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#Coppa della Consuma
crownedstoat · 2 months
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Tazio Nuvolari, Alfa Romeo 6C1750 GS in 1930 at the Coppa della Consuma hill climb just outside of Florence.
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rallytimeofficial · 6 months
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Si apre la stagione agonistica 2024 per Targa Racing Club
🔴 🔴 Si apre la stagione agonistica 2024 per Targa Racing Club
Con l’esordio stagionale di Totò Riolo su PCR alla  Coppa della Consuma, gara che alle porte di Firenze inaugura il Campionato Italiano Velocità Salita Auto Storiche, prende il via la stagione del Targa Racing Club. (Iscriviti gratuitamente al canale Telegram di Rally Time per ricevere le notizie sul tuo telefono in tempo reale LINK)  L’Asso cerdese non vede l’ora di indossare il casco e tornare…
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italiaefriends · 3 years
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"Il Caffè per Balzac" di Elena Tempestini
“Il Caffè per Balzac” di Elena Tempestini
Anche un caffè ci ricorda che per essere buono, deve essere preparato con Arte. Honoré de Balzac diceva che: i pensieri geniali e subitanei si precipitano nella mischia come tiratori scelti dopo aver bevuto un buon caffè. Ed ecco che da settimane si è messa in moto la macchina organizzativa per la Coppa della Consuma 2022. I motori si stanno scaldando per la Coppa della Consuma, che è la gara più…
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giancarlonicoli · 4 years
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25 gen 2021 15:50
"ANCELOTTI AVEVA UN PIANO PER IL NAPOLI. MA DE LAURENTIIS NON LO HA SEGUITO E ORA NE PAGA LE CONSEGUENZE" - LA CRISI DEGLI AZZURRI INIZIA CON L'ESONERO DI ANCELOTTI E PASSA PER IL NO ALLE CESSIONI DI ALLAN E INSIGNE, IL MANCATO ACQUISTO DI IBRAHIMOVIC E L’AMMUTINAMENTO FATTO PASSARE COME UNA PROTESTA DEI CALCIATORI CONTRO IL TECNICO DI REGGIOLO - E SI E' ARRIVATI A GATTUSO CHE, IN UN ANNO, HA PORTATO SCARSI RISULTATI IN CAMPIONATO E ZERO "VELENO"
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Massimiliano Gallo per ilnapolista.it
È doveroso che noi del Napolista spieghiamo, una volta di più, perché riteniamo Aurelio De Laurentiis di gran lunga il principale responsabile della attuale condizione del Napoli. E perché consideriamo il punto di svolta, il punto di non ritorno, l’esonero di Ancelotti e non, come i sarriti indefessi ripetono, l’addio a Sarri.
Checché ne dicano gli ostinati, il divorzio tra Sarri e il Napoli è stato fondamentalmente consensuale. Sarri sapeva fin troppo bene che quel ciclo si era esaurito e che, al di là del giudizio sul campionato dei 91 punti, quell’impresa con quella squadra non sarebbe stata più ripetibile. Sarri voleva andar via anche per le sue legittime ambizioni economiche e di carriera. De Laurentiis, pur non amandolo, provò a trattenerlo dopodiché si arrese all’evidenza. I sarriti se ne facciano una ragione.
A quel punto, De Laurentiis ebbe una felicissima intuizione. Purtroppo non suffragata da una adeguata convinzione. Fu una scelta superficiale. De Laurentiis portò a Napoli forse l’unico allenatore che avrebbe potuto reggere la pressione del post Sarri: Carlo Ancelotti. In un ambiente impregnato di adorazione per il Comandante. Un ambiente completamente traviato dalla presunta bellezza, dal calcio estetico, al punto da confondere i principi elementari del gioco del calcio. Sembrava quasi che i gol e le vittorie fossero appendici, orpelli. Quel che contava erano la quantità di passaggi, le statistiche e cose che sappiamo benissimo.
Il primo anno Ancelotti fece bene, anzi molto bene. Ma persino quel secondo posto, in un ambiente malsano, ancora oggi è considerato pochissima roba. Basti pensare che chiuse il girone d’andata con 44 punti, oggi sarebbe primo. Il Napoli disputò uno straordinario girone di Champions. Altro che magnifici primi tempi col Real Madrid, il Napoli di Ancelotti sconfisse il Liverpool al San Paolo e giocò alla pari col Psg di Neymar e Mbappé: sfiorò la vittoria al Parco dei Principi e mise alle corde i francesi nel secondo tempo a Napoli. L’eliminazione a Liverpool pose fine alla prima fase dell’esperienza di Ancelotti in azzurro. Quell’anno, della vecchia guardia partì il solo Jorginho. Furono acquistati Meret, Ospina, Fabian. Ancelotti rivalutò Maksimovic completamente dimenticato da Sarri. E provò l’intera rosa a disposizione. Chiuse definitivamente l’epoca dei titolarissimi.
È nella seconda fase che si consuma il divorzio tra De Laurentiis e Ancelotti. Un rapporto che fin lì sembrava un idillio. Ma questo è un antico vizio del patron della Filmauro. Proprio come spesso accade in amore, nei primi tempi De Laurentiis seduce e coccola gli allenatori, li ricopre di attenzioni. Per poi, alle prime divergenze, progressivamente sparire e gettarli in una condizione di isolamento. Anche perché a Napoli, nel Napoli, la società è De Laurentiis. Altre figure degne di nota non ce ne sono. Fatta eccezione per l’uomo ombra di De Laurentiis, quel Chiavelli della cui rilevanza si è scritto e si scrive troppo poco. Un uomo molto influente in casa Napoli.
La seconda fase cominciò dopo Liverpool. Con l’addio di Marek Hamsik. Lo slovacco, che Ancelotti piazzò nel ruolo che fu di Jorginho, andò in Cina. Fu un colpo al cuore alla piazza malata di passatismo. A Napoli i tifosi avrebbero giocato con la squadra che fu di Sarri per altri trent’anni, fino alla soglia della pensione. Un’idea perversa che è stata alla base dell’assurdo rinnovo concesso a Mertens (33 anni) e non a Milik (26). Il club ha di fatto ripetuto l’errore commesso da Moratti dopo il triplete dell’Inter. Con la differenza che quell’Inter vinse tutto, mentre noi ci siamo appuntati la medaglia dei 91 punti e del presunto calcio più bello del mondo.
Ancelotti era l’uomo ideale per la gestione del post-Sarri anche perché – a differenza di qualsiasi altro tecnico dell’era De Laurentiis – non poneva alcun veto sulle cessioni dei calciatori. Era perfettamente consapevole che un club come il Napoli, proprio per rimanere ai vertici del calcio italiano ed europeo, aveva bisogno di vendere i calciatori con quotazioni irripetibili. Un tipo di allenatore che De Laurentiis non troverà mai più. Tant’è vero che, proprio in concomitanza con l’addio di Hamsik, gli emiri del Psg bussarono alle porte del club per Allan. Sontuosa l’offerta: 60 milioni più 20 milioni in sponsorizzazioni. E ovviamente un ingaggio da capogiro per il brasiliano. Lo stato maggiore del Napoli si riunì. Ancelotti diede il via libera alla cessione. Non perché Allan non gli piacesse ma perché a quelle cifre il calciatore va venduto e poi perché non si trattiene un calciatore controvoglia.
Erano tutti d’accordo, tranne De Laurentiis. Che poi, 18 mesi dopo, si è ritrovato a vendere Allan all’Everton (proprio di Ancelotti) per circa 25 milioni. Meno di un terzo rispetto all’offerta del Psg. Ancelotti avrebbe voluto sostituire Allan con Barella. Il centrocampista era riottoso ma i modi per provare a convincerlo ci sarebbero stati. Ma De Laurentiis tagliò la testa al toro bloccando la cessione di Allan.
Non è che Ancelotti avesse rotto con calciatori come Mertens, Callejon, lo stesso Insigne. Era però fermamente convinto che un ciclo si era concluso e che serviva un ricambio. In campo e nello spogliatoio. Il tecnico avrebbe voluto aprire le finestre e far cambiare l’aria. Più che per gli acquisti, la rottura tra Ancelotti e De Laurentiis è avvenuta sulle cessioni. Sull’idea del Napoli del futuro. Tra gli uomini che Ancelotti avrebbe fatto partire c’erano anche Hysaj, Ghoulam, lo stesso Mario Rui. E l’addio di Raiola a Insigne, certamente non il contrario, avvenne quando Mino capì che le pretese di De Laurentiis e del giocatore per una eventuale cessione erano decisamente fuori mercato.
Finì che rimasero tutti. Alcuni controvoglia. E alcuni, tanti, con situazioni contrattuali pendenti. Troppi. Errore madornale di De Laurentiis che non ebbe il coraggio di cambiare. Checché se ne dica, Adl ha tanti meriti (e noi glieli riconosciamo tutti, con gratitudine) ma non è un imprenditore coraggioso. È un imprenditore accorto, che a Napoli ha fatto benissimo. Sempre col suo passo. Anche comprensibilmente, visto che i soldi sono suoi. Ma in questo caso il conservatorismo gli si è ritorto contro. Non ha venduto i calciatori quando era il momento di venderli e oggi si ritrova una rosa decisamente deprezzata.
Il secondo anno, degli uomini chiesti da Ancelotti arrivarono soltanto Manolas e Lozano. E lo spogliatoio rimase con gli stessi capi-bastone. In più, come detto, tante situazioni contrattuali irrisolte: Mertens, Callejon, Maksimovic, Zielinski, Allan, Hysaj, Milik e forse qualcun altro che dimentichiamo. È in questa situazione che la decisione del ritiro – che De Laurentiis fece calare dall’alto – provocò l’ammutinamento. Il malessere dello spogliatoio contro De Laurentiis, deflagrò in modo clamoroso. Successivamente il Napoli provò a presentare quell’ammutinamento come una protesta dei calciatori contro Ancelotti. Si trattò, e ancora si tratta, di un clamoroso falso storico. Fu un atto di insubordinazione nei confronti della società. Che poi, sbagliando tutto quello che poteva sbagliare, ha finito col perdonare i calciatori e cacciare l’allenatore.
