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I gioielli di Azzate - Chiesa della Natività di Maria Vergine
#Agostino D&039;Adda#arte lombarda#Azzate#Bernascone#Biroldi#bottega italiana#Callisto Piazza da Lodi#campanile#cardinal Ferrari#Cristo Morto#Gaetano Barbini#Gerusalemme#Giovanni Mentasti#girasoli#Hans Holbein#Isidoro Bianchi#Kunstmuseum Basilea#Madonna#Mario Rossi#meridiana solare#Morazzone#Natività di Maria Vergine#Nuvolone#opere d&039;Arte#organaro#organo#Pala Matrimonio mistico Santa Caterina d&039;Alessandria#Palestina#palme#Rabalio Bossi
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NOVARA JAZZ 2023 DIARY: VEYRAN WESTON, PULTZ-MELBY, JOE MCPHEE, MILITELLU AVERY FLATEN TRIO, CHICAGO SAO PAULO UNDERGROUND E BUCUC
La Chiesa di San Giovanni Decollato ad Fontes ha ospitato il primo concerto nell’ultima giornata di Novara Jazz. Si tratta del concerto di Veryan Weston sull’organo Biroldi, recentemente restaurato, con una composizione appositamente creata per il Festival: si tratta di “Tessellation V for Tracker Action Organ - The Sacred Geometry of Sound.” Ed è subito incanto quando le canne dell’organo cominciano a veicolare l’aria. Una composizione assai articolata, basata sulle scale pentatoniche e molto variegata, che restituisce sonorità non proprio consuete per un organo chiesastico. Il secondo concerto della giornata è il “solo” di Adam Pultz-Melby all’interno della Galleria Giannoni e, “comme d’habitude” dinnanzi al quadro di Filiberto Minozzi, “Sinfonia del mare” del 1909. Un assolo che definire molto particolare sarebbe dire l’ovvio. Adam Pultz-Melby, danese che vive e lavora a Berlino, dall’aspetto ascetico stupisce subito il foltissimo pubblico con una meditazione yoga pre-concerto. Ma quando le corde del contrabbasso cominciano a vibrare lo stupore è ancora maggiore: poche note dalla durata infinita, ripetute è leggermente variate. Si potrebbe definire una struggente ripetizione che sembra non avere fine. Corde fatte vibrare fino ad esaurirne ogni possibilità. Poi si passa al primo concerto del pomeriggio che è un altro “solo” quello di Joe McPhee, nella Chiesa del Carmine nel cuore di Novara. Prima però la consegna della “Chiave d’oro” di Novara Jazz al grande sassofonista applauditissimo dal pubblico. C’è poco da dire, quando Joe prende tra le mani il sax la magia prende corpo. Per dire la verità prima di suonare Joe McPhee fa il predicatore (nel miglior senso della parola) toccando temi che vanno dalla libertà al “climate change”, ma poi quando è il sax a “parlare” la poesia diventa palpabile. Si dirà che l’unica musica adatta ad una chiesa sia la musica sacra, ma in realtà qualsiasi musica, ad alto tasso di spiritualità, potrebbe essere accolta in un luogo di preghiera e il free jazz ha in sé un alto tasso di spiritualità con Joe McPhee che ne è stato e ne è ancora uno dei massimi interpreti. Ritmo infernale quello di Novara Jazz, dopo neanche un’ora da Joe McPhee, ecco “Mitelli Avery Flaten Trio” nel giardino della soprintendenza di Novara. Qui siamo nel campo della sperimentazione stretta con un rumorismo elettronico diffuso e che dialoga magnificamente con gli strumenti: il contrabbasso di Ingebrigt Håker Flaten, la batteria di Mikel Patrick Avery e la tromba e la cornetta di Gabriele Mitelli ( oltre l’elettronica appunto). Da come è stipato il pubblico si comprende che il Festival ormai ha una platea che travalica l’ambito locale. É lo stesso pubblico, ma ancora più numeroso che si ritrova nel magnifico Chiostro della Canonica del Duomo per i “Chicago/Sao Paulo Underground” con ancora una volta Rob Mazurek alla tromba elettronica e sonagli vari, Chad Taylor, alla batteria e Mauricio Takara alle percussioni. Roboante e intenso, come sempre, il loro sound dove la batteria propone ritmi massicci e la incomparabile voce di Rob lancia nello spazio del chiostro urla liberatorie e/o propiziatorie di religioni sconosciute. Tutto prelude ad un finale fatto di ritmi indemoniati e nello stesso modo possono essere definiti quelli di BCUC ovvero “Bantu Continua Uhuru Consciousness” da Soweto, South