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Idee/regali a San Valentino per lui, per lei
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San Valentino è un’occasione speciale per sorprenderlo/a con un regalo che esprima il vostro affetto e amore. Ecco alcune idee originali e romantiche che potrebbero fare al caso vostro, a seconda del budget e/o preferenze per LUI: Giri in Supercar: Regala un’esperienza emozionante con un giro su pista in una supercar. È un regalo che sicuramente lo lascerà senza parole! Notte in Hotel 5 Stelle:…
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16th may 2076
Quando si volta verso Alicia, lo fa con un movimento fluido assolutamente naturale; la mancina ad accettare educatamente la mano di Christopher per sollevarsi da quel divanetto mentre lei copre per un attimo la visuale di Alicia a Eric con la scusa di voler depositare nuovamente il bicchiere di birra sul tavolino di fronte a lei. Le iridi viola vengono intercettate, così che lei possa mormorare un sommesso:
«fammi sapere se ho fatto la scelta giusta»
scoccandole un sorriso sornione e un occhiolino, prima di lasciarsi rapire allegramente dal collega.
[Sera del 17 maggio]
Hai fatto la scelta giusta. Non lo dimenticherò. Grazie.
Alicia
(Sera del 18 maggio)
Lo so, potrei aver minacciato Harry di orribili ritorsioni se si fosse azzardato a interrompervi per chiudere. Spero bene che non lo dimenticherai! La mia schiena sicuro se lo ricorderà: quei divanetti diventano scomodi se ti ci addormenti sopra, sai? Prego, e per inciso, anche tu hai fatto la scelta giusta.
Illy
[Sera del 19 maggio]
Non mi assumo alcuna responsabilità per la tua schiena: avresti dovuto usare Harry come cuscino. Ma forse non avrebbe potuto competere col mio braccio? Dov'eri esattamente? Io faccio sempre scelte giuste. Quindi ora siamo pari, suppongo.
Alicia
(Sera del 20 maggio)
Ho usato Harry come cuscino, ma il tuo braccio era decisamente più morbido e comodo: you got me. Qualche divanetto dietro di voi, non ho sentito niente, giuro, e non ho sbirciato troppo. Ho chiuso gli occhi quando siete finalmente riusciti a saltarvi addosso: iniziavo a preoccuparmi, ormai stavo finendo le liquirizie! Siamo pari. Magari ci rincontriamo al Maze una delle prossime sere però, così una di noi torna in vantaggio. Non possiamo mica chiudere in parità, no?
Illy
[Sera del 21 maggio]
Wilson, dovresti dire al tuo gufo che, per quanto io possa essere morbida, lo sono meno delle sue piume. Da come mi si è buttato addosso, credo che sia stanco: perché non alzi il sederino e vai all'ufficio postale? Accontentati di Harry in futuro, perché qui presto ci saranno solo ossa e muscoli. Non vorrei che tutti decidessero di usarmi come cuscino, non riuscirei più a starmene un po' in pace. Cosa intendi con "saltarvi addosso"?! Temo che tu abbia creduto di vedere qualcosa che non hai visto. Forse dormivi. Ti spiego con un disegnino:
Fammi sapere quando sei libera per offrirmi un drink al Maze. Possibilmente uno che non faccia vedere barbe lunghe, denti strani e gente che si avvinghia. Però avvisami con almeno un giorno d'anticipo. Abito in Irlanda e Londra non è proprio dietro l'angolo! Alicia
(Mattina del 23 maggio) Austen, hai mai pensato che quello potesse essere un segno che gli piacevi e non un sinonimo di stanchezza? Tranquilla, non ho intenzione di divulgare la tua comodità in giro: non sono mica troll, voglio tenermi l'esclusiva! Grazie del supporto visivo, forse hai ragione, ho sognato tutto e il Maze non è rimasto aperto per voi e io e Harry abbiamo solo condiviso lo stesso sogno; meglio non dirlo in giro, ci prenderebbero per Confusi. Giusto? Mi farò viva io, con un giorno di anticipo almeno. Illy
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Incantiniamoci - o quando il terzo in comodo è il vino
Ciao a tutti! Io sono Asia aka @itsziapalla, l’altra metà di questo blog e oggi vi illustrerò la cosa più trash (mi piacerebbe) che il mio cervelletto bacato abbia mai partorito.
questa è quella che mi piace chiamare una paesello™!au, perché è in un paesello™ del sud Italia che è ambientata. Un paesello dove, per inciso, non c’è il mare.
Ermal si annoia. Ma tipo… tantissimo. A 17 anni è stanco di passare ogni singola estate nello stesso modo, bloccato nel maledetto paesello nell’entroterra pugliese, lontano dal mare, lontano dalla felicità. È stanco di passare tutte le sere seduto sulla solita panchina, mentre i suoi amici si scolano Forst dopo Forst fino ad essere ubriachi fradici, parlando di cose per le quali non nutre il benché minimo interesse, facendo battutine sulle loro coetanee che a volte si uniscono e scroccano da bere e altre volte li guardano da lontano, altezzose e giudicanti, non riservando ai ragazzi nulla più che uno sguardo disgustato. È stanco delle infinite pare di Marco per Anna, che sarebbe molto lieta di lanciarla all’amico con la fionda se solo lui si decidesse a fare qualcosa, qualsiasi cosa. È stanco di Rinald e Andrea che lo mettono in mezzo alla loro relazione, ammesso che sia una relazione e non il delirio di due quindicenni rincoglioniti. È stanco di Pace che si lamenta di non scopare e di Dino che ha solo il basso in testa e di Emiliano che se non c’è è la stessa cosa. È stanco di tutto e non vede l’ora che torni settembre, così che ricominci la scuola e ci sia qualcosa di interessante a cui pensare.
