#Benedetto Lutti
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Name that emotion
Finalmente ho smesso di riuscire a dormire. Era strano davvero che ci riuscissi, non me lo spiegavo. Ma da qualche giorno finalmente l'insonnia è tornata prepotente, e ogni mattina mi sveglio con il petto pesante. In effetti sento il petto pesante quando sono vicino a casa. Non sento grande ansia verso Irene, ma continuo ad essere molto arrabbiato, e sempre con la sensazione di essere stato il più ferito di tutti. Penso al futuro, penso a lasciare la mia gatta, la mia casa, l'unica cosa che mi ha dato sicurezza negli ultimi 15 anni, il mio unico punto fermo. Ma affronteremo anche questa, perchè nulla sarà intentato.
La domanda che le ha fatto Michelangelo è corretta, noi amiamo noi, o il nostro modo di avere una relazione? Peccato che era tipo il primo dubbio che mi è venuto in mente quella maledetta domenica 21.
Nel frattempo mio zio Mario è morto, io non riesco nemmeno ad elaborare il lutto. Ho tipo una coda di lutti da elaborare, tipo la fila alla posta. Mio padre, zio Benedetto, zio Mario, presto zia Edda, e zia Giuliana, poi toccherà a mia mamma. E cazzo, sembra incredibile ma sto recuperando il rapporto con mia mamma : stare male ci ha in qualche modo uniti, cerca di starmi a sentire, prende le medicine. Speriamo bene.
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Apollo and Daphne
Lutti, Benedetto (1666-1724)
- esta demasiado rico el vino
(Consejo: siempre tener un decantandor de vino, potencia sus aromas y queda un sabor y gusto mucho mejor que llegar abrirlo y tomarlo, aprox. 5 minutos en el decantador y moverlo antes de servir) 🍷
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Maria Clara di Gesù Bambino
(1843-1899)
BEATIFICAZIONE:
- 21 maggio 2011
- Papa Benedetto XVI
Celebrazione
RICORRENZA:
- 1 dicembre
Religiosa portoghese, fondatrice della Congregazione delle Suore Francescane Ospedaliere dell’Immacolata Concezione; Una vita segnata dalla carità, un cuore sempre aperto all’accoglienza dei bisognosi, confidando saldamente nella Divina Provvidenza.
Guardate, quella è la mia gente! Che pena provo di non poterli soccorrere!"
Libânia do Carmo Galvão Meixa de Moura Telles e Albuquerque nacque il 15 giugno 1843 ad Amadora nei pressi di Lisbona, terza di sette figli di una famiglia aristocratica, e il 2 settembre nella chiesa parrocchiale di Nostra Signora del Soccorso di Benefica fu battezzata con il nome di Libânia do Carmo.
Trascorse l’infanzia in un clima sereno e accogliente, caratterizzato dal ritmo della vita familiare e da una esperienza educativa chiaramente ispirata alla fede. Imparò così ad amare il Signore, la Beata Vergine e i Santi e ad aprirsi alla realtà del prossimo maggiormente segnato da afflizione e povertà. Anche lei, tuttavia, sarebbe stata ben presto visitata dalla sofferenza, poiché nel giro di poco tempo morirono alcuni familiari e anche i suoi genitori. Tali eventi incisero profondamente sul suo animo, rendendolo ancora più sensibile di fronte al mistero del dolore, ma nello stesso tempo contribuirono ad irrobustirne il carattere: fortezza e speranza brillarono sul suo volto, insieme alle lacrime per lutti così numerosi, gravi e inattesi.
Rimasta orfana, Libânia do Carmo a 14 anni fu accolta nell’Asilo Reale d’Ajuda in Lisbona, gestito dalle Suore francesi Figlie della Carità, dove, mentre ricevette una preparazione culturale e umana corrispondente al suo rango, ebbe l’opportunità di consolidare in modo sempre più consapevole la sua formazione spirituale.
Nel 1862, lasciato l’istituto religioso, fu ospitata nel Palazzo Valada come dama di compagnia e confidente della Marchesa. Libania, tuttavia, andava maturando la decisione di consacrarsi al Signore in un’esperienza di vita religiosa: avvertiva infatti come impellente la vocazione ad un’esistenza completamente dedicata alla preghiera e al servizio del prossimo. Perciò alcuni anni dopo si ritirò nel Convento di San Patrizio a Lisbona, presso le Terziarie Cappuccine di Nostra Signora della Concezione; qui successivamente vestì l’abito di terziaria francescana e assunse il nome di Maria Clara di Gesù Bambino.