Africa. Basta vedere le gigantesche congas e le due grancasse posizionate sul palco del Broletto per immaginare di che morte dobbiamo morire, anzi forse di che esplosioni di vita ci tocca vivere. Il pubblico resiste al primo pezzo, ma al secondo è già scatenato in danze (pseudo tribali), mentre Zithulele ‘Jovi’ Zabani Nikosi urla la sua vitalità dal palco nei più disparati dialetti parlati in Sudafrica. Energia, tutta e pura energia. Si chiude così in maniera, per così dire dionisiaca, l’edizione del ventennale del Novara Jazz Festival che ha messo in campo tutta la potenza di fuoco di cui era capace. Ma siamo pronti l’anno prossimo a stupirci ancora…
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Montevecchia è una graziosa località dell‘alta Brianza, posta a 500 metri d’altezza, inserita nel Parco della Val Curone, meta molto ambita dalle gite “fuori porta”. Una collina con antichi terrazzamenti che ha incantato nei secoli, artisti di ogni genere, con una delle migliori descrizioni del luogo data dal regista Mario Soldati in Vino al Vino.
Nelle giornate limpide, rivolgendo lo sguardo verso sud, si può ammirare dall’alto tutta la Brianza, fino al rinnovato skyline di Milano, arrivando più giù sino agli Appennini, mentre a nord si ammirano non solo le Prealpi lecchesi, il Resegone, la Grigna, le Orobie ma anche un’ampia fetta delle Alpi sino al Monte Rosa, al Cervino.
Montevecchia racchiude ben cinquantadue frazioni con il nucleo principale, formato da antiche corti contadine e splendidi vigneti posti nei terrazzamenti dove sono alternati a erbe aromatiche. E’ caratterizzata da splendidi esempi di “ville di delizia” come la settecentesca dimora Agnesi-Albertoni, con il suo vasto parco, posizionata proprio sotto la cima della collina, aperta al pubblico in alcune occasioni e Villa Vittadini, dirimpetto al santuario, sorta su un precedente edificio cinquecentesco.
Arrivati nella storica piazzetta del paese, un suggestivo e romantico viale alberato, porta alla sommità della collina, dove si trova il santuario medievale della Beata Vergine del Carmelo, altro punto d’interesse, con una storia radicata profondamente nel territorio.
Le origini di Montevecchia si perdono lontano nel tempo. Nella zona comunale in località Fornaci, alla fine degli anni 70′ del secolo scorso, sono stati individuati alcuni accampamenti, risalenti all’epoca dell’uomo di Neanderthal e dell’uomo sapiens, datati rispettivamente il primo a 60.000 anni e il secondo a 32.000. Questi insediamenti sono fra i più antichi situati in Lombardia. Di qui forse anche il toponimo Montevecchia ovvero Muntàvegia dal brianzolo. Anche se altri propendono per la derivazione latina Mons Vigiliae (monte delle Vedette).
Il territorio su cui sorge Montevecchia, ha anche la particolarità, di avere tre colline dette “Le piramidi”, scolpite nella roccia, che hanno un’altezza tra i quaranta e cinquanta metri, con gradoni di usati come terrazzamenti dediti alla coltivazione.
Una singolarità che ha smosso, diverse teorie e avvicinato il territorio, a zone ricche di misteri. Certo è che esse sono disposte esattamente come le stelle della cintura di Orione, analogamente alle più celebri piramidi egizie di Giza. Sono orientate tutte e tre col lato “migliore” a Est con una precisione inferiore al mezzo grado e inoltre hanno tutte la stessa inclinazione.
Probabilmente la collina di Montevecchia, vede risalire i suoi particolari terrazzamenti all’epoca celtica, sono infatti molti i reperti ritrovati nell’area. I Celti molto attenti ai cicli della natura, sono stati i primi veri colonizzatori di questi territori. E’ stata rinvenuta anche una cerchia muraria difensiva in pietra alta circa quattro metri. In cima alla collina, si ritiene fosse posto uno dei tanti santuari celtici, che compiano un po’ ovunque su tutto l’arco prealpino. A ulteriore conferma, il rinvenimento di un monolite in pietra granitica lavorato, risalente ai Celti. I santuari avevano la doppia funzione di luogo di culto e osservatorio della volta celeste, ad avvalorare lo stretto legame tra quest’antica popolazione e la natura.