Ermal si annoia. Questo fino ad una serata di luglio, quando Andrea arriva in piazza con due ragazzi e una ragazza alle spalle, esordendo con “raga, loro sono i miei cugini, Romina, Filippo e Fabrizio, ve li ricordate?” e no, Ermal non se li ricordava. Più che altro non si ricordava che Fabrizio fosse così. Il Fabrizio che ricorda lui è bello sì e silenzioso anche, ma non è questo ragazzo con i bicipiti enormi e tatuati che fuoriescono da una camicia di jeans tagliata e con un sorriso in grado di illuminare qualsiasi cosa, compresa quest’estate buia
Quindi no, Ermal non si annoia più, anzi. Ora non vede l’ora di uscire di casa, sfuggendo anche all'asfissianti premure della mamma e agli irritanti giochi di Sabina, per andare in piazza e farsi offrire una birra o un gelato da Fabrizio, mentre insieme, sempre vicini, parlano di musica e di Roma e prendono in giro gli strambi soggetti tipici dei paeselli™.
Ed è geloso, quando Fabrizio sfugge alle sue attenzione per dedicarsi a quelle degli amici - compagni di mille avventure, finalmente ritrovati dopo anni in cui non tornava nel paesello di origine della madre - o a quelle dei parenti, gli zii che lo tengono ore a chiacchierare, il cugino che lo prega di insegnargli a guidare, la nonna che lo vizia o il nonno che se lo porta in campagna, a zappare e cogliere ortaggi
Fabrizio, dal canto suo, sta passando una delle estati più belle della sua vita, alla riscoperta dei luoghi che hanno allietato la sua infanzia e di giochi puerili in compagnia di amici mai davvero dimenticati. E quanto si beve qui! È un sogno: il giorno sempre in giro, la sera ubriaco e chiassoso, la mattina allungato a terra all’ombra di un faggio a fumare una sigaretta con il nonno, il sudore che imperla la fronte di entrambi, dopo ore passate a muoversi e a controllare ogni germoglio
E poi, ovviamente, c’è Ermal, il ragazzino che Andrea considera il proprio cognato e il proprio migliore amico e Fabrizio considera incredibilmente bello e intelligente e affascinante sotto ogni punto di vista, trovando divertente il suo essere così permaloso, non spaventandosi quando si rende conto che potrebbe passare ore ad ascoltarlo. O anche a baciarlo, visto che Ermal è davvero davvero bello. O anche a fare altro, perché again, quanto è bello? Troppo
E il buon Bizio non è un ragazzino, quindi dall’alto dei suoi 22 anni lo invita ad uscire. O, almeno, lui crede di averlo invitato ad uscire, perché esordisce dal nulla
“Tra una settimana c’è Incantiniamoci, tu fai il giro con noi vero?”
Ed è altrettanto stupidamente che Ermal batte le palpebre e risponde “certo, con chi vuoi che lo faccia altrimenti?”
Ed è stupido, perché potrebbe farlo con Dino e Pace ed Emiliano, ma ovviamente preferisce farlo con Bizio, il buon Bizio, che adora il suo nuovo, geniale soprannome
Cos’è Incantiniamoci? Beh, la festa del vino. 6 cantine, 6 vini diversi, 6 pietanze diverse. Un itinerario da seguire senza indugi, alla fine del quale vi ritroverete felicemente brilli o totalmente sbronzi, a seconda di quanto reggete l’alcol. E grazie tante.
Così, Ermal e Fabrizio pregustano, a distanza di una settimana, una notte intera da passare l’uno al fianco dell’altro, passando di cantina in cantina, chiacchierando e bevendo e infine ballando in piazza, sperando che, nell’ebbrezza dovuta al vino, riusciranno a scambiarsi il bacio che per un motivo o per un altro non sono ancora riusciti a darsi
Se non fosse che, come ricorda Ermal la mattina dopo, aprendo whatsapp, le cantine non funzionano da sole. Dentro ci sono persone, che cucinano, versano il vino, preparano i piatti, puliscono. Volontari, più che altro, che spesso però vengono pregati in ginocchio dalla proloco. E che ancor più spesso sono ragazzini che non dovrebbero nemmeno voler fare il giro
Ed Ermal è tra questi volontari
Perché si annoiava
E per un anno aveva deciso di affiancare il fratello e Andrea e Marco in una cantina
Ciò vuol dire che lui non potrà fare il giro e che se tutto va bene, per quanto potrà raggiungere Fabrizio, si saranno fatte le due di notte
“Non è un problema, davvero” gli dice Fabrizio, sorridendo “vuol dire che balleremo insieme invece che bere insieme” “Ammesso che tu sia abbastanza sobrio da reggerti in piedi” e quanto è bella la risata di Fabrizio? Quanto?
Ma il fatto è che non va tutto bene
E quando quel pomeriggio arriva alla proloco con gli amici e Rinald, la sua maglia rossa con la stampa bianca in perfetto stato, e Claudio Baglioni, il direttore della proloco, gli viene vicino e dice “tu sarai nella 6 con me, Pierfrancesco e Annalisa, va bene?”, Ermal vorrebbe dire che no, non va bene
Ma non riesce, perché appena apre bocca per replicare, Sabrina Impacciatore, una dei tanti personaggi che ha sempre preso in giro con Fabrizio, lo indica malamente, facendo un gesto simile a quello che si fa per scacciare le mosche, esclamando “e anche se non ti va bene, fa nulla! Lodo e quei deficienti dei suoi amici si sono tirati indietro all’ultimo e noi siamo proprio nella m-” “nei guai fino al collo” la corregge Pierfrancesco, guardandolo con occhi da cucciolo che dovrebbero stonare sul viso di un uomo adulto
E no, di nuovo, non va bene per niente. Perché la cantina 6 è l’ultima cantina. Quella alla quale approdano tutti ubriachi fradici. Quella che chiude più tardi. E che potrebbe fargli perdere la possibilità non solo di ballare con Fabrizio, ma di vederlo quella sera, punto.
