina C contribuisce a produrre più enzimi, per favorire la digestione.
Avocado🥑
PER LA SALUTE GENERALE
L'elevata quantità di grassi monoinsaturi aiuta a ridurre le tipoproteine a bassa densità (o "colesterolo cattivo") e ad aumentare le lipoproteine ad alta densità (o "colesterolo buono"). Inoltre contiene molti minerali, vitamine e nutrienti vegetali che sostengono la salute generale di quest'organo.
Te verde🫖
PER ELIMINARE LE TOSSINE
Le catechine contribuiscono a stimolare il catabolismo dei lipidi nel fegato. Bevete 2 tazze di tè verde al giorno, addolcendo eventualmente con del miele. Attenzione però a non eccedere, perché può avere un impatto negativo sul fegato e altri organi.
Pompelmo🍊
CONTRO I RADICALI LIBERI
Essendo una buona fonte di vitamina C, pectina e antiossidanti, favorisce il naturale processo di pulizia del fegato. Inoltre contiene il glutatione, un potente antiossidante che neutralizza i radicali liberi e favorisce la disintossicazione. Se si stanno assumendo farmaci, però, consultate il medico prima di consumare questo frutto perché può interagire con alcuni medicinali.
Zenzero🫚
CONTRO LA NAUSEA
Lo zenzero è efficace nei confronti della nausea legata ai viaggi o alla gravidanza.
Fornisce poi un valido aiuto se si soffre di reumatismi o artrite. È infine utile per ridurre il dolore, compreso quello legato al ciclo mestruale.
Alloro🍃
CONTRO I FASTIDI DOPO AVER MANGIATO
Quando dopo un pasto si ha la sensazione di non aver digerito bene può venire in aiuto l’alloro.
Aggiungendone 3 foglie a una tazza d'acqua bollente e lasciando riposare il tutto 10 minuti prima di filtrare si ottiene un infuso ottimo come digestivo naturale.
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Memorie di un Utero
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Angela avanza lungo il corridoio principale con le spalle rigide. Trascina un carrello cigolante, pieno di barattoli di vernice, manichini scomposti, proiettori, tele di lino grezzo. Le ruote sferragliano sulle piastrelle spaccate, amplificando i suoi passi in un’eco di ferraglia e polvere. È un ex-ospedale psichiatrico e lei ne ha ottenuto l’uso temporaneo: installerà proprio lì una performance intitolata “Memorie di un Utero”. Ora è sola all’interno, anche se non riesce a scrollarsi di dosso l’impressione di essere osservata. Non c’è luce naturale: le finestre, laddove non oscurate da assi di legno o rotte, sono coperte da uno strato di polvere e muffa che filtra ogni bagliore in un’ombra pallida e sporca. L’odore di umidità, flaconi farmaceutici lasciati a scadere e calcinacci marci la colpisce come uno schiaffo. Sapeva che il posto fosse abbandonato da anni, ma non immaginava un degrado così angosciante e crudo. Sopra la sua testa, i neon lampeggiano senza costanza, alternando spirali di buio a momenti di brutale candore. Si ferma davanti a una porta con una targhetta scrostata: “Reparto Femminile – Terapie Avanzate”. La targhetta è incrinata da un taglio verticale, come se qualcuno l’avesse colpita più volte con uno scalpello. Si stringe nelle spalle: le hanno permesso di usare il piano terra e il seminterrato per l’allestimento. L’idea è far passare i visitatori in un percorso sensoriale sul mestruo, sul dolore femminile mai riconosciuto, sulle cicatrici inflitte dalla medicina eteronormativa di stampo patriarcale. Vuole che il visitatore ne esca sconvolto, senza scappatoie retoriche: un corpo che sanguina e soffre non va nascosto, va guardato nella sua verità. Le parole che ha usato per presentare il progetto raccontavano di una “immersione totale nel liquido mestruale, metaforico e tangibile”. Forse si è spinta troppo oltre, ma a lei importa soltanto che il messaggio arrivi con la brutalità di un ceffone.
Spinge la porta con un braccio. La maniglia si blocca, lei forza un po’ e la vernice scrostata cade a terra in scaglie. Varca la soglia e si accorge subito che il neon in quel corridoio è rotto: un sottile coltello di luce del tardo pomeriggio filtra da una sequenza di finestre a bocca di lupo. Quell’illuminazione pigra rivela cumuli di ragnatele che imbiancano gli angoli e macchie scure regalate da un’inondazione di un decennio prima e che ora sembrano solo volti ghignanti. Angela fa scorrere il carrello tra i detriti, si ferma in mezzo al corridoio e inizia a fare la rassegna dei materiali. Deve verificare le dimensioni delle varie stanze, disporre gli oggetti di scena, lavorare all’impianto elettrico, controllare i proiettori, ripulire come può gli ambienti: c’è tanto, tantissimo da fare. Fa qualche passo verso la prima stanza e un’incrinatura sotto le sue scarpe si frantuma in un nugolo di piastrelle. Un lembo di terra polverosa rivela i sottostrati: c’è una patina color ruggine, impregnata di liquidi ormai secchi. Medicinali, disinfettanti? O forse altro. Apre la porta a sinistra, sbircia dentro. Un vasto stanzone, con al centro un vecchio lettino operatorio, macchiato su tutta la superficie, e un odore di gomma rancida. I muri sono ingrigiti, l’intonaco sembra pronto per cadere del tutto. Il soffitto presenta un’ampia chiazza nera, forse dovuta a un incendio o infiltrazioni di cui nessuno si è occupato. Sarà l’ideale per la “Sala d’Attesa” che ha in mente: un manichino femminile, aperto in due, da cui fuoriusciranno cavi rossi simili a viscere, collegati a schermi che proietteranno a ripetizione le scene più truculente dei migliori pulp. E in sottofondo, registrazioni di gocce che cadono ritmicamente, come un flusso di sangue. Ha anche preparato una playlist di scrosci e gorgoglii per rendere l’idea di un utero che esonda.