Tra l’altro, pochissimi giorni dopo l’ammutinamento, proprio Ancelotti parlò con i giocatori che erano pronti a chiedere scusa a De Laurentiis. Era il giorno dell’allenamento al San Paolo. Ma il presidente, dopo aver inizialmente acconsentito, misteriosamente si tirò indietro e cominciò la storia delle multe che poi è rimasta lettera morta.
Infine Ancelotti, prima di essere esonerato, aveva convinto De Laurentiis a prendere Ibrahimovic. Il tecnico emiliano aveva capito perfettamente che serviva una guida in campo e nello spogliatoio, un fuoriclasse in grado di trascinare il gruppo fuori dalle secche. È finita come sapete. Il Napolista ve l’ha raccontato con dovizia di particolari (qui e qui).
De Laurentiis mandò via Ancelotti e ingaggiò Gattuso che venne presentato come l’uomo che avrebbe riportato il sarrismo a Napoli. Si è provato a montarlo mediaticamente. C’è stata una poderosa azione di propaganda sulla magnificenza degli allenamenti di Gattuso, su Ancelotti che invece non li faceva lavorare. Si è giocato molto sull’arretratezza mentale dell’ambiente Napoli che infatti ha abboccato. Oltre la vittoria della Coppa Italia, però, il campo ha certificato più dolori che gioie. L’unico veleno è stato quello somministrato ai tifosi. In più, ci si è messo il Covid a rovinare i piani di De Laurentiis. Molte cessioni sono state bloccate. Mentre in entrata il Napoli ha speso circa 150 milioni tra Osimhen, Politano, Petagna, Lobotka, Demme, Rahmani, più Bakayoko.
Adesso, quattordici mesi scarsi dopo l’esonero di Ancelotti, De Laurentiis si ritrova ancora il Napoli settimo in classifica (come al momento dell’addio al leader calmo), con una rosa il cui valore si è praticamente dimezzato, senza un’idea di gioco, con uno spogliatoio privo di leader e senza una reale programmazione per il futuro. Senza un’idea del Napoli. È questo che noi del Napolista intendiamo per responsabilità di De Laurentiis. Poi certo potremmo parlare a lungo di Gattuso e di Giuntoli.
Ma è stato De Laurentiis ad essersi affidati a loro. Ed è questo che intendiamo quando scriviamo che Ancelotti era l’unico ad avere avuto un’idea di futuro. Aveva un piano per il Napoli. Ma De Laurentiis non lo ha seguito. E ora ne sta dolorosamente pagando le conseguenze. È stato il classico caso di divergenze di vedute tra l’amministratore delegato (Ancelotti) e il proprietario dell’azienda.
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ilahinur · 8 years
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Le DAKINI (Ricerca basata in parte su un testo di Judith Simmer-Brown)
fonte: https://pochaontas.jimdo.com/galleria-delle-dee-oriente/
   La Dakini è una figura di divinità femminile diffusa sia nell'Induismo che nel buddismo.    Nel mondo Indu, la Dakini è associata alla Dea Kali, in genere nella forma di demone femminile che la assiste, e a Kali    rimandiamo per la sua trattazione. Parleremo qui invece della Dakini in ambito buddista.        Dakini è una traduzione della parola tibetana "khandro", che letteralmente significa "colei che va in cielo", o "colei che si muove nel cielo".    In termini più poetici, Ella è detta "la Danzatrice del Cielo" e per tale appellativo è stata assimilata qui in occidente alle figure celesti angeliche.    Colei che danza nel cielo, che è libera, libera grazie all'aver superato gli ostacoli e i limiti della mente comune.    Le Dakini - perchè Dakini in realtà è plurale, una pluralità di Dee, una pluralità di forme della Dakini, incarnazione del femminile divino - sono diverse fra loro come possono esserlo le singole    fiamme dell'unico fuoco che nell'iconografia la circonda. Sono la conoscenza e il potere magico.    Come aiuti spirituali, sono in grado di risvegliarele forze dormienti che giaciono nel profondo.    Le Dakini hanno la natura del fuoco e dell'acqua: sono il fuoco della conoscenza che disperde l'illusione e sono forme fluide, in grado di sciogliere le parti di noi che si sono irrigidite.        In generale, la dakini rappresenta il flusso sempre mutevole di energia su cui chi pratica la meditazione deve lavorare per arrivare alla realizzazione. Può assumere sembianze umane, apparire    come una Dea - pacifica o aggressiva - o essere percepita semplicemente come l’eterna manifestazione dell’energia nel mondo fenomenico.        La dakini è probabilmente la più importante manifestazione del principio femminile nel buddhismo tibetano.    Secondo l'insegnamento tibetano, il principio femminile si compone di due aspetti principali: la Madre e la    Dakini.    In quanto principio femminile, questi due aspetti liberano la mente del praticante dagli schemi abituali teorici e li portano nel campo dell' esperienza immediata del mondo dei fenomeni .    L'aspetto della dakini è direttamente legato al primo aspetto del principio femminile, il principio materno, che rappresenta la purezza non-nata della madre di tutti i fenomeni, ma lo coniuga    anche con la potenza del discorso logico.        Molte donne illuminate della tradizione buddista tibetana sono state riconosciute come incarnazioni di una dakini. Spesso esse avevano, della dakini, il potere oracolare. Per lo più tali donne    mostrano una predilezione per l'abitare solitarie in una caverna, luogo del femminile archetipico.
   Iconografia, immagini, manifestazioni e incarnazioni        La dakini è rappresentata per lo più in forma di donna nuda o seminuda, in posa danzante o attiva (colei che si muove, che danza , abbiamo detto), con un numero variabile di    braccia.    E' in genere inserita in un cerchio di fuoco, di fiamme. Ha spesso una collana di teschi e/o decorazioni di teschi. Può avere unghie simili ad artigli.    Tre sono gli oggetti principali che di solito appaiono nella rappresentazione della dakini: il coltello uncinato (kattari), il bastone con il tridente (katvanga), e la    coppa-teschio colma di sangue (kapala).        Il coltello uncinato a mezzaluna della dakini (che la associa all'astro lunare), con il manico a vajra, nell'interpretazione tibetana fa uscire dalla sofferenza, taglia a pezzi il sé    centrato nell'io ed è guidato dalla chiarezza adamantina della conoscenza.        Il katvanga, il bastone, rappresenta il consorte segreto maschile della dakini. Tenendo il katvanga la dakini dimostra di aver incorporato il principio maschile dentro di lei e    che questa energia è a sua disposizione. Grazie a questo bastone ha il potere di stare da sola, da cui la predisposizione all'autonomia e all'isolamento delle dakini incarnate.        La dakini che tiene il bastone, come suo consorte, può essere fonte d'ispirazione per la donna nella nostra cultura, dove non sono comuni immagini di questo tipo del principio femminile con cui    identificarci. È evidente che la nostra cultura ha dissuaso la donna dall'affermare la propria potenza femminile. La donna non è incoraggiata a considerare le sue asserzioni e la sua ira in modo    positivo, mentre per secoli è stato trasmesso che è bene che il femminile sia docile e mai minaccioso.        Più in generale, se consideriamo la dakini quale principio femminile come sottile flusso di energia che attraversa tutto il mondo fenomenico e quindi in primo luogo la natura, quando qualcuno si    comporta in modo da disturbare l'energia della terra, anche il principio della dakini sarà offeso, e ciò porterà malattie, carestie e guerre. Anche in questo caso la dakini si manifesterà nella    sua energia irata.        Al di là dell'iconografia cui fa riferimento la meditazione formale sulla dakini, c'è la spontanea manifestazione della dakini nella vita di tutti i giorni, l'incarnazione della dakini. Nelle    biografie delle dakini e nelle storie dei grandi santi del Tibet, la dakini appare in momenti particolari. Tali incontri si rivelano spesso come una sfida sottile e penetrante al praticante    concettualmente fissato. Si possono manifestare attraverso una dakini umana, attraverso un sogno o una visione simile al miraggio, che svanisce dopo che il messaggio è stato comunicato. Questi    incontri hanno spesso una qualità concreta, pratica e penetrante, che è tagliente e terrificante. Attraverso il contatto con la dakini si aprono le facoltà dell' intuito e si manifesta la    conoscenza; se tali energie non vengono rese attive, la pratica rimane qualcosa di amorfo e intellettuale.        La giovinetta scherzosa e la megera    Le dakini si manifestano in questi momenti particolari con volti diversi, fra i quali spiccano due aspetti, che ci ricordano le innumerevoli dee dal duplice volto, quello luminoso e quello    oscuro, quello diurno e quello notturno, delle tradizioni mediterranee e nordeuropee.        La dakini può giungere con l'apparenza della giovinetta:    La dakini crea anche un senso di vicinanza e gaiezza scherzosa che può rivelarsi terrificante. Come afferma Trungpa Rinpoce:    La giovinetta scherzosa è sempre presente. Ti ama e ti odia. Senza di lei la vita sarebbe una noia continua. Ma continuamente ti gioca scherzi. Quando vuoi liberarti di lei si aggrappa. Liberarti    di lei significa liberarti del tuo stesso corpo, tanto ti è vicina.    Nella letteratura tantrica si parla del principio della dakini. Alla dakini piace scherzare: gioca d'azzardo con la tua vita.    Altre volte la dakini giunge al sagggio in meditazione con l'apparenza della vecchia megera:    Nella vita di Naropa si narra di un incontro che egli ebbe con una dakini nelle sembianze di una donna vecchia e brutta.    Era una vecchia con 37 elementi di bruttezza: gli occhi erano rossi e profondamente incavati; i capelli colore rosso giallastro e scarmigliati; la fronte larga e sporgente; il viso aveva molte    rughe ed era raggrinzito; le orecchie lunghe e pesanti; il naso storto e infiammato; aveva una barba gialla striata di bianco; la bocca storta e aperta; i denti rivolti in dentro e marci; la    lingua faceva movimenti di masticazione e inumidiva le labbra; fischiava quando sbadigliava; piangeva e le lacrime le scorrevano giù per le guance; rabbrividiva e ansimava per riprendere fiato;    la sua carnagione era di colore azzurro scuro; la pelle ruvida e spessa; il corpo curvo e obliquo; il collo piegato. Era gobba ed essendo zoppa, si appoggiava a un bastone.    "Che cosa stai facendo ?" disse la vecchia a Naropa. "Studio i libri della grammatica, l'epistemologia, i precetti spirituali e la logica".    "Li capisci?". "Si". " Capisci le parole o il senso?". "Le parole ".    La vecchia fu deliziata da quella risposta, si scuoteva dal ridere e cominciò a danzare brandendo in aria il bastone. Pensando che avrebbe potuto sentirsi ancor più felice, Naropa aggiunse:    "Capisco anche il senso".    Ma allora la donna prese a piangere e a tremare e buttò in terra il bastone. "Come mai eri felice quando ho detto che capivo le parole, ma ti sei rattristata quando ho aggiunto che capivo anche    il senso?". "Mi sono sentita felice perchè tu, che sei un grande dotto, non hai mentito e hai ammesso francamente di capire soltanto le parole. Ma mi sono sentita·triste quando hai mentito    affermando di capire il senso, che tu non capisci".    "Allora chi capisce il senso?". "Mio fratello Tilopa". " Presentami dunque a lui, dovunque egli possa essere". "Vai tu da solo, fagli i tuoi omaggi e pregalo di farti arrivare ad afferrare il    senso".    Con queste parole la vecchia scomparve come un arcobaleno nel cielo.    Questa visione scosse Naropa poiché la dakini gli aveva rivelato senza misericordia che, solo con una conoscenza analitica, non si raggiunge il cuore dell'argomento. Tutto quello che Naropa aveva    trascurato e mancato di sviluppare gli fu rivelato dalla dakini nelle sembianze della megera vecchia e brutta.        Le dakini trasmettono direttamente attraverso l'esperienza di vita, anziché tramite complicate disquisizioni filosofiche. Per questa ragione la dakini è in relazione agli insegnamenti tantrici    che hanno a che fare direttamente con l'energia del corpo, della voce e della mente, pittusto che con gli insegnamenti sutrici più intellettuali.