E poi quello non è il suo unico problema. Si volta a guardare Marco nel panico “Non potrebbe venire Marco con noi, anziché…” ma prima che Baglioni possa anche solo prestargli orecchio, c’è Anna accanto a loro e sta dicendo a Marco che è felice di stare alla 3 con lui. “Ci vediamo dopo, E’” lo saluta il traditore, scodinzolando dietro alla sua bionda. Spariscono anche Rinald e Andrea, chiacchierando amichevolmente con la sua ex Silvia, seguendo quella invasata di Sabrina verso la cantina 2. In breve, la sede della proloco si svuota, mentre tutti seguono gli ordini e le indicazioni del dittatore Baglioni ed ecco che alla fine sono rimasti solo lui, Ermal, Pierfrancesco e…
…Annalisa Scarrone. Per la quale Ermal prova un odio viscerale e ricambiato fin dalla quarta elementare, quando non era che un bambino di dieci anni che sapeva poco l’italiano e lei gli era stata posta al fianco perché abbastanza paziente da dargli una mano. Per quando avevano finito le elementari e si erano ritrovati di nuovo compagni di banco alle medie, non facevano altro che tirarsi i capelli a vicenda e farsi i dispetti più stupidi.
Ricordava con incredibile irritazione i cinque anni passati accanto a lei, a ignorarsi per la maggior parte del tempo, ad accezione di quando il gomito di Ermal era di un centimetro sul banco di Annalisa oppure lei lo urtava con la testa nel raccogliere la penna che le era caduta. O quando uno dei due dimenticava di odiare l’altro e ne riconosceva l’esistenza facendo un commento su qualche compagno o su un esercizio troppo difficile o su una stramberia di un professore
Di buono c’era stato soltanto che, non rivolgendosi la parola, erano diventati i primi della classe, sempre attenti alle lezioni perché liberi da ogni tipo di distrazione. Le maestre prima e i professori poi li avevano messi inconsapevolmente (o consapevolmente) in competizione l’uno con l’altra. Competizione che durava ancora adesso, nonostante Ermal frequentasse lo scientifico e Annalisa il classico. Solo di ciò le era grato, perché la consapevolezza che in qualche modo a lei sarebbe arrivata all’orecchio la propria pagella era il motivo che lo spronava ad essere il migliore anche in una scuola che, essenzialmente, non faceva per lui.
Pierfrancesco li osserva curioso mentre si guardano astiosi. “Non vorrete ringhiarvi addosso” commenta, scherzando, ricevendo in cambio delle occhiate assassine “Sarà una lunga notte” commenta rivolto a Baglioni, che però lo ignora, intimando solo di uscire e muoversi. “Siamo in ritardo pazzesco”
Ed è davvero una lunga notte. Sono le dieci, le cantine sono state aperte alla otto, e nessuno si è ancora presentato alla 6. Baglioni è sparito, mentre Pierfrancesco gira e rigira, sperando di non trovare nulla fuori posto. Ermal è sorpreso quando Annalisa si avvicina a lui con un bicchiere di vino bianco, porgendoglielo e sedendosi sul tavolo
“Mi hanno detto che a settembre andrai a Ginevra” Non c’è niente di più bello del tono invidioso della sua voce e per la prima volta dall’inizio della giornata Ermal sorride “Sono il migliore in fisica e matematica di tutte le terze del mio liceo, vedi un po’ tu… chi mandare se non me al Cern?” “Non te lo meriti” “Tu hai scelto la scuola sbagliata” “Ma sono pur sempre nella top 10 della classifica finale dei giochi matematici ogni anno” “Lo so e non mi interessa. Io non partecipo, sono stupidi. E poi mi dicono che Ginevra è più bella di Parigi” commenta, facendo il sorriso da voce.su.base
“Mi annoio” dice lei, mandando giù il proprio bicchiere di vino “pensavo che mi sarei divertita un sacco al pensiero che perderai il tuo primo appuntamento con Mobrici, ma non me ne frega niente”
Ed Ermal capisce che è stata lei a proporre lui per quella cantina “Certo che sei stronza” “No, sono annoiata. Non succede mai niente qui. Nemmeno due idioti che si piacciono riescono a scopare dopo una settimana di sguardi languidi. Che palle”
Vorrebbe replicare, ma proprio in quel momento cominciano ad arrivare i primi ubriaconi. E non hanno più il tempo di litigare o anche solo parlarsi. E dopo nemmeno un’ora, Ermal vorrebbe urlare, perché Baglioni sarà anche ricomparso, ma il fiume di gente non diminuisce e a lui sembra che la sua unica alleata in questa stupida cantina sia proprio Annalisa
E poi, all’improvviso, lui
Fabrizio gli appare davanti come una visione divina, tendendogli il proprio bicchiere, con le guance rosse e gli occhi socchiusi
“Un po’ di vino” biascica, scoppiando a ridere quando uno dei suoi amici (Ra o Maccaroni) gli dà una paca sul sedere
Ermal gli tende il bicchiere e gli domanda gioviale “come sta andando?”
Fabrizio afferra il bicchiere, facendo cadere quello di vetro in cui è stato versato tutto il vino nelle altre cantine, ma lo stringe troppo forte, rovesciandosi tutto il vino addosso, ridendo ancora e togliendosi la maglietta, facendola girare sulla testa, sotto gli urli di approvazione dei suoi amici
“Oh madre Russia” sente sussurrare ad Annalisa affianco a lui e capisce di non essere l’unico che si è perso a guardare la pelle tatuata di Fabrizio, bagnata di sudore e di vino
“Glieli leccherei quei pettorali” si lascia sfuggire arrossendo violentemente, ma sorridendo quando Annalisa replica “perché gli addominali no?”