Il suo orientamento vocazionale, però, dovette affrontare un primo ostacolo, costituito dalle leggi civili del Portogallo che in quel momento risentivano di un accentuato spirito antiecclesiale e proibivano ogni forma di vita religiosa. Di fronte a questa situazione il direttore spirituale della Fraternità fece ricorso ad una Congregazione francese, le Suore Francescane Ospedaliere e Maestre, ed inviò la Serva di Dio presso il loro Monastero di Calais in Francia. Qui la giovane venne ammessa al noviziato e in seguito professò i voti.
Rientrata in Portogallo, Suor Maria Clara di Gesù Bambino fu nominata superiora del Convento di San Patrizio e, con la prudente guida del direttore spirituale, si applicò ad una intensa riforma della comunità delle Cappuccine, al punto da dare origine ad una nuova Congregazione, quella delle Suore Ospedaliere Portoghesi, che, riconosciuta civilmente come associazione benefica, avrebbe poi ricevuto l’approvazione pontificia da parte del Beato Pio IX.
La Congregazione conobbe in breve tempo una rilevante fioritura di vocazioni e di opere e si diffuse anche al di fuori del paese lusitano, con una serie di case aperte in Angola, India, Guinea, Capo Verde, San Tomé, dovunque ci fosse richiesta di un aiuto a favore dei bisognosi. Non mancarono, tuttavia, anche ostacoli e difficoltà di ogni genere, che inevitabilmente comportarono tensioni e divergenze anche all’interno della Congregazione.
Nonostante le amarezze, la Serva di Dio non perse mai la serenità e anzi rafforzò la sua adesione alla divina volontà, unicamente dedita alla crescita spirituale delle Consorelle e alla realizzazione di opere apostoliche, che animò con la preghiera, con il consiglio e soprattutto con grande spirito di sacrificio. Nelle varie circostanze, Madre Maria Clara dimostrò equilibrio non comune, intelligenza pratica, saggia capacità di sintesi, sensibilità materna, generosità, fervore, sobrietà di vita.
La sua personalità, ricca di doti intellettuali e affettive, era totalmente consacrata al Signore e al servizio del suo regno. Il suo percorso spirituale si manifestava in modo particolare in un intimo atteggiamento di relazione sponsale con Gesù, il cui Cuore sacratissimo costituiva per lei il centro unificante dei pensieri e delle azioni; in un profondo legame con la sua croce, che ella condivise soffrendo in silenzio e pazienza; in una incrollabile fiducia nella Provvidenza, della quale si riteneva umile strumento; in un comportamento di piena disponibilità verso tutti, anche nei confronti dei suoi calunniatori e persecutori che lei, pur ferita dalle ingratitudini, aveva sempre amato e perdonato.
Ebbe a cuore in modo speciale i poveri e gli ammalati, a favore dei quali fondò la sua opera, impegnandosi a trasmettere alle religiose della sua Congregazione gli stessi valori che avevano costituito il pilastro portante della sua vita.
La salute risentì di tante fatiche fisiche e psicologiche: iniziarono a manifestarsi problemi polmonari e cerebrali, fino a che subentrò un infarto che la condusse alla tomba.
Un mese prima della morte indirizzò l’ultima circolare alle sue religiose, riportando tra l’altro quello che era stato il pensiero dominante del suo cammino interiore: «Nulla accade nel mondo senza il permesso di Dio».
Il 1 dicembre 1899, dopo aver ricevuto i sacramenti, si spense serenamente in Lisbona: era il primo venerdì del mese, giorno dedicato al Cuore divino dello Sposo. Le esequie furono partecipate da numerosi sacerdoti, religiose e laici di tutte le classi sociali, testimonianza di una fama di santità che già in vita aveva accompagnato la Serva di Dio.
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Il 2023 DI ROSA MANNETTA
E siamo nel nuovo anno. E tra atteggiamenti distopici, tra ottimismo, tra vari pareri, si va a vivere. Come si vive? Senza dubbio, non si può ignorare che una guerra in Europa, non semini lutti. E poi ci ha lasciato Benedetto XVI. E appare esplicito, il discorso del Presidente Mattarella che ha affermato: “...Chiaro il risultato elettorale che ha consentito la veloce nascita del nuovo governo, guidato per la prima volta, da una donna”. Questa affermazione ha sottolineato l’importanza di una donna come premier, al di là di ogni schieramento e non, al di là di ogni pregiudizio. Che dire? Il Capo dello Stato ha evidenziato il clima di distensione nel nostro panorama istituzionale. Camillo Sbarbaro scriveva: “Cammino per lastrici sonori nella notte...”. E noi ci incamminiamo.
