#Convenzione di Washington
Explore tagged Tumblr posts
Text
Cambio al vertice dei Carabinieri Forestali ad Asti: il Capitano Valeria Delponte subentra al Capitano Claudia Santonocito
Nuove sfide e continuità nell’impegno per la tutela ambientale in provincia di Asti.
Nuove sfide e continuità nell’impegno per la tutela ambientale in provincia di Asti. Asti, settembre 2024 – Avvicendamento importante al Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale, Agroalimentare e Forestale (NIPAAF) della provincia di Asti: il Capitano Claudia Santonocito ha ceduto il comando alla collega Capitano Valeria Delponte, in arrivo dalla provincia di Pavia. Il Capitano Santonocito,…
#aggressione patrimonio naturalistico#Alessandria news#Alessandria today#ambiente e legalità#ambiente e sicurezza#Asti#azione contro inquinamento#Biodiversità#cambio comando Carabinieri#Carabinieri Forestali#Carabinieri Forestali Piemonte#carabinieri investigazione#carabinieri Liguria#Claudia Santonocito#contrasto reati natura#controllo CITES#controllo territorio.#Convenzione di Washington#crimini ambientali#danni paesaggistici#Delta 3 Edizioni#difesa ambiente#difesa ecosistemi#eventi settembre 2024#fauna e flora selvatica#formazione ufficiali Carabinieri#Google News#italianewsmedia.com#lotta inquinamento#monitoraggio forestale
0 notes
Text
🇷🇺 VYACHESLAV VOLODIN, CAPO DELLA DUMA DI STATO RUSSA: COSA STA SUCCEDENDO AD ASSANGE?
🔴"La situazione intorno a quest'uomo è un esempio della meschinità, delle bugie e dei doppi standard di Washington, Londra e Bruxelles.
⚫️Assange ha pubblicato documenti sulle uccisioni di civili in Iraq da parte di soldati USA e documenti che provano il coinvolgimento degli Stati Uniti in colpi di stato e nell'istigazione alle guerre. Ha raccontato al mondo delle torture nella prigione americana di Guantanamo Bay e del fatto che la National Security Agency degli Stati Uniti ascoltava le conversazioni telefoniche di capi di Stato, tra cui Merkel e Sarkozy.
⚡️Se le rivelazioni di Assange avessero riguardato la Russia o la Cina, piuttosto che gli Stati Uniti, sarebbe stato etichettato come un "combattente per la verità e la libertà". Ma ha denunciato i crimini di Washington. E l'egemone mondiale non tollera queste cose al suo indirizzo, distruggendo tutti i dissidenti.
⚫️Per più di 12 anni Assange è stato tenuto in condizioni di assenza di libertà e di tortura: prima nell'edificio dell'Ambasciata Ecuadoriana in Gran Bretagna, poi tra le mura di un carcere di massima sicurezza.
🔴Pensateci: 12 anni di detenzione senza prove di colpevolezza. È a dir poco scandaloso.
⚫️In questo periodo, la sua salute è peggiorata drasticamente: dopo aver subito un micro-ictus, Assange non è in grado di difendersi nemmeno in videoconferenza.
⚫️Nonostante ciò, Biden sta facendo di tutto per far estradare il fondatore di WikiLeaks negli Stati Uniti, dove rischia fino a 175 anni di carcere. Vuole ucciderlo davanti al mondo intero.
⚫️Nel 2016, le Nazioni Unite hanno riconosciuto la detenzione di Assange come illegale. La sua estradizione sarebbe una grave violazione della Convenzione Europea dei Diritti Umani, compreso il diritto alla libertà di parola.
🔴Se la deportazione di Assange negli Stati Uniti avverrà, i Paesi che la sostengono cesseranno di esistere come Stati legali."
Seguite 📱 InfoDefenseITALIA
📱 InfoDefense
95 notes
·
View notes
Text
🔴🔴🔴 La Russia pubblica un rapporto di 2.000 pagine che dimostra la pandemia di Covid prodotta dal Deep State e da Big Pharma La Russia ha apertamente affermato che le principali aziende farmaceutiche, insieme a figure influenti nel panorama politico statunitense, hanno orchestrato la pandemia di Covid-19 come parte di una strategia di dominio globale. Tra coloro nominati come partecipanti a questo piano ci sono Hillary Clinton, Barack Obama, Joe Biden e George Soros, suggerendo il loro coinvolgimento in una cospirazione contro l'umanità.
"L'ambasciata russa negli Stati Uniti ha dichiarato giovedì: "La Russia vuole giustizia per la creazione e il rilascio del SARS-CoV-2, mentre l'Occidente ha nascosto le origini e censurato scienziati e giornalisti". Le autorità russe affermano che le iniziative di bioricerca intraprese dal Dipartimento della Difesa americano in Ucraina necessitano di un’approfondita revisione legale, compreso il controllo da parte delle pertinenti organizzazioni internazionali.
L'ambasciata ha espresso preoccupazione per le operazioni del Pentagono in Ucraina, affermando: “Di particolare preoccupazione è l'attività svolta dal Pentagono in Ucraina. Gli Stati Uniti hanno coinvolto nei loro progetti decine di istituzioni statali e aziende private del Paese”. La dichiarazione ulteriormente elaborata: “I civili e il personale militare della repubblica sono diventati donatori di biomateriali e semplicemente soggetti sperimentali. Non c’è dubbio che tali azioni richiedano un’adeguata valutazione giuridica, anche da parte delle strutture internazionali competenti”.
Persistono preoccupazioni sulla scena internazionale riguardo alla ricerca incontrollata a duplice scopo condotta sotto la guida del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, con la Russia che cita costantemente “gravi violazioni” da parte degli Stati Uniti degli impegni della Convenzione sulle armi biologiche e tossiche. I diplomatici hanno osservato: “Washington ignora le affermazioni, giustificandosi con una certa componente umanitaria dei suoi programmi”.
Hanno aggiunto: “Sottolineiamo che non vi è alcun dubbio sugli eventuali buoni obiettivi dei progetti del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Sono disponibili prove del lavoro degli Stati Uniti con potenziali agenti di armi biologiche e sono tutt’altro che isolate, così come prove di tentativi di migliorare deliberatamente le proprietà degli agenti patogeni di infezioni economicamente significative”.