Fabrizio non li ha sentiti, troppo indento a prendersi altri due bicchieri di vino e a scolarseli come fossero shottini, per poi lanciare la propria maglia in faccia ad Ermal
Ermal.exe
“Avete visto Ermal?” domanda poi Fabrizio, guardandolo dritto negli occhi, facendo morire dal ridere Annalisa
“ma Fabrizio” balbetta Ermal, mentre l’altro gli dà un buffetto sulla guancia, per poi mettergli le mani sulle orecchie e tirargli la testa in avanti, a dargli un bacio tra i capelli ricciuti
E poi gli dà un altro bacio. Sulle labbra. E ci mette anche un po’ di lingua
Ermal.exe comincia a volare
Atterra di schianto quando Fabrizio si tira indietro e afferra Annalisa per la vita e dà un bacio con la lingua anche a lei
E poi lo dà anche al suo amico Claudio che fa l’errore di mettergli una mano sulla spalla nel tentativo di portarlo via
“Se vedi Ermal” gli dice poi, posando una mano sul tavolo e indicandolo con l’altra “digli che…” si interrompe per scolarsi il terzo bicchiere di vino “…lo aspetto in piazza per ballare” e fa un movimento del bacino che vuol dire tutto tranne che lo aspetta per ballare
E poi se ne va, seguito dagli altri, Claudio che rimane indietro e recupera la maglietta di Fabrizio dalla spalla di Ermal, balbettando delle scuse
Ermal si volta a guardare Annalisa piegata in due, che si tiene la pancia “potrei farmela addosso” balbetta tra le risa
Ed Ermal può fare due cose: scappare in Messico o ridere con lei
Ride con lei
“Ma che fate? Muovetevi!” li sgrida Pierfrancesco, asciugandosi il sudore
“AVETE DATO TRE BICCHIERI, T R E BICCHIERI, DI VINO AL NIPOTE DI ZI’ ROCCO?” grida loro Baglioni, davanti a tutti, con i più ubriachi che scoppiano a ridere e gli altri che si lamentano della poco professionalità.
Ed Ermal e Annalisa ridono, perché sono alla festa del vino e Fabrizio Mobrici ha appena baciato con la lingua entrambi e professionalità? Cos’è? Si mangia?
Infine, il fiume in piena prende a scorrere normalmente, finché non rimane nemmeno una goccia d’acqua, ma soltanto due adulti e due ragazzini stremati, che spazzano a terra e si liberano di scatoloni
Alla fine Baglioni li guarda e fa un sorriso tirato: “Siete stati bravi. Almeno non vi siete ubriacati. Ecco, per il disturbo” dice, porgendo una e solo una bottiglia di vino ad entrambi “Potete andare, andatevi a godere la festa”
Ed Ermal la festa se la godrebbe anche, se non fosse che, quando finalmente arriva in piazza, tra i tanti che ballano e ancora bevono non compare Fabrizio
È con una certa preoccupazione che chiede a chiunque dove sia e sente un po’ di panico ad ogni risposta che non è una risposta che incontra
Fabrizio è sparito. Probabilmente sarà a casa a vomitare. O in qualsiasi altro luogo a vomitare
E la loro serata è definitivamente finita. Non esiste. Morta. Out. The end. Caput. M’ha popo rotto er cazzo
è strisciando i piedi che segue i suoi amici, Marco che parla con Anna, Dino che chiacchiera con uno degli amici di Fabrizio, quello carino, anche lui di fuori, con i capelli lunghi. Guarda con odio Pace, il braccio attorno alle spalle di Annalisa, e non sa se sta corteggiando lei o la loro bottiglia di vino. Sobbalza quando Emiliano, accanto a lui, gli chiede com’è andata la serata. Non si era accorto che fosse lì.
Arrivano al parco giochi per bambini, dove si sono riuniti un po’ tutti i ragazzi a fare i cretini, ed Ermal va a sedersi da solo su una panchina.
Come una mamma (come sua mamma quando lui e i suoi fratelli erano bambini) osserva gli amici giocare, salire sullo scivolo, buttarsi giù con grida sguaiate, Dino che spinge Emiliano troppo in alto sull’altalena, Rinald e Andrea nascosti in una delle casette a limonare, Marco e Anna nowhere to be seen
Quando Annalisa si siede accanto a lui sulla panchina, la guarda sorpreso per un secondo, per poi prendere la bottiglia di vino che gli tende e mandare giù un sorso
“L’hai salvata da Roberto” “Gliel’ho fatta aprire e poi sono andata via” “Ci dev’essere rimasto male” “Molto” “Gliel’hai fatta annusare” “Un pochetto”
Si guardano per un attimo “Verdetto?” chiede poi Ermal, alzando un sopracciglio
“è un ottimo vino” “Bravo Roby. Se ne intende”
Rimangono in silenzio un altro po’, Ermal che beve, Annalisa che si guarda i piedi
“Ermal, ascolta... io...” esordisce l’altra, ma proprio in quel momento viene interrotta da un boato
è arrivato Fabrizio. E sono tutti lì a festeggiarlo, mentre lui si dirige senza indugio verso Ermal
Ha i capelli un bel po’ in disordine, con addirittura qualche foglia incastrata. I jeans sono strappati in punti diversi da quelli fatti apposta e anche la maglia, che è sporca di vino e cenere di sigarette, non è messa benissimo
Eppure ad Ermal fa battere ancora il cuore a MILLEEEEE, a vederlo venire verso di sé con quello sguardo intenso e sicuro nei suoi bei occhi castani
Una miriade di scenari diversi si affacciano alla sua mente, tra i quali non mancano Fabrizio che lo bacia davanti a tutti o che lo afferra e lo porta lontano, dove nessuno può disturbarli, per poi fare cose, tante belle cose e...