   La dakini è la divinità che incarna della saggezza, il potere di chiarezza indistruttibile, in quanto essenza di ogni esperienza.    Essa non è più puro spazio (quello spazio che rappresenta la madre) , ma l'ardente energia del risveglio che proviene dalla saggezza della purezza.        L a dakini nella tradizione buddhista ha subito una trasformazione che l'ha resa diversa dalla sua omonima induista, con la quale, abbiamo visto, condivide parte dell'iconografia, una    trasformazione che la rende colei che si pone all'interno della concettualità, dell'egocentrismo, della mente limitata e consuma l'illusione con un ardore che conferma il suo indistruttibile    risveglio.        Personifica il carattere sacro inerente e tutti i fenomeni, a ciò che appare, ha ciò che si manifesta, e ha il potere di ricordarlo alla mente del praticante.        L'essenza della dakini è espressa nel suo essere "Colei che danza nel cielo". Come il cielo essa è l'essenza dello spazio infinito; la sua manifestazione è dinamica: qualcuno che è in movimento,    che danza o che cammina.    Essa è quindi la manifestazione dinamica della saggezza, la purezza non-nata che appare in tutte le esperienze.    Le sue qualità penetranti ci ricordano la purezza fondamentale e il potere dell' esperienza ordinaria.          Dakini e la tradizione orale, il soffio delle dakini    Il ruolo fondamentale della dakini è quello di essere guardiana delle istruzioni orali e degli insegnamenti esoterici.    Le dakini sono le ispiratrici della trasmissione dal maestro al discepolo e ne proteggono l'integrità attraverso le loro qualità irate.    In questa trasmissione orale, chiamata Lignaggio mormorato, è essenziale che questi potenti insegnamenti personali siano trasmessi sotto buoni auspici.    Per questi motivi le dakini garantiscono che:    gli insegnamenti siano concessi in un ambiente appropriato;    l'insegnante sia un guru qualificato;    i discepoli abbiano devozione e rispetto;    i tempi siano maturi;    che gli insegnamenti siano appropriati nel contenuto e nella forma alla situazione nel suo insieme.    Quando queste condizioni sono unite all'intensa devozione, le dakini sostengono l'insegnamento e vengono invocate e venerate dal guru e dal discepolo. Milarepa, a proposito delle    istruzioni orali, disse: gli insegnamenti del lignaggio mormorato sono il soffio della dakini.        Nel caso dei terma, o tesori d'insegnamenti nascosti, la tradizione tibetana racconta che Padmasambhava confidò alle dakini insegnamenti scelti, celati e dissimulati per una scoperta e    una propagazione futura.    Il segreto di questi insegnamenti venne protetto dal codice segreto delle dakini, nel quale erano trascritti, per essere rivelato quando fosse giunto il momento opportuno. I testi sono di fatto    incomprensibili per chi non ha ricevuto la trasmissione spirituale che permette di decifrarli.    Nelle circostanze e nell'ambiente adatto, il codice delle dakini risveglierà la trasmissione nella mente del praticante perspicace e gli insegnamenti diverranno immediatamente    comprensibili.        In quanto guardiane dell'integrità degli insegnamenti, le dakini sono la manifestazione dell'essenza della mente della saggezza dei buddha: esse garantiscono che il giusto significato sia    trasmesso, con tutto il potere e l'intensità che ne caratterizzano la sua autenticità. Per questa ragione, all'assemblea delle dakini viene chiesto di di aprire le porte della saggezza della    mente.        Altri miti e racconti    Qualche volta la dakini si manifesta come guida spirituale o come maestro e insegna in molti modi. Secondo le biografie tradizionali, molto spesso la dakini sostiene e benefica lo yogi o la    yogini scoraggiati; qualche altra volta si manifesta, invece, per mettere alla prova il praticante sulla sua reale motivazione.    Può ricorrere a dei metodi molto impressionanti e non convenzionali per istruire lo yogi o la yogini, creando un caos che mette in luce le rimozioni e le zone d'ombra, provocando un immenso    dolore, così come una immensa chiarezza.    Nel celebre aneddoto del mahasiddha Naropa che abbiamo raccontato, la dakini gli appare sotto l'aspetto di un'orribile megera che lo sbeffeggia in quanto, sebbene erudito, non ha    compreso il vero significato degli insegnamenti e gli suggerisce di trovarsi un guru qualificato come maestro.        Come maestra/consorte, la dakini ha la capacità di unire lo yogi e la sua natura più intima, in una maniera molto diretta e potente. L'unione con la consorte, risveglia nello yogi realmente    pronto, l'esperienza della natura vajra che taglia le interferenze sul cammino.. Con un addestramento adeguato, la sessualità diventa uno strumento potente di liberazione dei canali    fisici sottili e crea la via reale per l'illuminazione ultima.    Durante il suo terzo viaggio in India, Marpa il traduttore fu inviato da Naropa presso Vajrayogini, chiamata "consorte co-emergente", per ricevere conferma sulla sua comprensione degli    insegnamenti. Quando si incontrarono la dakini lo benedisse nell'unione e gli rivelò l'essenza ultima degli insegnamenti mahamudra.        Nell' aspetto di ydam (forma abbreviata di yid-kyi damtsig o legame sacro della mente) , divinità personale che aiuta la scoperta della vera natura della mente, la dakini    insegna nel modo più potente. E' lo ydam che lega irrevocabilmente il praticante alla chiarezza luminosa che è in lui.    Come ydam, la dakini è la forma protettrice della pura saggezza della mente del praticante, indissolubilmente a lui legata, benché esistente separatamente.        Vajrayogini, Dakini -Ydam    Vajrayoghini, la personificazione della vacuità vajra, è la forma più celebre della dakini-ydam.    La si visualizza semi-irata, di colore rosso vivo, adorna di ornamenti macabri.    E' la passione che brucia con ardore il combustibile delle interferenze emozionali e si manifesta nell'ambito dell'egocentrismo.    In quanto divinità semi-irata, ha il potere di disgregare immediatamente i veli dell'oscurantismo; brandendo il kattari, essa taglia le illusioni egoiche. Inoltre, attraverso la sua    figura di passione, invita il praticante e lo inebria.    Nella sua mano sinistra essa sostiene una calotta cranica che contiene amrita inebriante.        Vajrayoghini concilia in sé i due aspetti del principio femminile: la madre e la dakini.    E' conosciuta come Prajnaparamita, madre del vincitore dei tre tempi, non-nata, senza fine, dotata di una natura simile al cielo, che può essere sperimentata solo dalla saggezza del    discemimento.        Essa è anche conosciuta come consorte co-emergente, o saggezza simultanea.    In termini di principio femminile la saggezza co-emergente implica il riconoscimento dei fenomeni per quello che essi realmente sono, privi della necessità di concettualizzazione o di    interpretazione.    Vajrayoghini personifica i fenomeni che spontaneamente sono emersi nella realizzazione della saggezza nella mente del buddha.        Le dakini e la natura femminile    I lama tibetani affermano spesso che certe donne, fuori dal comune, sono delle dakini. li femminile non è un principio astratto; esso si manifesta    costantemente, in maniera specifica, nella realtà umana relativa.    Un verso della Prajnaparamita dice:        non dubitare della donna, adorala!        Nella sua vera natura è Bhagavati, perfezione di saggezza e, in questo mondo empirico, Bhagavati ha assunto una forma femminile.    La natura femminile nel contesto della tradizione vajrayana è spaziosità, che significa saggezza, nel caso della madre; in più, è l'ardente, appassionata ed energica attività destinata a    risvegliare gli altri alla spaziosità e alla purezza fondamentale, nel caso della dakini.        L a dakini, abbiamo visto prima, tiene il bastone, incorpora cioé il suo lato maschile.    Per il femminile che si ispira alla dakini ciò significa che non è precluso un rapporto positivo e appassionato con un uomo reale. Piuttosto, la forza che essa acquista incorporando l'aspetto    maschile in sé, bilancia la polarità interiore di energie e la rende maggiormente disponibile a una relazione genuina. Anziché considerare il suo compagno da una posizione di povertà (la bella    addormentata che deve essere svegliata dal principe), essa è già sveglia e ,danza e non ha bisogno di succhiare l'energia dal consorte per trovare l'equilibrio. E in grado di dare e di ricevere    grazie a una condizione di totalità e di ricchezza. In questo modo riesce a evitare relazioni che si rivelerebbero dolorose e masochistiche.        La saggezza del principio femminile inoltre comprende la natura ultima della mente che non è né maschile né femminile. La dualità fra maschile e femminile sottolinea l'attitudine del    vajrayana nei confronti dei fenomeni. li samsara non è un problema da risolvere: è una realtà della quale bisogna gioire.    La dualità del femminile e del maschile sono delle realtà gioiose, che ricordano la felicità innata nella dualità dei fenomeni.    La passione vissuta dagli uomini e dalle donne avvicina alla felicità della realizzazione assoluta.