In epoca romana, il sito, ebbe un’importanza strategica, è stata accertata infatti la presenza di una torre di segnalazione, proprio dove ora sorge il Santuario.
Nell’alto Medioevo la torre romana divenne una chiesa, dedicata a San Giovanni Battista, molto amato dai longobardi.
Nei secoli successivi, come tutta la Brianza, Montevecchia face parte del ducato di Milano, sotto i Visconti e in seguito sotto gli Sforza, poi passò agli Austriaci, quindi agli Spagnoli. Nel 1647, divenne un feudo della famiglia Panigarola, che ne fece uno dei suoi luoghi più amati per le vacanze, costruendo quella che poi sarebbe diventata villa Agnesi-Albertoni.
Nel 1713, il feudo di Montevecchia venne ceduto a Giacomo Brivio, appartenente a una famiglia di mercanti che aveva ottenuto il titolo di conti di Brochles. Per poi seguire tutte le vicende storiche lombarde.
Il cuore di Montevecchia è il Santuario della Beata Vergine del Monte Carmelo, in stile barocco antico, che alla fine del secolo IX era una chiesetta dedicata a San Giovanni Battista, una cappella che allora dipendeva dalla parrocchia e pieve di Missaglia.
Nel 1564 la chiesetta fu riconosciuta come parrocchia e tra il secolo XVI e il XVII fu costruito, sulle rovine del precedente edificio, l’attuale santuario, sempre come chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Decollato, con compatrona la Beata Vergine del monte Carmelo.
Il Santuario fu chiesa parrocchiale di Montevecchia fino alla fine degli anni 20 del secolo scorso, quando fu inaugurata la nuova chiesa del borgo, da allora cominciò a essere considerato Santuario mariano in onore della Madonna del Carmelo. All’interno si trova il settecentesco organo Biroldi, posto proprio sopra l’ingresso. Nel santuario sono conservati anche un Crocefisso processionale seicentesco in legno dorato e uno del cinquecento in legno.
L’interno è decorato con affreschi settecenteschi, che riproducono episodi della vita di Sant’Antonio e con una serie di otto tele raffiguranti la vita di San Giovanni Battista.
Il Santuario è inserito nel percorso di pellegrinaggio “Cammino di Sant’Agostino” da percorrere a piedi o in bicicletta che collega venticinque Santuari mariani della Brianza, toccando tra gli altri i luoghi più emblematici della vita del Santo.
Per raggiungerlo occorre salire una scalinata di 180 gradini, agevole e in ombra grazie agli alberi di tigli e ligustri, circondata dai terrazzamenti con coltivazioni di vite ed essenze varie.
A circa tre quarti la gradinata s’interseca un sentiero pianeggiante che circonda ad anello il terrapieno dell’edificio e porta in cima. Questo sentiero è detto “Via Crucis” perché delimitato, da vecchi cipressi e da sedici edicole in pietra arenaria, contenenti altrettante sculture settecentesche recentemente ristrutturate.
Un’altra opzione per salire in vetta è quella di usufruire della navetta gratuita.
Diversi sono i punti di ristoro presenti, tra bar e gelaterie, oltre ad offrire un’ampia gamma di agriturismi e ristoranti che offrono piatti e prodotti del territorio, come i formaggini di Montevecchia, i salumi, magari da accompagnare con i vini locali, come il Cruel, il Nustranel, lo Scernì e il Valcurone Brut.
Montevecchia è inserita nel Parco regionale della Valle del Curone, che si estende per una superficie di circa 2.400, tra i comuni di Cernusco Lombardone, La Valletta Brianza, Lomagna, Merate, Missaglia, Montevecchia, Olgiate Molgora, Osnago, Sirtori e Viganò.
Un parco che conserva aree boschive incontaminate con diverse specie arboree e una fauna che comprende animali come il tasso e lo scoiattolo, volpi, donnole, ghiri, lepri, poiane, fagiani, fino al martin pescatore, dall’upupa. Presenti anche il gambero di fiume, la salamandra, il rospo smeraldino e la rana latastei.
Nel Parco sono disegnati e percorribili undici sentieri che lo attraversano in tutte le sue direzioni.