Fabrizio gli è di fronte. Ermal gli sorride. Fabrizio ricambia il sorriso, alza un dito come a prendere la parola. Ermal fa per alzarsi. Fabrizio si piega in avanti. E...
Si baciano
No. Fabrizio gli vomita sulle scarpe.
Non c’è una persona che non scoppi a ridere.
Claudio arriva di gran carriera, per aiutare Fabrizio. Mormora delle scuse e, chiedendo l’aiuto degli altri, lo porta via
Ermal guarda il ragazzo dei suoi sogni andare via con le braccia attorno alle spalle degli amici, mentre grida con voce ubriaca “Ve vojo bene a tutti. Tutti! A Claudio specialmente. AO, ma ndo sta Ermal? E il tipo che ho baciato in cantina? E la tipa? E l’altro tipo? Quello era bravo” “Ero io, Fabrizio” “Raga, che serata! DAJEEEEEEE”
“Che serata” conviene Ermal, prendendo un sorso di vino “Che serata veramente di merda”
Fine
Forse?
Bene, ragazzuol*. Cosa sia questa cosa: non lo so. Spero vi piaccia. Potrebbe esserci un seguito, così come potrebbe non esserci. Ditemi voi ☺
p.s. se qualcuno dovesse riconoscere la festa e quindi ecco, conoscermi in real life: raga ho bisogno di voi. quando torno al paesello, avvicinatevi e parliamo pls
#metamoro#metamoro au#metamoro hc#metamoro teen au#teen au#paesello tiemme au#kiss me hard before you goooo#summertime sadneeeesss#ermal meta#fabrizio moro#e tutta l'altra gente#incantiniamoci
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#muralesbirrartigianale Originale bicchiere da ''birra Murales'' con logo inciso! Bicchiere e la cassetta di legno personalizzata... (presso San Gavino Monreale) https://www.instagram.com/p/ByBCXa6FSDZ/?igshid=w46u3r65qzat
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Incongruenze, sciatterie, banalità: analisi sistematica del romanzo di Fabio Volo (senza considerare il personaggio). Ovvero: sulla nascita di un nuovo genere letterario, il libro che devi leggere saltando le pagine
Premessa. Ogni volta che Fabio Volo pubblica un romanzo, nella bolla editoriale cresce l’agitazione. Da anni, come è uso in Italia, l’affaire Volo si è ridotto a tifoseria (metto la maglietta di Fabio nostro o vado nella curva avversaria per insultarlo?), ed è difficile leggere recensioni distaccate dal clima da stadio. Su Pangea Matteo Fais e Viviana Viviani hanno ben stroncato il nuovo romanzo, “Una gran voglia di vivere”, senza risparmiare ottime considerazioni sugli elementi culturali di un successo non solo commerciale. Per offrire una visione completa di un fenomeno non ignorabile (forzatamente?), mi è sembrato interessante impelagarmi in una analisi del testo di “Una gran voglia di vivere”. Perché è giusto che il testo puro, da solo, parli per l’autore.
La trama. Marco e Anna, entrambi architetti, vivono una crisi di coppia. Lui è molto preso dal lavoro, al contrario lei lo ha messo da parte da quando hanno avuto un figlio, Matteo. Rispetto ai primi tempi del rapporto, le differenze tra i due sono diventate pesanti; tuttavia la decisione di separarsi è difficile da prendere, considerate anche le conseguenze che ci sarebbero per Matteo. Per questo decidono di intraprendere un viaggio in Australia e in Nuova Zelanda, sperando così di risanare il loro legame. La storia è narrata da Marco. Il romanzo è una favoletta morale, durante la quale Marco e Anna incontrano persone che raccontano le loro vite, con crisi esistenziali e coniugali, fughe da lavori stressanti, fughe dalla città verso la natura e la conquista di ciò che hanno capito essere la vita vera. Al lettore potrebbe sembrare assurdo, alla lunga pesante, la facilità con la quale ognuno di questi personaggi sveli dettagli personali agli sconosciuti. Senza considerare che tutti discutono proprio delle tematiche che riguardano il protagonista. Potremmo accontentarci di definirla una esigenza narrativa colmata con molta pigrizia. Ci sono criticità più evidenti.
La struttura. La struttura è sciatta e lo stesso vedremo per lo stile. Non sempre è chiaro dove si trovino i personaggi. Gli spostamenti di narrazione tra passato e presente sono bruschi, talvolta confusi. Ci sono omissioni che definirei comodissime – l’autore fa di tutto per assecondare la pigrizia. Non mancano incongruenze logiche. Partiamo da queste ultime.
Marco racconta di quando ha conosciuto Anna. Era a una cena tra amici: “Gli uomini erano fuori, vicino alla griglia, con delle birre in mano a chiacchierare e ridere. Le donne, in cucina, preparavano insalate, tagliavano pomodori e mozzarella, stavano ai fornelli per fare la pasta”. Marco passa in cucina per un saluto e poi raggiunge gli uomini. “Mi hanno subito passato un bicchiere di vino rosso”. Bevono birra, ma offrono il vino? Strano.
Qui una svista grave, soprattutto per un editor: “le sarebbe piaciuto andare in Australia e Nuova Zelanda durante l’estate, quando qui da noi è inverno”. Partiranno a marzo.
Durante un’altra cena, narrata nel capitolo 9, Marco rivede una compagna di scuola.“Di fronte a me c’era Loredana. È sempre stata la ragazza più bella del gruppo, quella che tutti sognavamo e su cui facevamo fantasie. Era ancora una bella donna”. Dopo la cena, chiacchierano nel parcheggio. Sempre Marco: “Guardavo Loredana mentre parlavo, e c’era qualcosa in lei di diverso, attraente, che non riuscivo bene a spiegarmi, durante la cena non l’avevo notato”. Sembra il contrario.
