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L'anello del Cinquecento di Civica Amica per la Notte dei Ricercatori
Per la Notte dei Ricercatori organizzata dall’Università della Calabria, Civica Amica propone un Mini Tour gratuito dell’Anello del Cinquecento cosentino (dettagli in locandina).L’appuntamento è alle 16.30 del 27 settembre prossimo, sotto gli “Archi di Ciaccio”, nel cuore del centro storico di Cosenza.Di seguito, il programma:– Le case palaziate nell’area dei Padolisia cura di Brunella Canonaco–…
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In un sonnellino pomeridiano non premeditato ho fatto un sogno assurdo, anzi due:
Nel primo ero nella biblioteca civica della mia città e avevano messo dei teli nel chiostro (?) e io ero andata li a studiare, nonostante avessi un po’ di febbre come nella realtà (in cui effettivamente sono 3 giorni che sto male e ho la febbre). Fatto sta che vedo un ragazzo, Marci, che trovo molto carino e che non è la prima volta che sogno che viene da me e si avvicina e vede che non sto tanto bene. Nel mentre io ho un mezzo mancamento, per fortuna che sono seduta sul telo e lui mi prende la testa per non farmela sbattere e me la appoggia sulla sua spalla e rimaniamo lì qualche minuto con una tensione ed energia assurda dove non succede nulla, non ci baciamo ne niente. Solo questa fortissima energia.
Nel secondo sogno tutto è ancora più assurdo e pieno di dettagli, molti li ho già rimossi. Comunque in sintesi andavo sul tardi e completamente da sola in un cimitero di provincia, quello dove è seppellito mio padre perché per l’appunto volevo fargli visita. Una volta arrivata sulla tomba, faccio per lasciargli una lettera o un disegno, ora non ricordo ma mi sbaglio, ce letteralmente sbaglio tomba e quando me ne rendo conto faccio su tutto e mi incammino sconvolta del mio errore verso la direzione giusta. Arrivo nella torretta e mi rendo conto di dover salire alcuni piani, ma ad attendermi giù c’è una specie di sala d’attesa (?) dove una ragazza cercava il suo posto prenotato e quando le ho detto di sedersi dove voleva, lei mi ha risposto qualcosa tipo “eh no! È importante rispettare le regole”, va beh inizia a farsi tardi e soprattutto buio e tutto mi fa molta paura e per assurdo, nel mezzo del cimitero inizia una partita di calcio (di quelle molto importanti) e si riempie di tifosi e baracchine che vendono cibo (?). Però la torretta dove dovevo salire io rimane abbastanza buia e vuota e nel mentre perdo pure una delle mie borse in cui avevo proprio la lettera. Inizio a salire, pur non sapendo con esattezza il piano, perché avevo paura che di lì a poco avrebbero chiuso la torretta. Nei piani non c’era illuminazione, se non quella della luna perché erano piani di forma rettangolare completamente aperti e divisi dall’esterno solo da una ringhiera, mi rendo presto conto di dover salire fino all’ultimo piano, una volta arrivata vedo due signore vestite da infermiere che lavoravano al buio e c’era tanto caos e mi hanno fatto andare via dicendo che dovevano rilevare delle tracce di sangue(?) nonostante la follia di questa motivazione me ne vado quasi sollevata di non essere riuscita a raggiungere il mio scopo… mentre scendo le scale guardo fuori, la partita è finita e vedo una macchina sfrecciare verso l’uscita, mentre sta per mettere sotto un calciatore, l’autista si fa fuori dal finestrino e gli batte un pugno esultando, e da lontano mi rendo conto che è proprio mio padre, che si rimette presto alla guida e sfreccia verso l’uscita. Io rimango relativamente poco sconvolta dalla scena e mentre sto per uscire dalla torretta incontro la mia amica Giulia L (amica veneta) che era lì con un ragazzo che lavorava nel cimitero ma faceva anche il personal trainer (?) e i due mi offrono un passaggio anche se non aveva alcun senso dato che la mia amica viveva in Veneto ma comunque io lo accetto e il sogno finisce.
Ora io mi chiedo: non ho potuto visitare la tomba di mio padre perché lui era scappato? Ma dove andava e perché non mi ha nemmeno salutato?
Assurdo che questi due sogni siano avvenuti in pochissimo tempo
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Trento amica delle persone con demenza, nuovo percorso sensoriale
Trento amica delle persone con demenza, nuovo percorso sensoriale. Sarà inaugurato giovedì 8 giugno alle ore 10 il nuovo percorso sensoriale realizzato al parco di Povo vicino all’azienda pubblica di servizi alla persona Margherita Grazioli. Si tratta di un percorso di stimolazione cognitiva, motoria e sensoriale ottenuto grazie all’installazione di pannelli in legno, ideati e costruiti insieme ai partner di progetto con la preziosa collaborazione degli studenti dell’Istituto Pavoniano Artigianelli, che hanno curato gli aspetti grafici, e dell’Istituto Sandro Pertini “Scuola del Legno”, che si sono invece occupati delle strutture di supporto. L’iniziativa rientra in un più ampio progetto, che ha interessato in via sperimentale le circoscrizioni di Povo, Villazzano e San Giuseppe - Santa Chiara – anch’esse impegnate nella sua attuazione – e ha agito su tre aree di intervento con l’obiettivo di sensibilizzare sul tema della demenza, stimolare il confronto intergenerazionale e promuovere sani stili di vita che favoriscano l’invecchiamento attivo. Oltre al percorso sensoriale, sono state organizzate iniziative rivolte alla cittadinanza, agli esercenti delle circoscrizioni e ai familiari o caregiver, ma anche percorsi di sensibilizzazione in alcuni istituti scolastici della città. Data l’importanza rivestita dal contesto sociale e dall’inclusione nei confronti di soggetti a rischio emarginazione, quali appunto le persone con demenza e le loro famiglie, all’interno del Piano provinciale demenze approvato nel 2020 è stato infatti inserito l’obiettivo strategico di “favorire la creazione di comunità accoglienti” verso le persone con demenza. Nel corso del 2022 il servizio Welfare e coesione sociale del Comune, l’Associazione Alzheimer, le tre aziende pubbliche di servizi alla persona Margherita Grazioli di Povo, Civica di Trento e Beato de Tschiderer insieme al Centro per i disturbi cognitivi e per le demenze dell’azienda sanitaria hanno dunque collaborato per costruire una comunità accogliente nei confronti delle persone con demenza, promuovendo azioni di sensibilizzazione e prevenzione rivolte alle persone affette da tale patologia e a coloro che quotidianamente se ne prendono cura. In caso di maltempo, l'inaugurazione si svolgerà all’interno in una delle sale messa a disposizione dall’azienda Margherita Grazioli. ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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I post che non ho scritto nel 2018 non sono finiti nel dimenticatoio, come i presentimenti brutti che poi non si sono realizzati dovrebbero naturalmente fare, bensì, come un rigurgito o un’acidità di stomaco dei primi giorni dell’anno vengono riproposti qui.
Ho pensato a lungo (ah ah ah, ” a lungo”, ma non diciamo fesserie, sarebbe più corretto dire “a intermittenza”, come le lucine dell’alberello di Natale – uno dei quattro che mia madre ha addobbato quest’anno – che incuranti del sole fuori si alternano nell’accensione al piano di sotto) se fosse il caso di terminare l’anno con un post sulla bellezza e malinconia del tempo che fugge (ma in realtà non mi sono sentita malinconica a fine anno, forse, addirittura, per la prima volta in vita mia!?), o sulle conquiste e bei momenti dell’anno appena passato (ma erano troppi, non li ricordavo nitidamente, e ho iniziato almeno cinque volte per iscritto e dieci nella mia testa il post, ma ogni volta mi sembrava incompleto), o sulle grandi benedizioni ricevute quest’anno (papà che sta bene dopo uno spavento inaudito, ma è troppo personale per sbandierarlo ai quattro venti, e per quattro venti intendo che forse una mia ex compagna del liceo potrebbe ancora avere la mail associata a questo account ed essere risalita al fatto che quella che scrive qui sia proprio io); ma ho ritenuto che nessuna di queste idee fosse forte abbastanza da tenermi attaccata al computer, mentre in tavola arrivavano: baccalà alla vicentina, trota al forno, lasagne della mamma, rotolo di vitello, genovese della mammà dell’Orso, struffoli e ogni ben di Dio che in Australia posso solo provare a replicare (eccezion fatta per la genovese di mammà: non c’è gara per cui dichiaro la sconfitta prima di provarci), ma soprattutto mentre a tavola c’erano i miei adorati nipotini sotto i due anni da tenere a bada (e da educare! Qualcuno in questa famiglia dovrà pur assumersene l’onere…).
Quindi niente post con lista di cose belle del 2018 (ho visitato posti nuovi fantastici: New York, Shangai, Vanuatu, Bali, Esperance e Perth, sono riuscita ad essere in Italia – e a Londra- abbastanza per spupazzarmi i nipotini, sono riuscita a licenziarmi e a iscrivermi a un master che mi sta facendo imparare tantissime cose, oltre ad aver -ci pare, ma chissà- superato la prima vera grande crisi di coppia e l’operazione di papi, oltre ad essere sopravvissuta alla visita della combo genitori più suoceri in terra australe per un mese) né post di buoni propositi del 2019 (non ne ho, e forse pure questo è la prima volta che succede).
Ma farò cosa gradita (a me stessa soprattutto) se riuscirò a mettere un punto a vari post che avrei voluto scrivere nel 2018 e che poi non ho concluso, spesso per mancanza di tempo (non ricordo un periodo così denso di attività negli ultimi, boh, sei anni) ma anche per mancanza di coraggio, per paura di non essere capita, e di non essere abbastanza brava a spiegarmi.