   L'importanza di un contatto intimo con una dakini che    abbiamo incontrato nei racconti della dakini quale consorte co-emergente, che benedice nell'unione, ci introduce al tema del tantra, quello dell'importanza dello yoga del sesso, che aprirebbe    ulteriori aree di consapevolezza e di conoscenza, ma si tratta di un tema 'delicato' nel buddismo tibetano...
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bisognascrivere · 8 years
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Le fantastiche avventure di Totò Macchinina
Primo di due figli, vive con la madre, il padre, il fratello piccolo ed il cane Charlie in un bilocale al terzo piano dello stabile dove abito. Trent'anni, la faccia poco sveglia, i segni sul viso a perenne memoria dell'acne giovanile. Cammina a piccoli passi, ciondolando, senza mai sollevare i piedi da terra. Ha sempre una mezza sigaretta di drum in bocca, con la quale impesta l'aria che lo circonda. Ma il suo segno distintivo, quello che lo rende sgrauso, molesto ed allo stesso tempo unico è l'auto. Anche se auto sarebbe già un complimento. Il nostro Totò guida una macchinina 50cc di cilindrata. Come i sedicenni figli di papà, che la ricevono in regalo al posto del motorino. Quattro ruote, due posti, niente casco, stereo e niente freddo d'inverno. Ai miei tempi non esistevano, la cosa che più ci si avvicinava era l'Ape Piaggio. Tre ruote e tanta ignoranza. Una ragazza non l'avresti caricata nemmeno sotto tortura. Meglio di gran lunga il motorino e il vento nei capelli. A differenza dei sedicenni per bene il nostro Totò ha qualche primavera in più e vederlo a bordo della sua mini macchina significa una sola cosa: niente patente. Le ragioni possono esser le più varie anche se, malignamente ma verosimilmente, credo non abbia mai superato l'esame. E chissà quanto tentativi. Già me lo vedo, a scuola guida come uno di famiglia. Il veterano. Che esame dopo esame ancora un po' lo facevano socio con tutti i soldi investiti. Per nulla. Ma Totò non si abbatte, compra la sua macchinina e si tuffa nel fiume del traffico di periferia. Grigio topo il colore prescelto, plastica il materiale con cui è fatta la carrozzeria. In un crash test avrebbe miglior fortuna un passeggino. Lui però, fiero e caparbio, nella sua macchinina ci crede. La coccola e se ne prende cura con amore ed attenzione. Spesso mi capita di incontrarlo mentre esco di casa: l'immancabile sigaretta in bocca, ronza attorno all'auto accesa come un moscone. La guarda, l'annusa. Il cocktail drum e benzina è inebriante, il rumore è invadente e squillante. Ma lui, a differenza mia che la maledico ogni volta per il puzzo, è accecato dall'amore. Capita di vederlo sdraiato sotto di lei, sul ciglio della strada, a smanettare freneticamente. A fargli compagnia a volte è il fratellino, che seduto al posto di guida sgasa e con la manopola del volume dello stereo cerca di sovrastare con la musica il fracasso del motore. Non si capisce più niente. Dopo un po' di tempo passato a trafficare sotto al cofano, tra smadonnanenti vari,  Totò riemerge vittorioso: la riparazione ha avuto successo! Metti di nastro isolante nero vengono puntualmente consumati per la causa. Lui, provato ma felice, è ricoperto di grasso e cenere, e se non fosse per l'accento siciliano lo scambiereste per un minatore cileno, dopo giorni di prigionia nel ventre della terra. La parte in assoluto più curata, però, è l'impianto stereo. Il pannello che separa l'abitacolo dal minuscolo bagagliaio è ovviamente munito di grosse casse che unite a quelle nel cruscotto completano l'opera. Quando la mini macchina sfreccia, nella sua lentezza cronica, il tunz tunz gracchiate arriva a metri di distanza, anche a finestrini chiusi. Nell'abitacolo-loculo rimbomba tutto. Le vibrazioni del motore e delle casse scuotono la carrozzeria e l'auto procede in balia dei tremori e dei sussulti. Il freddo dell'inverno la tinge di bianco ghiaccio all'esterno e di umida condensa all'interno. Quando Totò mi incrocia per strada strombazza per attirare la mia attenzione e la sua mano si agita dietro al vetro appannato. Ecco, forse è il clacson la cosa più ridicola. Sembra una pernacchia, una trombetta strozzata, un campanello moscio, che rende la macchinina ancora più triste e svilita.
Totò e i vecchi Trovar parcheggio sotto casa a volte può essere un'impresa. Con due scuole a pochi passi, il divieto di sosta è sempre un'opzione da tenere in considerazione. Maestri del parcheggio azzardato sono i vecchi che frequentano il centro anziani, proprio attaccato al nostro palazzo. Complici la mancanza di diottrie che li affligge, la mancanza di fluidità nelle manovre e una buona dose di rincoglionimento misto a vino, i vecchi ci regalano parcheggi inguardabili. Di traverso, sulle strisce pedonali, sul marciapiede, in doppia fila. Lì guardo sconsolato mentre, affannati e rallentati, cercano di incastrare le loro vecchie utilitarie una dietro l'altra. Possono volerci diversi minuti per un parcheggio, ma alla fine riescono sempre. Queste scene si ripetono frequentemente vista l'elevata affluenza ed il numero di eventi in programma al centro. Tornei di scala 40, mega mangiate, partite di coppa alla TV. E serate danzanti della domenica, che poi sono il momento di massimo splendore, l'evento principale che scandisce la settimana e richiama decine persone.
Coppiette tirate a lucido, improfumate ed agghindate a festa fanno capolino a partire dalle sette di sera. Se vuoi parcheggiare sotto casa sai che quella è l'ora limite, guai a muover la macchina dopo quell'ora, potresti dover parcheggiare a chilometri di distanza! E fino a quando suona l'orchestra rimangono tutti dentro, a bere, mangiare e ballare fino a tardi. Scatenati e pimpanti fino a dopo la mezzanotte, a roteare e saltellare sulle note dell'immancabile fisarmonica.
Ed è proprio nel tardo pomeriggio di una domenica d'autunno che si consuma lo scontro tra Totò e i vecchi. La macchinina, posteggiata dal mattino davanti al centro anziani, si trova ora, a causa dell'anarchica disposizione delle auto, a cavallo di due posti. Spostandola si ne può recuperare uno. Questo il pensiero che inizia a girare di bocca in bocca tra una gruppetto di anziani avvinazzati usciti a prendere una boccata di nicotina. Il gruppo, in un attimo, passa dalle parole ai fatti. A spintoni e ondeggiamenti la macchinina lentamente si sposta in avanti liberando così un parcheggio. Ma mentre i vecchi, soddisfatti del loro operato, hanno ancora mani appoggiate al tettuccio dell'auto, ecco uscire di casa Totò, in compagnia del padre. In un attimo, il putiferio. Raggiunto il manipolo di anziani Totò, in pieno stile terrone, caccia una scenata pazzesca, condita di urla, insulti e minacce. I suoi rivali, dal canto loro, gli rimproverano di aver parcheggiato male, biascicando uno stretto dialetto brianzolo incomprensibile per Totò. Ma la macchina è ferma lì dal giorno prima e forte delle sue ragioni Totò rinfaccia ai vecchi mesi di parcheggi sconsiderati. I toni si accendono. Qualcuno si affaccia alla finestra, altri escono dalle case per cercar di decifrare le cause di quell'eccessivo trambusto. Totò stringe i pugni, il padre a stento lo trattiene. Si avvicina all'auto, la controlla centimetro per centimetro ed ecco che i suoi occhi si illuminano. Di rabbia, di furbizia, di opportunismo (scoprirò in seguito). Indica due crepe nella carrozzeria all'altezza della ruota anteriore, poi si gira e punta lo stesso dito verso i vecchi. Lì accusa di aver rovinato il suo gioiellino e ora pretende un risarcimento. Gli anziani scoppiano in una fragorosa risata catarrosa e dopo averlo spernacchiato fanno rientro nel centro ponendo fine alla bagarre. Totò, sconfitto e deriso, sale in macchina col padre e si allontana. Io, che ho assistito alle ultime schermaglie, mi guardo attorno e ormai solo in mezzo alla strada mi dirigo verso il portone, lo spettacolo è finito. L'occhio mi cade però sulla finestra della vicina del primo piano che passa le sue giornate a guardar fuori, attenda ad ogni minimo avvenimento. Mi strizza l'occhiolino e mi fa segno di salire. Mi aspetta sul pianerottolo. Come immaginavo, ha assistito alla scena dagli albori e ne ripercorre ogni istante, dilungandosi sui dettagli. Si copre la bocca con la mano per la vergogna e si fa il segno della croce quando è costretta a ripetere le bestemmie che risuonavano nella strada. Sua è anche la sentenza definitiva: la macchinina era già rotta, la colpa non è dei vecchi, Totò c'ha provato e gli è andata male.
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personal-reporter · 5 years
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La medievale Fiera di San Damiano di Montesegale in Oltrepò rinviata per maltempo, torna domenica 29 settembre.