Ancora incongruenza logica al capitolo 23. “Il colpo di grazia è stato quando mi ha detto che le sarebbe bastato anche solo un lungo abbraccio”. In realtà è dall’inizio che leggiamo di contatti fisici tra Marco e Anna, talvolta non intensi come le prime volte, ma che avvengono. Invece qui, improvvisamente, Anna si sta lamentando dell’assenza totale di contatti, non della loro sincerità.
Nel capitolo 16 Marco visita un albergo particolare. “Ogni materiale era organico, riciclato, non trattato chimicamente”. Mi permetto un inciso professorale: in natura tutto è chimica. Tornando a noi, stupisce leggere che un architetto, che sospettiamo essere esperto di design, possa definire un materiale riciclato come non trattato chimicamente. Ma torneremo presto sulla professione di Marco. Per ora ci concediamo una previsione ironica: trattandosi soprattutto di legno, se davvero il materiale non fosse trattato farei sgomberare la struttura.
Nel capitolo successivo Marco chiacchiera con una barista: “Una parte seguiva il dialogo con lei, rispondeva alle domande, cercava di dire cose interessanti e divertenti con l’intento di sembrare brillante”. Non viene riportata una sola battuta di questo dialogo dall’intento brillante. Scelta comoda per l’autore.
Riassumo una scena del capitolo 18, nella quale Anna convince Marco a comprarsi un cappello. L’acquisto viene effettuato controvoglia. Marco si sente ridicolo e lo ribadisce più di una volta. Ciò non gli impedisce successivamente di andarsene in giro con il copricapo della discordia. “Prima di uscire ho indossato il cappello nuovo. Nel tragitto, ho avuto la tentazione di togliermelo, avevo paura di sembrare ridicolo”. Né durante la scelta del cappello, né successivamente troviamo una minima descrizione. Non conosciamo il modello, neppure il colore. Perché il cappello è ridicolo? Ancora una pigrizia. Vero è che qualcosa all’immaginazione del lettore va sempre lasciato. Qui però siamo davanti al nulla.
Al capitolo 25 c’è un passaggio poco chiaro. I protagonisti entrano nel negozio di un artigiano. Marco sottolinea: “da sempre mani capaci mi affascinano, qualsiasi sia il lavoro che stanno facendo”. Con un ingiustificato e oscuro cambio di registro, mentre chiacchiera con l’artigiano Marco comincia a trovarlo ridicolo. E così pure Anna. Entrambi si trattengono dallo scoppiare a ridere. Cosa che faranno appena usciti.
“«La prima cosa che ho imparato è stato concedermi una semplice passeggiata, non per andare da qualche parte, ma per il piacere di farlo.» Anna mi ha guardato, non mi ha detto nulla, ma ho capito che si stava sforzando di non ridere. «Poi ho iniziato facendo piccole cose, cose apparentemente stupide.» «Di che tipo?» ho chiesto. «Una sedia.» Io e Anna non potevamo guardarci, ero sicuro che saremmo scoppiati”. Marco specifica: “Non diceva cose insensate, era il modo in cui lo faceva a rendere tutto ridicolo”. Quale sia il modo in cui parla, perché Marco e Anna stiano scoppiando dal ridere sono misteri che restano tali.
*
Tocca dilungarmi sull’incongruenza del capitolo 31. L’ennesimo personaggio che descrive il proprio matrimonio finito ha una figlia. Marco ha una domanda importante da porgli: “«Vai d’accordo con tua figlia?» gli ho domandato. Volevo capire se fosse possibile mantenere un buon rapporto con i figli dopo la separazione, non avrei sopportato di mettere a rischio il futuro tra me e Matteo”. Il problema è che nei due capitoli precedenti si legge che le cose stanno migliorando, e di molto. Infatti nel capitolo 29: “C’era una buona energia quella sera, tutto girava bene, in modo naturale, senza fatica”. E il capitolo si conclude con con risate, scherzi e Anna che: “Mi ha messo una mano sul petto e mi ha spinto in camera”. Azione importante, in quanto era lei a rifiutarsi di fare sesso.
Il capitolo 30 invece è dedicato – seppure con superficialit�� – al rapporto tra Marco e Matteo. Rapporto che, sempre da ciò che narra Marco, si solidifica. Per questi motivi leggere nel capitolo 31 che l’idea della separazione sia tornata a essere concreta è davvero illogico. Prima del lieto fine – c’è da dire poco approfondito –, la coppia vive un periodo di separazione. Nel capitolo 36 seguiamo Marco che torna al paese natio. “La verità era che del paese non ricordavo quasi nulla, solo la stanza d’albergo in cui mio padre e mia madre ridevano complici”. Poi racconta di un episodio che si conclude con il padre che ride: “Era l’unica volta in cui avevo visto mio padre ridere”. Ma nel capitolo successivo: “Mi mancava ridere con lui, le poche volte in cui era accaduto”. Un padre che ha riso più volte davanti a Marco, il quale dichiara di averlo visto ridere un’unica volta.
Proseguiamo con piccole sciatterie. Capitolo 1, ripetizione inutile: “Ho fatto un lungo respiro e, per la prima volta, le ho detto la verità, le ho detto quello che sentivo veramente”. Capitolo 18: “Quando ero piccolo, per colazione mio nonno faceva un piccolo buco in un uovo e poi lo beveva. Alla fine mi dava il guscio vuoto. Anna ha fatto lo stesso con me, mi ha svuotato ed è rimasto solo il guscio”. Il ricordo del nonno è improvviso e senza seguito; inoltre non rinforza la similitudine del guscio, che per quanto scontata avrebbe fatto il suo anche senza introduzioni. (Tranquilli, torneremo sulle similitudini).