Montevecchia Montevecchia è una graziosa località dell'alta Brianza, posta a 500 metri d'altezza, inserita nel Parco della…
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Esce Jaggae il nuovo disco di Francesco Mascio ed Emiliano Candida per Filibusta Records
Un viaggio che parte dalla Giamaica, che raggiunge la Grande Mela e che travalica i confini territoriali, creando ponti tra mondi, universi e musiche parallele. Questa la vera essenza di “Jaggae”, progetto discografico che porta la firma dei due chitarristi Francesco Mascio ed Emiliano Candida, pubblicato dall’etichetta Filibusta Records. Un disco che nasce da un’amicizia profonda e soprattutto da un senso di condivisione e visione della Musica intesa come messaggera di vibrazioni positive. Da questo punto di partenza, infatti, il sound tipico dei Caraibi e dei suoi grandi interpreti come Bob Marley, si colora di jazz, legando due stili apparentemente diversi tra loro che in realtà hanno tanto da dirsi e da raccontarsi. Il risultato è un’espressione di libertà che travalica il concetto di genere dando vita ad un sound unico che oltrepassa le barriere fisiche e mentali che dividono due mondi agli antipodi. In questo modo, infatti, le armonie della tradizione Jazz trovano una nuova veste grazie ai ritmi sospesi e leggeri che da sempre hanno caratterizzano le musiche di questa piccola isola dei Caraibi. Suoni e musiche che permettono ad un vasto pubblico di recepire il messaggio che anima il progetto: unire per portare pace. Nel disco sono ospiti Angelo Olivieri alla tromba, Alberto Maroni Biroldi alle percussioni, e Sonia Lippi alla voce recitante di un brano. Il cd è stato presentato all’Auditorium Parco della Musica di Roma.
Il disco si apre con Enjoy brano solare che grazie alle sonorità tipiche della musica caraibica, impreziosite dalla presenza del Didgeridoo, descrive un giorno di festa popolare. Bongo Man, invece, seconda track del disco, con un’atmosfera distesa e rilassata racconta a suon di note quello che succede nelle vie di un paese dove un’orchestrina locale suona una deliziosa melodia. C’è tempo anche per un’interessante rivisitazione del famoso brano di Duke Ellington, Caravan, che suonato a tempo di ska trasporta le orchestre newyorkesi nel contesto giamaicano. Scrapple from the apple evoca i sapori di una piccola osteria nella piazza del paese, i tavolini fuori e una gustosa pietanza nel piatto. Tra i brani rivisitati c’è anche il celebre Buffalo Soldier di Bob Marley dove la chitarra classica di Francesco Mascio si sposa con il fraseggio blues di Emiliano Candida acquistando una luce completamente nuova e un carattere disteso e rilassato. Incontro stoppato, invece, è un brano dai tratti narrativi più spiccati e dal carattere jazz fusion con un forte groove impreziosito dalla presenza delle percussioni. In Natural Mente immaginiamo una panchina in un parco. Il sole che filtra tra le fronde, il vento che ti accarezza cullato dal cinguettio degli uccelli… un ritorno alla Natura. Con Swing Gitan, il duo si cimenta con il linguaggio manouche e con un jazz dai tratti popolari caratterizzato da un ritmo che in alcuni punti diventa incandescente ed infuocato. L’ultima composizione di questo disco è Guinea Ska che chiude in grande stile questo viaggio che lega musica tradizionale africana, della Guinea, con quello del jazz, dove linguaggi e potenzialità vengono esplorati e sintetizzati dalla semplicità della musica reggae.