Avverte un formicolio alle mani. Non è la prima volta, da quando è entrata. Si domanda se sia solo tensione o se la causa sia un’altra: è come se il suo corpo stesse reagendo all’edificio e l’edificio stesse reagendo alla sua presenza. Che pensiero sciocco, scuote la testa, cerca di ignorare quella sensazione. È stanca, ha dormito male, spinge via i pensieri. Prepara il cavalletto. Appoggia un proiettore su un tavolino corroso, poi inizia a prendere misure con un metro. Mentre conta i centimetri, gli angoli dei suoi occhi si riempiono di ombre. Si volta di scatto, ma non c’è nessuno. Eppure, sembrava una sagoma umana. Cerca di ricordarsi se quelli della cooperativa le hanno parlato di un custode o di un guardiano del luogo. Sbircia nel corridoio: il silenzio è compresso, come se l’aria fosse in attesa di qualcosa. Prova una sorta di nausea e un retrogusto ferroso risale su per la gola. L’ansia avvelena l’entusiasmo, ma sa che deve continuare, non si lascerà spaventare da un posto malandato. Ha lavorato in condizioni ben peggiori, tipo quella volta che è dovuta restare da sola per una notte intera in un casolare abbandonato in alta montagna. Monta un paio di luci portatili e le accende, creano un bagliore giallastro che vibra su una lunga parete divisoria scorticata. Lì metterà l’installazione “È tutto nella tua testa”: grezze e spesse passate di vernice rossa, fiotti di resina porpora che sgorgheranno a intermittenza dall’alto grazie a un sistema di carrucole. Ha portato con sé bottiglie di vernice speciale, più densa del normale, da spalmare con guanti e spatole. Userà colla vinilica mista a curcuma e curry per ricreare l’odore selvatico e primordiale del muco mestruale. Il progetto è simile a un pollock di liquido ematico, ma con la consapevolezza di un flusso ciclico doloroso e sintomo di un malessere ignorato. Avrebbe preferito usare sangue vero, ma dai referenti le è arrivato un no categorico. Questioni di igiene, vai a capire.
Più tardi, si trasferisce in un’altra stanza che odora di rancido. Nella semioscurità, scorge decine di vasche da bagno portatili, vecchi apparecchi per idroterapia, forse. C’è un cartello storto con la scritta “Trattamento dell’Isteria”. Se non fosse tragico, le verrebbe quasi da ridere: è perfetto. Potrebbe sistemare una serie di bambole gonfiabili proprio qui, immerse in litri e litri di sciroppi e medicinali. Chiamerebbe l’opera “C’è una Cura per Tutto”. Fa qualche foto col cellulare per studiare le inquadrature. Nel riflesso di una vasca sporca, le pare di scorgere un viso femminile, appena sopra la sua spalla. Le sue viscere si riempiono di acqua gelida, si volta, ma non c’è nessuno. Sente un fremito dietro la nuca, come se labbra fredde gliela stessero sfiorando. Si toglie l’elastico dai capelli e si scioglie la coda, lasciando cadere le lunghe ciocche nere sul collo. Sente il bisogno di proteggersi – sì, ma da cosa? È quasi mezzanotte quando Angela finisce di prendere appunti e di collocare nelle varie stanze il grosso di ciò che le servirà; la stanchezza si mescola a un leggero mal di testa. Decisa a tornare a casa, s’incammina verso l’uscita, ma una porta socchiusa cattura il suo sguardo: c’è una targhetta scrostata che dice “Patologia Uterina”. Dentro, un buio profondo, vellutato, denso. Accende la torcia del cellulare e illumina un groviglio di lenzuola annodate su un carrello. Contro la parete c’è un armadio zeppo di strumenti arrugginiti: forbici, pinze, trapani a ingranaggio. Una puzza chimica – formalina, forse? – le invade le narici. Sulla parete, svetta una scritta in colore brunastro: “CI STANNO AMMAZZANDO”. Arretra senza pensarci due volte, chiude la porta e la maniglia le rimane quasi in mano; il rumore secco della porta che si chiude copre a malapena un suono graffiante. Un grido? No, non è possibile. Un brivido sudato le scende per la schiena. Promette a se stessa che domani si sveglierà presto e tornerà lì con la luce: mai più in un posto del genere dopo il tramonto.
I giorni passano e i corridoi si popolano di cavi, teli di plastica, bambole e manichini dai quali lei ha segato via alcuni arti. Su alcuni ha anche inciso i capezzoli, gli ombelichi e i genitali: dai fori farà colare vernice o pasta acrilica rossa. Con la luce quel posto non fa più paura; è solo il triste testimone di un’epoca più brutale. Ma con tutto quel che c’è da fare, il tempo torna a sfuggirle di nuovo. Una sera si accorge di aver lavorato fino alle undici. Undici e mezza, per la precisione. I vecchi neon, ormai, non funzionano quasi più. La luce residua è data da lampade che ha portato lei, e dalle torce. Ma non vuole andarsene: l’inaugurazione è imminente. Quando si siede sul pavimento per un attimo di pausa, sente come un rumore di catene, un cigolio simile a un letto di ferro trascinato. Chiama: «C’è qualcuno?» Nessuna risposta. Se la sta quasi facendo sotto, ma si alza comunque per dare un’occhiata al corridoio: niente e nessuno. Torna sui suoi passi e nota che nella stanza principale i manichini sono stati spostati, disposti in cerchio. Lei li aveva lasciati allineati al muro. Ma ora è come se si guardassero l’un l’altra. Al centro, un catino non suo. Dentro, un ammasso molliccio, mucoso e scuro. Un lamento piagnucolante si irradia dalle pieghe molli di quella cosa. Che cazzo è, un feto? Si avvicina, l’odore di marcio che fuoriesce dai bordi la fa barcollare, quasi rigetta sul pavimento il poke che ha mangiato per cena. Quando si convince a guardare di nuovo il catino, questo è vuoto, il liquido è sparito del tutto. Scuote la testa. Deve dormire. Deve assolutamente dormire.
La notte prima dell’evento si dà da fare per chiudere tutti i lavori e riveste i corridoi con garze e panni impregnati di tintura rossa. Qua e là ha appeso fotografie vere di vagine sanguinanti, squarciate da parti difficili, aperte da speculum metallici, devastate da infibulazioni di ogni tipo. Ci saranno stereo che diffonderanno il suono ovattato di un battito cardiaco. Tutto questo, ovvio, oltre alle principali attrazioni che ha allestito nelle stanze del reparto femminile. Sarà una figata pazzesca. Mentre si aggira per un ultimo controllo, il posto sembra più immobile del solito. Il silenzio è così spesso che Angela crede di sentirselo addosso, sulle spalle, come un mantello. Sul pavimento del corridoio principale, scorge una lunga scia rossastra, sembra la bava di un’enorme lumaca – forse una delle latte di vernice era bucata? –, che parte dalla “Sala d’Attesa” e si interrompe sulla soglia di una porta lucida e verde. Cerca di aprirla, ma nulla da fare. Non è chiusa a chiave, ma dall’altra parte qualcosa di pesante impedisce un’apertura completa. Angela riprova, ci mette più forza, ancora e ancora, e dall’altra parte arriva il gemito strozzato di una donna. «Lasciaci stare… non vogliamo… non sono pazza!»