Rosa Mannetta
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Pieter Neefs le vieux, Cathédrale, cerca 1610
L’empire de Charles Quint contenait les Pays Bas, celui de Philippe II aussi, malgré le début de la révolte batave, aussi les musées espagnols, comme le Prado, sont remplis d’œuvres flamandes. C’est également le cas ici, au musée des beaux arts de La Corogne, comme dans cette scène de jeu d’argent et de cartes, de Theodor Romboots (c. 1627) :
Détails :
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Il y a aussi bien sûr des peintres espagnols, français, italiens, pour toute cette période classique et baroque, du XVIe au XVIIe :
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Le retour du fils prodigue, anonyme, XVIIe siècle
Francesco Gessi, Vierge à l’enfant, 1620
José de Ribera, St André, 1630
Benedetto Lutti, Santa Catalina, 1690
Nicolas de Neufchâtel, Dame au petit chien, c. 1550
Juan Pantoja de la Cruz, Marguerite d’Autriche, 1607
Domenico Dupra, Maria Antonia Fernanda de España, 1757
Jeune homme, anonyme, école italienne, XVIIe
Maurice d’Orange, anonyme, école hollandaise, 1620
Maurice d’Orange, ou de Nassau, a été Stadhouder des Provinces Unies et a donné son nom à l’île Maurice, il a mené la guerre contre les Espagnols pour l’indépendance de son pays.
Et des tableaux monumentaux, comme le cabinet du collectionneur, la Chute d’Icare, ou l’atelier du collectionneur :
Frans Francken II, 1630
Jacob Peter Gowy, 1636
Anonyme, XVIIe
Flamands en Espagne Pieter Neefs le vieux, Cathédrale, cerca 1610 L'empire de Charles Quint contenait les Pays Bas, celui de Philippe II aussi, malgré …
#Benedetto Lutti#Domenico Dupra#Francesco Gessi#Frans Francken II#Hollande#Icare#Jacob Peter Gowy#José de Ribera#Juan Pantoja de la Cruz#Maurice d&039;Orange#Nicolas de Neufchâtel#Pieter Neefs le vieux#Provinces Unies#Stadhouder#Theodoor Rombouts
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Eraso Álvarez, Manuel de (Zaragoza, 1742 - Burgos, 1813)
Copia de Luti, Benedetto (Florencia, 1666- Roma, 1724)
Eco y Narciso
Departamento: Museo
Nº Inventario: 0309
Datación: 1767
Otros números: En el margen inferior derecho, pintado con pintura blanca: 263. En etiqueta romboidal: 25.
Dimensiones: 190 x 132 cm
Inscripciones: Detrás, sobre el lienzo: "El original de este es de Benedeto Lutti / Copiado de la misma Grandeza. Por Manuel de Eraso año de 1767."
Técnica: Óleo sobre lienzo
Procedencia: Pensiones. Enviado desde Italia.
Observaciones: Alumno de Bayeu, en su ciudad natal también trabajó con Ventura Rodríguez en las obras de la Capilla de la Virgen del Pilar. Prosiguió sus estudios en Roma costeándose él mismo el viaje, ya que no pudo conseguir una beca de la Academia de Bellas Artes. Allí asistió a la Academia Capitolina del Desnudo, dependiente de la Academia de San Lucas, donde pudo desarrollar su enorme capacidad como dibujante. En 1763 ganó con un desnudo masculino el concurso convocado por la Capitolina, un éxito que debió contribuir sin duda a ganar la pensión de la Academia madrileña. Fue pensionado entre 1766 y 1773, y durante ese tiempo envió a España dibujos y varias copias de obras de maestros italianos.
Entre ellos figura este lienzo del gran pintor florentino Luti. La escena está basada en el mito narrado por Ovidio en el libro III de las Metamorfosis, y muestra a la ninfa Eco observando cómo el joven Narciso se enamora de sí mismo al contemplar el reflejo de su propia belleza.
A su vuelta a España, Eraso continuó pintando y dibujando, desarrollando al mismo tiempo una fecunda labor docente en Zaragoza y Burgos, así como importantes trabajos como arquitecto.
Información de la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, imagen mía.