42 notes
·
View notes
Text
Valderice: prova a vendere 19 tartarughe di specie protetta sul web, denunciato dai Carabinieri
Valderice: prova a vendere 19 tartarughe di specie protetta sul web, denunciato dai Carabinieri. I Carabinieri Forestali del Centro Anticrimine Natura di Palermo, nell’ambito di specifici servizi volti al contrasto alla vendita illegale di esemplari di specie protetta, hanno denunciato un 37enne ericino per detenzione per vendita di specie animali senza la prescritta documentazione. Da una analisi dei siti di vendita on line, i Carabinieri hanno attenzionato l’uomo che avrebbe messo in vendita 19 esemplari di Testudo Hermanni (testuggine di terra), privi di documentazione giustificativa e di sistemi di marcaggio. Considerata l’appartenenza degli esemplari alle specie protette dalla convenzione di Washington (e pertanto non prelevabili in natura e per i quali vige il divieto di detenzione e vendita senza la prevista documentazione), i militari hanno proceduto alla denuncia del venditore e al sequestro degli animali con successivo affidamento presso il centro di recupero della fauna selvatica di Ficuzza (PA).... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
Text
Sequestrata pelle di coccodrillo esposta in un centro d'arte
I carabinieri forestali hanno sequestrato in centro a Cremona una pelle di coccodrillo lunga circa 2 metri ed esposta in un centro di arte contemporanea. Con il supporto degli esperti del Nucleo Cites di Pavia, la pelle è stata riconosciuta come quella di un coccodrillo di Johnson, rettile originario dell’ Australia e protetto a livello planetario dalla Convenzione di Washington: chi…
View On WordPress
0 notes
Text
Washington imbarazza gli alleati con le bombe a grappolo all'Ucraina
Gli Stati Uniti sono l'unico Paese del G7 a non aver aderito alla Convenzione di Oslo. I partner si proteggono con i loro obblighi internazionali. Ira dell'Onu
0 notes
Text
Ora è ufficiale: la Casa Bianca ha approvato la fornitura di munizioni a grappolo all'Ucraina
(ANSA) – La Casa Bianca ha approvato la controversa fornitura di munizioni a grappolo a Kiev e l’annuncio e’ atteso oggi dal Pentagono. Lo scrive il Washington Post. Più di 120 nazioni hanno aderito alla convenzione che vieta le ‘cluster munitions’, le munizioni a grappolo che rilasciano sotto-munizioni più piccole che possono rimanere inesplose e mettere in pericolo i civili anni dopo la fine di…
View On WordPress
0 notes
Photo
Il lato oscuro della Pfizer: il caso Kano di Alessandro Gionta Non molti conoscono o ricordano il caso Kano, la vicenda del contenzioso che ha visto come protagonisti la multinazionale Pfizer da un lato e il governo nigeriano e i suoi cittadini dall’altro. Le multinazionali del farmaco non sono certo entità che sprigionano umanità da tutti i pori, nonostante al momento siano l’unica fonte vaccinale che abbiamo per combattere il Covid all’alba del 2022. Ma la Pfizer è stata protagonista in negativo di una torbida questione che risale alla metà degli anni ’90. Nel 1996 scoppiò in Nigeria una terribile epidemia di meningite, la peggiore che si sia mai vista in Africa nel XX secolo. La zona più colpita fu quella della regione di Kano, situata nella parte settentrionale del paese, che ha come capitale l’omonima e affollata città con i suoi quasi 4 milioni di abitanti. Si registrarono 120.000 casi e 12.000 furono i morti di meningite dovuta al batterio. La situazione divenne talmente drammatica che le istituzioni internazionali crearono una task force per combattere l’epidemia: ne facevano parte l’OMS, l’UNICEF, MSF (Medici Senza Frontiere), Croce Rossa. La multinazionale Pfizer, che aveva in passato fornito strumentazioni e cure per combattere in Africa epidemie minori, chiese dei permessi alle autorità locali per poter sperimentare un nuovo farmaco in grado di combattere la meningite, il Torvan (trovafloxacina), di cui ovviamente deteneva il brevetto ma che a livello internazionale non era stato ancora riconosciuto. Infatti sul totale degli studi condotti fino al 1996, solo quattro di questi riguardavano la somministrazione del Torvan su pazienti umani (di cui nessun minorenne), tutti gli altri studi si basavano su somministrazioni ad animali o in provette. Nonostante ciò, Pfizer dichiarò che il farmaco avesse tutti i requisiti per essere sperimentato sull’uomo, anzi, questa sperimentazione nient’altro doveva essere che una conferma prima che il Torvan sul mercato farmaceutico mondiale. Nel 1998 il valore azionario dell’azienda Pfizer portò nelle casse della multinazionale 160 milioni di dollari, un potenziale che sul mercato avrebbe superato il miliardo. In modalità mai del tutto chiare, Pfizer ottenne i permessi per avviare una sperimentazione del farmaco su 200 bambini nigeriani appartenenti al territorio di Kano. La sperimentazione procedeva su base volontaria, sebbene i parenti dei pazienti non furono mai avvisati delle possibili controindicazioni del farmaco. Il risultato dell’esperimento fu una tragedia: 5 furono i bambini morti e tutti gli altri ebbero danni permanenti. Il caso Kano divenne di dominio pubblico grazie alle pubblicazioni del Washington Post nel 2000. Da quel momento molti a livello mondiale si interessarono alla vicenda Pfizer-Torvan, e solo grazie a questa risonanza mondiale nel 2002 i genitori di 52 delle vittime dell’esperimento riuscirono a muovere le prime accuse: gli fu permesso di ottenere un processo negli Stati Uniti contro la multinazionale, accusandola di aver praticato una sperimentazione umana senza trasparenza. Pochi anni dopo i membri del Congresso degli Stati Uniti presentarono un rapporto di denuncia contro Pfizer, accusata di aver condotto un esperimento su cavie umane in modo ‘occulto e fraudolento’. Un ulteriore rapporto dettagliato fu stilato dagli avvocati delle vittime e pubblicato sempre dal Washington Post, dal quale emergeva che Pfizer aveva violato il diritto nigeriano, le norme della Dichiarazione Internazionale di Helsinki e la Convenzione Internazionale dei diritti sull’infanzia. Oltre a questo, le pubblicazioni sull’argomento palesarono dei dubbi sulle presunte autorizzazioni nigeriane ottenute dalla dirigenza della multinazionale: la maggior parte dei permessi risultarono falsi o addirittura editi dopo lo scandalo. Pfizer aveva anche trasgredito le norme etiche sulla sperimentazione scientifica, continuando a somministrare più volte il farmaco anche a chi non rispondeva in modo positivo al Torvan. Il 30 luglio 2009 Pfizer raggiunse un accordo con il Governo Federale della regione di Kano per un risarcimento di ben 75 milioni di dollari, ma nell’ottobre dello stesso anno scomparvero le cartelle cliniche dei pazienti morti ai quali fu somministrato il Torvan. (...) Con parte di questo denaro vennero costruite strutture ospedaliere nel territorio di Kano a partire dal 2010 ma, nello stesso anno, Wikileaks pubblicò documenti che provarono i tentativi di intimidazione da parte di Pfizer nei confronti di Michael Aondoakaa, il procuratore generale della Nigeria che aveva firmato l’accordo nell’anno precedente. La notizia, presa da Wikileaks, venne diffusa questa volta dal The Guardian: Pfizer ricattò le autorità nigeriane, arrivando ad utilizzare persino indagatori privati, al fine di costringerle a firmare l’accordo sotto i 75 milioni e inserendo clausole di segretezza. (...) Nel 2003 la Rai ha trasmesso un documentario di Stefano Liberti sulla vicenda intitolato Cavie Umane.
40 notes
·
View notes
Link
Di Raja Shehadeh. (Da InvictaPalestina.org). Che ruolo ha svolto il diritto locale e internazionale nei Territori Occupati?
Vivendo e lavorando come avvocato nella Cisgiordania occupata da Israele, ho seguito i cambiamenti che dalla fine degli anni ’70 Israele ha apportato alle leggi in vigore. Nel corso dei primi 24 anni della sua occupazione, Israele ha imposto leggi che riguardano ogni aspetto della vita palestinese – dall’uso della terra e dell’acqua alla mobilità e alla zonizzazione – leggi che hanno permesso la creazione di insediamenti israeliani e ridefinito la vita dei Palestinesi sulla loro stessa terra . Eppure, durante la maggior parte di quegli anni, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e la leadership politica palestinese, basate al di fuori dei Territori Occupati, mostrarono poco o nessun interesse in queste questioni legali, lasciando alle organizzazioni per i diritti umani come Al Haq, un’affiliata della Commissione Internazionale dei Giuristi, e il Centro di Informazione sui Diritti Umani della Palestina, il compito di documentare questi cambiamenti e di mostrare come il diritto internazionale venisse violato.
Quando nel 1991 iniziarono i negoziati tra Israeliani e Palestinesi, rappresentati a Washington da una delegazione congiunta palestinese-giordana, pensavo che questa situazione potesse cambiare, così mi unii alla delegazione per garantire che qualsiasi accordo firmato dall’OLP non avrebbe avuto l’effetto di consolidare le violazioni del diritto internazionale di Israele. La delegazione della Cisgiordania sapeva esattamente di cosa stavo parlando, eppure trovammo scarso interesse tra i leader dell’OLP di Tunisi.
Durante il mio periodo a Washington, mi chiesi perché fosse così. L’OLP aveva un piano alternativo per affrontare il diritto israeliano e internazionale o un canale separato per i negoziati? Dopo il primo anno, rinunciai e abbandonai i colloqui. Due anni dopo, lessi la Dichiarazione di Principio sugli accordi di Oslo del 1993 e vidi confermati i miei peggiori timori: l’OLP era caduta in tutte le trappole preparate dalla delegazione israeliana. Proprio come avevo previsto, Israele riuscii a consolidare le leggi che limitano la vita palestinese a Gaza e in Cisgiordania e che consentono l’espansione dei suoi insediamenti.