I cancelli
Durante la vacanza in Argentina di quattro anni fa (ormai quasi cinque), facemmo un’escursione guidata che partiva da Salta e andava alle saline (Las Salinas Grandes), attraversando il deserto di Atacama.
Ecco le saline. Le foto, come è evidente essendo sfocate e banali: le ho fatte io.
Ecco le saline. Le foto, come è evidente essendo sfocate e banali: le ho fatte io.
Paesaggi stupendi, ma strade impervie che richiedevano un mezzo appropriato. Un signore simpaticissimo ci venne a prendere sul suo fuoristrada al mattino presto (foto irripetibili della mia faccia svegliata alle quattro di mattina, con un’improbabile maglione rosa dalla fantasia andina e un’espressione spaccacuore di chi pensa al sonno perduto come al primo amore mentre abbraccio il thermos del caffé dovrebbero corredare questo post, ma preferisco che sia l’immaginazione a lavorare, per ovvi motivi).
All’andata ero addormentata e non avevo osservato la periferia della città. Al ritorno però avevo notato qualcosa di strano. Procedendo verso Salta, le poche case iniziavano a intensificarsi e a un certo punto in cima alla collina noto qualcosa di strano.
Un cancello.
Lunghissimo, che fa il giro della collina (o perlomeno, va fino a dove si perde lo sguardo).
Chiedo di cosa si tratta, magari è un insediamento militare.
“Il quartiere dei ricchi”, mi risponde sornione la nostra guida.
Mi spiega che le famiglie più abbienti hanno iniziato a temere i furti e così si sono organizzate creando quartieri con villette completamente recintati e piantonati, in cui si entra tramite un unico accesso sorvegliato.
E così mi era venuta in mente La Moraleja, quartiere periferico di Madrid, dove parecchi anni prima ero stata invitata ad una festa privata.
Uno dei vantaggi dell’essere straniera è essere estranea al classismo e alle convenzioni sociali, per cui ignoravo l’esistenza non solo del quartiere ma pure la sua composizione. Abitando poi in campagna, ero abituata a vedere terra sempre utilizzata, o coltivata o come giardino di qualche villa.
E invece questo quartiere era molto distante dalla città (non dal centro della città, proprio distante anche dall’ultima periferia) e prima di arrivarci avevamo attraversato tantissima terra arida e incolta. Senza abitazioni, senza un minimo di irrigazione, senza niente di niente.
Nella mia testa, per abitare in un posto del genere bisognava aver fatto una scelta ascetica, di vita lontana dalla città e spirituale.
Niente di più falso, mi ritrovai davanti ad un quartiere che non era un quartiere (non c’era un bar che fosse uno, una pompa di benzina, un supermercato, non c’era niente che portasse qualcuno ad avere voglia di farsi una passeggiata, perché non c’era nessun punto di interesse dove andare) composto da ville (così mi dissero, io dalla strada non avrei potuto vederle), una dopo l’altra, circondate da cancelli altissimi ed impenetrabili.
Entrammo in una di queste fortezze e la padrona di casa venne ad accoglierci, dopo aver disattivato tutti gli allarmi, vantandosi del fatto che nella zona abitassero anche Victoria e David Beckham.
Per come ero abituata io, era un enorme controsenso.
Nella provincia in cui sono nata ci sono alcune cittadine (più che altro paesotti gonfi e tronfi) dove si vocifera che chi ha fatto fortuna non abbia sempre seguito modi del tutto legittimi, ma chi l’ha fatta non ha esitato a costruirsi o comprarsi una casa grande, opulenta, con decori, ma soprattutto con cancelli a inferriate. Per la serie: la devi vedere da fuori questa casa, devi schiattare d’invidia. (Ma sapere che è impenetrabile).
Il cancello alto, cieco, massiccio, chiuso, stile bunker, nero, senza nessun pertugio da cui spiare la villona… che cancello è? Qual è la soddisfazione di avere la casa più bella del paese, se non la può vedere nessuno?
Questo pensavo, e questo in un certo modo è quello che mi viene subito da pensare.
Oltre a sembrarmi un’idiozia, anche come ragionamento: tutti i più ricchi della città, spaventati dai possibili furti, si uniscono e se ne vanno a vivere dove? Nel centro della città? In modo da essere più vicini alle forze dell’ordine? No, isolati. Su una collina separati dal resto della vita civica.
Ha continuato a sembrarmi un’idiozia anche quando a Miami un amico che abitava lì ci ha portato a veder un’isoletta “privata” in cui abitavano solo famiglie abbienti, a cui si accedeva oltrepassando una sbarra.
Questa divisione tra ricchi e poveri mi è sempre sembrata ridicola, non perché non esista, ci mancherebbe, non sono così ingenua da pensarlo, ma perché la realtà sociale non è divisa, è fatta da continue interconnessioni e scambi tra strati diversi della società.
Mettersi tutti i ricchi da un lato, costruire un muro e dire “Voi state fuori” mi perplime. Mi sembra una scelta dettata dalla paura. Io, ricco, non voglio aiutare te povero, a crescere, a migliorare, a imparare, dandoti magari anche un lavoro, frequentandoti.
No, ti voglio togliere dalla vista.
La tua presenza è per me un pericolo.
Il povero, non potendo più aspirare alla protezione del potente, cosa fa? Lo invidia.
E quando può, farà di tutto per impossessarsi di quello che ha il ricco.
La classe sociale più elevata dovrebbe essere anche quella che pensa: che è intellettualmente più motivata a trovare soluzioni e migliorare il benessere sociale collettivo.
Chiudersi a riccio dice soltanto: “Ho paura di perdere quello che ho”.
E queste piccole cittadine chiuse da cancellate alte, nere, sorvegliate, siamo diventati tutti noi con la nostra vecchia Europa. Abbiamo alzato i ponti levatoi, ci apprestiamo a difendere con i denti i nostri averi. Perché una massa di straccioni potrebbe invaderci.
E noi non siamo più in grado di pensare ad un futuro migliore per tutti. Vogliamo solo difendere i nostri soldi.
E la stessa cosa succede nelle città, nella politica. Lo straccione non punta a istruirsi, a migliorare la sua condizione con un titolo di studio: punta ad avere soldi. I soldi si fanno con la politica? Con il malaffare? Chissenefrega, basta che arrivino. Basta passare dall’altra parte del cancello, del bunker. Basta essere ricchi.
E gli straccioni? Chi se ne frega.
Alzeremo il volume della radio, chiederemo alle guardie di non far passare nessuno.
Le guide
Mesi fa ho letto un articolo molto interessante sull’ascesa e manutenzione del successo di Gwynet Paltrow come guru del web.
Uno di quegli articoli che salvo nel Pocket, che poi leggo quando ho tempo (quindi appunto, mesi fa), che spesso non hanno niente a che vedere con il motivo per cui li ho salvati ma che alla fine suscitano interesse per vari motivi: mi fanno riflettere.
Tempo fa chiacchieravo con una mia amica su come certe persone che seguiamo su Twitter non siano un granché, una volta chiuso il loro profilo e messo insieme i pezzi della loro vita tramite quello che fanno trasparire.
Ammesso che una può raccontare quello che le pare e pure mentire, a ben guardare si tratta in generale di persone della nostra età (dai 30 ai 40, direi), donne, che non lavorano o comunque non hanno un’entrata fissa, dalle foto si evince come abitino con un compagno/marito che non c’è (cioè: lui lavora) o ancora a casa dei genitori. Dai tipi di vacanze che fanno (corte, in posti economici) si deduce che le entrate siano basse, o che viaggino solo per sponsorizzare un prodotto o un servizio.
Come mai questa gente è così seguita?
Una persona normale, con un lavoro e uno stipendio, si fa impressionare da una foto in un albergo a cinque stelle?
E mi sono spesso chiesta perché siano così seguite, quando la vita che fanno è normale.
E leggendo questo articolo ho capito perché: la gente ha bisogno di guide.
Non credendo più a niente, vivendo in un’epoca in cui tutto è vero e pure il contrario di tutto è vero, facendosi governare da un movimento politico che punta sulla costruzione del consenso molto di più che sulla costruzione di un programma politico (il nome stesso lo dice: movimento, vuol dire che ci si muove un po’ di qua, un po’ di là, a seconda di dove fa comodo e di dove tira il vento), non avendo più dei riti collettivi religiosi che facciano sentire parte di una comunità né che diano indicazioni sui progetti di vita da seguire, la gente ha bisogno di guru.
Anni fa rimasi almeno 5 minuti buoni a ridere quando lessi la notizia che Simona Ventura (che all’epoca era all’apice del successo) aveva ingaggiato per una cifra da capogiro un “opinion maker“.
Mi era sempre sembrata una persona intelligente, com’era possibile che dovesse pagare qualcuno perché le dicesse cosa pensare.
E nel futuro che stiamo vivendo, tutti stiamo pagando degli “opinion maker“: li seguiamo, li leggiamo, compriamo i prodotti che pubblicizzano, mettiamo i cuoricini sulle frasi che scrivono e condividiamo i loro tweet. Ci stanno facendo il favore di dirci come schierarci, quale opinione avere, con quale battuta rispondere.
E poi, dopo aver letto l’articolo, ho capito che la maggioranza dei seguaci (sarebbe meglio dire delle seguaci) sono piccoli.