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Un uomo ne uccide un altro per prendergli la borsa; viene arrestato, imprigionato, condannato a morte e muore ignominiosamente, maledetto dalla folla, la testa mozzata sull'orrenda piattaforma. Un popolo ne massacra un altro per rubargli i campi, le case, le ricchezze, i costumi; viene acclamato, le città si pavoneggiano per riceverlo quando ritorna coperto di sangue e di bottino, i poeti lo cantano in versi inebriati, le musiche lo festeggiano; ci sono cortei di uomini con bandiere e fanfare, cortei di ragazze con ramoscelli d'oro e mazzi di fiori che lo accompagnano, lo salutano come se avesse appena compiuto un'opera di vita e un'opera d'amore. A coloro che hanno ucciso di più, saccheggiato di più, bruciato di più, vengono conferiti titoli roboanti, gloriosi onori che devono perpetuare il loro nome attraverso i secoli. Viene detto al presente, al futuro: «tu onorerai questo eroe, perché da solo ha fatto più cadaveri di mille assassini». E mentre il corpo dell'oscuro assassino marcisce, decapitato, nelle sepolture infami, l'immagine di chi ha ucciso trentamila uomini viene eretta, venerata, in mezzo alle pubbliche piazze, oppure giace al riparo delle cattedrali, in tombe di marmo benedetto custodite da santi e angeli. Tutto ciò che gli apparteneva diventa una sacra reliquia e si va in massa nei musei, come in un pellegrinaggio per ammirare la sua spada, il cumulo delle sue armi, la sua cotta di maglia, il pennacchio del suo elmo, col rimpianto di non intravedere gli schizzi di sangue degli antichi massacri. (...) Eroismo e genio non si trovano nel fragore dei campi di battaglia; sono nella vita ordinaria. Non è affatto difficile farsi bucare il petto, in mezzo a proiettili che piovono e granate che scoppiano; è difficile vivere, in modo equo e giusto, tra gli odi, le ingiustizie, le tentazioni, le sproporzioni e le bassezze umane. Oh! un piccolo impiegato che lotta con costanza, in ogni momento, per procurare alla sua famiglia il magro cibo di tutti i giorni, come mi sembra più grande del più glorioso dei capitani che non conta più le battaglie vinte! E come preferisco contemplare un contadino che, con la schiena curva e le mani callose, spinge faticosamente l'aratro nel solco della madre terra, piuttosto che vedere una sfilata di generali con l'uniforme splendente e il petto coperto di croci! Il fatto è che il primo simboleggia tutti i sacrifici sconosciuti e tutte le oscure virtù della vita feconda, mentre gli altri mi ricordano solo le sterili tristezze e gli inutili lutti con cui hanno seminato il suolo delle patrie sconfitte. Perché il Diritto e perché la Giustizia, se la Guerra è là, che comanda, la Guerra, negazione del Diritto, negazione della Giustizia? Che si depennino queste due parole dai linguaggi umani che non le capiscono, e che dall'insegna delle società contemporanee si strappino questi due emblemi che hanno sempre mentito. da "L'Umanità nasconde il volto e piange in silenzio" di Octave Mirbeau (1848 – 1917))
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SAN BENEDETTO – Il Vescovo della diocesi di San Benedetto del Tronto, Ripatransone e Montalto mons. Carlo Bresciani ha inviato una lettera a tutti i fedeli in questo momento di passaggio dalla Fase 1 alla Fase 2 dell’ emergenza coronavirus che riportiamo integralmente.
“Carissimi fedeli della Diocesi -scrive- stiamo uscendo dalla cosiddetta “Fase 1”, provocata dal coronavirus (covid-19), che ci ha costretto a stare a lungo chiusi in casa, per di più intimoriti da quanto stava succedendo attorno a noi. Siamo stati costretti con grande dispiacere anche a sospendere tutte le attività pastorali, comprese le celebrazioni di sante messe, funerali e sacramenti.
Ci ha fatto molto soffrire, in modo particolare, di non poter prendere commiato dai nostri cari con la celebrazione del funerale. Abbiamo celebrato la santa Pasqua chiusi in casa, senza poter cantare insieme l’Alleluja della resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo attraversato una dolorosa esperienza, unica nella storia, che ha coinvolto tutte le religioni in tutto il mondo.
Andando ormai verso la conclusione della “Fase 1”, mi sento di esprimere una profonda gratitudine a Dio perché, almeno fino ad ora, ci ha risparmiato dai gravissimi lutti che in altre parti della nostra Nazione e del mondo hanno profondamente ferito famiglie e intere comunità religiose e civili.
Abbiamo vissuto con molta apprensione questo tempo e sicuramente siamo stati aiutati in tutto ciò dall’intercessione di Maria Immacolata alla quale, nella chiesa di san Benedetto martire, ho rivolto una solenne supplica il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, e dai santi patroni delle nostre comunità ai quali si sono rivolti i vostri parroci per richiesta di protezione. Questo ci ha aiutati anche ad accettare, con pronta collaborazione, di restare in casa e ad adottare le misure che sono state consigliate per difenderci dal contagio.
Si profila a breve, dal 4 maggio, l’inizio della “Fase 2” anche per noi e per la nostra Chiesa diocesana. Siamo in attesa che ci vengano indicate le condizioni, alle quali ci atterremo, per proteggere la salute di tutti e poter riprendere le celebrazioni di sante messe, funerali e sacramenti e con gradualità anche gli altri momenti di vita comunitaria.