Nel capitolo 20 Marco conosce Elias, un ragazzo che viaggia con la bici e dorme in tenda. “Scriveva su un taccuino. Ho immaginato fosse il suo diario di bordo”. “Il suo diario” sarebbe stato sufficiente. Tanto più che Elias non naviga. Se mi si volesse tacciare di pignoleria, potrei rispondere che mi aspetto altrettanta pignoleria da un libro Mondadori.
Il capitolo 24 si apre con una descrizione paesaggistica imbarazzante. Ricordiamo che a descrivere è un architetto:“un paesaggio così perfetto da sembrare un dipinto: sulla sinistra un lago blu intenso, sulla destra una montagna che passava dal verde chiaro al marrone scuro. Il cielo era attraversato da nuvole bianche e gialle. Siamo rimasti a bocca aperta, senza parole”. Senza parole.
Il capitolo 25 si apre con una nozione enciclopedica: “Petricore è un termine coniato da due ricercatori australiani e indica il profumo della pioggia sulla terra quando ha appena smesso di cadere”. Bisogna considerare che il capitolo precedente si era concluso con un acquazzone. Tuttavia questa informazione, riportata con un notevole cambio di registro, non ha un seguito. Infatti continua: “Mi sono svegliato e sono uscito subito dal camper, fare la pipì all’aperto è una delle cose che più regalano un grande senso di libertà. Passeggiavo vicino al lago, tutto era tranquillo e silenzioso, sentivo il sole tiepido sul viso, sulle braccia, l’aria tersa, vivificante”. Nessun accenno al petricore.
Altro pleonasmo al cap 32: “vedere nell’altro quello che si vuole vedere”. Fine del capitolo 34: “«Ho un lavoro da fare qui» ho risposto ingoiando le lacrime”. Peccato che Marco non stia piangendo, lo farà dopo. Il lettore dovrebbe intendere “trattenere le lacrime”? Ancora: “I bambini vivono a una velocità diversa dalla nostra, muoiono ogni volta che vanno a dormire, e ogni mattina rinascono”. Non vedo l’esclusività dei bambini in questo. Tanto che la metafora, largamente inflazionata, è possibile leggerla in molti altri testi con riferimento a personaggi adulti.
Concludo gli esempi con un passaggio simbolo della sciatteria, che introduce in parte il discorso sul personaggio di Marco. Nel capitolo 13 Marco ricorda: “lì abbiamo fatto l’amore per la prima volta. È stato intenso e coinvolgente”. La narrazione si sposta subito altrove, e difficilmente posso credere che un lettore rimanga coinvolto leggendo questo comunicato stampa.
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Il lavoro di Marco. Sia chiaro: i personaggi non hanno spessore. I dialoghi non rivelano nulla. Le voci sono identiche tra loro. Qualcuno potrebbe obiettare che in un romanzo simile la bidimensionalità sia, addirittura, auspicabile. L’idea non mi convince. I personaggi di un romanzo risultano articolati e definiti se lo sono altrettanto le loro relazioni. Purtroppo queste ultime sono accennate. Non solo le relazioni con i personaggi secondari, ma la stessa relazione con Anna, che di conseguenza rimane impalpabile. E non parliamo del piccolo Matteo. Tale inconsistenza non risparmia Marco. All’inizio del romanzo leggiamo: “Quando Anna mi ha chiesto se la amavo ancora, ho capito che lo stava facendo in un modo diverso, voleva una risposta onesta. Non potevo risponderle come avevo sempre fatto. Sono rimasto in silenzio, dovevo decidere se essere sincero o dire una bugia che mi avrebbe permesso di rimandare ancora. Non ero sicuro di voler rendere ufficiale la nostra crisi. Se avessi dato una risposta vera, non avremmo più potuto far finta di niente”. Queste considerazioni rimarranno inalterate fino alla fine. Saranno ribadite con petulanza, con giri di parole che non hanno effetto diverso di un copia-incolla del paragrafo sopracitato. A causa di una evoluzione del personaggio inesistente, la decisione finale di rimanere insieme nasce senza cause decisive. Né da parte di Marco né, figuriamoci, di Anna. Giusto perché – ci risiamo – l’autore aveva deciso di chiudere il romanzo.
Ad avermi spiazzato è ciò che chiamo Il problema del lavoro di Marco. Sappiamo che è un architetto, che lavora in uno studio, si presume importante, certamente con professionisti di pari livello. Marco dichiara più volte di amare il lavoro e le sfide che comporta, di non poterne fare a meno, di dedicare tantissimo tempo della giornata ai progetti che gli vengono commissionati. Se tali dichiarazioni sono numerose, e mi pare inutile riportarle, purtroppo non abbiamo una sola scena nella quale Marco stia lavorando. Viene narrata una riunione nel capitolo 5, successivamente Marco incontra il capo in ufficio. Ma non sappiamo come Marco, nel concreto, trascorra le molte ore di lavoro giornaliero. Nel capitolo 6 Marco racconta di quando Anna, anche lei architetta, decise di non lavorare per stare con Matteo: “si era resa conto che rientrare a pieno regime non sarebbe stato così facile, […] lei non si sentiva di lasciarlo ad altri per dieci ore al giorno”. Volendo ipotizzare che anche Marco lavori dieci ore al giorno, mi tocca constatare che di queste non ne viene descritto un solo minuto. Tanto che è disorientante leggere al capitolo 7: “E quando era nato Matteo mi chiedeva di accompagnarla dal pediatra. Mi sembrava che spettasse a lei, al limite poteva domandarlo a sua madre. Mi stupiva che mi facesse quelle richieste, Anna conosceva bene il mio lavoro, sapeva quanto era difficile”. Anna lo sa. I lettori no.