La trentenne (di scarse o medie entrate mensili) che posta la foto dall’Hilton non si sta rivolgendo ad un’altra trentenne (probabilmente di medie o alte entrate) per invogliarla ad andare all’Hilton. La trentenne con più potere acquisitivo ci va già, anzi, c’è già andata, ed è già passata ad un’altra catena alberghiera più al passo con i tempi.
Si sta rivolgendo ad una dodicenne.
Una dodicenne che magari non è mai uscita dal paesino della provincia e l’Hilton le sembra chissà cosa.
Anni fa lessi che è proprio su questa fascia d’età che si basano tantissime campagne di vendita di abbigliamento.
Perché è la fascia più debole, che ha bisogno di costruirsi un’identità. E lo fa anche seguendo qualcuno di più grande, sperando un giorno di diventare così.
Il vittimismo
Aver subito una violenza o un abuso rende una persona una vittima.
Usare questo abuso o questa violenza per ottenere dei vantaggi personali è “vittimismo“.
Mettersi in piazza a chiedere maggiori diritti è sacrosanto, per esempio: a parità di ore di lavoro dovrebbe corrispondere parità di retribuzione.
Mettersi in piazza a piagnucolare perché Tizio (che è un potente) ti ha toccato il di dietro e per questo motivo hai diritto ad una parte nel prossimo film holliwoodiano è vittimismo.
Aver subito abusi o traumi è soprattutto una grandissima sfiga.
Ognuno la supera come può, e chi sono io, che ho una vita tutto sommato felice, in cui nessuno si è mai permesso di andare contro la mia volontà o manipolarmi in una situazione di debolezza (sul lavoro), per dire quale sia la via giusta per risolverli?
Nessuno.
Però siamo nel mio blog e qui posso dire la mia:
Si può aver subito un trauma e voler tornare ad essere una persona normale, senza che quello intralci la propria vita. E’ possibile. Prevede un lungo percorso di terapia, un valido sostegno familiare o di amici, e presentarsi alla società come una persona che quel trauma non l’ha mai subito. Non dimenticarsene, immagino sia difficile, ma provare a non menzionarlo con gli sconosciuti. Insomma: vivere, andare avanti.
Oppure si può farsi carico di quel trauma ed usarlo per ottenere qualcosa. Pietà, lavoro, attenzioni… chi più ne ha più ne metta. E’ possibile? Certo. C’è un sacco di gente che lo fa. E il classico “chiagn’ e fott'” che in Italia conosciamo bene. Ma scegliere questa via ne preclude tante altre. La prima è: guardarsi allo specchio alla mattina.
Ho finito.
Per smorzare la tensione, ecco una foto del tramonto del giorno del mio matrimonio.
Raccontarsela (un post di maggio)
In questi tempi di autoscatti (ebbene sì, esisteva una parola italiana prima che diventassimo tutti così ignoranti da usare solo quelle inglesi), passiamo il tempo a dirci quanto siamo belli e bravi. A giustificarci. Siamo tutti concentrati sul nostro ombelico, e qualsiasi commento esterno non positivo viene subito bollato come ostile: invidioso, geloso, rosicone, perfido, meschino, sputasentenze, criticone.
Passiamo la vita a raccontare le nostre vite on line, e da quando è diventato troppo difficile narrarle a parole siamo passati alle figure (una volta quelli stupidi come il fondo di un secchio li indicavamo proprio così: di un libro guarda solo le figure; ora sono chiamati “utenti”, “seguaci”, “bimbe” e via rotolando verso il basso, e siccome sono tanti li confondiamo con la massa critica) o alle foto. Sono tempi felici per gli illustratori, i fotografi e i cuochi (cioè quelli che sono passati dall’alberghiera e dall’artistico, che noi “delle scuole alte” una volta criticavamo con sdegno).
E così le vite degli altri sono diventate magnifiche, e le nostre un po’ più banali, grigie e spente.
Mamma mia Virgh, che pesantezza, fattela una risata ogni tanto, staccati dal computer e dai social! Vivi!
Ma certo, è quello che faccio, anzi, passo più tempo a parlare di social con le persone de visu che non a scriverci o a leggerli.
Ma non scrivo più sul blog come vorrei e come facevo, perché non voglio raccontarla e non voglio darla a bere a nessuno.
Gli Expat Blog sono spesso pieni di post fotografici, in cui si raccontano i viaggi e le bellezze della vita dall’altra parte del mondo.
Io non li pubblico, ma non è che non abbia fatto ultimamente dei bei viaggi o delle belle scoperte. Semplicemente non ho più voglia di condividerle e usare toni esaltanti per la mia vita all’estero, per un solo motivo: voglio tornare a casa.
Ma cosa intendi per “tornare a casa”? Mi chiedono gli amici qui e quelli in Italia. Dopo dodici anni all’estero cosa è veramente “casa” per te?
Lorenzo Jovanotti cantava “La casa dov’è? La casa è dove posso stare in pace con te” e diceva una falsa verità, perchè si infilava nella vulgata dei “due cuori e una capanna”.
Ho fatto poche promesse in questi otto anni all’Orso, (vabbè, escludendo quelle di fedeltà davanti all’altare, ma faceva parte di un pacchetto ampiamente metabolizzato) ma una delle prime è stata: “Promettimi che non mi tirerai mai fuori la storia dei due cuori e una capanna”. E l’ho sempre mantenuta. E non perché non creda che l’amore serva e ci voglia nella vita, ma perché credo che se si ha una tranquillità economica si viva meglio anche l’amore. Vivere senza l’acqua alla gola fa una bella differenza, senza voler essere ricchi sfondati e senza scadere nell’avidità che porta ad essere aridi e a non sapersi godere niente, perché ti permette di fare scelte più consapevoli e di mantenere intatta la propria dignità. Credo che l’indipendenza economica di ogni membro della coppia sia fondamentale. Se tu non mi mantieni, io scelgo di stare con te. Se tu mi mantieni, io devo stare con te.
Quando parlo con i miei amici e conoscenti in Italia la prima risposta che mi danno è: “Ma perché vuoi tornare? Qui non c’è lavoro/ qui gli stipendi non sono alti come lì”.
Voglio tornare perché sono stanca di trovare scuse. Vivere in Paesi diversi e mai per troppo tempo mi ha deresponsabilizzata. Quello che le travel blogger non dicono è che non comprano mai un’opera d’arte da appendere al muro. Perchè non sanno dove appenderla. E anche perché spesso sono in affitto e il proprietario di casa difficilmente lascia mettere dei chiodi alle pareti. Un’altra cosa che non dicono le expat blogger è che spesso passano il tempo da sole, perché il marito è l’unico che ha uno stipendio fisso e quindi deve lavorare molto e spesso in trasferta. Quelle che lo dicono, lo fanno passare come un privilegio (e senza dubbio per molte è vissuto come tale) perché permette di avere tanto tempo libero da usare per le proprie passioni.
Io, che adoro avere del tempo libero, e che mi sono costruita un orario lavorativo che mi permetta di avere due giorni liberi a settimana (oltre al sabato e alla domenica, naturalmente, credo che una cosa simile sia il part-time verticale, ma io lavoro a partita iva, per cui non credo sia completamente assimilabile) e che ho sempre amato dipingere, non dipingo più.
Eppure, basterebbe andare sulla baia, o al parco, o allo zoo.
Io, che ho sempre amato circondarmi di persone diverse, parlare tante lingue, provare nuovi posti e sentire musica, non ho più voglia di uscire. Un po’ è l’età, sicuramente a 33 anni non si ha lo stesso entusiasmo che si ha a 21, ma molto è dovuto al fatto che mi mancano le persone. Mi manca la condivisione della stessa cultura, i punti fondamentali di riferimento che mi fanno essere quella che sono.
“Ma tu sei questa: sei quella che sta in Australia, che non dipinge, che sta con l’Orso, che rimugina, che legge, che evita le occasioni sociali, che passa i giorni liberi a pensare di dipingere e non lo fa, che passa le serate a scrutare Skyscanner e non prenota, che clicca sulle opere d’arte che le piacciono e non le compra, che salva le pagine di selezione del personale e non manda il curriculum, che vive lontana dalla propria famiglia e dai propri amici, e che non vuole costruirsi nuove relazioni sociali”.
Stare all’estero non è più sinonimo di libertà per me. Non è più l’occasione per scoprire una nuova parte di me stessa e mettermi alla prova.
Ho voglia di non scappare più, e finché starò all’estero non mi sentirò mai abbastanza “stabile” per fare una vera vita da grande. Pensavo di morire a 32 anni.
La settimana scorsa mamma mi ha detto “Mettitea via, me sa che non te capita mina setto”.
E quindi è ora che la smetta di stare in bilico, in questa precarietà giustificata dal fatto di essere all’estero. E’ ora che accetti che l’unico luogo dove fare il nido per me rimane l’Italia.
Lo so che è difficile, lo so che non è un buon periodo, ma nel mio Paese sarà pur sempre più facile che altrove, no?
Lo so che dovrei sfruttare i pixel di questo blog per mandare messaggi positivi alle nuove generazioni, o per scatenare invidia a quelli che sono rimasti.
Dovrei raccontarmela. Cantarmela e suonarmela. Ma io voglio tornare a casa.
E per me, casa è l’Italia.
Zan – zan. Come non cogliere l’occasione per ripubblicare una foto del 2015, una delle poche che mi sia mai venuta bene?
“The greatest hits of Pooh” (un post di agosto)
Quando frequentavo il liceo era uscito questo album, dal titolo per noi ridicolo quanto impronunciabile: The greatest hits of Pooh.