Dopo che nel 1995 l’Autorità Palestinese si consolidò, la sua leadership continuò a ignorare le dimensioni legali dell’occupazione. In assenza di tale pressione, Israele continuò ad attuare tutti i suoi piani nei Territori Occupati, anche quando violavano gli Accordi.
Perché l’OLP, l’Autorità Palestinese e altri rappresentanti hanno ripetutamente omesso di utilizzare la legge a vantaggio del popolo palestinese? In che modo la loro visione della legge differiva in modo significativo da quella del governo israeliano? E in che modo Israele riuscì a creare regimi legali alternativi, che non rientravano nel campo delle leggi internazionali relative alla guerra e all’occupazione, per regolamentare le vite dei Palestinesi? Tutte queste domande, che hanno ossessionato la storia della regione nell’ultimo mezzo secolo, trovano ora alcune convincenti risposte in “Giustizia per alcuni: la legge e la questione della Palestina” di Noura Erakat.
Le manovre legislative di Israele risalgono al 1951, quando nella Convenzione delle Nazioni Unite sullo Stato dei rifugiati ottenne di non riconoscere come rifugiati i Palestinesi costretti a lasciare quello che nel 1948 divenne Israele, purché ricevessero assistenza dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e il Lavoro. Un’esclusione ancora oggi in vigore.
Da quella eccezione, Israele ha fatto tutto quanto è in suo potere per continuare a manipolare ed evitare di aderire a quelle convenzioni di diritto internazionale che disciplinano i rifugiati. Negli anni ’50 e ’60, Israele mantenne i circa 160.000 Palestinesi che non erano fuggiti o non erano stati espulsi durante la guerra del 1948 sotto quello che equivaleva a un regime di legge marziale, dichiarando che il Paese era ancora in stato di emergenza e adottando quello che divenne noto come il “Defense Emergency Regulations”. Facendo così, osserva Erakat, Israele diede una connotazione razziale alla legge marziale per “spogliare, spostare e soprattutto contenere la sua popolazione nativa”.
Anche prima dell’eccezione del 1951, Israele aveva adottato misure legali per raggiungere questo obiettivo. Nel giugno del 1948 furono dati ordini per impedire “con ogni mezzo” il ritorno dei profughi palestinesi e si stima che tra i 3.000 ei 5.000 Palestinesi che tentarono di tornare furono uccisi dalle truppe israeliane lungo le linee dell’armistizio del 1949. Nel 1950, Israele approvò la legge sulle proprietà degli assenti, che ha effettivamente espropriato circa 750.000 rifugiati palestinesi a cui venne negato il diritto al rientro così da poter rivendicare le loro terre. Molti Palestinesi rimasti in Israele furono dichiarati “assenti presenti” e anche le loro terre furono confiscate.
Dopo la guerra del 1967, Israele si trovò di fronte a una nuova serie di convenzioni che doveva sconfiggere: quelle leggi internazionali che si applicano alla guerra e all’occupazione. Con l’occupazione di Gaza e della Cisgiordania (inclusa Gerusalemme Est), i leader israeliani dovettero sviluppare un approccio su vasta scala per legalizzare la loro occupazione di terra palestinese, che era in violazione del diritto internazionale che si applica a quegli Stati che hanno conquistato del territorio durante una guerra.
Dopo aver annesso Gerusalemme Est a titolo definitivo, 20 giorni dopo che il suo esercito era entrato in città, Israele esitò quando arrivò nel resto della West Bank. L’esercito israeliano emise un ordine militare che affermava i principi della Quarta Convenzione di Ginevra, riconoscendo così che Gaza e la Cisgiordania erano ora occupate. Ma questo durò solo poco tempo: quattro mesi dopo, l’ordine venne revocato e il Primo Ministro Levi Eshkol iniziò a discutere con Theodor Meron, il consulente legale del Ministero degli Esteri, se Israele potesse costruire insediamenti nei Territori Occupati.
Quando Meron confermò che tale atto avrebbe violato la Quarta Convenzione di Ginevra, il governo israeliano soppianto il suo parere con un’argomentazione legale avanzata da Yehuda Zvi Blum, un professore di legge dell’Università Ebraica, che affermava che dal momento che la Giordania non aveva una legittima sovranità sulla Cisgiordania, secondo la legge il territorio che Israele ora controllava non era occupato. Senza paralleli giuridici per questa situazione, il territorio era sui generis; perciò a Israele fu concesso di esercitare la sua autorità, come nota Erakat, “senza preservare i diritti sovrani dei suoi abitanti né assorbirli sotto la giurisdizione civile [israeliana]”.
Dal 1967 in poi, questa argomentazione riguardante lo stato eccezionale dei Territori Occupati divenne centrale per il dominio israeliano. Israele non solo sostenne che stava ancora combattendo una guerra diversa da ogni altra, , ma anche che i Palestinesi non erano un popolo giuridico, cioè un popolo con diritti politici e legali collettivi. Israele affermava inoltre che, poiché i territori sequestrati non erano controllati legittimamente da un altro Stato, non esistevano leggi internazionali a cui Israele potesse fare riferimento per governare un tale territorio. Come osserva Erakat, l’invocazione dell’eccezione, come necessità e legge marziale, ha offerto “spazio di manovra israeliano” e gli ha permesso di dispiegare “la struttura sui generis come un atto sovrano generato da una circostanza unica”. Di conseguenza, quando si trattò di stabilire degli insediamenti, Israele insistette sul fatto che era “entro i limiti di legge. “Un quadro sui generis”, aggiunge, ha mantenuto “l’impiallacciatura della legalità producendo una violenza che respinge ogni relazione con la legge “.
Nella lunga storia del progetto di colonizzazione di Israele, ci sono molti altri esempi di tali manovre riguardanti le leggi. Mentre il dichiarare le terre palestinesi “aree chiuse” divenne una mossa centrale nel regime post-1967, gli editti arbitrari emessi prima della guerra di quell’anno con il pretesto dell’emergenza, furono usati per impedire ai Palestinesi di coltivare le loro terre. Erakat scrive che “dal 1948 al 1953 furono scostruiti 350 (su un totale di 370) nuovi insediamenti ebraici su terreni di proprietà di Palestinesi”. Il designare aree di terra palestinesi come “chiuse” rafforzò la struttura legale che provocò il dislocamento palestinese” creando un contesto legale e politico in cui la colonizzazione israeliana in Cisgiordania e Gaza venne normalizzata.
Dopo il 1967 quella dell’eccezione della sovranità divenne una struttura legale diffusa, che servì a giustificare il motivo per cui i coloni israeliani che vivono nella Cisgiordania occupata possono essere soggetti a leggi diverse da quelle applicate al resto della popolazione nella stessa area. Fu anche usata per giustificare l’uso massiccio della forza contro i civili a Gaza dove, come scrive Erakat, “in effetti Israele usurpò il diritto dei Palestinesi a difendersi con la motivazione che non appartenevano a una sovranità embrionale, rinunciò ai suoi doveri di potenza occupante ed estese il suo diritto a utilizzare la forza militare, rendendo così vulnerabili i Gazawi. “La struttura dell’eccezione sovrana, conclude,” è diventata il fondamento delle campagne militari israeliane contro l’enclave costiera “.
Negli anni ’80, come attivista per i diritti umani, colsi ogni opportunità in Palestina e all’estero per mettere in guardia contro la devastazione che “ l’eccezione della sovranità” provocava sulle vite quotidiane dei palestinesi nei Territori Occupati. Sottolineai anche il pericolo che questa rappresentasse una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese, consentendo la creazione di insediamenti israeliani nei Territori Occupati, rendendo così estremamente difficile creare uno Stato palestinese.
Quando parlai in pubblico negli Stati Uniti, la solita risposta fu che questi insediamenti erano necessari per la sicurezza di Israele e che fino a quando Israele aveva una Corte Suprema alla quale i Palestinesi potevano fare appello, la situazione non poteva essere così grave. Col tempo, la giustificazione che gli insediamenti rafforzavano la sicurezza di Israele dimostrò di avere delle basi deboli, mentre la Corte Suprema – quando le si presentò l’opportunità di pronunciarsi sulla legalità degli insediamenti civili nei Territori Occupati – concluse che non era una questione legale, ma politica, quindi al di fuori delle competenze della Corte.