Jaggae:
Francesco Mascio – electric & classic guitar / Emiliano Candida – electric guitar & ukulele / Angelo Olivieri – trumpet /Alberto Maroni Biroldi – percussion & didgeridoo. Sonia Lippi voce su Natural Mente
Tracklist:
Enjoy / Bongo Man / Caravan / Scrapple from the Apple / Buffalo Soldier / Incontro Stoppato / Natural Mente / Swing Gitan / Guinea Ska
Discografia:
Francesco Mascio & Emiliano Candida – “Jaggae” (Filibusta Records, 2017)
Bio
Francesco Mascio – poliedrico chitarrista e compositore, inizia a studiare Musica all’età di 6 anni sperimentando lungo il suo percorso artistico numerosi generi musicali, dal Blues al Funk dalla Fusion al Jazz passando per la Word Music al Reggae fino all’Improvvisazione Radicale. Inizia la sua attività concertistica verso i 17 anni intrecciando nel tempo numerose collaborazioni con artisti di spicco del panorama jazzistico italiano ed internazionale partecipando alla registrazione di vari dischi come leader e sideman. A Marzo del 2017 pubblica il suo quarto lavoro discografico: “Jaggae” una fusione di jazz e reggae. Nei vari anni di attività concertistica ha suonato con Tony Monaco, Francisco Mela, Shawnn Monteiro, Karl Potter, Crystal White, Amana Melomè, Gegè Telesforo, Gegè Munari, Giorgio Rosciglione,Pippo Matino,Rosario Giuliani, Flavio Boltro, Fabrizio Bosso, Luca Aquino, Gabriele Coen, Aldo Bassi, Paolo Recchia, Pasquale Mirra, Vincenzo Vasi, Piero Bittolo Bon, Francesco Cusa, Ettore Fioravanti, Marta Capponi, Alberto Marsico, Sanjay Kansa Banik, Marco Valeri, Peppe Consolmagno e tanti altri.
Emiliano Candida – inizia a studiare musica a l’età di 12 anni già come chitarrista, in una piccola scuola di musica del suo paese, dove ha il piacere d’incontrare ottimi musicisti del panorama Ciociaro e Romano. Studia la chitarra con Massimo Izzizari, ed il noto jazzista Antonio Jasevoli, successivamente incontrerà nella stessa scuola il chitarrista Francesco Mascio con il quale inizierà un percorso di studi musicali e spirituali. Successivamente intraprenderà e terminerà gli studi Triennali del corso di jazz nel conservatorio di Frosinone. Nel frattempo collabora con la band Faunalia, e produce un disco in duo con il sassofonista Daniele Germani nelle vesti di “Sedivo” il disco prende il nome di “Giovani Verità’”, un album devozionale nei confronti della Madre Terra. Matura sempre di più uno scambio culturale con il Maestro Francesco Mascio con il quale intraprenderà una collaborazione musicale che li porterà alla formazione del Progetto “Jaggae”. Il progetto ha l’intento di unire il jazz al reggae, l’unione tra più genere simboleggia un concetto di “Unione Universale”. La sua ricerca spirituale lo invoglierà ad intraprendere diversi viaggi, coltivando la passione per l’arte di strada e la conoscenza di luoghi, persone e situazioni interessanti.
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9 marzo, coming soon...“The Colourful Side of the Music" > Greenwall - Andrea Pavoni Michela Botti Riccardo Sandri Alfredo De Donno Fabio Ciliberti guest Simone Macram > Jaggae - Francesco Mascio Francesco Mascio & Emiliano Candida feat. Angelo Olivieri Alberto Maroni Biroldi Auditorium Parco della Musica di Roma - Teatro Studio Borgna
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NOVARA JAZZ 2022: BRUNO CHEVILLON, ARCHIPELAGOS, SHE’S ANALOG E ORCHESTRE TOUT PUISSANT MARCEL DUCHAMP
Che l’organo sia uno strumento versatile è risaputo, ma è anche risaputo che,pensando alla musica d’organo, il riferimento sia sempre, o quasi, alla musica sacra se non proprio “chiesastica”e ,qualche volta, anche con una connotazione psicologica che contempla una certa noiosità. Naturalmente sono beceri luoghi comuni, ma è certo che fino a che non si è ascoltato un musicista come Kit Downes, che apre l’ultimo giorno di “Novara Jazz” con uno straordinario concerto sull’organo “Biroldi” della Chiesa di San Giovanni Decollato di Novara (da poco restituito restaurato alla città), non si è ancora assaporato appieno cosa possa produrre un organo (e la bravura del compositore, s’intende). Dimenticatevi tutto o quasi tutto di quello che la vostra memoria ha sedimentato nella parola “organo” e voltate pagina: niente registri consueti, niente movimenti, niente ascendenze codificate, tutto nuovo, tutto mai sentito (o quasi mai). Uso “spregiudicato” dello strumento, officina di suoni, asimmetricità della composizione, luce nuova. Tim Downes sembra maneggiare la musica d’organo con irriverenza, ma non è così, si tratta piuttosto di una liberazione dello strumento da quegli schemi fissi che hanno abituato lo spettatore ad aspettarsi da questo strumento solo un certo tipo di musica e non altro. Un timore reverenziale che nel pubblico è venuto meno con questo straordinario concerto che, se in parte risente della “britannicità” per alcune impostazioni del musicista di Norwich, porta contemporaneamente una travolgente folata di novità, nell’uso dell’organo. Il concerto di questa mattina riassume in un certo senso tutta la “mission” e l’anima del jazz: la