La storia, la tradizione e il folklore di questo paese rivivono ogni anno in occasione della Festa di San Damiano di Montesegale, che anima uno degli angoli più caratteristici dell'Oltrepò Pavese. Tra le colline dell’Oltrepò Pavese, si respira l’idea del Medioevo. Non solo perché il castello del XII secolo domina il paese e le sue 21 frazioni, ma anche per un paesaggio che regala splendidi scorci a tratti ancora incontaminato, con la vista che spazia a 360 gradi dominando colline, filari di uva, campi coltivati a frumento che riportano al nome del paese. Durante la manifestazione, nello splendido scenario del castello di Montesegale, viene riproposta la rievocazione storica contenente spaccati di vita del medioevo, ed eventi specifici su libero adattamento di documenti storici, come per esempio la cerimonia dell’investitura del conte Gambarana. Il castello di Montesegale è il teatro naturale e l’attore principale dell’evento. Si cerca ogni anno di ricreare un’atmosfera di tempi lontani, con la presenza di tantissimi figuranti e numerosi gruppi storici. Il pubblico si cala in un borgo storico e di suggestione tipico di altri tempi, per far rivivere con scene, azioni e aspetti coreografici, momenti di cultura storica e spettacolo caratteristici e unici. A seguire festeggiamenti con manifestazioni, giochi, prove di abilità ed esibizioni spettacolari. Danze, canti, sfide e prove di destrezza, scandiscono la giornata, mentre il pubblico segue le esibizioni e nel contempo visita le postazioni che ricreano il borgo e il mercato medievale. Un appuntamento cult dell’autunno dell'Oltrepò Pavese che attrae ogni anno un grande numero di visitatori. Nelle vie di Montesegale troveranno spazio, stand enogastronomici presenti lungo tutto il percorso, giochi e mestieri dell’epoca, spettacoli itineranti, esibizioni di giocolieri, balestrieri e spadaccini, che rappresentano il meglio della Fiera di San Damiano. Durante la giornata vengono proposte degustazioni del Salame di Varzi D.O.P. e di prodotti De.Co. (Denominazione Comunale). Tra i salumi spicca la Mundiôla, una specie di coppa magra ottenuta dai muscoli cervicali del suino che forniscono particolare delicatezza all’insaccato e il Salàam da cöta classico della cucina invernale, insaccato con cotenne in budello bovino. Si consuma dopo una lenta cottura in acqua salata. Il Pansegale, pane ottenuto dall’impasto di farine di segale e frumento con uva passa, fichi e noci. La Trêsa, pane di pasta dura ottenuto attraverso una lavorazione manuale e una lievitazione lenta su assi di legno. E per chiudere la Torta di mandorle di Montesegale, antica ricetta di cent’anni fa, che veniva preparata per la festa patronale della frazione Languzzano. E' l'occasione per andare alla scoperta di un territorio come l'Oltrepò e di un borgo ricco di storia. Montesegale infatti ha una forte tradizione d'arte, con mostre, rassegne, presenza di scultori, pittori che hanno lasciato traccia nel borgo. In un’antica casa posizionata nelle mura del castello, abitava Raffaele de Grada, uno dei più importanti storici dell’arte del Novecento e la sua presenza ha richiamato a Montesegale personaggi della politica e della cultura. Una presenza che si è intrecciata con quella del proprietario del castello, Ruggiero Jannuzzelli, imprenditore e mecenate. Nel castello di Montesegale trova sede il Museo d’arte contemporanea: tre grandi gallerie all’interno delle quali sono state allestite negli anni mostre e incontri con i più grandi maestri dell’arte contemporanea italiana e straniera. Al castello hanno lavorato e soggiornato negli anni: Boris Mardesic, Giulian Schnabel, Salvatore Fiume, Guido Razzi, lo scultore Mario Robaudi, filosofi e teologi. Una delle ultime “tracce d’artista” è il Dolce far nulla, opera del pittore Omar Hassan. Una panchina dipinta dal giovane artista e collocata in un punto dal panorama straordinario, allo scopo di celebrare La Natura. Da visitare anche la chiesa parrocchiale dedicata ai Santi Cosma e Damiano, già nota nel 1523. Read the full article
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Martedì 6 agosto
[08:12 – Roberta] Data storica oggi [NdR – bomba atomica su Hiroshima, per inciso anche morte di Paolo VI] che tocca il cuore e spinge chi è ancora Vivo o lo è diventato a difendere la vita umana.
[08:57 - Chiara De Macchi] Dall'alto di un aereo transcontinentale la terra sembra piccola: presto sarete qui, di nuovo sopra l'equatore e l'uccello meccanico che vi riporta a casa è la prova tangibile delle possibilità e dei disastri che l'uomo può generare. La Terra sembra piccola vista dal Cielo eppure è immensa. Sembra un gioiello verde azzurro nella notte dello Spazio eppure ogni creatura che ci vive lotta quotidianamente per la sopravvivenza e la supremazia. A partire dai virus fino ad arrivare all'uomo in una catena che può anche portare all'autodistruzione, perché la materia non ha sentimenti, solo necessità e reazioni obbligate. Ma in tutto questo, nella fredda, calcolatrice Biologia, Qualcuno ha messo una scintilla di Coscienza. E dunque...con questo fuoco (a volte solo una lucina asfittica, a volte un generoso falò) l'essere umano deve sempre fare i conti. In qualche caso la Coscienza produce più danni dell'inconsapevolezza. Più spesso dà vita agli eroi. Ma quando sarete atterrati qui, pienamente parte del 20% del mondo che spreca, si affanna e consuma, ricordate i sorrisi e la contentezza di chi non ha altro che la vita, precaria pure quella. Ama il tuo prossimo, ma non cercare di renderlo come te, fai del tuo meglio per vivere il Padre Nostro, diffondi la Semplicità, ma attenzione al pericolo di guardare troppo lontano e di perdere di vista ciò che ti sta accanto. La Terra sembra piccola con whatsapp, splendidi i messaggi che ci siamo scambiati e ci hanno fatto sentire accanto a voi, ma grandi poteri controllano queste tecnologie, isole tropicali sono piene di computer grandi come case e condizionatori ad alto tasso di inquinamento per consentirci di comunicare e darci l'illusione della vicinanza. Ma poiché il male e il bene sono indissolubilmente legati, la Rete ci da' anche possibilità di scambio e trasmissione della conoscenza e delle situazioni, velocemente, come non é mai successo finora. Jangany è lontano (e le lunghe, pericolose ore di jeep e di volo ve lo provano). Allora cerchiamo tutto dove è possibile di essere coerenti e valutare tutti i punti di vista e di impegno, la grande chiesa che accoglie e lavora per la pace parte da chi ci sta a tiro di braccio. Ogni giorno. E allora sì che Jangany può farsi davvero più vicino. 🐾
[10:38 – Roberta] Fahamaro sta cercando per la nostra scuola la Bandiera malgascia per tutta Tana'...Dopo la Coppa d'Africa non se ne trovano facilmente ma lui credo si sia fatto il proposito di trovarla!
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rallystorici · 6 years
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Balletti Motorsport sale bene alla Coppa della Consuma
https://www.rallystorici.it/2018/09/12/balletti-motorsport-sale-bene-alla-coppa-della-consuma/
RALLY STORICI www.rallystorici.it [email protected]
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okmugello · 6 years
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54^ Coppa della Consuma : Al via il 7 Settembre. IL PROGRAMMA
54^ Coppa della Consuma : Al via il 7 Settembre. IL PROGRAMMA
Sarà il 3 Settembre il termine ultimo per le iscrizioni per la partecipazione alla 54^ Coppa della Consuma; in calendario quest’anno dal 7 al 9 settembre. La famosa e tradizionale manifestazione sarà l’ottava prova su dieci in calendario del Campionato Italiano Velocità in salita per Autostoriche e sarà allestita da Reggello Motor Sport, in collaborazione con l’ACI Firenze. Le iscrizioni iniziate…
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sportpeople · 6 years
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Venti minuti di auto separano lo stadio del Ferencvaros da quello dell’Ujpest.
In pochi chilometri si consuma buona parte della storia calcistica d’Ungheria, racchiusa in quello che è il derby più sentito non solo a Budapest, ma in tutto il Paese.
Del Ferencvaros e dei suoi ultras ho appena parlato nel mio precedente articolo.
Passare dalla Groupama Arena allo stadio Ferenc Szusza è un po’ come passare dallo Stamford Bridge del Chelsea al Kingsmeadow di Wimbledon.
La casa dell’Ujpest FC è un punto di riferimento capitale per tutti gli abitanti di questo quartiere di 100.000 abitanti, situato nel IV distretto di Budapest.
Dallo shop megafornito del Ferencvaros si è passati alla camionetta viola davanti allo stadio che invita a visitare il sito, con tanto di venditore ambulante di sciarpe davanti ai botteghini. Dall’ingresso stampa con tanto di hall si passa a un’improbabile cougar con piercing sulle tette e due ragazze, per fortuna più in gamba, che parlano inglese e sistemano la mia completa assenza di accredito.
Per una volta, il mio tesserino di giornalista è stato utile! Un po’ di faccia tosta ed eccomi dentro a questo raccolto ma suggestivo impianto, che gradisco dal primo impatto.
Ovunque spicca il viola della squadra, dai seggiolini alle tante maglie dei tifosi.
La mia macchina, parcheggiata all’italiana, non è distante, visto che la maggior parte dei convenuti si è fatta una bella passeggiata per giungere fin qui.
Gradisco non poco questo ambiente casalingo: una dimensione umana per rappresentare una squadra comunque molto prestigiosa in Ungheria, con 20 titoli nazionali vinti, una finale in Coppa delle Fiere, semifinale sia in Coppa Campioni che in Coppa delle Coppe.
Altri anni, altri tempi, eppure tutto sembra vicino grazie all’atmosfera retrò di questo stadio. D’altronde, parliamo del club più antico d’Ungheria, fondato addirittura nel 1885!
Gli Ultras dell’Ujpest, come quelli del Ferencvaros, hanno una buona fama, e anche per questo ho deciso la mia improvvisata lastsecond.
Di loro conosco gli Ultra Viola Bulldogs, la storica amicizia cromatica coi fiorentini, l’acerrima rivalità col Ferencvaros, la loro tendenza ad un tifo all’italiana.
Dall’altra parte, mi ritrovo una delle squadre più odiate d’Ungheria (forse la più odiata), ovvero l’MTK Budapest (MTK sta per Magyar Testgyakorlók Köre), che dai più viene associata alla comunità ebraica di Budapest.
Nonostante sia il secondo club più vincente d’Ungheria (23 i campionati vinti), l’MTK non ha mai conquistato il cuore degli ungheresi, forse proprio in virtù dell’equazione etnica. A conferma di ciò, i numerosi episodi di antisemitismo ripetuti da parte dei tifosi del Ferencvaros e di altre squadre.
Il club biancazzurro gioca regolarmente davanti a pochi intimi, tanto che non mi aspetto nessun seguito ospite.
Quasi subito dopo il mio ingresso, vengo fortunatamente smentito dall’ingresso di una quarantina di ragazzi sistemati dietro tre drappi (anche piuttosto ben fatti) e un’altra sessantina di tifosi, per un totale di un centinaio circa.