Invece di salvaguardare la legge, la Corte Suprema d’Israele ha eccelso nel fare sottili distinzioni, come quella che l’occupazione potrebbe essere indefinita ma non permanente. Se la Corte si fosse pronunciata sull’illegalità degli insediamenti, avrebbe potuto salvare la regione da quello che ora costituisce uno dei maggiori ostacoli alla pace tra Israeliani e Palestinesi.
La Corte Suprema andò oltre: fornì argomentazioni al governo israeliano per permettergli di continuare con la costruzione degli insediamenti, e nelle innumerevoli cause contro le pratiche dell’esercito israeliano, usò l’argomento della necessità militare per giustificare le violazioni più severe e più eclatanti dei diritti umani verso i Palestinesi.
Mentre Israele consolidava il suo progetto espansionistico attraverso la legge, l’OLP indirizzò la sua attenzione più verso la politica e la diplomazia. Dopo la battaglia di Karameh del 1968, in cui una grande forza d’invasione israeliana fu respinta dai combattenti palestinesi e giordani, l’OLP unificò i movimenti e i partiti palestinesi più attivi. Nel 1974, ottenne notevoli progressi diplomatici quando il suo Presidente, Yasir Arafat, fu invitato a parlare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e a perorare la causa per il riconoscimento dei Palestinesi come persone giuridiche. Presentato come “il comandante generale della rivoluzione palestinese”, Arafat citò l’impegno della Carta delle Nazioni Unite per la libertà e il diritto all’autodeterminazione e insistette sul fatto che questi principi dovevano essere estesi ai Palestinesi, così come lo erano per molti altri popoli. Il discorso contribuì a ostacolare il tentativo americano e israeliano di delegittimare l’OLP e di etichettare il suo uso della forza come criminale e terrorista. Contribuì anche a ottenere dall’Onu il riconoscimento dei Palestinesi come un popolo con i propri diritti legali e politici, in particolare il diritto all’autodeterminazione. Di conseguenza, scrive Erakat, la questione palestinese fu trasformata “da una crisi umanitaria, caratterizzata dalla schiacciante presenza di una popolazione di rifugiati in esilio in tutto il mondo arabo, in una crisi politica segnata dal fallimento delle attuali ed ex potenze coloniali nel consegnare la sovranità e l’indipendenza a un popolo colonizzato. ”
Tuttavia, sottolineò l’ambiguità di ciò che fu salutato da molti come una vittoria per l’OLP: “Articolando le sue richieste di riconoscimento di un popolo nel quadro del diritto internazionale e perseguendo questo obiettivo presso le Nazioni Unite, l’OLP si avvalse delle stesse norme istituzionali che legittimavano l’establishment di Israele, ne naturalizzavano l’esistenza e salvaguardavano la sua sovranità territoriale e politica. Il risultato di questa svolta a favore dell’utilizzo del diritto internazionale, creò uno scisma all’interno dell’OLP tra un campo “pragmatico” che considerava uno Stato ad interim, o anche definitivo, un passo verso la piena liberazione e il “Fronte del Rifiuto”, guidato dal FPLP [Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina], che insisteva sulla rivoluzione al fine di togliere la sovranità ai coloni sionisti “.
L’interrogativo su come relazionarsi con Israele e con le leggi internazionali che legittimano la sua esistenza, continuò a tormentare la politica dei Palestinesi e a dividerli in fazioni: il Movimento di Liberazione Palestinese si è dedicato alla creazione di uno Stato palestinese con Israele o al posto di Israele? Inoltre era in discussione se intraprendere un processo diplomatico con Israele al fine di trovare una soluzione al conflitto o perseguire la liberazione attraverso ogni mezzo possibile.
La spaccatura continuò negli anni ’80 e fu un ostacolo nei colloqui iniziati nei primi anni ’90, come fu evidente nelle divergenti posizioni assunte dalle varie fazioni palestinesi rispetto agli accordi di Oslo. Anche dopo la conclusione degli accordi, questa spaccatura continuò a dividere la politica palestinese in due campi, con il veemente rifiuto degli accordi da parte di Hamas e del FPLP che indebolirono l’Autorità Palestinese, emersa come risultato dell’accordo.
La leadership palestinese dovrebbe anche confrontarsi con un altro aspetto del diritto internazionale che nel libro di Erakat funge da area critica per l’inchiesta e costituisce una delle lezioni chiave impartite dalla sua analisi: che “la legge è tanto significativa quanto la volontà politica alla base della sua applicazione “. Nel caso della Palestina, questo è stato evidente in molti momenti durante i lunghi anni di lotta dei Palestinesi, e più che mai ai tempi dei negoziati di Oslo.
Avendo seguito da vicino per molti anni le modifiche nella legge e nell’amministrazione dei Territori Occupati, quando mi unii alla delegazione palestinese feci pressione sull’OLP affinché adottasse una strategia legale oltre che politica, così da contrastare il tentativo di Israele di consolidare e custodire le sue manovre legali in qualsiasi accordo con i Palestinesi. L’OLP, tuttavia, fu riluttante a farlo, anche nei negoziati segreti svoltisi a Oslo nel 1992 e nel ’93. Come osserva Erakat, “la mancanza di considerazione per la legge da parte della leadership dell’OLP, e in particolare per la malleabilità strategica della legge” e “il suo obiettivo di ottenere il riconoscimento de jure per il movimento di liberazione” finì per accecarla rispetto “ai termini deleteri” dell’accordo che stava redigendo “.
Mentre i negoziatori palestinesi inizialmente cercarono di ottenere da Israele la promessa di cessare qualsiasi attività di insediamento, finirono per accettare qualcosa di molto meno: l’offerta di Israele di riconoscere l’OLP come rappresentanti del popolo palestinese. Abu Ala, il principale negoziatore palestinese a Oslo, spiegò in seguito il ragionamento, “il riconoscimento israeliano dell’OLP come rappresentante del popolo palestinese significherebbe anche l’accettazione da parte israeliana dell’agenda politica dell’OLP, compreso il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e il loro diritto a stabilire uno Stato palestinese indipendente “.
Come il tempo ha dimostrato, Abu Ala non avrebbe potuto sbagliarsi maggiormente “Come parte dell’accordo faustiano che è la struttura di Oslo”, spiega Erakat, “l’Autorità palestinese interiorizzò la logica coloniale secondo la quale l’ osservanza e il buon comportamento sarebbero stati premiati con indipendenza”. Così, firmando un accordo del genere, l’OLP non minò solo le più ampie rivendicazioni legali dei Palestinesi, ma “alterò gravemente il movimento nazionale palestinese post-1965 e lo trasformò in una parte critica dell’apparato coloniale israeliano, piuttosto che essere il principale ostacolo a quell’apparato”.
Nelle parti finali del suo libro, Erakat descrive le varie campagne legali che l’OLP prima e l’Autorità palestinese poi intrapresero dopo gli accordi di Oslo, tra cui un ricorso alla Corte internazionale di giustizia nel 2004 e un tentativo di migliorare lo status dei Territori Palestinesi presso le Nazioni Unite passando da un’entità osservatrice non statale a uno Stato membro.
Erakat conclude che, in ogni caso, “la leadership palestinese perseguì una campagna legale mirata, nei termini più crudi e più rudimentali, a tenere conto di Israele attraverso il diritto internazionale”. Allo stesso tempo, incline a conquistare il favore degli Stati Uniti, la strategia dei Palestinesi non incluse alcun tentativo di sfidare l’inequivocabile supporto degli Stati Uniti a Israele, condannandosi così al fallimento.
Un filo conduttore di questo fallimento è l’incapacità della leadership palestinese, sia dell’OLP che dell’Autorità Palestinese, di comprendere che le nazioni non aderiscono al diritto internazionale se vi vengono costrette. Come mostra Erakat, spesso accade invece il contrario: la volontà politica tende a minare le norme legali. Senza l’intervento aggressivo degli Stati Uniti a favore di Israele, gli argomenti legali di Israele non avrebbero avuto successo. “Nel corso dei decenni” scrive Erakat,
Gli Stati Uniti hanno protetto Israele dalla censura diplomatica e sostenuto le sue azioni militari nella regione, tacitamente appoggiando la struttura di occupazione sui generis di Israele che appropriandosi delle terre palestinesi altera lo status quo territoriale. Di conseguenza, la politica mediorientale degli Stati Uniti ha permesso a Israele di espandere la sua attività di costruzione di insediamenti senza gravi conseguenze.