Ultimo esempio. Nel capitolo 14 Marco descrive un hotel design nel quale aveva portato Anna. “Conoscevo lo studio che l’aveva realizzato e avevo il sospetto che avrei visto cose che mi avrebbero infastidito. Non mi sbagliavo, non era bastata la vasca in mezzo alla stanza, l’architetto aveva pensato fosse una bella idea non mettere la porta al bagno, nascondendo il water dietro un muretto. Ho dovuto usare sempre i servizi vicino alla sala colazioni”. Per quanto sia dubbioso, un insolito ottimismo mi spinge a credere che un architetto esperto capisca quale sia il problema. Sembra un tentativo di dare solidità alle conoscenze del personaggio. Tentativo fallito.
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Similitudini. Ammetto che un discorso sulle aspettative potrebbe rendere poco efficace questa parte dell’analisi. Vorrei però ricordare che Fabio Volo non ha mai risparmiato lamentele per il fatto che non venga considerato nei premi letterari importanti. Mia modesta opinione è che una aspirazione del genere dovrebbe portare uno scrittore a evitare di scrivere come chiunque – sì, in alcuni casi mi arrendo all’idealismo. Prima di riportare alcune similitudini scontate, confesso di avere provato a contare quante volte appaia nel romanzo la parola come. Parola che non sempre introduce un paragone o una similitudine, questo è chiaro. Ma intanto in un volume di 216 pagine ho trovato la parola come più di 150 volte.
Per amore di precisione: ho smesso di contare non ricordo dove, ma sospetto possa superare le 200. Stavolta perdonate la mia, di pigrizia. Per rifarmi dichiaro di avere contato una parolina da tenere sempre d’occhio: tutto. 142 volte. E un’altra che mi ha sorpreso ritrovare così spesso, tanto da inserirla nei conteggi: momento. 45 volte.
Ora una lista delle similitudini più scontate:
“come se in quel buio stessi precipitando”
“sarebbe volata via come un palloncino a una festa di paese”
“mi sono ritrovato a vivere in una distanza densa, come una gelatina”
“come se per la prima volta ci trovassimo su due barche diverse e ognuno andasse al largo sulla propria”
“come se qualcosa dentro di me avesse preso la parola”
“Il cuore mi si è sciolto come burro”
“Le sue parole continuavano a girarmi in testa, come se avessero fatto scattare un cortocircuito”
“sembrava sereno come un lago”
“come se fossi un condannato a morte in attesa della sedia elettrica”
“ho sentito come se qualcuno mi stesse strappando il cuore dal petto”
“mi sentivo solo come un cane”
“Giravo come un animale in gabbia”
Mi ha colpito la seguente: “Come un uccello che vola e che non si cura dei muretti e delle staccionate”. Perché dovrebbe?
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Triplette e anche di più. A rendere la lettura pesante è uno stilema che, per esperienza personale, ho riscontrato spesso in chi è alle prime armi. Posto che rifuggo le ortodossie, le triplette di Fabio Volo sono innumerevoli e ridondanti, in alcuni casi a poca distanza l’una dall’altra. Eccone alcune:
“C’era stato più trasporto, più forza, più passione”
“Ho avuto la sensazione che tra me e lei fosse finito un modo di stare insieme, una bugia sospesa, la nostra storia”
“Era una creatura rara, preziosa, sospesa”
“Amo seguire qualcuno quando ha una visione chiara, innovativa, coraggiosa”
“Un uomo intelligente, pacato, maturo avrebbe ingoiato il boccone”
“Il lavoro è fatto di disciplina, di mestiere, di regole”
“Ero uno spirito libero, rispettoso degli altri, dei loro spazi, delle loro necessità”
“alla fine si era spento tutto, l’amore per lei, l’amore per altre cose, l’amore per me stesso”
“Era difficile accettarlo, mi sembrava stupido, ingiusto, sbagliato, addirittura scorretto.” (Qui addirittura quattro! NdA)
“non ci sarebbero più state cose eccitanti, nuove, avventurose”
“Ero preso dalle mie paure, dai miei dubbi, dai miei inspiegabili umori.”
“Per uscire da quella crisi servivano forza, energia, volontà”
“ma certo sembrava ringiovanito, più sorridente, più pieno di energia.”
“Tutto era delicato, silenzioso, rilassante”
“mi desse un’aria più matura, più profonda, più intelligente”
“quando viaggio mi sento acceso, vivo, pieno di energia”
“aggravavo la situazione con nuove proiezioni, supposizioni, scenari”
“La calma, l’ordine, l’assenza di confusione mi destabilizzavano”
“la mia mente aveva smesso di tormentarmi con mille supposizioni, congetture, proiezioni, paure” (di nuovo quattro! NdA)
“la mia vita era diventata sbrigativa, veloce, superficiale”
“Non avevo bisogno di più cose, più relazioni, più persone”
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Conclusioni. Una caratteristica nominata spesso riguardo i romanzi di Fabio Volo, e letta anche per “Una gran voglia di vivere”, è la scorrevolezza. Dato che da questa piccola analisi sono emersi problemi su più piani e diffusi, e dato che ho letto romanzi scorrevolissimi scritti meglio; verrebbe da chiedersi se un romanzo scritto malissimo possa comunque risultare scorrevole. Se tutti i romanzi scritti male siano scorrevoli, oppure se ci sono romanzi scritti male scorrevoli e romanzi scritti male non scorrevoli, e a questo punto perché. Ho un sospetto sul perché “Una gran voglia di vivere” possa essere definito scorrevole, e nasce proprio dalle criticità viste finora. Un romanzo con personaggi abbozzati, con un narratore interno alla storia che presenta una situazione uguale a se stessa in ogni capitolo, dove le differenze tra ambienti anche distanti non sono notevoli, né il tempo della storia è ben definito, è un romanzo che si può leggere saltando continuamente le pagine. Il rischio di perdersi passaggi importanti è nullo. Forse è questo il grande segreto di un romanzo scorrevole. Al di là di come sia scritto.
Marco Parlato
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