Molte domande ci si presentano sul come sarà questa ripresa. Molto spesso è stato detto “niente sarà più come prima”, cosa che, almeno in parte, condivido: l’esperienza che abbiamo fatto -e che in parte continueremo nella “Fase 2” per le limitazioni che ancora ci chiederà – è stata una scuola di vita dalla quale dovremo imparare molto e dovremo imparare insieme.
Sicuramente avremo bisogno di tanta umiltà, fermezza e solidarietà, perché non tutto sarà facile e con molta probabilità saremo chiamati a fare sacrifici.
Avremo bisogno di molto ‘noi’ e di molto meno ‘io’ a tutti i livelli. Siamo riusciti a combattere il virus solo accettando di adottare tutti insieme alcuni comportamenti, rinunciando al “faccio a modo mio”; abbiamo imparato che da soli non ce l’avremmo mai fatta e da soli non riusciremo a ripartire, occorrerà la collaborazione di tutti a progetti comuni.
Avremo bisogno di fare tesoro di quello che abbiamo imparato vivendo molto più del solito la nostra fede non solo in famiglia, ma come famiglia: infatti non solo siamo stati costretti a seguire la celebrazione della santa messa in famiglia, ma l’abbiamo fatto come famiglia unita. Questa unità nella preghiera e nella lode di Dio è un valore da non perdere.
Abbiamo imparato, anche con qualche fatica, a dare più tempo alla famiglia, a parlarci, ad ascoltarci e a confrontarci, magari vivacemente e con qualche bisticcio, su tante cose. Non potrà essere sempre così, non è concepibile che si passi la vita chiusi in casa, ma se avremo imparato quanto sia importante condividere in famiglia, sarà stato un tempo prezioso.
Abbiamo esperimentato il manifestarsi, in larghissimi strati della società, di una grande solidarietà verso coloro che sono in difficoltà: ciò ha veramente del grandioso. Sarà una risorsa preziosa non solo per la nostra ripartenza come società e come Chiesa, ma anche per far fronte alle tante nuove povertà, non solo materiali, che il coronavirus ci lascerà in eredità.
Poiché sarà impossibile fare come se nulla fosse accaduto, mi pare importante che ognuno di noi si fermi per una rilettura spirituale di quanto abbiamo vissuto per trarne sapienza di vita cristiana. Si potrà in seguito trovare i modi per condividerla per un arricchimento reciproco.
Mi pare importante chiederci che cosa il Signore ci ha fatto capire in questo periodo. Mi permetto di suggerire alcune domande che potrebbero esserci di aiuto: “Cosa ha provocato in me ciò che ho visto e vissuto? Che cosa mi ha addolorato? Che cosa mi ha consolato? Che cosa devo conservare e che cosa ho capito di dover lasciare perché inutile, superfluo e forse anche dannoso?”. In fondo, tutti dobbiamo chiederci sempre: “Che cosa si attende ora il Signore da noi?”; “ora che cosa dobbiamo fare?” (cfr. At 2,37).
Si tratta di una serie di domande che vi propongo. Ognuno può rispondere per conto proprio; sarebbe bello condividerlo poi in famiglia o con amici. Si tratta di comprendere meglio come fare tesoro della severa lezione di vita che abbiamo vissuto. Se sarà così, non avremo vissuto solo un “tempo sospeso”, ma un tempo difficile che ci ha fatto maturare anche nella fede.
Carissimi, guardiamo al futuro con la speranza che ci viene dalla fede in Colui che è risorto e ci accompagna giorno per giorno anche nelle difficoltà che la vita ci presenta. Non siamo come coloro che non hanno speranza, perché sappiamo in Chi abbiamo creduto. Chiediamo insieme la luce dello Spirito che ci aiuti a comprendere le strade che Dio ci sta indicando.
Coltivo un grande desiderio di poter riprendere presto la possibilità di celebrare insieme con voi e invoco su tutti voi la benedizione del Signore. Vi saluto con l’augurio pasquale di Gesù: “pace a voi” (Gv 20, 19)”.
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SAN BENEDETTO – Domani è il 25 Aprile, la Festa della Liberazione. Il sindaco di San Benedetto Pasqualino Piunti rivolge alla cittadinanza il suo messaggio.