«Chi sei? Hai bisogno di aiuto? Chiamo la polizia?» Angela spara domande a raffica per tenere a bada il terrore. Silenzio. «Chi sei?» ripete. «Ci stanno ammazzando!» Di nuovo il gemito. Deve fare qualcosa. Arretra di qualche passo, poi si schianta sulla porta con una spallata. La porta si spalanca senza problemi e Angela si ritrova con il culo nella polvere, in una stanza vuota. «Ok. Sto impazzendo» ridacchia nervosamente. Uno scalpiccio a pochi metri davanti a lei la costringe a estrarre il cellulare e puntare la torcia verso il muro. Mani. No, impronte di mani. Rosse, decine, centinaia, pressate contro la parete, fino al soffitto. Il rosso delle impronte nella fascia bassa del muro è così intenso da sembrare fresco. Per la prima volta da quando ha messo piede in quell’ex-ospedale, Angela urla. E quando urla, non è solo lei a farlo. La sua angoscia è amplificata da un coro di altre grida disperate. Gattona fuori da quella stanza e scappa via senza voltarsi indietro. Quando si ritrova nel letto del suo loft, fatica a ricordarsi come ha fatto ad arrivare lì. Poi si rende conto che la sua schiena sta toccando il materasso dopo quasi ventiquattro ore passate senza riposarsi nemmeno per un minuto. Forse è colpa della stanchezza. È sempre colpa della stanchezza. È il giorno dell’inaugurazione. Arrivano alcuni giornalisti locali, un paio di influencer che si occupano di arte estrema, un gruppetto di attiviste con tanti follower, alcuni amici di Angela e parecchi sconosciuti vogliosi di scandalizzarsi. Angela li accoglie all’ingresso, spiega il concept: «Un viaggio attraverso la medicalizzazione del corpo femminile, la demonizzazione delle mestruazioni e la psichiatrizzazione dell’isteria. Un percorso scabroso, ma necessario.» Studia i loro sguardi: qualcuno sorride divertito, altri appaiono lievemente a disagio, altri annuiscono serissimi. Bene. Il gruppo si inoltra nelle prime sale. L’effetto visivo li colpisce: pareti rosse incrostate di vernice colante, manichini con parti anatomiche aperte, audio di gocciolii e battiti ovunque. Alcuni scattano foto, uno studente prende appunti su un taccuino, una blogger fa schioccare la lingua con aria di superiorità. Angela resta indietro, osserva le reazioni. È abituata alle critiche, anche a quelle più spietate. Ma poi, uno sbalzo di pressione la allarma: l’aria sembra farsi gelida e carica di un tanfo di muffa e carne cruda che non può arrivare dai semplici materiali pittorici. Cavi e tubi sembrano quasi muoversi in modo indipendente, come serpenti sottili. Avverte un’inquietudine simile a un dolore sordo tra i reni. Il pubblico sembra non notare nulla e si spinge nell’area chiamata “Reparto Donne”. Lì la gente trova celle rivestite di disegni anatomici femminili su carta semitrasparente, strappati, esagerati, deformati, appesi alle pareti con chiodi arrugginiti, e illuminati dalla luce soffusa di proiettori. Sul pavimento, tracce di un liquido lucido, che dovrebbe essere resina ormai asciutta. Ma all’improvviso, un docente universitario che stava commentando l’opera con distacco annoiato scivola e cade all’indietro, imbrattandosi i pantaloni di una sostanza vischiosa, abbondante, fresca. Qualche goccia schizza sul volto di Angela: quella roba è calda. Bollente, quasi. Non dovrebbe esserlo. L’uomo sbatte le palpebre, disgustato. Un altro tizio si avvicina, tocca la macchia con un dito e lo ritrae di scatto, scuotendo la testa: «Che cazzo è…?»
La tensione sale. La blogger fa una battuta e scatta un selfie, con grande nonchalance. Ma intanto le luci iniziano a tremolare. Ogni suono registrato, dallo sgocciolio ai battiti, si distorce in un lamento più cupo, profondo, come se qualcuno stesse modulandolo da dietro un mixer. Angela corre verso uno dei suoi laptop e apre il software di controllo. Non ci sono notifiche d’allarme o di errore, eppure il suono è mutato. Sembra un coro di lamenti di decine di donne. Il pubblico arretra. Alcuni provano a ridere, a darsi un tono. Una ragazza esplode in uno strillo isterico, dicendo di aver sentito un sussurro dietro di sé. No, dentro di sé. Una parola strozzata. «Mi è sembrato mi dicesse “Sporche”…» Uno dei giornalisti annuisce fino a farsi scrocchiare il collo e dice di aver percepito un “Ci avete rinchiuse…” Prima che altri possano dire la loro, i neon crollano in un’esplosione di vetri e tutto diventa oscurità. In pochi secondi, si crea una calca. Gente che urla, che prova a cercare l’uscita, annaspando nel liquido rosso denso che scivola sotto i piedi. La sostanza si spande in rivoli che paiono muoversi, come tentacoli. Angela inorridisce: non è opera sua. O meglio, non era nelle sue intenzioni un’installazione “interattiva” di questo genere. Qualcosa qui si sta animando da sé. Un fragore. Una porta si chiude di botto, sbattendo con forza inaudita. Qualcuno impreca. Tutti corrono verso il corridoio, ma le piastrelle sembrano deformarsi, gonfiarsi in un tessuto vivo. Un critico con la giacca elegante scivola, cade in ginocchio con un gemito e inizia a contorcersi, scalciando e scuotendo le mani, nel disperato tentativo di allontanare qualcosa da sé. «Vai via, via!» Angela scatta verso l’uomo e si china su di lui. Scorge un volto femminile riflesso in una delle pozze viscose: un viso senza occhi, labbra cucite, che ondeggia dall’altra parte della superficie. Lui urla e si tira indietro, ma il riflesso emette solo un singhiozzo soffocato.
Un suono di catene scorre tra i muri. Alcuni manichini cadono al suolo come corpi agitati, rompendosi in mille pezzi. Dalle crepe nel cartongesso emergono mani scure, fatte di polvere e garze, che graffiano l’aria e ghermiscono chiunque capiti a tiro. Una torcia cade e rotola, illumina per un istante la visione di una stanza affollata da ombre striscianti: sagome di donne in camicie di forza, capelli rasati, orbite vuote. Angela, che ormai conosce quel luogo, cerca di condurre tutti quanti al piano superiore, verso l’uscita, ma il dedalo di corridoi si è contorto in un labirinto. Gente urla, bussa contro porte sbarrate, scivola in stanze che si chiudono con la voracità di fauci mai saziate. Le grida si fanno frammentarie, poi nulla, come risucchiate dal posto. Alcuni corrono verso il piano superiore, ma le scale sono ostruite da detriti e da un alone scuro che si muove a ondate. Angela si afferra la testa, il cuore scalpita. Vuole fuggire, ma un sibilo la blocca, un suono vicinissimo all’orecchio: «Tu ci hai aperte.» Si volta, un lampo di luce rivela un viso che si sovrappone al suo. Labbra pallide, il cranio inciso da cicatrici. Una donna, o un fantasma, la cui bocca si spalanca e sussurra frasi incomprensibili. Angela arretra, finisce in una sala deserta. O così sembra. Dai muri grondano rivoli purpurei, pulsano come vene in una carne titanica. Il pavimento vibra, si spacca in certi punti. Un fiotto di polvere mista a ruggine sale, spandendo un fetore di vomito e farmaci scaduti. Fra i riflessi di un neon intermittente, intravede un corpo riverso: forse uno dei visitatori. Si avvicina, o vorrebbe, ma i suoi piedi affondano in una melma densa. Stringe i pugni, spinge con le gambe; ne esce, barcolla contro un carrello di materiale medico che si rovescia con clangore. Un paio di flebili gemiti si spengono dietro di lei. Non ci sono più grida. Nessuno scalpita, o forse i suoni sono soffocati. Con orrore, Angela scorge che quell’inondazione di liquido ha riempito molte stanze. Ora le sale ricordano grembi rigonfi, saturi di un flusso che ribolle. Uno degli ultimi neon ancora in vita sfiamma un’ultima volta, poi si spegne. Il buio è quasi assoluto, rotto solo da qualche faretto rimasto acceso e da bagliori rossastri che paiono provenire dal liquido stesso, dotato di una fosforescenza ipnotica.