Intendiamoci, anche l’MTK è di Budapest ed è pur sempre un derby, ma la mia mancanza di aspettativa mi fa apprezzare questa presenza.
La curva di casa si riempie pian piano. Al contrario della Groupama Arena, qua mi sento libero di muovermi e lo spazio per i (pochi) fotografi è al lato della tribuna centrale, il che mi consente di avere un’ottima visuale su entrambi i “fronti caldi”.
A inizio partita risuona l’inno ungherese, e in molti alzano le sciarpe. Coreograficamente, nulla da segnalare.
Un altro dato da annotare, in due partite viste (anche se solo per un tempo ognuna) è la totale assenza di pirotecnica.
Inoltre, anche qua al Ferenc Szusza, le presenze complessive si attestano su numeri bassi, benché anche l’Ujpest abbia un seguito importante in tutta l’Ungheria.
Non so qua come siano messi in termini di tessere del tifoso e repressione, ma immagino che, al netto di ovvie restrizioni, qualcosa qui sia meglio rispetto alla Groupama Arena.
Comunque, la curva presenta dei buoni numeri. Qualcosa fa trasparire parecchia passione. L’ambiente è positivo, e tra gli ultras ci sono ragazzi di tutte le età, compresi ragazzini e ragazzine in balaustra che sognano ad occhi aperti di esser loro a trascinare la curva.
L’italianità dei viola traspare sia dall’impostazione del tifo che dai cori: tamburo e megafonisti dettano il ritmo; Ricchi e Poveri, Noemi, Marcella Bella e i Righeira compongono la hit parade!
Inizialmente, il tifo dei padroni di casa è discreto ma non mi colpisce più di tanto. Eppure, col passare dei minuti, qualcosa ingrana e il sostegno diventa sempre più coinvolgente, persino dopo il vantaggio dell’MTK.
Posso dire, a conti fatti, di aver ammirato una tifoseria compatta e rodata che, nel Paese, è a livelli top.
Sul fronte ospite da lodare sicuramente l’impegno (tifo comunque incessante), anche se nelle movenze si capisce che, rispetto ai dirimpettai, manca un bel po’ di esperienza. Ma, come si dice, se son rose fioriranno.
Finisce il primo tempo ed è ora di tornare dalla mia famiglia. Ho visto due mezze partite, ma posso riprendere la strada di casa almeno parzialmente riconciliato con la delusione patita alla Groupama Arena.
L’ho detto all’inizio: l’Ungheria è un Paese che può apparire complicato da fuori. Ma, conoscendolo, ci assomiglia tremendamente.
Stefano Severi
Ujpest-MTK Budapest, esser grandi senza fare le cose in grande Venti minuti di auto separano lo stadio del Ferencvaros da quello dell’Ujpest. In pochi chilometri si consuma buona parte della storia calcistica d’Ungheria, racchiusa in quello che è il derby più sentito non solo a Budapest, ma in tutto il Paese.
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colospaola · 6 years
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Fra poco tornerà la Mille Miglia, ora meravigliosa passerella di auto senza tempo, veri gioielli, espressione dell’ingegno e della creatività.
Lodigiano ma milanese d’adozione, Giuseppe Campari, fu uno dei protagonisti dell’automobilismo epico degli anni 20 e 30, delle gare senza barriere con il rischio vero come compagno di corsa. Due volte vincitore nelle prime edizioni della Mille Miglia, visse una vita breve ma intensa, ricca di trionfi, poi troncata da un drammatico incidente all’Autodromo di Monza. Un lodigiano che infiammò il pubblico e le masse, prima di Castellotti.
Amato dal pubblico per i suoi modi di fare molto alla mano e bonario, la totale dedizione al lavoro, la sua figura robusta quasi imponente, un vero e proprio omone, il colorito scuro spesso e volentieri al termine delle gare sporco di terra, fango e olio, gli valsero il soprannome di “El negher”.
Niente caschetto ma semplicemente un basco calzato sulla testa, per un pilota tenace che, per essere stato collaudatore,  possedeva anche una capacità tattica e una conoscenza profonda del mezzo. Univa alla passione per la velocità quella per il canto e la lirica, esibendosi in pubblico e sposando la cantante Lina Cavalleri.
I suoi principali avversari furono nomi mitici della velocità come Nuvolari, Brilli-Peri, Antonio Ascari, Achille Varzi ma anche Mazzotti, Strazza, Bornigia, Morandi e Borzacchini.
Nato a Graffignana, nella campagna lodigiana, l’8 giugno 1892, come molti giovani del tempo, s’innamorò subito della meccanica delle auto e della velocità, che proprio all’inizio del 900, erano il simbolo del progresso, del futuro, spesso immaginifico. A 18 anni, viene assunto dall’Alfa Romeo e alla scuola di Giuseppe Merosi. E per la casa del biscione divenne poi un collaudatore, dando un importante contributo allo sviluppo delle auto da corsa e a quelle di serie. Fu un pilota nella squadra corse del quadrifoglio per tutta la vita, eccetto che per alcune gare nel 1933.
Nel 1911 a soli diciannove anni, fu chiamato ad affiancare Nino Franchini come meccanico di bordo prima al Concorso di Regolarità di Modena (1500 km in quattro tappe), quindi alla prestigiosa Targa Florio, in Sicilia.
Campari fece il suo debutto come pilota nelle gare automobilistiche già nel 1913, con un secondo posto nella classe libera della corsa in salita Parma-Poggio di Berceto, bissando il podio nella classe assoluta l’anno seguente, dopo un quarto posto nella Coppa Florio.
Dopo la pausa forzata imposta dalla Prima guerra mondiale, nel 1920 rivinse la Parma-Poggio di Berceto, il Circuito del Mugello, e si piazzò terzo nella Coppa della Consuma.
Nel 1921 si classificò ancora secondo nella Parma-Poggio di Berceto, terzo nella Targa Florio,  vinse il Circuito del Mugello e nel 1922 fu terzo nella corsa in salita Aosta-Gran S. Bernardo. Nello stesso anno si unì in matrimonio con la cantante lirica Lina Cavalleri.
Nel 1923 fu promosso a far parte della squadra corse ufficiale dell’Alfa Romeo, l’8 settembre con l’Alfa Romeo P1, progettata da Merosi, doveva prendere il via al Gran Premio d’Italia a Monza, con il numero di gara 12. Nelle prove trovò la morte il compagno di scuderia Sivocci, sull’unica vettura priva dello scaramantico quadrifoglio verde che contraddistingueva le auto del biscione.
In segno di lutto, l’Alfa Romeo decise di ritirarsi dalle competizioni per quella stagione, e lo sviluppo della P1 venne abbandonato con la sostituzione di Merosi e l’avvento di Vittorio Jano alla guida tecnica della casa del Portello.
Giuseppe Campari,  nel ruolo di collaudatore-pilota, contribuì in maniera importante allo sviluppo delle idee di Vittorio Jano, progettista della mitica P2 del biscione, che combatteva sui circuiti con la Bugatti tipo 35 e le Delage. Vettura che vinse il primo campionato del mondo di automobilismo organizzato nella storia, antenato dell’omonimo di Formula 1, nel 1925, vincendo due dei quattro gran premi in programma.
Campari nel 1924 si piazzò al terzo posto della Coppa Florio, conseguì la vittoria a Lione del Gran Premio d’Europa proprio con la P2, e da allora fu il simbolo della squadra Alfa Romeo dopo la morte di Antonio Ascari nel 1925.
Nel 1925 all’Alfa Romeo ha come compagni di squadra Ascari e il conte toscano Gastone Brilli-Peri, che si laurea proprio quell’anno vincitore del primo Campionato del Mondo. “El negher”, si classificò secondo al Gran Premio d’Italia a Monza.
Con il cambio dei regolamenti l’Alfa Romeo nel 1926 si ritirò temporaneamente dalle corse, ritornando l’anno successivo.
Campari fu secondo nel Gran Premio di Milano, dopo aver vinto la IV^ Coppa Acerbo sul Circuito dell’Anterno nei pressi del Gran Sasso su Alfa due litri, bissando l’anno seguente. Concedendo il tris nel 1931, questa volta guidando un’Alfa Romeo Tipo A.
Il 1928 si rivelò uno dei suoi anni. Cominciò trionfando in coppia con Ramponi alla seconda edizione della Mille-Miglia, guidando un’Alfa Romeo 6C 1500 SS spyder Zagato, impiegando 19 ore e 14 minuti per completare il percorso.
Un mese dopo con la stessa auto vince la classe 1500 alla Targa Florio. Stabilisce il primato sul giro alla media oraria di 175 km/h al Circuito di Cremona e segna il record di 217,6 km/h sui 10 km lanciati. E’ primo assoluto nelle corse in salita alla Susa-Moncenisio e la Vittorio Veneto-Cansiglio. Vincitore a quasi 110 km/h di media, alla Coppa Acerbo, con il giro più veloce ad oltre 121 km orari e si classificò terzo nel Circuito del Montenero. Tanto basta per essere proclamato Campione Assoluto d’Italia per il 1928.
Nell’aprile 1929, sempre in coppia con Ramponi,  vinse la terza edizione della Mille Miglia, questa volta con una Alfa Romeo, 6C 1750 SS spyder Zagato, abbassando di 50 minuti il record di percorrenza dell’anno precedente. Fu quarto nella Targa Florio e terzo nella III Coppa Ciano sul Circuito del Montenero.
Con la corsa sul circuito del Mugello del 1929, Campari fu al centro di un’aspra polemica, scatenata da Giovanni Canestrini, giornalista della Gazzetta dello Sport, che accusò i piloti dell’Alfa Romeo di scarso impegno. Punto sull’orgoglio Campari rispose con una lettera pubblicata sulla Gazzetta in cui scaricava la colpa su Clemente Biondetti che gli avrebbe impedito più volte il sorpasso e propose di ripetere la gara, scommettendo 5000 lire che avrebbe abbassato il record sul giro di ben cinque minuti. La sfida fu raccolta dal conte Gastone Brilli-Peri, che dichiarò di essere capace di battere Campari con la stessa vettura non solo al Mugello ma anche su qualsiasi altro circuito. La sfida finì poi nel nulla, perché il regime fascista dirottò le competizioni toscane sul circuito di Montenero.