“Il 25 aprile 1945 -scrive il primo cittadino rivierasco- fu uno spartiacque nella storia dell’Italia: la data della Liberazione dall’oppressione del nazifascismo è il simbolo di un Paese che, scrollatosi di dosso a prezzo di immani sacrifici un periodo di privazioni e lutti atroci, ha saputo rapidamente recuperare sul piano sociale ed economico la piena dignità nel consesso internazionale ricostruendo le proprie basi sui principi scolpiti nella Carta Costituzionale.
Non sono possibili paragoni tra quelle vicende e ciò che stiamo vivendo in questo periodo, ma certo è possibile trarre degli insegnamenti da utilizzare anche in questo difficilissimo frangente.
La capacità di fare comunità e, al contempo, di fare ognuno la propria parte per uscire dall’incubo è sicuramente il valore dell’Italia del Dopoguerra che adesso deve maggiormente ispirarci. Il nemico oggi non è fisicamente identificabile, è pericoloso perché subdolo: abbiamo però le conoscenze scientifiche che ci aiutano a tenerlo sotto controllo in attesa di un’arma finale che certamente arriverà.
L’efficacia di queste conoscenze passa però attraverso uno sforzo di disciplina collettiva che non può ammettere cedimenti: la leggerezza di uno può essere pericolosa per tutti.
Il modo migliore per onorare tutti coloro che, 75 anni fa, fecero l’estremo sacrificio per renderci liberi, ma anche per rendere omaggio alle vittime della pandemia e dimostrare riconoscenza verso tutti coloro che da settimane sono in prima linea per combatterla, in molti casi a prezzo della vita, è fare il nostro dovere, cioè attenerci con senso di responsabilità alle prescrizioni.
E’ l’unico modo per riappropriarci al più presto della Libertà che ci fu donata dalle donne e dagli uomini della Liberazione, quella Libertà che, come scrisse Piero Calamandrei, “è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”.
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SAN BENEDETTO – Domani, giovedì 9 maggio, si ricordano in tutta Italia le vittime del terrorismo e delle stragi. In tal senso si registra l’ intervento del sindaco Pasqualino Piunti che riportiamo integralmente.
“Rinnovare il 9 maggio il ricordo di tutte le vittime del terrorismo e delle stragi -scrive il primo cittadino rivierasco- non è solo in ossequio ad una legge dello Stato, la n. 56 del 2007, ma è soprattutto un modo perché non sbiadisca nel sentire generale il senso di quei fatti, il valore di quegli uomini e quelle donne che, nella gran parte dei casi consapevolmente, intrapresero battaglie di civiltà e di legalità sapendo di correre gravi rischi.
La data del 9 maggio è stata scelta come simbolo di questa commemorazione perché fu in quel giorno che si verificò una delle stragi terroristiche più impresse nella memoria di noi italiani, lo sterminio della scorta di Aldo Moro e il rapimento del presidente della Democrazia Cristiana. Ma furono centinaia le vittime di quella sciagurata stagione della nostra storia, un’epoca di follia ideologica che si è lasciata dietro una scia di lutti e di pianto giunta fino a noi.
Il terrorismo ha assunto negli anni forme diverse ad ogni latitudine, come purtroppo ci dicono le cronache quotidiane. Ma è possibile individuare un filo conduttore comune che supera i confini geografici e le motivazioni ideologiche: ovunque il terrorismo dispieghi i suoi effetti mortali, trae energia dall’ obiettivo di seminare morte e distruzione, gettare nel panico le comunità colpite per tentare di sovvertirne gli ordinamenti costituiti.
Quando questi ordinamenti sono ispirati al principio di libera convivenza civile, quando grazie ad essi nessuno può sentirsi superiore alla legge formatasi sulla base del consenso popolare, il terrorismo si fa strumento spietato del tentativo di abbatterne il carattere democratico per istituirne di autoritari e liberticidi.
Ricordare le vittime degli atti terroristici significa dunque ribadire la nostra adesione ai valori di libertà e democrazia, da non considerare mai come acquisiti ma da custodire e tramandare anche non dimenticando chi è morto per difenderli”.
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SAN BENEDETTO – Venerdì 22 dicembre ore 17,30, presso la sala della Poesia di Palazzo Bice Piacentini (Paese alto), Luca Telese presenterà il libro “Cuori contro“. Conversa con il Giornalista l’avvocato Silvio Venieri. Evento organizzato dall’Amministrazione Comunale per il ciclo “Natale con gli autori” in collaborazione con ” I Luoghi della Scrittura” e la Libreria ” La Bibliofila”.
Luca Telese (1970) scrittore, giornalista, autore e conduttore televisivo. Ha collaborato con L’Unità, Il Manifesto, Il Giornale, Il Foglio, Il Fatto Quotidiano. Per Sperling & Kupfer ha fondato la collana Le Radici del presente che per diversi anni ha sondato la storia del nostro passato prossimo. Con Sperling & Kupfer ha pubblicato Cuori Neri e ha contribuito con diversi testi ad altri libri della collana.