Questo continua ad essere il caso anche con l’amministrazione Trump, che concede a Israele ancora più impunità. Quando durante la sua recente campagna di rielezione il Primo Ministro Benjamin Netanyahu promise di annettere gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, gli Stati Uniti non sollevarono dubbi sulla sua legalità – in realtà, l’amministrazione Trump aveva appena riconosciuto l’annessione israeliana delle alture del Golan siriano.
Trump ha mostrato la volontà di andare ancora oltre. Il 12 aprile 2019, a seguito di una denuncia da parte dei Palestinesi che chiedevano alla Corte penale internazionale dell’Aja di indagare sulle demolizioni di case palestinesi e sulla costruzione di insediamenti illegali in Cisgiordania, Trump ha affermato che “qualsiasi tentativo di mettere sotto inchiesta il personale americano, israeliano o alleato provocherà una risposta rapida e vigorosa “.
Concludendo il suo libro, Erakat sostiene che “la rivendicazione principale dei Palestinesi non è il controllo; è l’appartenenza. Il rifiuto incondizionato di centrare le rivendicazioni palestinesi e di invertire l’equazione della sovranità ebraica che eguaglia l’oppressione palestinese, ci impedisce di ricorrere a possibilità più fruttuose. “La legge sarà il meccanismo per raggiungere questo diritto di appartenenza, ma c’è un lavoro politico da fare. Cita quindi Gabriel Ash, un analista israeliano-americano, che sottolinea che la cittadinanza israeliana soffre “di incapacità congenita di appartenere alla terra che rivendica come sua patria”, quando ciò che è necessario sarebbe “un’Israele che si sente a suo agio nel Medio Oriente riconoscendo i diritti dei Palestinesi”. Erakat è d’accordo, ma riconosce anche che ciò potrebbe non essere possibile nel momento attuale, con la decisiva svolta a destra di Israele e un governo controllato dal partito dei coloni.
Mentre Erakat ha ragione nel sostenere che la legge internazionale non è riuscita a regolare o frenare il progetto coloniale di Israele, ciò che nel suo libro è assente è qualsiasi considerazione sul fatto che Israele sia stato fin troppo intelligente a scapito del suo stesso bene. Il suo successo nell’evitare l’applicazione del diritto internazionale e nell’ingannare la leadership palestinese ha funzionato anche contro i propri interessi, precludendo la possibilità di pace. Per quanto limitata fosse la leadership di Arafat, questi era pronto a un compromesso con i suoi avversari. Rifiutando la sua disponibilità al compromesso, Israele ha perpetuato il conflitto.
Si potrebbe anche nutrire ancora qualche speranza riguardo al diritto internazionale. La legge, nella narrativa di Erakat, è stata cinicamente maltrattata da Israele. Tuttavia, può ancora arrivare il giorno in cui il diritto internazionale potrebbe nuovamente agire da arbitro per risolvere i conflitti. Si spera che sia così, non solo per il Medio Oriente, ma anche per il resto del mondo.
Raja Shehadeh è uno dei fondatori di Al-Haq. Il suo prossimo libro, Going Home: A Walk Through Fifty Years of Occupation, è uscito in agosto.
(Foto di copertina: Malleh Adumim, 1996. AP / Greg Marinovich)
Traduzione per Invictapalestina.org di Grazia Parolari.
1 note
·
View note
Text
Specie a rischio estinzione, come agisce la CITES per garantire la loro sopravvivenza
Specie a rischio estinzione, come agisce la CITES per garantire la loro sopravvivenza
La Convenzione di Washington, nota anche come CITES, da sempre tutela le specie animali e vegetali a rischio con controlli… La globalizzazione e il commercio internazionale hanno il vantaggio di garantire una crescita a livello mondiale e la possibilità di avere a disposizione prodotti prima difficili da reperire. Anche se questo rappresenta un… Read MoreAnimali domestici, Attualità, AnimaliToday
View On WordPress
0 notes
Text
Collezionista abusivo di specie protette scoperto a Masserano: il sequestro di reperti e trappole dai Carabinieri Forestali
Un’indagine straordinaria che evidenzia l’impegno nella tutela della biodiversità.
Un’indagine straordinaria che evidenzia l’impegno nella tutela della biodiversità. Un’operazione di grande rilievo è stata portata a termine dai Carabinieri Forestali del Nucleo CITES di Alessandria in collaborazione con i nuclei di Asti e Torino. Lo scorso novembre, durante un controllo a Masserano, è stato arrestato un collezionista abusivo nella cui abitazione sono stati trovati 95 reperti di…
#Alessandria today#Biodiversità#biodiversità in pericolo#Carabinieri Alessandria#Carabinieri Forestali#Carabinieri Forestali Asti#CITES#Convenzione di Washington#equilibri ecologici#fauna protetta Italia#Fauna selvatica#Google News#italianewsmedia.com#lotta al traffico illegale#Masserano operazione#Nucleo CITES Alessandria#operazione Masserano#operazione novembre 2024#operazioni Carabinieri Forestali#operazioni contro crimini ambientali#pelli di leopardo#Pier Carlo Lava#protezione animali#reati ambientali#reati contro la natura#sequestri animali#sequestro animali imbalsamati#sequestro pelli animali#sequestro reperti CITES#traffico di avorio
0 notes
Text
La Migrazione ambientale: l'approfondimento di Ermelinda Pugliese
La Migrazione ambientale: l'approfondimento di Ermelinda Pugliese Sicuramente voi lettori ricorderete la studentessa Ermelinda Pugliese e il suo approfondimento ripreso da Geopolitica.info. Un ulteriore passo importante e maturo a nostro avviso, è stato compiuto dalla giovane autrice, che non è più da considerare solo una studentessa! La prova tangibile di quanto affermiamo è dimostrata da questo saggio sulla migrazione ambientale, scritto nel 2020 e concesso a noi di Vortici.it in esclusiva! una chicca assoluta, per le nostre due nuove sezioni di saggistica e ricerche.Environmental migration, un problema da risolvereIntroduzioneSin dagli albori della storia dell’uomo, i fattori climatici ed ambientali sono stati spesso causa di innumerevoli e significativi movimenti migratori. Oggi, molti fattori riconducibili ad eventi ambientali spingono ogni anno milioni di persone ad abbandonare le proprie dimore, alla ricerca di migliori condizioni di vita, sia all'interno che all’esterno del proprio Paese d’origine. Manca tuttora una definizione univoca che permetta di identificare tali individui e gruppi, sia sul piano formale che sul conseguente piano giuridico. Diverse nomenclatureLe espressioni che vanno ad identificare i migranti per cause legate all’ambiente sono molteplici e sottendono implicazioni differenti. La definizione “rifugiato ambientale”, inizialmente proposta da Lester Russell Brown nel 1976, venne successivamente ripresa da Essam El-Hinnawi nel suo Rapporto dell’United Nation Development Programme (UNEP) del 1985, incentrato sul fenomeno delle migrazioni ambientali. Come per altre espressioni affini (rifugiato climatico), l’inefficacia della definizione risiede proprio nel significato giuridico di “rifugiato”: la Convenzione di Ginevra sui Rifugiati del 1951 identifica con tale termine colui (o colei) che attraversa una frontiera internazionale a seguito di una persecuzione razziale, religiosa, sociale o politica. Il sottinteso legame con una dinamica persecutoria rende perciò inutilizzabile l’espressione coniata da Brown.L’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (IOM), predilige parlare di “migranti ambientali”, definendoli come persone che abbandonano, temporaneamente o permanentemente, le proprie abitazioni a seguito di cambiamenti ambientali, repentini o graduali, che influenzano negativamente le loro condizioni di vita. L’IOM specifica che la meta della migrazione può essere sia all’interno che all’esterno dei confini del Paese d’origine. In base alla causa ambientale, l’IOM identifica 3 tipi di migrante ambientale:- Environmental emergency migrant: la causa scatenante è un disastro ambientale (tsunami, terremoto, eruzione vulcanica) cui consegue una migrazione temporanea; - Environmental forced migrant: le condizioni di vita sono influenzate negativamente dal progressivo deterioramento delle risorse naturali (deforestazione, salinizzazione delle acque dolci); L. R. BROWN, Twenty-two dimensions of the population problem, Washington 1976. E. EL-HINNAWI, Environmental refugees, Nairobi 1985.