Studiavamo inglese quattro, forse cinque ore alla settimana, eppure nessuna di noi riusciva a dire “the greatest hits” senza attorcigliarsi la lingua, scoppiare a ridere o fare una pernacchia con la bocca. Tra l’altro, non eravamo neanche troppo sicure del significato. “Ma non potevano chiamarlo The best? E’ pure più facile da pronunciare!”.
Dovevo ancora diventare quella cruschista pedante e trombona che tutti conoscono fin troppo bene e non mi ero messa a rimarcare che si potesse anche chiamarlo: i migliori successi, o il meglio di.
Ma a parte questo era l’insieme ridicolo di parole inglesi incomprensibili e impronunciabili e un gruppo musicale che per noi era collocato nel passato e nel folclore popolare da balera.
Per la nostra conoscenza (e saccenza) del mondo i Pooh stavano appena un gradino più in su nella scala dell’accettabile tra Raul Casadei e i Cugini di Campagna.
Io naturalmente un po’ mi vergognavo di dover avere pubblicamente quelle opinioni, perché io ai Pooh ho sempre voluto bene, è l’unico gruppo musicale mia madre abbia mai adorato (e chi conosce mia madre sa che la sua massima espressione di entusiasmo è un sorrisetto leggermente tirato agli angoli della bocca) e rappresentano anche la prova d’amore più grande di mio padre: accompagnarla ad un loro concerto quando aveva diciott’anni.
Nonostante la mia storia personale e familiare con i Pooh, non si poteva non trovare francamente comico il risultato del nome di un gruppo italianissimo, formato da veneti e lombardi che per autocelebrarsi sceglieva un titolo inglese (scioglilingua, peraltro!).
(Se non dovesse esistere questo titolo, o questo album, per favore non fatemelo notare, i ricordi stanno bene dove sono, li spolvero ogni tanto e poi li metto via piegati per bene).
Questo ampio cappello introduttivo ha due funzioni: scacciare i malintenzionati (“vabbè capirai chemmefregaammé dei Pooh“) e presentare il tema di questo post: il meglio.
Sarà perché non sono mai uscita veramente da un edificio scolastico da quando avevo un bellissimo grembiulino nero, la coda alta di lato, i denti davanti storti ed entravo spavalda in prima elementare, ma per me settembre è sempre stato un mese di inizi.
Tantissime cose belle della mia vita sono cominciate a settembre, e la cosa è anche abbastanza ovvia, visto che spesso si è trattato di nuove avventure professionali.
Sono stata combattuta qualche giorno su cosa scrivere come post di agosto (visto che ormai mi dedico al blog mensilmente… ma và, ma non è vero, ma chi voglio ingannare! Vengo qua tutti i giorni, scrivo, cancello, riscrivo, ci ripenso, poi dico: ma a chi vuoi che interessi? E lascio fiorire la gramigna tra i post): ma ecco il meglio.
Mi sono iscritta al master che volevo fare da sei anni.
E non potrei esserne più felice. (Chiusa aggiunta naturalmente ora)
Un’altra foto a cui sono molto affezionata: la scattai il primo novembre 2015. Il giorno del mio ritorno dopo otto anni a Barcellona per studiare. Un’altra Spagna, un altro licenziamento. Sollievo e sensazione di fare la cosa giusta: gli stessi.
I miei imperdibili consigli: cosa fare se non sai cosa fare (nello studio e nel lavoro). Un post di marzo.
Ampio cappello introduttivo
Mi chiedo cosa studiate a fare, perché passate anni sui libri, a fare esami all’università se poi il vostro sogno è venire in Australia a fare caffè? O vendere magliette in un negozio?
Quando mi pongo queste domande, arriva sempre l’espertone di turno a ribattermi: “Eh, ma è perché a diciott’anni uno non sa cosa vuole, è troppo presto per decidere cosa fare della propria vita. E allora uno si iscrive ad una facoltà così, un po’ a caso”.
Ammesso e non concesso che uno veramente si iscriva ad una facoltà “un po’ così, a caso”, e concesso che l’immaturità dei 18 anni (che invece dovrebbe essere l’età sancita dall’ordinamento vigente per considerarci responsabili delle nostre azioni, ma vabbé, vedendo come votate non credo siate del tutto responsabili delle vostre azioni neanche a 67, di anni) porti a fare scelte avventate, il mio vero cruccio è:
“Perché non conoscete abbastanza voi stessi?”
Vi fate mai delle domande? Vi chiedere mai cosa volete fare nella vita?
E con questo non parlo solo (ma anche, naturalmente) del lavoro, ma anche delle vostre qualità, dei vostri talenti, delle cose che vi vengono bene.
Vi fermate mai a chiedervi cosa potete fare? In cosa siete bravi?
Mi è capitato da quando sono qui di avere a che fare con molte persone, e siccome mi occupo di formazione, spesso si tratta di gente all’inizio della propria carriera. O meglio, ad essere precisi, è quello che mi aspettavo quando ho iniziato ad occuparmene. Di avere a che fare con giovani ancora acerbi che non sapevano bene come sarebbe stato il mondo del lavoro, e in che modo si sarebbe differenziato da quello della scuola.
E invece mi sono trovata davanti adulti fatti e finiti, con quattro decenni di vita alle spalle che mi guardavano con gli occhi spalancati e si auto-giustificavano: “Eh, sai, quando ho scelto Biologia non sapevo ancora cosa volevo veramente…“, “Eh sai, quando mi sono iscritta a Psicologia, e mi sono abilitata, ancora non avevo capito che poi avrei avuto veramente a che fare con i malati…“, “Eh sai, quando mi sono immatricolata a Lingue non sapevo che il mondo della traduzione pagasse così poco“.
Ma porca vacca, mi sembrate tutti usciti da una sessione di fumo con dei quindicenni molto ben riforniti.
Fine ampio cappello introduttivo
Quindi vorrei farvi capire il mio pensiero, se passate di qui, avete vent’anni e vorreste sbattere la testa contro un muro, (anche se per fare questo correrò il rischio di passare per la signora Palomar della situazione) e vi darò (così, a gratis! Ricordatevi che c’è gente che paga fior di quattrini per la mia presenza per poche ore nella propria vita, e voi vi potete stampare questo post al solo costo di pochi centesimi della carta che inserirete – e del commento grato che apporrete in calce-) delle mie imperdibili perle:
– L’università non è obbligatoria
(Caso 1: Non ti piace studiare, arrancavi al liceo, ti sembra tutto una grandissima perdita di tempo. Benissimo, non immatricolarti. Cerca un lavoro, anche di basso livello, anche come aiutante in un campo che ti piace. Fatti le ossa, metti da parte dei soldi. Magari tra qualche anno avrai scoperto un’abilità e ti verrà voglia di approfondirla a livello formale con una laurea, magari invece gli anni passati a fare pratica ti avranno dato accesso a certi lavori prima di altri. L’università non è obbligatoria.
Caso 2: Ti piace studiare, ma ti piacciono troppe cose. Vorresti approfondirle tutte. Bene, non immatricolarti. Durante l’estate lavora il più possibile (in bar, in villaggio vacanze, alla raccolta frutta, ripetizioni, baby sitter, quello che c’è) e metti da parte dei soldi. Parti. Fa’ un bel viaggio, dormi in posti impensabili, parla con le persone, fatti nuovi amici. Ti aiuterà a capire in cosa sei bravo e in cosa ti piacerebbe specializzarti. E’ molto meglio di iscriversi ad una facoltà che non ti convince e passare venti ore a rileggere la stessa pagina e un pensiero fisso in testa: “E se invece avessi fatto…?”)
– Conosci te stesso.
(Possibilità 1: Tortura i tuoi insegnanti, i tuoi amici, i tuoi genitori. Chiedi a tutti cosa pensano di te, in cosa eccelli secondo loro. Non chiedere “In quale lavoro mi vedresti bene?” perché difficilmente i tuoi genitori ti diranno qualcosa di diverso da: stesso lavoro che fanno loro o professione prestigiosa nelle loro teste – medico o avvocato, in genere-. Chiedi proprio: in cosa sono bravo? Per cosa i miei amici mi chiamano? “Dai vieni tu, che sei bravo a rompere il ghiaccio” potrebbe nascondere un talento da PR, chissà.
Possibilità 2: Fermati un momento, spegni il cellulare – si, ok, volevo dire: silenzia le notifiche – e domandati “In cosa sono bravo?”. Attenzione, la domanda è insidiosa, e bisogna distinguerla nettamente da altre due ancora più insidiose che sono “cosa mi piace?” e “che lavoro voglio fare?”. Perché si possono avere tante passioni, ma non è detto che queste possano garantire da vivere. Ad esempio a me piace molto parlare – infatti scrivere post di 457 righe non l’aveva svelato, ancora – ma non ho ancora trovato nessuno che mi paghi per farlo, e conosco uno che scrive delle bellissime poesie, ma prima di trovare un editore è campato sulle spalle di mamma e papà per circa quindici anni oltre l’età in cui era socialmente accettabile farlo. Anche “Che lavoro voglio fare?” è una domanda rischiosa, perché spesso la nostra opinione delle professioni è distorta dalla rappresentazione che ne danno i media, o che abbiamo visto nei film. Abbiamo una conoscenza solo parziale dei lavori che ci sono là fuori. Per dire, mia sorella voleva fare la psicologa perché Taylor di Beautiful era psicologa. E credo che molte delle sua generazione volessero fare le stiliste per la stessa ragione. Insomma, confrontati con te stesso, senza filtri.)
– Basta così.
Concludiamo con il consiglio di uno dei miei guru di quest’anno: il nipotino.
Siate tutti a little wild in questo fantastico 2019!
(Anche se, quando finirete di leggere tutti i post sarà ormai il 2020…)
Auguri!