Angela scappa a tentoni. Striscia sul muro, scivolando sugli schizzi. Sente il sapore del ferro sulle labbra, una mano invisibile che le afferra la caviglia, forse un cadavere, forse un fantasma. Urla, scalcia, si libera. Un corridoio, finalmente, si apre davanti a lei: vede, in lontananza, la porta da cui era entrata. Spalanca quella porta. L’aria notturna, fredda, la investe. Fuori, la strada, i lampioni. Non c’è anima viva. L’ospedale dietro di lei rimane in un silenzio spettrale. Nessun segno di qualcuno che la insegua. Nessun rumore, nessun incubo. Rimane qualche istante immobile, la mente confusa. Poi si allontana a passi lenti. Nei giorni seguenti, si incastonano in lei le memorie più crude. Evita di leggere notizie. Nessun articolo cita la performance. Nessuno le chiede nulla. È come se l’evento non fosse mai accaduto. O l’edificio l’avesse inghiottito, nello stesso modo in cui anni prima aveva ingurgitato e nascosto tutte le brutture avvenute al suo interno. Angela vive in una nebbia costante di colpa, terrore ed euforia inspiegabile. Le notti colano sogni di gocciolii e corpi trascinati, sogni in cui le vecchie pazienti di quell’ospedale la ringraziano per averle “lasciate libere di vivere la loro rabbia.” Si sveglia ridendo, con il viso rigato di lacrime e un filo di sangue che esce dal naso. Dopo un paio di settimane, decide di tornare: vuole recuperare i suoi materiali. Deve almeno svuotare quei corridoi, prendere le tele, i manichini, i proiettori. Magari troverà prove di ciò che è successo, o forse li troverà intatti, come se nulla di strano fosse avvenuto. Come se la performance dovesse ancora avere luogo. Si presenta una mattina di fronte all’ex-ospedale psichiatrico, con il cuore stretto. La porta è chiusa col lucchetto. Strano, non ricorda fosse così. Forza il lucchetto: l’interno è buio, inerte. Si fa strada con la torcia del cellulare.
Trova i suoi manichini impilati in un angolo e ha la netta sensazione che qualcuno abbia voluto metterli a dormire, per premiarli dopo una giornata di duro lavoro. Ogni tela, immagine o fotografia è del tutto intatta. Non c’è segno di vernice, resina, colla o pasta acrilica. Sembra semplicemente un posto abbandonato, com’era all’inizio. Nessun cadavere, nessuna traccia di liquidi estranei. Si aggira fra le stanze in silenzio, mentre polvere e ragnatele le si appiccicano ai capelli. Sembra tutto banale, come se la follia della sera dell’inaugurazione fosse stata un’allucinazione collettiva. E i visitatori? Non ci sono. Non ci sono resti, né oggetti a testimoniare il loro passaggio. Recupera un paio di proiettori funzionanti. Raccoglie le latte di vernice – quasi tutte vuote, ripulite. Nota però che alcune delle sue scatole Ikea di plastica sono piene di residui di una fanghiglia rossastra, mezza secca e mezza molle. Non osa annusarla, la sciacqua in uno dei lavabi. Quando esce per l’ultima volta, spinge la porta con un peso enorme sul petto, sente che l’aria morta di quell’edificio si è impressa nei suoi polmoni. Fuori, la luce del giorno la acceca. Sbatte le palpebre, e in quell’istante le sembra di scorgere, dietro la finestra sporca del secondo piano, un volto di donna rasata, con un brutto taglio sulle tempie. La sta osservando. Non vorrebbe, ma solleva la mano in un accenno di saluto. La donna non risponde; sparisce dopo un battito di ciglia. Angela torna a casa e scivola in una routine di silenzi. Non racconta niente a nessuno, non pubblica foto online, i suoi profili social languono di aggiornamenti. Un mattino, trova nella cassetta della posta una busta di carta grezza, senza mittente. Contiene due vecchie foto: una riporta la data 1968 e ritrae l’interno del Reparto Femminile dell’ospedale psichiatrico nel pieno della sua attività. Dottori ben pettinati e sorridenti posano accanto a donne pallide e magre in pigiama. L’altra è del 1971 e Angela deve fare appello a tutto il suo autocontrollo per non mettersi a urlare. Riconosce la stanza delle mille mani rosse. Una calca di donne sporche e seminude cerca rifugio negli angoli della stanza. Tutte hanno la testa china e gli occhi rivolti altrove. Chiunque stesse scattando quella fotografia, non era loro amico. Angela le ripone in un diario. A distanza di mesi, un velo di normalità apparente sembra calarle addosso. Viene persino contattata per lavorare in un altro spazio espositivo, alla cura di un piccolo progetto sulla commistione tra pittura e digitale, ma manca la scintilla, manca la rabbia. Spesso si blocca davanti ai fogli di lavoro, la mente saturata di immagini di reparti bianchi diventati oceani rossi. E sa, perché questo accade: la sua creatività è stata strangolata da un trauma incomprensibile, inascoltabile e inaccettabile. Non quello dato dalla performance, no. Il trauma di quelle donne.
Un pigro pomeriggio d’inizio estate, Angela trova un’altra busta nella cassetta. È più piccola e leggera dell’altra, ma la carta è la stessa. E, ancora, non c’è alcun mittente. La apre con mani tremanti sopra la penisola della cucina. All’interno, c’è una polaroid ben diversa dalle altre due fotografie: è nuova, sembrerebbe essere stata scattata di recente. Riconosce subito la stanza delle vasche, quelle per il trattamento dell’isteria. Una delle vasche è stracolma di un liquido denso e nero; sotto la superficie si intravede la sagoma biancastra e gonfia di una donna nuda, abbandonata lì dentro. I dettagli sono così evidenti e chiari da far ribaltare lo stomaco di Angela: non è una fotografia vecchia. La gira, il retro è attraversato dalla scritta “Ci hai dimenticate? Se non tu, un’altra”. Anche quella polaroid finisce nel diario. E la vita va avanti. Una sera, mentre naviga su siti d’arte, trova un trafiletto: “Voci di un presunto evento in un ex-ospedale psichiatrico, performance controversa, mistero su eventuali scomparse”. Una foto sfocata mostra un corridoio e una chiazza scura. Legge la didascalia: “Opera di un’anonima artista”. Chiude in fretta il browser. Il cuore le scatta in gola. Nessun nome, nessun dettaglio. Resta con il dubbio che qualcuno abbia registrato un pezzo di quella notte. Un giorno, mentre cerca un locale per un nuovo progetto – questa volta un reading di poesie femministe –, un suo contatto ne nomina uno proprio vicino all’ex-ospedale. Un presentimento la spinge a passare in zona, in pieno pomeriggio. Parcheggia. Vede da lontano i soliti muri grigi in abbandono, le finestre sprangate. Il cancello è chiuso con lucchetti. Sulla recinzione, un cartello del Comune: “Area pericolante. Vietato l’accesso”. Davanti a esso, un gruppetto di uomini con caschetti e giacchette catarifrangenti da lavoro. Un operaio la nota, si avvicina e le dice che presto butteranno giù tutto, ci faranno un parcheggio. Lei annuisce, con un peso nel petto che rischia di tirarla giù. O forse dovrebbe sentirsi meglio? Forse demolire servirà a seppellire quell’incubo?