Luca Telese ha deciso di scrivere un secondo libro dedicato alle storie degli Anni di Piombo durante una presentazione di Cuori neri a Milano, nel 2006. Sul palco con lui c’era Gad Lerner che ha svelato al pubblico la fine di Roberto Grassi, uno dei responsabili della morte di Sergio Ramelli.
Telese, nell’introduzione di questo nuovo, commosso e composto libro, scrive: “So che quel giorno, sul palco di Milano, mi venne in mente che avrei dovuto scrivere tutte le storie dei ‘cuori dopo i cuori’. Le mille storie senza morale che mi erano arrivate dopo Cuori neri. Sentivo il bisogno di raccontare le storie belle e quelle brutte, le catartiche e le inquietanti, le storie utili e quelle senza senso. Le storie rosse e le storie nere. Le storie delle madri che continuavano ad attraversare questi lutti, a portarne il peso, a testimoniare verità.
Oggi alcune di loro sono morte e la memoria rischia di appannarsi perché i testimoni diretti scompaiono. Oggi indagare nella zona grigia dove tutto rischia di confondersi è forse più utile di ieri. Ho iniziato su quel palco, ma ci ho messo dieci anni a scrivere questo libro: è questo l’unico luogo in cui Roberto Grassi e Sergio Ramelli possono stare di nuovo insieme…”
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SAN BENEDETTO – Nel giorno dell’Immacolata Concezione presso il salone dell’Asilo Merlini è stata celebrata la Santa Messa in onore alla Madonna. Prima della celebrazione officiata da don Romualdo Scarponi, ai piedi della statua di Maria posta nel giardino, un bimbo ha letto una preghiera e subito dopo tutti gli altri bambini, con un fiore in mano, hanno iniziato la processione fino ad arrivare nel salone dove è esploso un canto mariano.
Alla cerimonia liturgica sono stati presenti tanti nonni, tutte le maestre: Carmela, Cristina, Silvana e Romina, le assistenti: Paola, Anita, Cristiana e Lorena. Presenti anche il segretario Massimiliano e la cuoca Mariella. La famiglia dell’Asilo Merlini era al completo.
Molto significativa è stata la presenza del sindaco Pasqualino Piunti, il quale. al termine della celebrazione, ha preso la parola e rivolgendosi alle famiglie ha ricordato loro che l’istruzione e l’educazione sono prima di tutto servizio alle famiglie in continuità e cooperazione con esse per dare ai figli l’opportunità di uno sviluppo nella crescita sereno e armonioso.
La festa dell’Immacolata Concezione è molto sentita a San Benedetto del Tronto proprio in ricordo al voto che le autorità comunali: Raimondo Voltattorni (priore) e Giovanni Battista Paci (il governatore), presi dalla disperazione per i tanti lutti che aveva provocato il colera (circa 400), a nome di tutto il popolo, chiesero all’Immacolata Concezione, di liberarli dal colera.
Tale calamità, era tornata a diffondersi prepotentemente in paese a causa di un marinaio di ritorno da Ancona nell’estate del 1855 proprio un anno prima della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione da parte del papa Pio IX. Alla completa scomparsa dell’epidemia, i sambenedettesi, come segno di gratitudine, fecero voto (ancora oggi rispettato) di onorarla solennemente nel giorno della sua festa.
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SAN BENEDETTO – “Cantami o diva del pelide Achille, l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei“, inizia così il proemio dell’ Iliade di Omero. E l’ira funesta di Franco Fedeli si è abbattuta nella sala stampa del Menti di Vicenza nei confronti dei calciatori e di Moriero, soprattutto contro i primi ed in particolar modo i più esperti.
“Sono bravi solo a spillare soldi -tuona il patron rossoblù- si sentono dei padri eterni quando vengono da me per firmare il contratto, poi in campo non rendono come devono. E questo fatto mi dà molto fastidio. A loro ho detto che chi vuole andarsene, viene da me, rescinde il contratto e può lasciarci subito. Sono bravi solo a chiedere soldi e non hanno neppure rispetto per chi, come i nostri tifosi, si è fatto 600 chilometri per sostenerli. Sono arrabbiato con tutti”.