- Environmental motivated migrant: la migrazione è indotta dal peggioramento di problematiche derivanti dal deterioramento naturale (diminuzione della produttività agricola conseguente alla desertificazione). Il Parlamento Europeo, prevedendo che il fenomeno delle migrazioni ambientali diventerà sempre più diffuso, e che necessiterà perciò di una gestione scientifica e politica, propone di utilizzare “Environmentally induced Migration” per indicare in generale il fenomeno e “Environmentally induced Displacement” per la migrazione forzata causata principalmente da fattori ambientali.Poiché nella maggior parte dei casi i migranti per ragioni ambientali non valicano i confini del loro Paese, ne consegue che essi possano essere considerati come sfollati interni, rientrando in questo modo nel profilo delineato nei Principi Guida delle Nazioni Unite sullo sfollamento interno.L’oggettiva difficoltà nel delineare una classificazione essenziale e funzionale al fenomeno delle migrazioni causate da fattori ambientali è dovuta anche ad un’altra importante variabile, come si intuisce anche dalle tre categorie proposte dall’IOM. Tale variabile è, appunto, la natura dei diversi “Fattori Ambientali e Climatici”.Un’ulteriore distinzione viene evidenziata nel progetto europeo Each For, che tiene conto della volontarietà e della causa della migrazione. Anche in questo caso vengono proposti 3 categorie: - Migranti ambientali, che scelgono volontariamente di abbandonare le proprie dimore per cause legate all’ambiente; - Sfollati ambientali, che sono costretti ad abbandonare a seguito di una minaccia o catastrofe naturale; - Development displaced, popolazioni trasferite in seguito a progetti di sviluppo. I diversi fattoriUn importante distinguo deve essere fatto tra fattori ambientali originati da cause naturali e fattori ambientali originati da cause antropiche anche se, come vedremo, non ci può essere una netta linea di demarcazione tra i primi e i secondi. Una seconda caratteristica importante nella classificazione degli eventi riguarda l’aspetto temporale, ossia il tempo che intercorre tra il verificarsi dell’evento e la conseguente migrazione.Appartengono alla categoria dei Fattori ambientali originati da cause naturali quegli eventi non direttamente collegati all’attività umana, come terremoti, tsunami, inondazioni, eruzioni vulcaniche. Si tratta di avvenimenti a volte non prevedibili, che si verificano all’improvviso e che colpiscono violentemente e rapidamente le popolazioni coinvolte. Questa prima categoria solitamente causa movimenti migratori a breve raggio: le popolazioni colpite si spostano subito dopo il verificarsi dell’evento, in luoghi piuttosto vicini a quello d’origine, per poi fare ritorno “a casa” dopo che la situazione si è stabilizzata. Da un punto di vista temporale, quindi, gli spostamenti conseguenti a questo tipo di eventi sono molto ravvicinati. UNHCR, Guiding Principles on Internal Displacement, New York 1998Nell’agosto del 2005 l’uragano Katrina si è abbattuto sulle coste del Golfo del Messico, colpendo con forza gli stati americani di Mississippi, Alabama, Florida, Georgia, Ohio, Kentucky e Louisiana, anche a causa dei conseguenti allagamenti, resi ancor più devastanti dall’indebolimento degli argini. A seguito del disastro, la popolazione di New Orleans è stata costretta a migrare; ciononostante circa il 15% della cittadinanza, per problemi economici e logistici, è rimasta inizialmente bloccata nella città. In seguito solo la metà della popolazione originaria ha deciso di ritornare a New Orleans; parallelamente, con la nascita di nuovi posti di lavoro legati alla ricostruzione, si è assistito ad un movimento migratorio “prevalentemente irregolare proveniente dall’America Centrale” . C. GIUDICI - C.W. DE WENDEN, I nuovi movimenti migratori, Milano 2016, p. 80.Ci sono, tuttavia, fattori ambientali che si verificano nel lungo periodo, come ad esempio la salinizzazione delle acque dolci, o l’aumento del livello del mare. Emblematico il caso del piccolo arcipelago di Tuvalu, nel Pacifico Meridionale. A Tuvalu l’innalzamento del livello del mare è un problema estremamente importante, (l’altezza massima è di circa 5 metri s.l.m.) noto da più di un secolo; per affrontare il problema, negli anni, si è ricorso a diverse misure, da una ferrea politica di controllo delle nascite, all’acquisto nel 1946 di un’isola Fiji,Kioa, con lo scopo di trasferirvi parte della popolazione proveniente dall’isola di Vaitupu.Al giorno d’oggi buona parte della popolazione di Tuvalu vive in Nuova Zelanda, a seguito di una costante migrazione verso un Paese che offre più possibilità sia a livello lavorativo che di condizioni di vita (l’acqua potabile a Tuvalu è ricavata esclusivamente dalle acque piovane). Un recente studio, condotto dall’Università di Auckland tra il 1971 e il 2014 e pubblicato su Nature nel 2018, ha riscontrato un aumento della superficie dell’arcipelago di circa il 3% nel periodo di osservazione. I ricercatori sostengono che la diminuzione del territorio non dovrebbe più rappresentare un problema per gli abitanti di Tuvalu, pur sottolineando quanto l’adattamento ai cambiamenti climatici in corso rimanga di grande importanza per i suoi abitanti. In casi come quello di Tuvalu si tratta di modificazioni ambientali graduali, che possono essere affrontate con una certa progettualità.Alla categoria dei Fattori ambientali originati da cause antropiche appartengono quegli eventi conseguenti all’azione umana: il controllo sui corsi d’acqua per motivi strategici, politici o bellici, l’evacuazione di intere popolazioni per la realizzazione di grandi progetti di costruzione (ma anche di preservazione o di sviluppo), fino ai disastrosi incidenti nucleari. L’esodo conseguente all’incidente nucleare avvenuto a Cernobyl il 26 aprile 1986 è rappresentativo dell’impatto antropico sull’ambiente: 36 ore dopo l’incidente, a seguito del diffondersi della nube tossica, l’intera popolazione di Pripyat (circa 50000 persone) venne evacuata e collocata nei distretti vicini per poi spostarsi, da settembre, verso Kiev. Le evacuazioni proseguirono, coinvolgendo in diverse fasi tutti i villaggi e le città nel raggio di 30 chilometri dalla centrale, causando la migrazione forzata di oltre 110000 cittadini Ucraini, Bielorussi e Russi. L’esempio di Chernobyl si riferisce ad un evento improvviso e violento. “After considerable discussion the Colonial Secretary of Fiji approved the purchase and on 15 June 1946 Koia was bought for £3000.” SIMATI FAANIU, Tuvalu: a History, Suva 1983, p. 85ZOMMERS - ALVESON, Resilience: the science of adaptation to climate change, Londra 2018, p. 310 https://www.nature.com/articles/s41467-018-02954-1 https://phys.org/news/2018-02-pacific-nation-bigger.html UNSCEAR, Sources and effects of ionizing radiation, vol. II, Annex J, New York 2000, pp. 472-473 e 527. Il caso della diga delle Tre Gole in Cina è esemplificativo di quegli eventi antropici causati da progetti di sviluppo. Completata nel 2006, la gigantesca diga del Fiume Azzurro, nella provincia di Hubei, costituisce una centrale idroelettrica di enorme portata, che consente di contribuire al fabbisogno energetico del Paese, abbattendo così la produzione di energia elettrica derivata dalla combustione del carbone. Un altro beneficio portato dalla diga è il controllo delle piene del Fiume Azzurro e le conseguenti inondazioni nella parte meridionale del Paese. La realizzazione del progetto, però, ha avuto un impatto ambientale di grande importanza: il riempimento del bacino ha infatti sommerso una vasta area, in cui erano presenti città, paesi, villaggi e siti archeologici. A tal proposito lo Stato cinese ha dovuto evacuare oltre un milione di cittadini provenienti dall’area interessata, ricollocati in altre zone della provincia. Un’altra ricaduta ambientale negativa è rappresentata dalle emergenze geologiche collegate alla costruzione della diga, in particolare frane e smottamenti, che potrebbero portare ad altre evacuazioni.Un ultimo esempio di fattori naturali originati da cause antropiche è la gestione dei corsi d’acqua e delle risorse idriche, spesso utilizzato come strumento per indebolire città, o addirittura Paesi, in conflitto. La grave siccità che ha colpito la Siria tra il 2006 e il 2011 è stata esacerbata da una gestione delle dighe turche sull’Eufrate poco attenta alle necessità siriane; questo ha portato