«Non so che dirle» l’operaio si infila una sigaretta tra le labbra. «Mia zia c’è stata là dentro per un periodo. L’hanno trattata come merda secca, come si faceva ai tempi. Vai a sapere se le è servito o no. Da un lato sono contento venga raso al suolo. Ma quando passo di qui e vedo questo posto mi torna in mente quello che succedeva. E che forse succede ancora, boh.» Angela si stringe nelle spalle e si allontana. Un lieve fruscio la fa voltare. Dietro la rete arrugginita, nell’angolo, scorge un volto di ragazza, forse sui vent’anni, con uno zaino. Tiene in mano una fotocamera, scatta foto all’edificio. Angela sente un’ondata di vertigine. Riconosce quello sguardo carico di curiosità e fascino per il proibito: è proprio come quello che aveva anche lei. La ragazza la nota, fa un breve sorriso, poi torna a immortalare l’ingresso. Di certo vuole intrufolarsi lì dentro, magari per un reportage urbano, una raccolta di foto da postare su un blog. Angela aprirebbe la bocca per dirle «Non entrare», ma resta muta, incastrata in un’angoscia impotente. Dopo un momento, la ragazza si infila nel pertugio della recinzione e scompare. Angela sale in auto, stringe il volante a tal punto da farsi sbiancare le nocche. Appoggia la fronte sul clacson spento. Per un lunghissimo istante, il tempo sembra non esistere. E, a dire il vero, non è affatto certa di esistere più nemmeno lei. Poi, avvia il motore e si allontana senza guardare nello specchietto.
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WeWorld e CHEAP insieme per combattere tabù e pregiudizi sul ciclo mestruale
CHEAP x WeWorld – Legalize Mestruazioni – ph Michele Lapini Ogni mese 1,9 miliardi di persone nel mondo, in media, hanno le mestruazioni e sono tante le discriminazioni che possono subire: perdere giorni di scuola o lavoro, sentire sminuito il dolore mestruale o non vedere riconosciuti i sintomi della perimenopausa, battute sull’umore ma anche difficoltà di accesso a bagni sicuri, acqua e…
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🫖🌼L'infuso di fiori di camomilla. (Matricaria camomilla).
🫖Procedimento:
Ponete 1 cucchiaino di fiori di camomilla in 200 ml di acqua prossima all'ebollizione, lasciate in infusione per 5 minuti, filtrate e consumate.
🫖Tutti conosciamo e apprezziamo i benefici della camomilla. Si può dire che è una pianta che cura un po tutti i mali. Infatti, questo infuso è un rimedio naturale, per le sue proprietà antispasmodiche e lenitive ed è consigliato in caso di spasmi dell'apparato gastrointestinale.
Svolge un'azione carminativa ed eupeptica, favorisce l'eliminazione dei gas intestinali, attenua gli spasmi, inoltre aiuta a migliorare la digestione.
🌼La meravigliosa e profumatissima camomilla è apprezzata molto dalle donne, per le sue proprietà emmenagoghe poiché aiuta a riequilibrare il flusso mestruale e attenua il dolore al basso ventre.
Oltretutto, la camomilla esplica un'azione rilassante e sedativa, favorisce il rilassamento mentale e aiuta a conciliare il sonno.
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In questi giorni, nonostante l'ansia acuta che mi percuoteva la mente, ho sempre cercato di distrarla facendo qualsiasi cosa, tranne pensare al problema che tanto ci stava tartassando: un'inaspettata gravidanza.
E poi, improvvisamente i normali sintomi della "dolce attesa": nausea, capogiri e vomito. Ho cominciato ad allarmarmi davvero finché è arrivato il giorno ritardatario del ciclo mestruale. L'ansia saliva sempre di più così, insieme al mio fidanzato, ho deciso di fare il test. Come pensavamo in questi giorni: positivo.
"Coraggio, andiamo!" Mi disse lui prendendomi delicatamente dal braccio.
L'ho guardato con dolcezza e le lacrime agli occhi. "Ti prego, non voglio... non puoi farmi questo, amore!"
Ettore mi ha subito fulminata con lo sguardo infine mi ha messa sulla parete del bagno in maniera violenta, prendendomi il muso in una mano.
"Ti avevo avvertita che l'avremmo fatto in caso fosse stato positivo e tu hai acconsentito... quindi adesso non puoi tirarti indietro! Scegli: o lui o noi"
Ho deglutito. La mia psiche era in un bivio, non sapevo che cosa pensare e, tanto meno, che sensazioni provare. Ettore era il mio ragazzo da quasi un anno ed io non riuscivo abituarmi all'idea di perderlo solo per una cazzata che avevamo commesso nei giorni precedenti.
"Possiamo ripensarci Ettore, ti scongiuro" gli dissi con voce strozzata ed i singhiozzi.
"Non ripensiamo a un cazzo... vieni, andiamo" ringhiò alla fine portandomi via dal bagno di quel bar.
La mia mente ritorna alla realtà. Siamo nella sala d'attesa dell'ospedale: mi tocco la pancia in maniera continua mentre vedo che Ettore cammina avanti e indietro per l'agitazione. "Digli addio tesoro... e tra me e te non ci saranno più rapporti"
Mi alzo ditrutta nel corpo e nella mente.
"Io dirò addio a te, bastardo, figlio di puttana" faccio per uscire dal reparto ma lui mi afferra fortemente dal braccio fissandomi in malo modo.
"Non costringermi a metterti un dito addosso Vera. Tu adesso fai la brava, stai qui e aspettiamo, hai capito?"
"No... Ettore" dico mugolando appena lui mi dà uno schiaffo forte sulla guancia e mi rimette seduta sulla sedia.
I minuti aumentano, Ettore si innervosisce ancora di più, l'agitazione tra noi si fa sentire più acuta di quanto l'ansia non lo fosse già.
"Vera?" Ecco la voce del dottore che ci chiama.