I post che non ho scritto nel 2018 I post che non ho scritto nel 2018 non sono finiti nel dimenticatoio, come i presentimenti brutti che poi non si sono realizzati dovrebbero naturalmente fare, bensì, come un rigurgito o un'acidità di stomaco dei primi giorni dell'anno vengono riproposti qui.
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La religiosità di Vincenzo De Luca, un Riformista popolare
"Se ancora ce ne fosse stato bisogno, il Presidente De Luca sta dimostrando in questi mesi difficili di amare profondamente la sua terra": parla cosi Marco Minniti in una delle sue sporadiche, quanto efficaci interviste proprio ad inizio dell'emergenza sanitaria.
L'ex Ministro, eletto alla Camera nel collegio di Salerno, avra' certamente ricordato l'affettuosa serata trascorsa ad Agropoli l'estate scorsa, in occasione della presentazione del suo libro "Sicurezza e Liberta'", oppure avra' rammentato il suo incontro con De Luca a Caserta l'anno prima ancora, per la festa nazionale dei socialisti di Nencini, ora di Enzo Maraio, salernitano doc!
In quella occasione sempre Minniti disse di De Luca "e' un riformista popolare, il PCI non lo ha capito subito".
Ed effettivamente i tratti del Presidente della Regione Campania sono molto particolari perche' posseggono la capacita' di riflettere gli altri: dall'Irpinia alla borghesia napoletana, dalle lande casertane alla sciccheria della Reggia e all'eleganza dei locali del luogo, simili agli abiti di buon taglio e ottima fattura delle sartorie campane; De Luca riflette i floricoltori, chi ha le terre al Paese e chi innova sulla costa, persino chi ha il solo reddito di cittadinanza o pensa ancora che il problema siano tutti i politici: De Luca parla ai primi con 10.000 posti di lavoro nel pubblico, agli ultimi per via della sua personalita' che, nel gusto degli altri, sa alimentare complicita' intellettuale, comunque la si pensi.
"Ah ragazza hai pure incontrato Vincenzo - dice l'anziana signora che col marito ogni giorno fa Cava Salerno e ritorno, i figli a Roma e Milano, i nipoti in Giappone a studiare - noi non votiamo ma egli è tosto".
De Luca per la Campania investe fiducia in tutti coloro, a partire proprio dai campani, che costruiscono progetti per attrarre investimenti e creare lavoro nel privato, si batte e lascia che i giovani siano rappresentati dai giovani, come mi dissero i ragazzi a Padula quando girai ciascuna bottega del luogo.
De Luca crede in quello che fa e nella sua cultura politica non scambia la liturgia con la parola, si spende per tutti i festival culturali: dal circuito dei Paolini a quello dei grandi teatri campani, dalla valorizzazione delle band locali, alla creativita' diffusa. Se candida i figli perche' paga in termini di consenso, cosi' da essere tutti piu' forti nel proseguire i passi avanti della Campania, non lesina loro critiche pubbliche se fanno il passo piu' lungo della gamba e li sprona a guadagnarsi quel che lui ha costruito, girando senza sosta da Sindaco la sua citta'. Soprattutto De Luca non si sostituisce a Vincenzo Napoli o Graziano Del Rio nel rapporto coi figli.
Se gli dici ancora oggi che Salerno e' bella, Vincenzo De Luca si commuove.
La religiosita' di quest'uomo che riflette pure i campani a Milano come quelli in giro per il mondo perche' li rende orgogliosi della propia terra, la riconosci tutta nelle dichiarazioni degli ultimi tre giorni: prima quando in modo previdente non smonta, non accantona e non chiude strutture ospedaliere realizzate in emergenza, poi quando con stile istituzionale si affianca al Sindaco d'Italia Antonio De Caro: lo fa senza rinunciare ad un pizzico di ironia picaresca, vera forza che consente al sud di guardare avanti con sicurezza nelle proprie possibilità, senza prendersi troppo sul serio.
De Luca sa che gli assistenti civici esistono già presso tutte le confessioni religiose e loro comunità e stanno aiutando in accordo con Prefetti, Coordinamento Interforze e Questori per quanto di specifica competenza, De Luca sa che gli assistenti civici esistono già da mesi nella grande distribuzione (certo magari in diversi casi questi andrebbero formati meglio da Prefetture e Coordinamento Interforze con l'assenso delle imprese), De Luca sa, dai campani a Milano, che la capitale economica del Paese (non città stato, dunque amica dell'intera nazione compresa la Regione in cui è capoluogo metropolitano) ha gestito i funerali del Cardinale Tettamanzi con gli assistenti civici stewart di movida con l'apporto, coordinato da Prefetto e Questore, della Fabbrica del Duomo, di Confcommercio, delle imprese aderenti a tutte le sigle convenzionate a Confindustria da Vincenzo Boccia nel mandato appena concluso.
Ancora, De Luca sa che allo stesso modo a Porta Venezia comitati di residenti, Confcommercio, associazioni, servizi sociali, protezione civile e coordinamento interforze a partire da PL unità problemi del territorio, PS commissariato di zona, Carabinieri ed Esercito strade sicure, convennero in un patto definito dagli Assessori comunali Rozza Tajani Majorino e condiviso dal Tavolo per l'ordine pubblico e la sicurezza allargato alla Regione, in cui gli stewart movida scelti dai commercianti, e presentati a tutta la comunità di quartiere, gestiscono i week end, settimane della moda etc appuntamenti milanesi e gay pride.
De Luca sa che le Guardie ecologico volontarie, un corpo che unisce Comuni a Regioni perché dipendono da entrambe le istituzioni (esse sono ugualmente fonti di bilancio), possono dare la multe e le danno perché dipendono funzionalmente da Viminale, Prefetto, Coordinamento Interforze e Polizia Locale, Sindaci e Presidenti di Regione.
De Luca sa il valore inclusivo, di coesione sociale e formativo della Protezione Civile come di analoghe strutture tipo appunto le associazioni di coesione sociale, gev, servizi d'ordine sindacali etc.
De Luca con lealtà istituzionale, di cui personalmente mi auguro ci si renda conto per il bene di tutti, sprona il governo ad andare avanti sulle misure di sostegno ai Comuni con assistenti civici che possano realmente aiutare, dando anche le multe come è previsto per le gev, non in legislazione straordinaria, bensì ordinaria, a cui volendo lo Stato può aggiungere risorse ottenendo in cambio la qualificazione di personale in cerca di lavoro (vedi l'On Marattin che insieme al Presidente del CNEL Treu convergono su esperienze siffatte per alcuni redditi cittadinanza, visto che per altro è previsto e tocca allo Stato d'intesa con le Regioni coordinare politiche attive per un percorso che dall'assistenza porti alla autonomia della persona).
Proprio su questo aspetto non fu un caso se il Presidente Assolombarda Rocca col DG Verna acconsentirono a mettere risorse proprie, idem acconsentì Confcommercio Milano e i Consolati di molti Paesi.
Fu l'On. Lia Quartapelle a considerare di grande interesse il lavoro fatto dall'intero comparto pubblico milanese "grandi, siete riusciti a far convergere impegni del privato su sicurezza, sviluppo e coesione sociale" : ella ringraziò definendo quel lavoro una vera e propria leva civica. E con reciprocità Milano appronto' il bando di Leva civica coordinandosi con l'allora DG Caporello, il Direttore delle Risorse Umane e l'intera sua struttura, il Dipartimento Affari internazionali.
Del resto la parlamentare milanese fu così intuitiva da cogliere una continuità tra il lavoro avviato dal precedente Sindaco Pisapia, dall'allora Segretario del PD Bussolati e da Carmela Rozza Assessore ai lavori pubblici. Proprio quell'embrione di leva civica permise a Giuseppe Sala, Commissario di Expo, di inaugurare il suo impegno glocal.
Una leva civica sul cui modello nacquero i decreti Minniti che consentono tutt'oggi quella forma di coordinamento istituzionale tra Regioni e Città metropolitane sui campi decisivi all'interesse generale.
La religiosità di Vincenzo De Luca la leggi pure nello stile disincantato di chi sa che al sud servono solidi protagonisti economici privati capaci di affiancarsi alla regia pubblica per far crescere buon senso: egli ha chiesto qualche cautela in più sulle riaperture tra Regioni, anche i lombardi riconoscono che ha ragione, non solo gli esperti della sanità.
Vincenzo De Luca è un politico completo, un Riformista popolare con grandi capacità gestionali che mette al centro pedagogia per far crescere altri dietro di sé. Forse i più non lo vedono, ma quando parli loro e rammenti i fatti, essi stessi devono ammettere che senza dirlo De Luca e la sua squadra ampia, non limitata a pochi, inclusiva, riflessiva, sostiene gli altri in un percorso di crescita, non togliendo loro la fatica di imparare, senza tuttavia mandarli allo sbaraglio.
La religiosità di De Luca è forte ed è questo che lo rende un Riformista Popolare.
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Abbiamo chiesto un parere alla nostra amica Dottoressa Carla Locchi, Medico Anestesista Intensivista, che ha condiviso con noi una testimonianza fondamentale sulle condizioni in cui i nostri bravissimi medici lavorano, rinnovando un appello ulteriore a mantenere alti i livelli di coscienza civica per rallentare il contagio, buon senso e rispetto per le regole sanitarie per il bene di tutti i nostri concittadini in un momento di crisi e fragilità come quello attuale.