ad una migrazione di migliaia di persone, dai centri rurali alle città, impreparate ad accoglierle e collocarle. Nel successivo conflitto mediorientale, l’ISIS “ha cercato di controllare le aree più fertili come quella di Tabqua da dove si approvigionano le principali città siriane, ha attaccato gli impianti del Tigri e dell’Eufrate sia in Siria che in Iraq, governando i flussi delle popolazioni in cerca di acqua e sostentamento".Dati dell’UNHCR risalenti a marzo 2017 riferiscono di quasi 5 milioni di rifugiati e richiedenti asilo provenienti dalla Siria. G. CANCELLIERE (a cura di), Le Mani sull’acqua, Migrazioni ambientali e conflitti per il controllo dell’acqua, Bologna 2017, pp. 27-33. https://www.unhcr.it/news/comunicati-stampa/la-guerra-arriva-al-settimo-anno-lunhcr-avverte-la-siria-fase-cruciale.html Come detto in apertura di paragrafo, esiste anche una terza categoria di Fattori Ambientali e Climatici che causano migrazioni. Si tratta di una categoria mista, in cui fattori di carattere naturale e fattori di carattere antropico concorrono ad eventi ambientali che spingono le popolazioni a migrare altrove. Il primo esempio, il cosiddetto Dust Bowl, trova un posto di rilievo nella trattatistica sulle migrazioni ambientali. L’evento, verificatosi durante gli anni ‘30 del XX secolo, coinvolse cinque Stati americani: Texas, Oklahoma, New Mexico, Kansas e Colorado. A seguito di una intensiva (ed esclusiva) coltivazione di grano, che andava così ad inaridire un terreno non più idratato dalla rotazione delle colture, la siccità ridusse il suolo secco in polvere, e una serie di tempeste di sabbia si abbattè sulla regione. Una delle più devastanti tempeste di sabbia, denominata Black Sunday, si verificò il 14 aprile 1935, e colpì con maggior violenza l’Oklahoma nordoccidentale e il Texas settentrionale. Questa serie di tempeste ridusse in ginocchio la popolazione, sia per l’impossibilità di poter coltivare un terreno oramai non più fertile, sia per la conseguente confisca dei beni ad opera delle banche, a seguito dell’insolvibilità di fattori ed agricoltori. La conseguente migrazione, prevalentemente verso l’Ovest, coinvolse oltre mezzo milione di persone, con importanti ripercussioni sia sociali che economiche. Nel 1936 il San Francisco News commissionò a John Steinbeck una serie di articoli sulla diaspora in atto, pubblicati tra il 5 e il 12 ottobre dello stesso anno, e successivamente pubblicati nella raccolta “The harvest gypsies”. Le vicende migratorie del Dust Bowl sarebbero diventate il tema del romanzo Furore dello stesso Steinbeck, uno dei romanzi simbolo della depressione americana degli anni ‘30. JOHN STEINBECK, I Nomadi, Milano 2015, prefazione. Il disastro nucleare avvenuto tra l’11 e il 15 marzo 2011 a Fukushima, è un esempio di come fattori di carattere naturale e fattori di carattere antropico possano essere indissolubilmente legati in una sfortunata relazione causa-effetto. Fu infatti il terremoto di Tohoku (11 marzo 2011) ad innescare uno tsunami che distrusse i generatori di emergenza che avrebbero alimentato il processo di raffreddamento dei reattori; in seguito si ebbero, infatti, esplosioni ed uscite di materiale radioattivo da 3 dei 6 reattori della centrale (12-15 marzo). Un’operazione congiunta tra il Governo giapponese e la TEPCO ha portato all’evacuazione di oltre 150000 persone nel raggio di 30 km dalla centrale. Tokyo Electric Power COmpany A. ASGARY, Resettlement challenges for displaced populations and refugees, Toronto, 2019, p.154
Una problematica in costante aumento - Conclusioni.Secondo diversi studi, si ritiene che, entro il 2050, il numero di migrazioni a seguito di eventi collegati all’ambiente e al clima aumenteranno esponenzialmente: la stima più ottimistica ne prevede 50 milioni, per arrivare fino ad 1 miliardo negli studi più pessimistici. Al netto di quella che sarà l’effettiva evoluzione del fenomeno, appare evidente quanto sia di fondamentale importanza riuscire ad arginarne le cause (diminuzione dell’inquinamento, abbassamento dell’impatto ambientale, risorse energetiche alternative) e regolamentarne gli effetti (in primis una univoca classificazione dei movimenti migratori derivanti da cause ambientali, cui dovrebbe conseguire una regolamentazione giuridica che garantisca alle persone coinvolte di avere l’assistenza necessaria e la possibilità di costruirsi una vita migliore). https://www.climateforesight.eu/migrations-inequalities/environmental-migrants-up-to-1-billion-by-2050/ * Occorre essere tutti responsabili! Abbiate cura di voi, dei vostri cari e dei vostri amici. - Le immagini fotografiche sono state accuratamente scelte dalla stessa autrice. Read the full article
0 notes
Text
Macchia di Giarre, ai domiciliari con 7 kg di droga e una piscina abusiva: arrestato dai Carabinieri giovane pusher
Giarre (Catania), ai domiciliari con 7 kg di droga e una piscina abusiva: arrestato dai Carabinieri giovane pusher. L’incessante attività di prevenzione e repressione dei reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, volte a contrastare una delle maggiori fonti di approvvigionamento della criminalità organizzata, ha consentito ai Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Giarre, coadiuvati dallo squadrone eliportato Carabinieri “Cacciatori di Sicilia”, di arrestare per detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio un 23 enne di Macchia di Giarre, già sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari per reati in materia di droga. In particolare gli investigatori, dopo aver svolto tutta una serie di mirate azioni investigative sul soggetto, hanno deciso di intervenire direttamente presso la casa del giovane, un’abitazione indipendente al piano terra situata a Macchia di Giarre, dove lo stesso viveva con i genitori quando, dalle acquisizioni informative, erano certi che lo stesso di fosse rifornito. Le ipotesi investigative dei Carabinieri, difatti, si sono rivelate quantomai corrette. Durante la perquisizione infatti sono stati scovati ben 7 chilogrammi di droghe da cui sarebbero state prodotte oltre 20.000 dosi per un valore, al dettaglio, di circa 45.000 €. In particolare, i militari hanno trovato, ben nascosti, all’interno di una scatola dentro un mobile della cucina 3 kg di marijuana mentre, dentro l’armadio della camera da letto del ragazzo quasi 4 kg di hashish. Assieme agli stupefacenti, gli investigatori hanno anche trovato e sequestrato una bilancia elettronica e materiale idoneo al taglio e al confezionamento delle dosi. Nel corso delle attività, inoltre, i militari dell’Arma hanno altresì accertato che il pusher e i suoi familiari, avevano anche realizzato un rilevante abuso edilizio nel dettaglio, sfruttando una norma comunale che prevedeva la “Concessione del diritto d’uso per l’adozione delle aree verdi di proprietà comunale”, avevano abusivamente occupato l’area pubblica prospiciente la loro abitazione, recintandola e addirittura realizzandovi una piscina interrata. Addirittura, sempre nella parte abusivamente occupata, era stato realizzato anche un terrario nel quale i Carabinieri hanno recuperato tartarughe della specie “Testudo Hermanni”, protetta dalla convenzione di Washington (CITES). Le testuggini, ben 11 esemplari, sono stati, dunque, sequestrati e affidati in custodia alla Ripartizione Faunistico Venatoria di Catania. Il giovane pusher, oltretutto recidivo, è stato arrestato e, a seguito dell’udienza di convalida, l’Autorità Giudiziaria lo ha sottoposto nuovamente agli arresti domiciliari, ma con l’aggravante del braccialetto elettronico. ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
Text
Biden, gli Usa hanno distrutto tutte le loro armi chimiche
(ANSA) – WASHINGTON, 08 LUG – Il presidente Usa Joe Biden ha annunciato che gli Stati Uniti hanno finito i distruggere tutte le loro scorte di armi chimiche, adempiendo a un impegno previsto dalla Convenzione sulle armi chimiche del 1997. “Oggi sono orgoglioso di annunciare che gli Stati Uniti hanno distrutto in modo sicuro l’ultima munizione in quella scorta, avvicinandoci di un passo a un mondo…
View On WordPress
0 notes
Text
Susan Anthony
https://www.unadonnalgiorno.it/susan-anthony/
Susan Brownell Anthony, suffragista, antischiavista, considerata la madre delle femministe, è colei che ha portato le donne al voto.