"Andiamo..." esclama Ettore.
"Vera!"
Chiudo gli occhi, sospiro e affronto l'enorme dolore.
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Rimedi per dolori mestruali: come combatterli e perché non sottovalutarli
Nuovo post pubblicato su https://wdonna.it/rimedi-per-dolori-mestruali-come-combatterli-e-perche-non-sottovalutarli/117034?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=117034
Rimedi per dolori mestruali: come combatterli e perché non sottovalutarli
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Per molto tempo sono stati sottovalutati, considerati come un sintomo trascurabile, ma la medicina si è espressa molto chiaramente in materia: i dolori mestruali particolarmente acuti possono essere debilitanti e non vanno sottovalutati.
Le statistiche divulgate parlano di circa l’80% delle donne in età fertile con sintomi legati a mestruazioni dolorose, ma il numero di chi ne soffre in maniera molto grave e debilitante tanto da compromettere la quotidianità scende a circa il 15%.
Il dolore mestruale, noto anche come dismenorrea, è un disturbo comune che molte donne affrontano durante il ciclo mestruale. Questo fastidioso sintomo può variare in intensità, da lieve a debilitante, e può influenzare notevolmente la qualità della vita. È importante approfondire i possibili rimedi per i dolori mestruali e, soprattutto, non sottovalutarne l’impatto sulla salute.
Perché non sottovalutare il dolore mestruale?
La tentazione di sottovalutare il dolore è comune, considerandolo come parte inevitabile del ciclo mestruale, ma gli specialisti sono concordi nel dire che se eccessivo può indicare problemi sottostanti e impattare negativamente sulla qualità della vita. Ignorarlo può ritardare la diagnosi di disturbi come l’endometriosi o la sindrome dell’ovaio policistico, che richiedono un trattamento specifico.
Rimedi per combattere i dolori mestruali naturalmente
L’applicazione di calore nella zona addominale può essere un rimedio efficace per alleviare il malessere: una borsa dell’acqua calda o un cuscinetto termico possono aiutare a rilassare i muscoli e ridurre la tensione.
L’esercizio fisico moderato può contribuire stimolando la produzione di endorfine, noti come “ormoni della felicità”: attività come il nuoto, lo yoga o una passeggiata leggera possono favorire il rilassamento muscolare e attenuare il disagio.
Adottare una dieta equilibrata è altrettanto utile: gli esperti consigliano di evitare cibi ad alto contenuto di sale, zucchero e caffeina per diminuire il gonfiore e l’irritabilità. Preferire l’assunzione di cibi ricchi di omega-3, come il pesce e i semi di lino, può invece avere effetti anti-infiammatori.
Rimedi medicinali per combatterli
Gli analgesici da banco, come l’ibuprofene, il paracetamolo e il ketoprofene, possono essere utilizzati per limitare il dolore mestruale, ma è essenziale seguire le dosi consigliate e prestare attenzione a eventuali controindicazioni, specialmente in presenza di altre condizioni di salute.
Un altro supporto arriva dagli anticoncezionali: la pillola, ad esempio, aiuta a tenere sotto controllo l’intensità dei dolori, ma è necessario che venga prescritta da un ginecologo dopo attenti esami e valutando la situazione specifica. Eventualmente possono essere considerati anche altri farmaci anticoncezionali che offrono lo stesso tipo di beneficio.
Quando consultare un professionista
Oltre ai rimedi farmacologici e naturali proposti, consigliamo la visita di uno specialista. Se il dolore mestruale è eccessivo o persistente nonostante l’uso dei rimedi precedenti, è fondamentale consultare un
professionista. In alcuni casi, il dolore potrebbe essere sintomo di condizioni più gravi che richiedono un trattamento specifico, come ad esempio l’endometriosi.
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Il dolore mestruale ESISTE.
Che poi soltanto perché un maschio non abbia mai provato i crampi da ciclo allora il problema non deve sussistere nel mondo del lavoro, non lo capirò mai. Molte donne vivono questa condizione con estremo disagio in ambito lavorativo e mi fa male vedere che non siamo comprese ma anzi passiamo per quelle esagerate. E cosa ancora più grave secondo me è che le donne sono costrette ad adattarsi a questo mindset tossico e di conseguenza si sentono in difetto o in dovere di dover essere forti anche in situazioni di evidente disagio. Ricordo, nella mia esperienza lavorativa pregressa, che quando lavoravo con il ciclo tacevo il mio dolore agli altri e stringendo forte i denti fino all'ultima ora, scappavo a casa in bici dolorante, e guai se chiedevo di poter ritornare a casa prima, guai.
Ma si può ?
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💛SINTOMI ASCENSIONALI: 💛
difficoltà visive, bruciori agli occhi, acufeni, sbalzi di temperatura corporea, brividi di freddo o vampate di calore, stati febbrili, dolori muscolari, dolori alle ossa, epidermide molto sensibile a contatto con sostanze o tessuti, prurito intenso su tutto il corpo, emicranie, dolori cervicali, infiammazioni dentali e gengivali, gocciolio al naso continuo oppure forti raffreddori, lievi aritmie e tachicardie, pressione e dolore all'altezza del cuore, difficoltà digestive, nausea, inappetenza, oppure bisogno di cambiare alimentazione, forti dolori e acidità alla bocca dello stomaco, dolori all'intestino, diarrea, gonfiore addominale, interruzione oppure aumento del ciclo mestruale, mal di schiena, dolori alle ginocchia, mancanza di equilibrio nel camminare, giramenti di testa, sbalzi improvvisi di pressione, spossatezza, stanchezza, aumento del bisogno di dormire.
In tutto questo è ovvio che chi sente di consultare un medico o di ricevere aiuto attraverso la medicina deve farlo.
Io posso darvi la spiegazione energetica dei tantissimi sintomi, ma il corpo va aiutato e sostenuto nel miglior modo che ognuno crede.
C'è chi si affida ai rimedi naturali e chi alla medicina.
Entrambi vanno bene se sentite di averne bisogno.
⬇️💚⬇️💚⬇️💚💚💚💚
💚IL CAMPO EMOTIVO:💚
sbalzi d'umore fortissimi e imprevedibili. ( anche riso e pianto simultaneamente ).
Lievi stati depressivi, tristezza, apatia, bisogno continuo di piangere. Nervosismo senza motivo, ansia, paure irrazionali, perdita di memoria, difficoltà di concentrazione, senso di smarrimento, profonda solitudine anche e sopratutto in mezzo alle persone.
Bisogno di isolarsi, di silenzio, di quiete, di luci soffuse.
La vicinanza con la natura e con il mondo animale è la miglior cura, e il miglior sollievo, in questo momento.
Procediamo con serenità, nel qui e ora.
Il momento presente è l'unico possibile.
Non perdiamoci nel "cosa accadrà e quando?" : ci porta allo smarrimento.
Viviamo, invece, la sacralità di ogni istante e la sua rivelazione, come un miracolo.
Perché è esattamente questo.