continua, indomita, perseverante ricerca di suoni nuovi, ritmi nuovi, persino l’utilizzo diverso dello strumento stesso. Un’ora dopo, nella bella sala della Collezione Giannoni, mentre nel cortile dell’Arengo vanno a spegnersi le note dell’esibizione dell”Orchestra Erios”, ci aspetta il bel quadro di Filiberto Mingozzi con la sua “Sinfonia del mare” dinnanzi al quale, Bruno Chevillon con il suo contrabbasso sembra voler ricreare l’universo mondo, più che dare una interpretazione sonora del quadro esposto alle sue spalle. Grevi, acuti, ronzii, percussioni, silenzi armonie, cromature. Da quella creatura di legno sollecitata dalle mani di Chevillon esce davvero di tutto: l’archetto che increspa le corde, sibili prolungati, pizzicori tremanti, stridere delle dita sul legno della cassa armonica, e infine, dalla voce di Chevillon, in consonanza con la sottile malinconia della composizione, una poesia di Pier Paolo Pasolini, “Il giorno della mia morte”. Uno dei concerti più intensi del Festival. Nel pomeriggio nel verde intenso di un altro luogo storico della città, il Parco dei Bambini ecco “Archipelagos” un interessante progetto della batterista Framcesca Remigi che trae ispirazione da alcuni scritti di Noam Chomski, Zygmunt Bauman ed altri. Quindi dopo il Parco, ci si ritrova nel Chiostro della Canonica con “She’s Analog” di Stefano Caldarano alla chitarra, Luca Sguerra al piano e Synt, Giovanni Iacovella alla batteria e all’elettronica. Grande capacità di passare dai ritmi e dai toni più duri a dolcezze infinite, una versatilità che non è propria di tutte le formazioni. I suoni del Synt di Sguerra trovano spesso il controcanto della chitarra di Stefano Calderano. Suggestioni profonde che non vengono solo dall’elettronica, ma che affondano le proprie radici anche nelle radici etniche (e folk) della musica. Ricordiamo in particolare i lavori di Luca Sguerra sulla musica africana, e queste suggestioni si sentono tutte e sembrano sposarsi magnificamente col luogo che accoglie il concerto, il magnifico quadriportico attiguo al Duomo di Novara che sul far della sera assume il suo aspetto più suggestivo. Un piccolo, meraviglioso gioiello (un altro) di questo Festival. (Continua)
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LA VOCE DEL BIROLDI
Se ci pensiamo bene ogni Chiesa è una cassa armonica. Moltissime chiese, se non proprio tutte, hanno nel loro ventre un organo. Ieri sera l’organo Biroldi di San Giovanni Decollato, la deliziosa chiesa che da su Piazza Puccini, è stato ufficialmente inaugurato con un concerto del Maestro Alberto Sala, organista titolare della Cattedrale di Novara, concertista che vanta una intensa attività e docente di composizione e innodia, presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Novara. È stato un concerto sui generis quello di ieri sera, una sorta di excursus sulla musica d’organo dal Seicento fino alla metà dell’Ottocento. I brani sono stati inframezzati da brevi, ma esaustive note esplicative del Maestro Sala che ha reso il concerto una lezione musicale sul campo. Tra gli autori eseguiti, gli immancabili Frescobaldi e Gabrieli, ma anche la stuzzicante musica d’organo settecentesca (a mio parere assai adatta al contesto della Chiesa di San Giovanni Decollato), con pezzi di Fioroni, Valeri e Ciaffoni. Il Maestro Sala non ha mancato di sottolineare al folto ed attento pubblico, la peculiarità della musica per organo ottocentesca, più “orchestrata” e maestosa, quasi in assonanza col melodramma. Non è un caso che siano stati eseguiti brani di Bellini e Donizetti. Hanno chiuso il programma della serata un divertente “Bolero de Concert” di Lefebure Wely e la “Sortie” di César Frank. Novara conferma così una certa sua propensione per i concerti d’organo, ricordo en passant il “Festival di Musica Sacra” che si tiene in autunno e che vede protagonista l’organo Mascioni della Basilica di San Gaudenzio, ma ricordo anche come nel cuore della città e nell’arco di poche centinaia di metri, ci siano almeno sette organi tradizionali in funzione: San Gaudenzio, San Marco, Chiesa del Carmine ai quali si aggiunge quello di recente costruzione del Conservatorio Cantelli ed ora questo elegante e possente Biroldi, recuperato con dedizione insieme al sottostante affresco, grazie alla attivissima Confraternita di San Giovanni. La Chiesa illuminata all’uscita del concerto, ha restituito una immagine (e una sostanza) della città che non è solo quella della “movida”. Peccato che Piazza Puccini, grande e nobile spazio posto tra il Vescovado, la Chiesa di San Giovanni e la poderosa mole del Teatro Coccia, sia diventata un posteggio selvaggio, ma questa è un’altra storia…
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Montevecchia è una graziosa località dell‘alta Brianza, posta a 500 metri d’altezza, inserita nel Parco della Val Curone, meta molto ambita dalle gite “fuori porta”. Una collina con antichi terrazzamenti che ha incantato nei secoli, artisti di ogni genere, con una delle migliori descrizioni del luogo data dal regista Mario Soldati in Vino al Vino.