Purtroppo non ha vissuto abbastanza per vedere attuare l’emendamento alla Costituzione che porta il suo nome.
Scrittrice, attivista e pioniera dei diritti civili, ha svolto un ruolo cruciale nel movimento per l’emancipazione femminile nel XIX secolo, lottando strenuamente per assicurare il diritto di suffragio alle donne negli Stati Uniti.
Nacque a Adams, Massachusetts, il 15 febbraio 1820, in una numerosa famiglia quacchera, da genitori di mentalità progressista che puntarono molto sulla sua educazione. All’epoca, per le bambine si usavano programmi diversi, molto più scarsi rispetto a quelli dei maschi.
A causa della grave crisi finanziaria del 1837, la famiglia si ritrovò in grandi difficoltà economiche e Susan lasciò la casa per andare a insegnare e contribuire a pagare i debiti di suo padre. Fu anche Preside della sezione femminile di una scuola e in quell’ambito iniziò a lottare per salari equivalenti a quelli degli insegnanti maschi; gli uomini guadagnavano quattro volte più delle donne per le stesse mansioni.
Pur essendo una giovane donna insicura del suo aspetto fisico e delle sue capacità oratorie, l’impegno per la causa femminile le fece vincere egregiamente le paure e la sua resistenza iniziale a parlare in pubblico. Svolse un’intensa attività di propaganda e sensibilizzazione, diventando una delle più importanti leader del movimento delle donne, per 45 anni ha viaggiato senza sosta, tenendo dai 75 ai 100 discorsi all’anno.
Nell’agosto 1848, partecipò alla convenzione dei diritti delle donne e firmò la Dichiarazione dei Sentimenti della convenzione di Rochester.
Abbandonato l’insegnamento, a 29 anni divenne segretaria del gruppo Figlie della Temperanza, per combattere la correlazione tra alcol e violenza domestica, la sua prima importante ribalta pubblica.
Si allontanò dai Quaccheri, che considerava ipocriti e, col passare del tempo, sempre di più dalla religione in generale, attirandosi la condanna di vari gruppi cristiani per i suoi atteggiamenti irreligiosi.
Impegnata per la protezione degli animali, era vegetariana. Assunse anche un ruolo di spicco nel movimento anti-schiavista.
Nel 1851, con Elizabeth Cady Stanton, organizzò la prima società femminile statale per la temperanza negli Stati Uniti, dopo che lo stesso anno, le era stata rifiutata l’ammissione a una precedente convenzione perché era una donna. Insieme attraversarono gli Stati Uniti tenendo discorsi e tentando di persuadere il governo che uomini e donne dovevano essere trattati in modo uguale nella società.
Partecipò alla convenzione di Syracuse, nel 1852, dove ottenne notorietà come potente sostenitrice pubblica dei diritti delle donne e voce attiva per il cambiamento.
Nel 1856, Susan B. Anthony tentò di unificare il movimento per i diritti delle persone afroamericane con quello per i diritti delle donne, unendosi alla Società antischiavista americana di William Lloyd Garrison.
Alla Nona Convenzione dei diritti delle donne, il 21 maggio 1859, chiese:
“Dove, in base alla nostra Dichiarazione d’indipendenza, l’uomo sassone trae il suo potere di privare tutte le donne e i negri dei loro inalienabili diritti?”.
Nel 1869 entrò in conflitto con il suo vecchio amico Frederick Douglass, per la posizione assunta dall’Associazione per gli uguali diritti che votò a favore del Quindicesimo Emendamento alla Costituzione, che concedeva il diritto di voto ai neri ma non alle donne. Da quel momento in poi si dedicò essenzialmente alla lotta a favore dei diritti delle donne.
È stata fondatrice del settimanale The Revolution, nato per promuovere il diritto al suffragio delle donne e degli afroamericani, che si occupava anche di temi sociali come il diritto a un salario equo, leggi più liberali per il divorzio e la posizione della Chiesa sulle questioni femminili.
Sempre con Elizabeth Cady Stanton, ha fondato l’Associazione Nazionale per il Suffragio delle Donne (National Women���s Suffrage Association), di cui è stata vicepresidente e poi presidente. Nonostante i suoi grandi sforzi, non riuscì mai a conquistare il favore delle donne del movimento operaio alla causa suffragista, vista come un interesse del ceto medio.
La sua scelta di perseguire alleanze con i suffragisti moderati e conservatori creò a lungo tensioni anche con la sua socia di sempre. Convinta che un approccio moderato nella causa per i diritti delle donne fosse più realistico e più proficuo, tese a unire il movimento per il voto ogni volta che fu possibile, anche a costo di rinviare altri sforzi collegati ai diritti delle donne, quali la schiavitù religiosa e sociale, cosa che procurò l’allontanamento di Elizabeth Stanton.
Il 15 novembre del 1872 si recò alle urne per votare alle elezioni presidenziali. Per questo suo gesto venne condannata al pagamento di una multa di 100 dollari. Al giudice che la accusava di aver violato la legge rispose: “Sì, vostro onore, ma sono leggi fatte dagli uomini, interpretate da uomini e amministrate da uomini in favore degli uomini e contro le donne. Io non pagherò nemmeno un dollaro per la vostra ingiusta condanna”, e così fece.
Nel 1898, organizzò una raccolta fondi per promuovere l’accesso delle donne all’Università di Rochester, obiettivo che venne raggiunto nel 1900.
In collaborazione con altre femministe pubblicò La storia del suffragio femminile in quattro volumi.
È morta a Rochester il 13 marzo 1906.
Solo nel 1920, 14 anni dopo la sua scomparsa, un emendamento alla Costituzione statunitense, chiamato Anthony in suo onore, ha concesso il voto alle donne.
Nel 1921 le è stata eretta una statua al Campidoglio di Washington. La sua effigie venne riprodotta sulle monete statunitensi, chiamate il “dollaro di Susan B. Anthony“.
Le case in cui è nata e cresciuta sono diventate monumenti e musei.
Grazie alla sua incessante attività, vissuta come una missione talmente grande da travalicare altre importanti istanze, Susan B. Anthony è riuscita a portare le donne alle urne consegnando nelle loro mani un fondamentale diritto civile.
0 notes
Text
Operazione “Sciamano” : Sequestrate 253 piante psicotrope oltre a 53 cactus protetti dalla Convenzione di Washington detenuti senza alcuna documentazione CITES
Operazione “Sciamano” : Sequestrate 253 piante psicotrope oltre a 53 cactus protetti dalla Convenzione di Washington detenuti senza alcuna documentazione CITES – sequestrate anche 4 testuggini terrestri detenute illegalmente San Benedetto del Tronto (AP) 02.07.2021 – Nella giornata di ieri i militari del Raggruppamento Carabinieri CITES di Roma – Reparto Operativo, unitamente ai militari dei…
View On WordPress
0 notes