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“ScrivitiAModena”, premiati i migliori racconti. “La presenza di così tante persone significa il grande interesse per la scrittura e l’ascolto che il concorso ha saputo promuovere”. Così l’assessore alla Cultura del Comune di Modena Andrea Bortolamasi ha portato ieri sera il saluto alle premiazioni dell’8° concorso di scrittura autobiografica “scrivitiAmodena”, alla presenza di una folta platea di partecipanti. Il Concorso, promosso dal sindacato pensionati Spi/Cgil, insieme all’università per la Libera Età Natalia Ginzburg e con il patrocinio della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, ha premiato i vincitori presso la sala conferenze della biblioteca civica Delfini. L’iniziativa si avvale della collaborazione con Ert-Fondazione Emilia Romagna Teatro e biblioteca civica Delfini, gode del patrocinio del Comune di Modena e della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari.
Quest’anno il tema ispiratore dei racconti autobiografici era “Ricordi di paura, racconta un episodio della tua vita in cui ti sei sentito meno sicuro per te o per la tua comunità”.
Undici i racconti premiati dalla Giuria presieduta dallo scrittore parmense Guido Conti e con la collaborazione della professoressa Adriana Barbolini ideatrice del Concorso e consulente del Progetto Memoria dello Spi/Cgil. L’attrice Diana Manea di Ert ha emozionato il pubblico con la lettura dei racconti vincitori. Agli autori sono andati premi in buoni-libro.
Il premio speciale della Giuria è andato alla bambina Arianna Malferrari per il testo “Le mie paure”, che ha raccontato delle sue piccole e grandi fobie di ragazzina di 10 anni.
Nella categoria 17-55 anni, il primo premio è andato a Marco Aggazzotti con “Purtroppo o per fortuna”, la paura di una vecchia dentro una casa di riposo che confessa ad uno studente volontario appena arrivato le violenze sui vecchi. Seconda classificata Elena Roveda con “Stratigrafia della paura”, la paura di una società degradante e degradata è al centro del racconto confessione di questa ragazza che racconta la paura strisciante, sotto pelle, dei giovani d’oggi. Il terzo premio è andato a Isabella Apparuti con “Tutto lavoro e nessun gioco…”, un testo sulla scoperta della paura attraverso il film Shining visto per la prima volta vent’anni fa.
Nella seconda fascia 56-66 anni il primo premio è andato a Claudio Gavioli con “L’orologio si è fermato” che narra della bomba di Bologna, una paginetta e mezzo con un colpo di scena che sorprende. Seconda classificata Elisabetta Malagoli con “Caramelle” sulle paure che spesso non si raccontano per la vergogna. Il terzo premio è andato al racconto di Daniela Biavati “Il giardino delle rondini” scritto in tono poetico è la storia di una bambina malata che si salva da un brutta malattia.
Nella terza categoria da 67 anni in avanti, il primo premio è andato a Pierina Turci con “Un posto tranquillo”, ricordo di bambina, di lei e la mamma che vanno a vivere qualche giorno da una amica che ha il marito che torna ubriaco e la picchia. Primo premio ex aequo a Maurizio Davolio con il racconto “La razzia. Finita bene” che parla della paura e della curiosità durante la ritirata delle SS e dei mongoli in un corteo sbilenco di ubriachi. Il secondo premio è andato a Nanda Malavasi per “Mi manca l’aria”, dove ci parla di quando era bambina a Milano con la zia e rimase chiusa da sola in ascensore, i timori che si mescolano con i ricordi della guerra. Terza premiata Silvana Muri con “La paura del partner”, che parla della paura che ci prende quando qualcuno non risponde più al cellulare. Una nuova paura moderna. Nel segno della continuità con le passate edizioni del Concorso sono state fatte alcune menzioni speciali ai racconti di Enrica Baraldi, Daniela Garrutti, Milena Castellazzi, Rina Cottafavi, Anna Mezzanotte, Gian Luigi Casalgrandi, Carla Cigni, Marina Biondi, Lucia Tassi e Lina Casarini.
Tutte le info sui racconti premiati, si potranno trovare dai prossimi giorni sul sito http://www.cgilmodena.it/spi/ nella pagina dedicata Materiali della Memoria.
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“ScrivitiAModena”, premiati i migliori racconti "ScrivitiAModena", premiati i migliori racconti. “La presenza di così tante persone significa il grande interesse per la scrittura e l’ascolto che il concorso ha saputo promuovere”.
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CIVITANOVA MARCHE – Sei concerti in programma per il nuovo cartellone di Civitanova Classica Piano Festival. La manifestazione, ideata e diretta da Lorenzo Di Bella, rafforza il suo ruolo di collettore delle principali istituzioni culturali e artistiche della città.
“Una storia importante per questa iniziativa arrivata all’undicesima edizione – afferma l’assessore alla Cultura Maika Gabellieri presente alla conferenza stampa insieme al sindaco Fabrizio Ciarapica, al presidente e vicepresidente TDiC Aldo Santori e Michela Gattafoni, al direttore artistico Di Bella e a Giorgio Luzi della galleria Centofiorini – un orgoglio per questa città”.
“Di Bella -aggiunge Aldo Santori- è un raffinato musicista che stimo e grazie a lui a Civitanova arrivano artisti nazionali ed internazionali che propongono sempre concerti di alto livello. Non vediamo l’ora di ascoltarli”.
Si inizia venerdì 14 dicembre alle ore 21.15, al Teatro Annibal Caro, con il concerto di inaugurazione dedicato al quarantennale della galleria Centofiorini: l’Orchestra Filarmonica Marchigiana, diretta dal maestro Luigi Piovano, affianca Lorenzo Di Bella al pianoforte in un programma che prevede la Sinfonia n.39 di Wolgang Amadeus Mozart, gli studi di Fryderyk Chopin e la Rhapsody in Blue di George Gershwin. A Stefano Bracalente del Centro Studi Licini viene affidata la finestra sull’arte tra il primo e secondo tempo.
Sabato 2 febbraio, è la sala lettura della Biblioteca Zavatti a fare da scenario, come ormai tradizione, allo Spazio Giovani del Festival, che “per la prima volta ospita un’orchestra d’archi di giovanissimi elementi, tutti under 20, dal Marche Music College di Senigallia, insieme a Davide Massacci al pianoforte” sottolinea Di Bella.
Domenica 10 marzo il pianoforte cede il passo ai suoi storici antesignani: Manuel Tomadin, all’organo e al clavicembalo, fa risuonare le Voci d’organo dello splendido Callido 1771 situato nell’Auditorium Sant’Agostino. Anche per questo evento si rinnova la collaborazione con la galleria Centofiorini, con l’intervento della critica d’arte Marta Silenzi.
In una tale polifonia territoriale non può mancare la voce della Pinacoteca Civica “M. Moretti”, amica del Festival sin dalla prima ora: domenica 7 aprile, in occasione della mostra Risonanze: Chagall e Braque, due opere a Civitanova l’Auditorium San Francesco ospita il concerto del grande pianista russo Boris Petrushansky, con la pillola d’arte del prof. Stefano Papetti.
Anche per questa stagione Civitanova Classica non dimentica di riservare un’attenzione particolare al mondo della scuola: mercoledì 17 aprile il Progetto Scuola vede la FORM esibirsi nell’Auditorium della scuola “Mestica” con Archi, Fiati (Legni, Ottoni), dove son le Percussioni?.
Chiusura in grande spolvero mercoledì 15 maggio ancora con l’Orchestra Filarmonica Marchigiana, questa volta diretta dal polacco Bartosz Zurakowsky con accanto il duo pianistico Marco Schiavo e Sergio Marchegiani prima e Robert Andres e Lorenzo Di Bella poi. Al giovane musicologo milanese Nicolò Rizzi spetta il compito di accompagnare il pubblico alla scoperta delle atmosfere storiche e delle caratteristiche principali del programma.
Civitanova Classica Piano Festival viene realizzato dall’Associazione Arte in Musica, grazie al Comune di Civitanova e all’Azienda dei Teatri, con il sostegno della Regione Marche e con il contributo indispensabile delle aziende: il main sponsor ICA Group e i partner Bastianelli, Tecnolift ascensori, Alfred, Roberto Valli, Dimorae e BCC di Civitanova Marche e Montecosaro. È possibile acquistare i biglietti del Festival presso tutte le biglietterie AMAT, sul sito Vivaticket e presso il teatro Rossini di Civitanova in orario di cinema.
Per informazioni: https://ift.tt/2jtrZMj – tel. 348/3442958.