Stiamo cambiando Dimensione rimanendo sempre qui e sempre nello stesso corpo.
Quindi pensate a quali trasformazioni questo pianeta e noi stessi siamo sottoposti.
È effettivamente una morte fisica ma rimanendo in vita.
Muoiono parti energetiche di noi che risiedevano nel corpo fisico perché muore il Vecchio DNA.
È questo che accade.
Il nuovo DNA lo sostituisce.
E lentamente apporta modifiche in tutto il corpo, nella matrice, nei chakra ( ne apre e ne attiva di nuovi ), nei corpi sottili e nel piano mentale.
Le dinamiche più evidenti da osservare sono:
- il rallentare dell'invecchiamento (che ad un certo punto si inverte ringiovanendo)
- gli occhi cambiano colore, diventano più chiari e luminosi, effettivamente brillano di nuova energia
- diminuisce l'appetito perché il corpo è sostenuto maggiormente dalla Fonte
- diminuisce il bisogno di parlare, perché diventa molto più faticoso farlo
- di conseguenza aumenta il bisogno di silenzio e di ascolto
- aumentano la telepatia, l'empatia e il canale intuitivo
- il sentire si amplifica
E molto altro ....
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L'ASCENSIONE
di Marika Moretto
Ecco qui descritte le dinamiche inerenti al cambio di frequenza personale e collettivo, che coinvolgono il nostro corpo fisico e il nostro campo emotivo.
C'è chi è pieno di energia e chi è sfinito. Questo dipende dal bagaglio karmico di ognuno e dalle scelte fatte dall'anima prima di incarnarsi: più si è stanchi più si sta pulendo dolore personale e a un alcuni casi collettivo.
È un processo che non si può arrestare in nessun modo, in quanto abbiamo dato "l'autorizzazione per questo lavoro" prima di arrivare qui.
Quanto durerà?
Anche questo è soggettivo. Dipende da quanta disponibilità ogni anima ha dato in questo senso. È difficile quindi comprenderne i tempi necessari.
Ciò che conta davvero è non lottare contro questa trasformazione.
Anche i sintomi più difficili, abbracciamoli con tutto il cuore.
Comprendiamo in profondità che tutto questo ... è dolore che va via. Per sempre. Sentiamolo nel profondo. Questo atteggiamento aiuta moltissimo e accelera il processo. Anche questa è una prova per imparare ad arrendersi, a piegare l'ego e le sue volontà.
Tutte le sue volontà.
Stiamo rompendo e disfando tutto ciò che ci è stato "messo addosso" da questo mondo, da questa società.
Il guscio si rompe, e si rivela l'essenza di noi.
Tutti gli aspetti della personalità e dell'ego cessano di esistere.
Le maschere vengono spazzate via.
E con loro tutte le falsità. Tutte le situazioni nascoste, ambigue, confuse vengono alla luce, per essere risolte. Per essere trasformate e divenire chiare. Limpide. Giuste.
Rimane solo la Verità:
Semplice… Essenziale.
Senza fronzoli, senza ruoli, senza etichette, senza titoli, senza spiegazioni.
Pulita e accecante.
SINTOMI ASCENSIONALI:
difficoltà visive, bruciori agli occhi, acufeni, sbalzi di temperatura corporea, brividi di freddo o vampate di calore, stati febbrili, dolori muscolari, dolori alle ossa, epidermide molto sensibile a contatto con sostanze o tessuti, prurito intenso su tutto il corpo, emicranie, dolori cervicali, infiammazioni dentali e gengivali, gocciolio al naso continuo oppure forti raffreddori, lievi aritmie e tachicardie, pressione e dolore all'altezza del cuore, difficoltà digestive, nausea, inappetenza, oppure bisogno di cambiare alimentazione, forti dolori e acidità alla bocca dello stomaco, dolori all'intestino, diarrea, gonfiore addominale, interruzione oppure aumento del ciclo mestruale, mal di schiena, dolori alle ginocchia, mancanza di equilibrio nel camminare, giramenti di testa, sbalzi improvvisi di pressione, spossatezza, stanchezza, aumento del bisogno di dormire.
In tutto questo è ovvio che chi sente di consultare un medico o di ricevere aiuto attraverso la medicina deve farlo.
Io posso darvi la spiegazione energetica dei tantissimi sintomi, ma il corpo va aiutato e sostenuto nel miglior modo che ognuno crede.
C'è chi si affida ai rimedi naturali e chi alla medicina.
Entrambi vanno bene se sentite di averne bisogno.
IL CAMPO EMOTIVO:
sbalzi d'umore fortissimi e imprevedibili. ( anche riso e pianto simultaneamente ).
Lievi stati depressivi, tristezza, apatia, bisogno continuo di piangere. Nervosismo senza motivo, ansia, paure irrazionali, perdita di memoria, difficoltà di concentrazione, senso di smarrimento, profonda solitudine anche e sopratutto in mezzo alle persone.
Bisogno di isolarsi, di silenzio, di quiete, di luci soffuse.
La vicinanza con la natura e con il mondo animale è la miglior cura, e il miglior sollievo, in questo momento.
Procediamo con serenità, nel qui e ora.
Il momento presente è l'unico possibile.
Non perdiamoci nel "cosa accadrà e quando?" : ci porta allo smarrimento.
Viviamo, invece, la sacralità di ogni istante e la sua rivelazione, come un miracolo.
Perché è esattamente questo.
Stiamo cambiando Dimensione rimanendo sempre qui e sempre nello stesso corpo.
Quindi pensate a quali trasformazioni questo pianeta e noi stessi siamo sottoposti.
È effettivamente una morte fisica ma rimanendo in vita.
Muoiono parti energetiche di noi che risiedevano nel corpo fisico perché muore il Vecchio DNA.
È questo che accade.
Il nuovo DNA lo sostituisce.
E lentamente apporta modifiche in tutto il corpo, nella matrice, nei chakra ( ne apre e ne attiva di nuovi ), nei corpi sottili e nel piano mentale.
Le dinamiche più evidenti da osservare sono:
- il rallentare dell'invecchiamento (che ad un certo punto si inverte ringiovanendo)
- gli occhi cambiano colore, diventano più chiari e luminosi, effettivamente brillano di nuova energia
- diminuisce l'appetito perché il corpo è sostenuto maggiormente dalla Fonte
- diminuisce il bisogno di parlare, perché diventa molto più faticoso farlo
- di conseguenza aumenta il bisogno di silenzio e di ascolto
- aumentano la telepatia, l'empatia e il canale intuitivo
- il sentire si amplifica
E molto altro ....