Nel 1930 Campari si piazzò terzo nella Mille Miglia in coppia con Attilio Marinoni, lodigiano come lui, stessa età e stessa trafila presso il Portello. Gradino più basso del podio dietro a Nuvolari e Varzi, tutti e tre a bordo dell’Alfa 6C 1750, progettata da Vittorio Jano.
Poco dopo Enzo Ferrari da vita a una Scuderia Alfa Romeo e chiama Tazio Nuvolari, Mario Borzacchini e Giuseppe Campari. Un team impressionante, che porta subito successi a raffica.
Campari poi arrivò quarto nella Targa Florio, terzo nel Circuito di Caserta, secondo nella IV Coppa Ciano, e secondo a Belfast.
Il tutto mentre si vociferava che il pilota stesse pensando all’abbandono delle gare, in favore della carriera di cantante lirico.
Aprile 1931, si corre la V^ edizione della Mille-Miglia e Campari sempre in coppia con Marinoni, sfiora il tris, arrivando secondo a 10 minuti dal vincitore Rudolph “Rudy” Caracciola sulla potente Mercedes-Benz SSKL da 7000cc. Rompendo comunque il muro dei 100 km/h di media.
Per la stagione sportiva del 1931 l’Alfa Romeo, approntò una 8 cilindri di 2300 cc. Con questa vettura, Campari in coppia con Nuvolari, vinse il Gran Premio d’Italia a poco meno di 156 km/h di media. Con la nuova 12 cilindri s’impone invece alla Coppa Acerbo sul circuito di Pescara, e arriva secondo assoluto, su Maserati, al Gran Premio d’Irlanda sul circuito di Dublino, dove corse con un occhio bendato, conseguenza di un sasso che l’aveva colpito in viso.
Per la seconda volta, al termine della stagione, Campari é proclamato Campione Assoluto d’Italia.
Nel 1933, con grande scorno dei francesi che lo davano per vecchio e finito, vince il Gran Premio di Francia a Monthléry.
Il destino lo coglie al volante di un’Alfa Romeo P3, il pomeriggio del 10 settembre 1933, durante il Gran Premio a Monza, nella seconda batteria. In una delle giornate più tragiche dello sport a quattro ruote.
Sul veloce tracciato brianzolo già considerato uno dei templi mondiali della velocità al mattino si disputa il GP d’Italia, mentre al pomeriggio il Gran Premio di Monza, articolato in tre batterie di qualificazione e una successiva finale per decretare il vincitore. Il GP d’Italia vede la vittoria di Luigi Fagioli su Alfa Romeo, con un leggero vantaggio su Tazio Nuvolari (Maserati). E’ il momento delle qualificazioni per il Gran Premio di Monza, e la prima batteria di piloti prende il via nel primo pomeriggio.
Su una pista già resa scivolosa dalla pioggia di giornata, il guasto al motore della Duesenberg del conte Trossi provoca la fuoriuscita di un’ingente quantità di olio, che inonda la pista, in particolare all’imbocco della curva Sud, il punto peggiore del tracciato, alla staccata dove le vetture arrivano alla massima velocità. La perdita non viene pulita bene, prima dell’inizio della seconda batteria di qualificazione.  Campari guida il plotone davanti a Borzacchini. Al primo passaggio le due Alfa perdono aderenza, i due piloti provano disperatamente a tenerle in linea, poi partone lungo la tangente, si sfiorano e finiscono tragicamente fuori pista terminando la loro corsa nel fossato della sopraelevata. Campari muore sul colpo, Borzacchini si spegnerà poco in ospedale. Gli spettatori alzano sonore proteste ma la gara continua sino in fondo.
Nonostante la tragedia e la folla che rumoreggia per sospendere l’evento, la finale ha inizio. La medesima macchia di olio, ancora una ripulita male tra una manche e l’altra, è ancora la protagonista in negativo. In testa c’è il conte Stanislas Czaykowski con una Bugatti, il pilota perde il controllo del mezzo sempre nel solito punto. La Bugatti esce di pista, si rovescia e prende fuoco, con il pilota intrappolato al suo interno. Solo a incendio ormai spento, il corpo senza vita è estratto dall’auto.
Le salme dei tre piloti vennero poi composte nella Casa del Fascio di Monza, dove Benito Mussolini fece recapitare tre corone di fiori. La camera ardente fu vegliata dai picchetti d’onore delle rappresentanze operaie di Maserati e Alfa Romeo.
Giuseppe Campari venne sepolto nel Cimitero Maggiore di Milano, il Monumentale, con altri grande del volante come Giancarlo Baghetti, Antonio e Alberto Ascari e il compagno di sempre Marinoni.
L’edizione della Mille Miglia 2018, passerà sulle sue strade del lodigiano per rendergli omaggio. Un omaggio che viene anche dal lavoro Alfantastiche, opera del fumettista Alessandro Colonna di Secugnago, che ha raccolto in un libretto i disegni che riproducono le Alfa Romeo storiche che hanno partecipato e vinto nella Mille Miglia con le schede tecniche di questi bolidi d’epoca a cura di Gianni Cattaneo. L’iniziativa editoriale, patrocinata dal Club Castellotti di Lodi e dal comune di Secugnago, vede anche un’introduzione sulla storia delle Mille Miglia e sul suo passaggio nel territorio lodigiano a cura di Maurizio Amadio, presidente del comitato lodigiano Mille Miglia, oltre a una breve storia a fumetti dedicata a Giuseppe Campari, detto “El Negher”.
Giuseppe Campari, il primo vincitore lodigiano della Mille Miglia Fra poco tornerà la Mille Miglia, ora meravigliosa passerella di auto senza tempo, veri gioielli, espressione dell’ingegno e della creatività.
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vialardimassimo · 7 years
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POESIE PERSIANE: HAFEZ (III) Ieri notte ho visto gli angeli bussare alla porta della taverna
e modellavano in forma di coppa il patto umano, l’argilla [di Adamo. Loro che puri risiedono nel santuario dell’occulto
sono scesi su questo sgraziato, per scolare con me il vino [che inebria. Come poteva il cielo sostenere il peso della divina consegna?
Fu sulla mia follia che la scelta ricadde, per giro di sorte. Pietà per il sangue versato dalle settantadue fedi rivelate:
non conoscono il Vero, e per questo si persero cantando le [favole. Grazie a Dio è discesa la pace tra me e l’amore mio
e adesso i mistici danzano scambiandosi di grazia le [coppe. Non è fuoco la fiamma che leggera aleggia sulle candele:
vero fuoco è la vampa che intera consuma la vita di falena. Da quando del calamo fecero pettine per adornare la poesia [come chiome di sposa
come Hāfez nessuno mai seppe sciogliere il velo dal volto [del pensiero. (presso Cardamomo Persian Palace)
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italiaefriends · 3 years
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“Coppa della Consuma 2022” di Elena Tempestini
I&f RotoWeb Illustrato febbraio 2022 L’ACI Automobile Club festeggia i 120 anni della più antica corsa di auto in Europa.La gara “Coppa della Consuma”, è organizzata dall’Automobilec Club Firenze per il tramite della propria società controllata Acipromuove, in collaborazione con la Scuderia Clemente Biondetti. Dal 25 al 27 marzo, la Coppa della Consuma, sarà protagonista inaugurale del…
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rallystorici · 6 years
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Alla Coppa della Consuma vittoria per Uberto Bonucci
https://www.rallystorici.it/2018/09/10/alla-coppa-della-consuma-vittoria-per-uberto-bonucci/
RALLY STORICI www.rallystorici.it [email protected]
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colospaola · 6 years
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Fra poco tornerà la Mille Miglia, ora meravigliosa passerella di auto senza tempo, veri gioielli, espressione dell’ingegno e della creatività.
Lodigiano ma milanese d’adozione, Giuseppe Campari, fu uno dei protagonisti dell’automobilismo epico degli anni 20 e 30, delle gare senza barriere con il rischio vero come compagno di corsa. Due volte vincitore nelle prime edizioni della Mille Miglia, visse una vita breve ma intensa, ricca di trionfi, poi troncata da un drammatico incidente all’Autodromo di Monza. Un lodigiano che infiammò il pubblico e le masse, prima di Castellotti.
Amato dal pubblico per i suoi modi di fare molto alla mano e bonario, la totale dedizione al lavoro, la sua figura robusta quasi imponente, un vero e proprio omone, il colorito scuro spesso e volentieri al termine delle gare sporco di terra, fango e olio, gli valsero il soprannome di “El negher”.
Niente caschetto ma semplicemente un basco calzato sulla testa, per un pilota tenace che, per essere stato collaudatore,  possedeva anche una capacità tattica e una conoscenza profonda del mezzo. Univa alla passione per la velocità quella per il canto e la lirica, esibendosi in pubblico e sposando la cantante Lina Cavalleri.
I suoi principali avversari furono nomi mitici della velocità come Nuvolari, Brilli-Peri, Antonio Ascari, Achille Varzi ma anche Mazzotti, Strazza, Bornigia, Morandi e Borzacchini.
Nato a Graffignana, nella campagna lodigiana, l’8 giugno 1892, come molti giovani del tempo, s’innamorò subito della meccanica delle auto e della velocità, che proprio all’inizio del 900, erano il simbolo del progresso, del futuro, spesso immaginifico. A 18 anni, viene assunto dall’Alfa Romeo e alla scuola di Giuseppe Merosi. E per la casa del biscione divenne poi un collaudatore, dando un importante contributo allo sviluppo delle auto da corsa e a quelle di serie. Fu un pilota nella squadra corse del quadrifoglio per tutta la vita, eccetto che per alcune gare nel 1933.
Nel 1911 a soli diciannove anni, fu chiamato ad affiancare Nino Franchini come meccanico di bordo prima al Concorso di Regolarità di Modena (1500 km in quattro tappe), quindi alla prestigiosa Targa Florio, in Sicilia.
Campari fece il suo debutto come pilota nelle gare automobilistiche già nel 1913, con un secondo posto nella classe libera della corsa in salita Parma-Poggio di Berceto, bissando il podio nella classe assoluta l’anno seguente, dopo un quarto posto nella Coppa Florio.