Roma, 09 01 2015 Auditorium Parco della Musica. Stagione da Camera: Orchestra d’Archi dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Luigi Piovano direttore. ©Musacchio & Ianniello
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Cosenza, raccolti 20 mila euro per la Biblioteca Civica
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Per annunciare che la terra è piena della gloria di Dio Fratelli, sorelle! Permettetemi di rivolgermi a tutti così, chiamandovi fratelli, sorelle, “ parola tremante nella notte/ Foglia appena nata/ Nell'aria spasimante/ involontaria rivolta/ dell'uomo presente alla sua/ fragilità/ Fratelli (G. Ungaretti). Fratelli, sorelle: non è per pretendere una familiarità, piuttosto per offrire una intenzione di frequentazione quotidiana, di disponibilità ordinaria, di premurosa, discreta trepidazione per il destino di tutti. Fratelli, sorelle! Riconosco qui convenuti i fedeli del popolo santo di Dio e so che molti seguono questo evento mediante radio e tv: ecco, la gente, la mia gente! Siete le pietre vive della Chiesa cattolica in questa terra benedetta da Dio, in questa diocesi ambrosiana, e in Chiese sorelle di altri paesi e continenti, uomini e donne, laici e consacrati, famiglie che portano le loro gioie e le loro ferite, i Cardinali che la nostra Chiesa ha l’onore di riconoscere come suoi, vescovi e preti. Permettetemi di rivolgermi a voi con questa parola tremante nella notte, fratelli, sorelle. Non che io intenda rinunciare alla mia responsabilità di esercitare in mezzo a voi un magistero, non che io intenda sottrarmi alle fatiche del governo. Piuttosto esprimo il proposito di praticare uno stile di fraternità, che, prima della differenza dei ruoli, considera la comune condizione dell’esser figli dell’unico Padre: “fratelli, sorelle!”. Desidero che si stabilisca tra noi un patto, condividere l’intenzione di essere disponibili all’accoglienza benevola, all’aiuto sollecito, alla comprensione, al perdono alla correzione fraterna, al franco confronto, alla collaborazione generosa, alla corresponsabilità lungimirante. Fratelli, sorelle! Riconosco qui convenuto il Consiglio delle Chiese cristiana, ai fedeli delle altre Chiese e confessioni cristiane. Con franchezza mi rivolgo chiamandoli “fratelli, sorelle!”: ci unisce la fede in Cristo, ci uniscono secoli di storia condivisa, ci unisce la parola sofferta e profetica: cercate più quello che unisce che quello che divide. Perciò vi saluto: fratelli, sorelle! Certo la storia non è stato solo un cammino comune, è stata anche una vicenda di parole aspre, di ferite dolorose, di contrapposizioni sanguinose. Eppure lo Spirito di Dio ci anima a guardare avanti con intelligenza, con fiducia, con uno struggente desiderio che tutti noi discepoli inadeguati e maldestri del Signore Gesù possiamo realizzare il desiderio ultimo del nostro Signore e Maestro, che tutti siano uno, perché il mondo creda. Mi rivolgo con umiltà e rispetto ai figli di Israele e saluto anche loro: Fratelli, sorelle! Abbiamo troppo ricevuto dalla fede, dalla preghiera, dalla sapienza del popolo ebraico, abbiamo troppo poco condiviso la vostra sofferenza nei secoli, abbiamo troppe cose comuni per precluderci un sogno di pace comune, il pellegrinaggio faticoso e lieto, tribolato e tenace verso la terra promessa e la preghiera quotidiana: venga il tuo regno! Riconosco qui convenuti uomini e donne che pregano Dio secondo la fede islamica e altre tradizioni religiose che vivono qui tra noi e lavorano e sperano il bene, per sé e per le proprie famiglie. Anche a loro mi rivolgo con una parola che è invito, è promessa, è speranza di percorsi condivisi e benedetti da una presenza amica di Dio che rende più fermi i nostri propositi di bene. Saluto anche loro chiamandoli: Fratelli, sorelle! Riconosco qui convenuti uomini e donne che ignorano o escludono Dio dall’orizzonte del pensiero e delle scelte e della visione del mondo. Sono qui presenti, forse per dovere, forse per curiosità, forse perché apprezzano le opere buone della Chiesa Ambrosiana e dei cattolici milanesi. Anche a loro mi rivolgo con il desiderio di un incontro, con la speranza di una intesa, con l’aspettativa di trovarci insieme in opere di bene per costruire una città dove convivere sia sereno, il futuro sia desiderabile, il pensiero non sia pigro o spaventato. Anche a loro mi rivolgo e li saluto: Fratelli, sorelle! Vedo qui presenti il Sindaco, il Prefetto di Milano, il Presidente della Regione Lombardia, responsabili di tanti settori della società, autorità civili, militari, alle quali rivolgo il mio deferente saluto. Eppure anche a loro voglio rivolgermi allo stesso modo: fratelli, sorelle! Non intendo mancare di rispetto, ma mi preme dichiarare un’alleanza, un sentirci dalla stessa parte nel desiderio di servire la nostra gente e di essere attenti anzitutto a coloro che per malattia, anzianità, condizioni economiche, nazionalità, errori compiuti sono più tribolati in mezzo a noi. I nostri ambiti sono distinti, le nostre competenze diverse, anche i punti di vista non possono essere identici. Eppure lo spirito di servizio, la condivisione della passione civica, la fierezza dell’unica tradizione solidale, creativa, laboriosa milanese e lombarda sono un vincolo che mi permette di osare salutare così, in questo momento, anche le autorità presenti: fratelli, sorelle! Fratelli, sorelle, ho già detto tutto quello che mi sta a cuore in questo momento. Mi basterebbe che questo ingresso fosse celebrato come un gesto fraterno e che questo nostro riconoscerci segnasse il desiderio e l’impegno di uno stile di vita, di una consuetudine a riconoscerci in una fraternità sciolta, semplice, operosa e fiduciosa. Ma immagino però che siate incuriositi e vi domandiate che cosa io abbia da dire a questa santa Chiesa cattolica e ambrosiana, forse vi domandate quale sia il mio programma pastorale, forse vi domandate quale sia il mio messaggio per la Città di Milano e le terre di Lombardia. Quanto alla Chiesa Ambrosiana io in questo momento non posso dire se non una immensa gratitudine per quello che è e per quello che io ho ricevuto, grazie a tutti, grazie per tutto! Il pensiero grato va a tutti i vescovi ambrosiani che mi hanno preceduto e a tutta la storia di santità che hanno scritto nei secoli, anche se un sentimento di particolare affetto e gratitudine devo esprimere per i vescovi che ho conosciuto e che hanno segnato il mio percorso, il cardinale Giovanni Colombo che mi ha ordinato prete, il cardinale Carlo Maria Martini che mi ha affidato la responsabilità del Seminario, il cardinale Dionigi Tettamanzi che mi ha chiamato ad essere suo vicario di zona e mi ha ordinato vescovo, il cardinale Angelo Scola che mi ha chiamato all’incarico di vicario generale e che mi ha trasmesso le consegne con tanta delicatezza e premurosa attenzione. Una parola di speciale gratitudine devo riservare al clero ambrosiano, ai preti e ai diaconi: a loro ho dedicato fino ad ora gran parte del mio ministero, ho buoni motivi per nutrire grande stima e riconoscenza per ciascuno, ho la certezza di poter contare su tutti loro, sulla loro fraterna vicinanza, sulla loro obbedienza, sulla loro partecipazione corresponsabile al governo della diocesi, sulla loro correzione e comprensione per le mie prevedibili inadeguatezze. Non ho altro programma pastorale che quello di continuare nel solco segnato con tanta intelligenza e fatica da coloro che mi hanno preceduto in questo servizio, con l’intenzione di essere fedele solo al mandato del Signore, in comunione, affettuosa, coraggiosa, grata, con il santo Padre, Papa Francesco che mi ha chiamato a questo compito e che ispira il mio ministero. Non ho altro desiderio che di incoraggiare il cammino intrapreso da coloro che mi hanno preceduto, in particolare possiamo fare memoria della responsabilità missionaria che ha caratterizzato il magistero dei Vescovi degli ultimi decenni, proprio a sessant’anni dalla conclusione della Missione di Milano indetta e vissuta da Giovanni Battista Montini nel 1957. Solo vorrei invitarvi ad alzare lo sguardo, ad accogliere l’invito di uno dei sette angeli… “Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello” (Apc 21,9) . Vi invito a guardare la Chiesa e l’umanità in una contemplazione più pura, più penetrante, meno preoccupata di quello che dobbiamo fare e più disponibile a riconoscere l’opera di Dio e la dedizione dell’Agnello a rendere bella la sua sposa, come una sposa adorna per il suo sposo (Apc 21,2) Pertanto, in questo momento così solenne ed emozionante io voglio dire solo una parola che ritengo essenziale, necessaria, incoraggiante e benedetta. Voglio confermare la profezia stupefatta di Isaia: tutta la terra è piena della sua gloria. Voglio confermare l’inno di lode che si canta in ogni liturgia eucaristica: Santo, santo, santo, i cieli e la terra sono pieni della tua gloria! Voglio condividere l’inno del Te Deum: pleni sunt caeli et terra maiestatis gloriae tuae. La proclamazione può suonare una espressione di euforia stonata nel nostro contesto contemporaneo incline più al lamento che all’esultanza, che ritiene il malumore e il pessimismo più realistici dell’entusiasmo, che ascolta e diffonde con maggior interesse le brutte notizie e condanna come noiosa retorica il racconto delle opere di Dio e del bene che si compie ogni giorno sulla faccia della terra. Ma il pensiero scettico e una specie di insofferenza nei confronti della rivelazione nascono forse da un malinteso. Infatti: che cosa si deve intendere per “gloria di Dio”, secondo la rivelazione cristiana? La gloria di Dio non è una sorta di irruzione trionfalistica. Chi si aspetta questa manifestazione della gloria di Dio, volgendo lo sguardo sulla desolazione della terra dichiara impossibile pensare che la terra sia piena della gloria