Marika Moretto
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amore è il ciclo che arriva dopo 15 giorni di ritardo
#coccole#frasi belle#frasi d'amore#frasi brevi#frasi#per sempre#la vita#frasi canzoni#solo tu#amo solo te#mestruazioni#ciclo mestruale#piccole gioie#mai na gioia#sofferenza#dolore#frasi tristezza
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STOP A DOLORI MESTRUALI E IPNOSI? Ipnosi DCS unica al mondo
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El odio mas grande lo siento hacia mis cólicos, me hacen sufrirrrr😖
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@ ciclo mestruale grazie per avermi svegliata in preda al dolore alle 5:36 solo per stare male per altri tre quarti d’ora e infine tornare a dormire poiché ormai esausta. l’utero è mio e lo gestisco io è evidentemente un falso perché il mio utero ha vita propria ed è pure una persona cattiva
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Tutto quello che sapete sull’imene è falso di Giulia Siviero “L’imene si lacera alla prima penetrazione”, “l’imene causa un sanguinamento durante il primo rapporto sessuale”, “la presenza dell’imene è garanzia di verginità”: sono solo alcune delle false credenze che circolano intorno a questa parte del corpo femminile sulla quale (anche dal punto di vista anatomico) moltissime donne e moltissimi uomini hanno idee piuttosto vaghe. Sapere come è fatto un imene non solo è importante di per sé, ma smonta una serie di luoghi comuni che hanno represso o preteso di controllare la sessualità femminile per secoli. (...) L’imene è una membrana che circonda o ricopre in parte l’apertura esterna della vagina e che “separa” il vestibolo della vagina (lo spazio compreso tra le piccole labbra) dalla vagina stessa. Non sembra avere una funzione fisiologica specifica, non si trova in profondità e si presenta come una specie di piega, rivestita all’interno da un epitelio simile a quello vaginale e all’esterno da una sottile epidermide: tra questi due strati si trova un tessuto ricco di fibre elastiche, vasi e terminazioni nervose. L’imene, come ogni altra parte del corpo, cambia nel tempo (solitamente si atrofizza con l’età) e può avere consistenze e forme diverse da donna a donna: può anche non esserci, può essere più o meno elastico e più o meno spesso, può essere rosa o biancastro, può essere semilunare, anulare, bilabiato, può presentare uno o più fori o non presentarne affatto. Quando l’imene ricopre l’intera apertura vaginale può essere un problema, risolvibile comunque con un piccolo intervento che permetta al sangue mestruale di defluire. (...) L’imene e la-prima-volta Dato che l’imene non è una membrana che ottura la vagina, non è nemmeno qualcosa che si può rompere la prima volta che la vagina viene penetrata. L’imene è appunto una corona, un ripiegamento di tessuti che nella maggior parte dei casi presenta almeno un’apertura. Non può dunque essere strappato né da un pene, né da un assorbente interno, né da un dito, né da qualsiasi altra cosa. Quando si prova a inserire qualcosa in vagina si possono produrre delle lacerazioni del tessuto, ma la membrana – per la sua forma o per l’elevata elasticità – può non portarne alcuna traccia. La penetrazione può essere insomma del tutto irrilevante. La cosa che può variare con una penetrazione regolare è la maggiore flessibilità dell’imene, ma l’imene non smette di esistere né scompare dopo la prima penetrazione. Non è nemmeno provato che l’imene si possa modificare o lacerare facendo sport o andando a cavallo (altro luogo comune) perché non è comunque una membrana così fragile da esplodere come un palloncino. Diversi studi hanno infine dimostrato che le lesioni all’imene (che possono essere causate anche da un parto) guariscono rapidamente, senza lasciare traccia. La prima volta che l’imene viene sollecitato per lasciare entrare un pene (o qualsiasi altra cosa) può provocare un sanguinamento, ma sono pochissime le donne che sanguinano e questo è dovuto alla rigidità della corona vaginale o alla sua forma. La prima volta, infine, che l’imene viene sollecitato può essere dolorosa, ma di solito la fonte principale del dolore non ha a che fare con l’imene. Il più delle volte le lesioni causano comunque solo un lieve bruciore e il dolore ha a che fare con la poca lubrificazione. Il dolore che si può provare durante il primo rapporto penetrativo può essere legato al fatto di contrarre i muscoli della vagina, per l’agitazione. Sapere come è fatto un imene smonta una serie di luoghi comuni che hanno represso e preteso di controllare la sessualità femminile per secoli: innanzitutto quello sulla verginità, legato alla concezione dell’imene come fosse una specie di “sigillo di garanzia”. Parlando di imene, infatti, i dizionari o i manuali legano spesso la sua descrizione anatomica alla questione della verginità, che però non ha molto a che fare con la medicina o con l’anatomia e che, piuttosto, è una costruzione sociale e culturale. Wikipedia riporta che «la vagina di una donna vergine non può essere penetrata senza passare attraverso l’imene»; l’enciclopedia Treccani scrive che l’imene «è intatto nella donna vergine» (...) Anche nel senso comune, e fin dall’antichità, l’imene è stato associato alla verginità e di conseguenza, con un passaggio automatico, alla purezza o all’innocenza di una donna: ed è stato utilizzato per reprimere, controllare, giudicare e umiliare le donne nel corso della storia, per perpetuare miti e pregiudizi sulla loro sessualità e per mantenere salde le strutture del patriarcato. Basti pensare ai test sulla verginità praticati ancora oggi in alcuni paesi, per controllare con due dita che l’imene di una donna – e dunque la sua moralità o reputazione – sia intatto. O basti pensare all’usanza diffusa fino a qualche decennio fa anche in Italia di esporre alla finestra il lenzuolo della prima notte di nozze per mostrare, con la macchia di sangue, la verginità pre-nuziale di una donna e dunque la sua “virtù”. Volendo per un momento restare dentro al circolo paradossale e sessista del binomio imene-verginità, si può affermare con certezza che lo stato dell’imene non è comunque un fattore conclusivo dello stato di verginità. La verginità, poi, è un concetto costruito socialmente e culturalmente: non è misurabile o verificabile a livello anatomico guardando gli organi sessuali. Dunque è impossibile sapere se ne sia stata penetrata o no guardando il suo imene. Va poi notato che la cosiddetta “perdita della verginità” è stata ed è tuttora legata all’idea di un rapporto vaginale penetrativo ed etero-normato (un uomo che penetra una donna, la donna che “perde” o “concede” qualcosa). Ma ci sono anche altre pratiche sessuali, non tutte presuppongono la presenza di un’altra persona e non tutte presuppongono pratiche vaginali; e più in generale, nessuno e nessuna dovrebbe essere definita per la propria storia sessuale, che comunque non viene raccontata dall’imene.
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Quali sono le cause dei #doloriaddominali senza ciclo mestruale?
La #dismenorrea, ovvero il dolore addominale, è un problema comune che si presenta nei giorni delle mestruazioni o in quelli che le precedono…
Ma le #mestruazioni, non sono l’unica causa dei dolori allo stomaco o alla zona pelvica!
Leggi il resto cliccando il link sotto la foto 👩⚕️👩⚕️👩⚕️
#ciclo mestruale#mestruazioni#dolori addominali#mal di stomaco#mal di pancia#dolori senza ciclo#dolori senza mestruazioni#lavorare da casa#la vicina di casa#lavoro online
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