Nelle giornate limpide, rivolgendo lo sguardo verso sud, si può ammirare dall’alto tutta la Brianza, fino al rinnovato skyline di Milano, arrivando più giù sino agli Appennini, mentre a nord si ammirano non solo le Prealpi lecchesi, il Resegone, la Grigna, le Orobie ma anche un’ampia fetta delle Alpi sino al Monte Rosa, al Cervino.
Montevecchia racchiude ben cinquantadue frazioni con il nucleo principale, formato da antiche corti contadine e splendidi vigneti posti nei terrazzamenti dove sono alternati a erbe aromatiche. E’ caratterizzata da splendidi esempi di “ville di delizia” come la settecentesca dimora Agnesi-Albertoni, con il suo vasto parco, posizionata proprio sotto la cima della collina, aperta al pubblico in alcune occasioni e Villa Vittadini, dirimpetto al santuario, sorta su un precedente edificio cinquecentesco.
Arrivati nella storica piazzetta del paese, un suggestivo e romantico viale alberato, porta alla sommità della collina, dove si trova il santuario medievale della Beata Vergine del Carmelo, altro punto d’interesse, con una storia radicata profondamente nel territorio.
Le origini di Montevecchia si perdono lontano nel tempo. Nella zona comunale in località Fornaci, alla fine degli anni 70′ del secolo scorso, sono stati individuati alcuni accampamenti, risalenti all’epoca dell’uomo di Neanderthal e dell’uomo sapiens, datati rispettivamente il primo a 60.000 anni e il secondo a 32.000. Questi insediamenti sono fra i più antichi situati in Lombardia. Di qui forse anche il toponimo Montevecchia ovvero Muntàvegia dal brianzolo. Anche se altri propendono per la derivazione latina Mons Vigiliae (monte delle Vedette).
Il territorio su cui sorge Montevecchia, ha anche la particolarità, di avere tre colline dette “Le piramidi”, scolpite nella roccia, che hanno un’altezza tra i quaranta e cinquanta metri, con gradoni di usati come terrazzamenti dediti alla coltivazione.
Una singolarità che ha smosso, diverse teorie e avvicinato il territorio, a zone ricche di misteri. Certo è che esse sono disposte esattamente come le stelle della cintura di Orione, analogamente alle più celebri piramidi egizie di Giza. Sono orientate tutte e tre col lato “migliore” a Est con una precisione inferiore al mezzo grado e inoltre hanno tutte la stessa inclinazione.
Probabilmente la collina di Montevecchia, vede risalire i suoi particolari terrazzamenti all’epoca celtica, sono infatti molti i reperti ritrovati nell’area. I Celti molto attenti ai cicli della natura, sono stati i primi veri colonizzatori di questi territori. E’ stata rinvenuta anche una cerchia muraria difensiva in pietra alta circa quattro metri. In cima alla collina, si ritiene fosse posto uno dei tanti santuari celtici, che compiano un po’ ovunque su tutto l’arco prealpino. A ulteriore conferma, il rinvenimento di un monolite in pietra granitica lavorato, risalente ai Celti. I santuari avevano la doppia funzione di luogo di culto e osservatorio della volta celeste, ad avvalorare lo stretto legame tra quest’antica popolazione e la natura.