di Dio: la vede piuttosto piena di lacrime e rovine, di ingiustizie e di idiozie. Eppure io vi annuncio e testimonio che la terra è piena della gloria di Dio. Che significa gloria di Dio? Significa manifestazione dell’amore, tenacia dell’amore, ostinazione dell’amore di Dio che nel suo Figlio Gesù rivela fin dove giunge la sua intenzione di rendere ogni uomo e ogni donna partecipe della sua vita e della sua gioia. Ecco che cos’è la gloria di Dio: è l’amore che si manifesta. Perciò io sono venuto ad annunciare che la terra è piena della gloria di Dio. Non c’è nessun luogo della terra, non c’è nessun tempo della storia, non c’è nessuna casa e nessuna strada dove non ci sia l’amore di Dio. La gloria di Dio riempie la terra perché ogni essere vivente è amato da Dio. Forse c’è chi può dire: è impossibile! Io non valgo niente! Ma io ti dico che tu sei prezioso per Dio e Dio ti ama e avvolge la tua vita della sua gloria, del suo amore eterno e infinito. Forse c’è chi pensa: io sono troppo triste, troppo desolato, troppo depresso. Non vedo luce, non aspetto niente di buono dalla vita. Ma io ti dico che Dio è vita, che la gioia di Dio è anche per te, che alla festa di Dio sei invitato anche tu e Dio continua ad avvolgere la tua vita della sua gloria, della sua luce! Forse c’è chi pensa: è impossibile: io sono cattivo, io ho fatto del male, io non riesco io non voglio rinunciare ai miei vizi, io merito solo castighi e condanne. Ma io ti dico che Dio continua ad amarti e ad avvolgere la tua vita della sua gloria, del suo amore misericordioso. Forse c’è chi pensa: è impossibile: io mi sono ribellato a Dio, io sono arrabbiato con Dio, io ho insultato Dio, io mi sono dimenticato di Dio. Ma io ti dico che Dio non è arrabbiato con te, Dio continua ad amarti e ad avvolgerti della sua gloria, del suo amore paziente e discreto. Forse c’è chi pensa: io non credo in Dio, io non so che farmene del suo amore. Ma io ti dico che Dio continua ad amarti e ad avvolgere la tua vita della sua gloria, del suo amore tenace, rispettoso e affettuoso e geloso insieme. La gloria di Dio riempie la terra perché Dio non è lontano da nessuno e la gloria di Dio avvolge di luce ogni essere vivente, come avvolse di luce i pastori nella notte di Natale ( e la gloria del Signore li avvolse di luce: Lc 2,9). La gloria di Dio è l’amore che si rivela e che rende possibile l’impresa inaudita, la trasfigurazione impensata, l’evento sorprendente. La gloria di Dio conduce là dove nessuno avrebbe potuto pensare di arrivare, là dove nessuna audacia di pensiero umano ha potuto spingere lo sguardo. Infatti la gloria di Dio è l’amore che rende addirittura capaci di amare! Ogni uomo, ogni donna avvolti della gloria di Dio diventano capaci di amare, possono praticare il comandamento di Gesù: amatevi! Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 14,34). Ogni uomo, ogni donna è reso capace di amare come Gesù ha amato, è reso partecipe della vita di Dio e della sua gloria. In ogni luogo della terra, in ogni tempo della storia, oggi, dappertutto, in qualsiasi desolazione, in qualsiasi evento tragico, in qualsiasi tribolazione Dio continua ad amare e a rendere ogni uomo e ogni donna capace di amare. Non parlate troppo male dell’uomo, di nessun figlio d’uomo: la gloria di Dio avvolge la vita di ciascuno e lo rende capace di amare. Non disprezzate troppo voi stessi: Dio vi rende capaci di amare, di vivere all’altezza della dignità di figli di Dio, vivi della vita di Dio. La gloria del Signore vi avvolge di luce. Non disperate dell’umanità, dei giovani di oggi, della società così come è adesso e del suo futuro: Dio continua ad attrarre con il suo amore e a seminare in ogni uomo e in ogni donna la vocazione ad amare, a partecipare della gloria di Dio. Ecco, il mio messaggio, il mio invito, la mia proposta, l’annuncio che non posso tacere si riassume in poche parole: la gloria del Signore riempie la terra, Dio ama ciascuno e rende ciascuno capace di amare come Gesù. Vi prego: lasciatevi avvolgere dalla gloria di Dio, lasciatevi amare, lasciatevi trasfigurare dalla gloria di Dio per diventare capaci di amare!
Omelia Card. Mario Delpini - 24/09/2017
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Nuovo evento pubblicato http://eventicatanzaro.it/event/museo-storico-militare-brigata-catanzaro-corso-di-aggiornamento-e-formazione-per-docenti/
MUSEO STORICO MILITARE "BRIGATA CATANZARO" - Corso di aggiornamento e formazione per docenti
Questo Comitato Provinciale Unicef, unitamente all’Ufficio Scolastico Regionale Calabria, organizza in virtù del Protocollo d’intesa regionale tra i due sopradetti Soggetti, l’annuale corso di formazione e aggiornamento per Docenti delle Scuole di ogni ordine e grado statali e paritari della provincia sul tema:
“Il diritto del Minore migrante all’Educazione e all’Istruzione-per un corretto percorso di integrazione interculturale”.
Il corso si svolgerà presso la Sala Convegni del MUSMI, nel Parco della Biodiversità di Catanzaro, nei giorni 6 e 7 aprile con il seguente orario:
giorno 6- dalle ore 15 alle 19 giorno 7- dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19
Il tema prescelto, oltre ad essere coerente con la situazione attuale che vede, specialmente in Calabria, la presenza di tanti Minori migranti, segnatamente non accompagnati, che abbisognano di servizi e cure, interessa il campo di azione del progetto MIUR/Unicef Italia “Verso una Scuola Amica dei Bambini e degli Adolescenti”, di cui alla C.M.0007342 del 6 ottobre 2016, che sottolinea anche per l’anno scolastico in corso, come “il Progetto miri ad attivare prassi educative volte a promuovere la conoscenza della Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, proponendo alle Scuole percorsi per migliorare l’accoglienza e la qualità delle relazioni, favorire l’inclusione delle diversità, promuovere la partecipazione attiva degli alunni”. Il corso, altresì, si propone di sollecitare i Docenti a ricercare e mantenere spazi privilegiati di Educazione per la formazione di una coscienza civica, nell’ambito degli insegnamenti di Cittadinanza e Costituzione e della Legalità. Il corso è destinato ai Docenti delle Scuole di ogni ordine e grado statali e paritari della provincia, con precedenza per coloro che insegnano nelle Scuole Amiche, fino alla concorrenza di cento unità. La partecipazione al corso è regolata dall’art.1 comma 121 della Legge 107/2015 e dalla C.M.0003563 del 29-11-2016, che consentono ai corsisti di attingere alla somma di 500 euro messi a disposizione appunto per la formazione e l’aggiornamento. Pertanto ogni Docente ammesso al Corso dovrà versare al momento dell’apposizione della firma di presenza il giorno dell’arrivo, un contributo di €10,00 (dieci), per la fornitura del materiale di studio attinente al corso. A conclusione del corso sarà rilasciato ad ogni partecipante l’attestato di frequenza valido a tutti gli effetti, precisando a tal fine che l’Unicef è Ente accreditato per la formazione ai sensi del DM.n.177/2000 e della Direttiva n.90/2003, rinnovato con DM 8 giugno 2005.
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Civica Amica Cosenza, lettera ai donatori
A chi leggerà questa lettera, Grazie.Grazie a chi ci darà ascolto ancora una volta, perché un anno fa ha prestato attenzione all’appello di CIVICA AMICA APS per raccogliere fondi per la Biblioteca Civica di Cosenza, nel tentativo di colmare i debiti della prestigiosa istituzione, disastrata dalla miopia degli Enti Locali e da una forma d’inedia nella opinione pubblica verso gli enti culturali.…
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ASCOLI PICENO – La Pinacoteca Civica ed il Museo Archeologico Statale di Ascoli Piceno presentano “Classicamente Moderno“, ispirazioni antiche nel Rinascimento. Seguirà una dolce degustazione e “Letture Bendate: l’arte e i sensi”, di e con Cristiana Castelli. Costo € 15 (inclusi i biglietti d’ingresso alle strutture). Sempre sabato 19 Maggio, dalle 19 alle 23, ingresso ridotto alla Pinacoteca Civica e alla mostra “Cola dell’ Amatrice da Pinturicchio e Raffaello“.
In occasione della Settimana della Famiglia – AP FAMILY – sarà inaugurato in Sala dei Mercatori, al Punto Informazioni Turistiche, un Baby Pit Stop, azione che promuove la cultura amica dell’ allattamento materno, creando uno spazio dove le mamme e i loro bambini siano i benvenuti.
Domenica 20 Maggio una giornata interamente dedicata alla maiolica, in occasione di “Buongiorno Ceramica“. Alle ore 10.30 “Ceramica in Tour“, un percorso guidato alla scoperta della meraviglie di Ascoli Piceno: Museo dell’ arte Ceramica, visita al quartiere medievale della città – dove sarà possibile visitare le prestigiose botteghe ceramiche – per concludere con la mostra mercato dei ceramisti ascolani presso il Palazzo dei Capitani del Popolo. Costo € 7 (incluso di biglietto d’ingresso al Museo).
Alle ore 16. 30 “ Mani sul Tornio!“, laboratorio artistico con Alessandro Lisa che condurrà le mani dei piccoli partecipanti sul tornio. Al termine esibizione della Corale Solidale Avis e dell’ associazione musicale FoliBand.Laboratorio per bambini dai 4 ai 10 anni. Costo €6.
Sabato 19 e Domenica 20 alle ore 10,30 e alle ore 15,30 in occasione della mostra “Cola dell’Amatrice da Pinturicchio a Raffaello” presso la Pinacoteca Civica, sarà possibile godere di un piacevole percorso guidato dal titolo Cola dell’Amatrice, da allievo a maestro: un meraviglioso esempio di artista del ‘500 alla scoperta dei capolavori del maestro e dei tanti artisti che lo hanno ispirato.
Anche presso il Forte Malatesta alle ore 11,30 e alle ore 16,30 di Sabato 19 e Domenica 20 sarà possibile conoscere l’affascinante storia della fortezza dall’età romana al XX secolo con la visita guidata Storie da Fortezza.
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