Dopo la pausa forzata imposta dalla Prima guerra mondiale, nel 1920 rivinse la Parma-Poggio di Berceto, il Circuito del Mugello, e si piazzò terzo nella Coppa della Consuma.
Nel 1921 si classificò ancora secondo nella Parma-Poggio di Berceto, terzo nella Targa Florio,  vinse il Circuito del Mugello e nel 1922 fu terzo nella corsa in salita Aosta-Gran S. Bernardo. Nello stesso anno si unì in matrimonio con la cantante lirica Lina Cavalleri.
Nel 1923 fu promosso a far parte della squadra corse ufficiale dell’Alfa Romeo, l’8 settembre con l’Alfa Romeo P1, progettata da Merosi, doveva prendere il via al Gran Premio d’Italia a Monza, con il numero di gara 12. Nelle prove trovò la morte il compagno di scuderia Sivocci, sull’unica vettura priva dello scaramantico quadrifoglio verde che contraddistingueva le auto del biscione.
In segno di lutto, l’Alfa Romeo decise di ritirarsi dalle competizioni per quella stagione, e lo sviluppo della P1 venne abbandonato con la sostituzione di Merosi e l’avvento di Vittorio Jano alla guida tecnica della casa del Portello.
Giuseppe Campari,  nel ruolo di collaudatore-pilota, contribuì in maniera importante allo sviluppo delle idee di Vittorio Jano, progettista della mitica P2 del biscione, che combatteva sui circuiti con la Bugatti tipo 35 e le Delange. Vettura che vinse il primo campionato del mondo di automobilismo organizzato nella storia, antenato dell’omonimo di Formula 1, nel 1925, vincendo due dei quattro gran premi in programma.
Campari nel 1924 si piazzò al terzo posto della Coppa Florio, conseguì la vittoria a Lione del Gran Premio d’Europa proprio con la P2, e da allora fu il simbolo della squadra Alfa Romeo dopo la morte di Antonio Ascari nel 1925.
Nel 1925 all’Alfa Romeo ha come compagni di squadra Ascari e il conte toscano Gastone Brilli-Peri, che si laurea proprio quell’anno vincitore del primo Campionato del Mondo. “El negher”, si classificò secondo al Gran Premio d’Italia a Monza.
Con il cambio dei regolamenti l’Alfa Romeo nel 1926 si ritirò temporaneamente dalle corse, ritornando l’anno successivo.
Campari fu secondo nel Gran Premio di Milano, dopo aver vinto la IV^ Coppa Acerbo sul Circuito dell’Anterno nei pressi del Gran Sasso su Alfa due litri, bissando l’anno seguente. Concedendo il tris nel 1931, questa volta guidando un’Alfa Romeo Tipo A.
Il 1928 si rivelò uno dei suoi anni. Cominciò trionfando in coppia con Ramponi alla seconda edizione della Mille-Miglia, guidando un’Alfa Romeo 6C 1500 SS spyder Zagato, impiegando 19 ore e 14 minuti per completare il percorso.
Un mese dopo con la stessa auto vince la classe 1500 alla Targa Florio. Stabilisce il primato sul giro alla media oraria di 175 km/h al Circuito di Cremona e segna il record di 217,6 km/h sui 10 km lanciati. E’ primo assoluto nelle corse in salita alla Susa-Moncenisio e la Vittorio Veneto-Cansiglio. Vincitore a quasi 110 km/h di media, alla Coppa Acerbo, con il giro più veloce ad oltre 121 km orari e si classificò terzo nel Circuito del Montenero. Tanto basta per essere proclamato Campione Assoluto d’Italia per il 1928.
Nell’aprile 1929, sempre in coppia con Ramponi,  vinse la terza edizione della Mille Miglia, questa volta con una Alfa Romeo, 6C 1750 SS spyder Zagato, abbassando di 50 minuti il record di percorrenza dell’anno precedente. Fu quarto nella Targa Florio e terzo nella III Coppa Ciano sul Circuito del Montenero.
Con la corsa sul circuito del Mugello del 1929, Campari fu al centro di un’aspra polemica, scatenata da Giovanni Canestrini, giornalista della Gazzetta dello Sport, che accusò i piloti dell’Alfa Romeo di scarso impegno. Punto sull’orgoglio Campari rispose con una lettera pubblicata sulla Gazzetta in cui scaricava la colpa su Clemente Biondetti che gli avrebbe impedito più volte il sorpasso e propose di ripetere la gara, scommettendo 5000 lire che avrebbe abbassato il record sul giro di ben cinque minuti. La sfida fu raccolta dal conte Gastone Brilli-Peri, che dichiarò di essere capace di battere Campari con la stessa vettura non solo al Mugello ma anche su qualsiasi altro circuito. La sfida finì poi nel nulla, perché il regime fascista dirottò le competizioni toscane sul circuito di Montenero.
Nel 1930 Campari si piazzò terzo nella Mille Miglia in coppia con Attilio Marinoni, lodigiano come lui, stessa età e stessa trafila presso il Portello. Gradino più basso del podio dietro a Nuvolari e Varzi, tutti e tre a bordo dell’Alfa 6C 1750, progettata da Vittorio Jano.
Poco dopo Enzo Ferrari da vita a una Scuderia Alfa Romeo e chiama Tazio Nuvolari, Mario Borzacchini e Giuseppe Campari. Un team impressionante, che porta subito successi a raffica.
Campari poi arrivò quarto nella Targa Florio, terzo nel Circuito di Caserta, secondo nella IV Coppa Ciano, e secondo a Belfast.
Il tutto mentre si vociferava che il pilota stesse pensando all’abbandono delle gare, in favore della carriera di cantante lirico.
Aprile 1931, si corre la V^ edizione della Mille-Miglia e Campari sempre in coppia con Marinoni, sfiora il tris, arrivando secondo a 10 minuti dal vincitore Rudolph “Rudy” Caracciola sulla potente Mercedes-Benz SSKL da 7000cc. Rompendo comunque il muro dei 100 km/h di media.
Per la stagione sportiva del 1931 l’Alfa Romeo, approntò una 8 cilindri di 2300 cc. Con questa vettura, Campari in coppia con Nuvolari, vinse il Gran Premio d’Italia a poco meno di 156 km/h di media. Con la nuova 12 cilindri s’impone invece alla Coppa Acerbo sul circuito di Pescara, e arriva secondo assoluto, su Maserati, al Gran Premio d’Irlanda sul circuito di Dublino, dove corse con un occhio bendato, conseguenza di un sasso che l’aveva colpito in viso.
Per la seconda volta, al termine della stagione, Campari é proclamato Campione Assoluto d’Italia.
Nel 1933, con grande scorno dei francesi che lo davano per vecchio e finito, vince il Gran Premio di Francia a Monthléry.
Il destino lo coglie al volante di un’Alfa Romeo P3, il pomeriggio del 10 settembre 1933, durante il Gran Premio a Monza, nella seconda batteria. In una delle giornate più tragiche dello sport a quattro ruote.
Sul veloce tracciato brianzolo già considerato uno dei templi mondiali della velocità al mattino si disputa il GP d’Italia, mentre al pomeriggio il Gran Premio di Monza, articolato in tre batterie di qualificazione e una successiva finale per decretare il vincitore. Il GP d’Italia vede la vittoria di Luigi Fagioli su Alfa Romeo, con un leggero vantaggio su Tazio Nuvolari (Maserati). E’ il momento delle qualificazioni per il Gran Premio di Monza, e la prima batteria di piloti prende il via nel primo pomeriggio.
Su una pista già resa scivolosa dalla pioggia di giornata, il guasto al motore della Duesenberg del conte Trossi provoca la fuoriuscita di un’ingente quantità di olio, che inonda la pista, in particolare all’imbocco della curva Sud, il punto peggiore del tracciato, alla staccata dove le vetture arrivano alla massima velocità. La perdita non viene pulita bene, prima dell’inizio della seconda batteria di qualificazione.  Campari guida il plotone davanti a Borzacchini. Al primo passaggio le due Alfa perdono aderenza, i due piloti provano disperatamente a tenerle in linea, poi partone lungo la tangente, si sfiorano e finiscono tragicamente fuori pista terminando la loro corsa nel fossato della sopraelevata. Campari muore sul colpo, Borzacchini si spegnerà poco in ospedale. Gli spettatori alzano sonore proteste ma la gara continua sino in fondo.
Nonostante la tragedia e la folla che rumoreggia per sospendere l’evento, la finale ha inizio. La medesima macchia di olio, ancora una ripulita male tra una manche e l’altra, è ancora la protagonista in negativo. In testa c’è il conte Stanislas Czaykowski con una Bugatti, il pilota perde il controllo del mezzo sempre nel solito punto. La Bugatti esce di pista, si rovescia e prende fuoco, con il pilota intrappolato al suo interno. Solo a incendio ormai spento, il corpo senza vita è estratto dall’auto.
Le salme dei tre piloti vennero poi composte nella Casa del Fascio di Monza, dove Benito Mussolini fece recapitare tre corone di fiori. La camera ardente fu vegliata dai picchetti d’onore delle rappresentanze operaie di Maserati e Alfa Romeo.
Giuseppe Campari venne sepolto nel Cimitero Maggiore di Milano, il Monumentale, con altri grande del volante come Giancarlo Baghetti, Antonio e Alberto Ascari e il compagno di sempre Marinoni.
L’edizione della Mille Miglia 2018, passerà sulle sue strade del lodigiano per rendergli omaggio. Un omaggio che viene anche dal lavoro Alfantastiche, opera del fumettista Alessandro Colonna di Secugnago, che ha raccolto in un libretto i disegni che riproducono le Alfa Romeo storiche che hanno partecipato e vinto nella Mille Miglia con le schede tecniche di questi bolidi d’epoca a cura di Gianni Cattaneo. L’iniziativa editoriale, patrocinata dal Club Castellotti di Lodi e dal comune di Secugnago, vede anche un’introduzione sulla storia delle Mille Miglia e sul suo passaggio nel territorio lodigiano a cura di Maurizio Amadio, presidente del comitato lodigiano Mille Miglia, oltre a una breve storia a fumetti dedicata a Giuseppe Campari, detto “El Negher”.
Giuseppe Campari, Re della Mille Miglia Fra poco tornerà la Mille Miglia, ora meravigliosa passerella di auto senza tempo, veri gioielli, espressione dell’ingegno e della creatività.
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