In epoca romana, il sito, ebbe un’importanza strategica, è stata accertata infatti la presenza di una torre di segnalazione, proprio dove ora sorge il Santuario.
Nell’alto Medioevo la torre romana divenne una chiesa, dedicata a San Giovanni Battista, molto amato dai longobardi.
Nei secoli successivi, come tutta la Brianza, Montevecchia face parte del ducato di Milano, sotto i Visconti e in seguito sotto gli Sforza, poi passò agli Austriaci, quindi agli Spagnoli. Nel 1647, divenne un feudo della famiglia Panigarola, che ne fece uno dei suoi luoghi più amati per le vacanze, costruendo quella che poi sarebbe diventata villa Agnesi-Albertoni.
Nel 1713, il feudo di Montevecchia venne ceduto a Giacomo Brivio, appartenente a una famiglia di mercanti che aveva ottenuto il titolo di conti di Brochles. Per poi seguire tutte le vicende storiche lombarde.
Il cuore di Montevecchia è il Santuario della Beata Vergine del Monte Carmelo, in stile barocco antico, che alla fine del secolo IX era una chiesetta dedicata a San Giovanni Battista, una cappella che allora dipendeva dalla parrocchia e pieve di Missaglia.
Nel 1564 la chiesetta fu riconosciuta come parrocchia e tra il secolo XVI e il XVII fu costruito, sulle rovine del precedente edificio, l’attuale santuario, sempre come chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Decollato, con compatrona la Beata Vergine del monte Carmelo.
Il Santuario fu chiesa parrocchiale di Montevecchia fino alla fine degli anni 20 del secolo scorso, quando fu inaugurata la nuova chiesa del borgo, da allora cominciò a essere considerato Santuario mariano in onore della Madonna del Carmelo. All’interno si trova il settecentesco organo Biroldi, posto proprio sopra l’ingresso. Nel santuario sono conservati anche un Crocefisso processionale seicentesco in legno dorato e uno del cinquecento in legno.
L’interno è decorato con affreschi settecenteschi, che riproducono episodi della vita di Sant’Antonio e con una serie di otto tele raffiguranti la vita di San Giovanni Battista.
Il Santuario è inserito nel percorso di pellegrinaggio “Cammino di Sant’Agostino” da percorrere a piedi o in bicicletta che collega venticinque Santuari mariani della Brianza, toccando tra gli altri i luoghi più emblematici della vita del Santo.
Per raggiungerlo occorre salire una scalinata di 180 gradini, agevole e in ombra grazie agli alberi di tigli e ligustri, circondata dai terrazzamenti con coltivazioni di vite ed essenze varie.
A circa tre quarti la gradinata s’interseca un sentiero pianeggiante che circonda ad anello il terrapieno dell’edificio e porta in cima. Questo sentiero è detto “Via Crucis” perché delimitato, da vecchi cipressi e da sedici edicole in pietra arenaria, contenenti altrettante sculture settecentesche recentemente ristrutturate.
Un’altra opzione per salire in vetta è quella di usufruire della navetta gratuita.
Diversi sono i punti di ristoro presenti, tra bar e gelaterie, oltre ad offrire un’ampia gamma di agriturismi e ristoranti che offrono piatti e prodotti del territorio, come i formaggini di Montevecchia, i salumi, magari da accompagnare con i vini locali, come il Cruel, il Nustranel, lo Scernì e il Valcurone Brut.
Montevecchia è inserita nel Parco regionale della Valle del Curone, che si estende per una superficie di circa 2.400, tra i comuni di Cernusco Lombardone, La Valletta Brianza, Lomagna, Merate, Missaglia, Montevecchia, Olgiate Molgora, Osnago, Sirtori e Viganò.
Un parco che conserva aree boschive incontaminate con diverse specie arboree e una fauna che comprende animali come il tasso e lo scoiattolo, volpi, donnole, ghiri, lepri, poiane, fagiani, fino al martin pescatore, dall’upupa. Presenti anche il gambero di fiume, la salamandra, il rospo smeraldino e la rana latastei.
Nel Parco sono disegnati e percorribili undici sentieri che lo attraversano in tutte le sue direzioni.
Montevecchia Montevecchia è una graziosa località dell'alta Brianza, posta a 500 metri d'altezza, inserita nel Parco della…
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