E poi tocca a Moriero. Fedeli non fa il nome del tecnico ma le sue parole sono chiare e nette. “Più dico di non mettere in campo gli ex calciatori e più lo fa”. Il patron rossoblù, poi aggiunge: “Sono tutti in discussione non solo Moriero”. “Questa sconfitta -prosegue Fedeli nella sua analisi- non è una beffa. Il Vicenza ha meritato la vittoria perchè è formata da gente che in campo mette l’animo, noi no. Abbiamo regalato il secondo temppo e pensare che nell’ intervallo ero andato negli spogliatoi per raccomandarmi alla squadra di non abbassarci troppo ma di continuare a giocare come nei primi quarantacinque minuti. Senza parlare delle sostituzioni che sono state uno scempio”.
Fedeli conclude così il suo j’ accuse. “Nelle ultime due partite abbiamo conquistato solo due puti. Aspettiamo sempre la prossima per vincere. Prima eravamo in testa, poi siamo diventati secondi, terzi, quarti, quinti ed alla fine triboleremo come lo scorso anno ad entrare nei play off”.
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SAN BENEDETTO – Ad un anno dal violento terremoto che distrusse Arqauta del Tronto, Pescara del Tronto, Accumuli e Amatrice, il Vescovo della Diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto Marche, mons Carlo Bresciani ricorda quei momenti con una nota stampa che riceviamo e pubblichiamo.
“La notte del 24 agosto di un anno fa fummo svegliati all’improvviso da un letto che sembrava ondeggiare sul mare, da pareti che oscillavano paurosamente, da calcinacci che cadevano all’improvviso e da una grande paura, non solo per quello che vedevamo, ma soprattutto per quello che poteva essere capitato altrove. Dove era l’epicentro di tanto sconvolgimento? Che intensità aveva avuto là il terremoto? Le notizie immediatamente raccolte dalla televisione non furono rassicuranti e apparve subito la gravità eccezionale con i tanti dolori e lutti che aveva provocato.
Un anno è passato, altre scosse sismiche e la neve hanno peggiorato la situazione, tante sofferenze e fatiche sono passate. Guardiamo indietro: molto si è fatto, ma non tutto è sistemato: molte case, chiese e scuole sono ancora inagibili. Altre sono state riaperte. Molte casette provvisorie sono state consegnate, molte restano da approntare. Moltissimo resta da fare. In pochi secondi si distrugge il lavoro di secoli e ci vogliono anni e anni per recuperare il recuperabile. Quanto è fragile il nostro mondo!
Sia nell’immediato che successivamente, l’impegno di molti è stato encomiabile, non solo negli aiuti materiali, ma anche nel sostegno morale, spirituale e psicologico. La caritas nazionale e quelle locali si sono attivate immediatamente con interventi molto concreti. È scattata la solidarietà dei tempi difficili, quella che in queste occasioni il nostro popolo sa riscoprire e al quale va dato merito.
Ora dobbiamo guardare avanti. I nostri territori e le nostre comunità non devono morire, la solidarietà non deve spegnersi: è un compito che tutti dobbiamo assumerci fino in fondo, nei rispettivi campi di responsabilità senza deleghe improprie. Le procedure burocratiche, pur necessarie, rendono più lenti di quanto si vorrebbe, e forse si potrebbe (con inevitabili polemiche), gli interventi promessi al più alto livello politico. Vanno snellite e accelerate al massimo possibile, rispettando la legalità.
Solo nella solidarietà e nella collaborazione attiva di tutti (privati e istituzioni) è possibile guardare al futuro con speranza e ridare speranza a chi ha perso tutto. Occorre partire il più presto possibile con una ricostruzione materiale, ma anche morale, che renda più sicure e resistenti le nostre case e i nostri paesi.
Prego perché questo avvenga il più presto possibile: lo dobbiamo a questi nostri fratelli e concittadini così duramente provati da questa grande calamità”.
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SAN BENEDETTO – In questo anno trascorso dal disastroso sima del 24 agosto 2016, la Caritas diocesana nel proprio servizio alle comunità colpite dal terremoto è stata supportata dalle delegazioni delle Caritas Puglia, Calabria e Piemonte, ed ha cercato di vivere una prossimità discreta, aiutando la gente a sviluppare scelte che guardano al futuro. Ad un anno dal sisma la diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto vivrà questo doloroso anniversario con degli appuntamenti che si terranno a Montemonaco, Comunanza e a Rotella.
Durante i tre appuntamenti verrà proiettato il video realizzato dalla Caritas Marche: “Un passo in più”. “Un passo in più” è la misura dell’orizzonte di quanti sono stati colpiti dai terremoti che dal 24 agosto 2016 in avanti hanno causato lutti, perdite, diaspore di interi paesi e cittadine.
Questo documentario, realizzato con un metodo di costruzione dal basso direttamente dalle persone coinvolte e che la Caritas ha incontrato nei territori colpiti, è un piccolo tentativo di restituire voce alle persone e di contrastare la speculazione mediatica dello spettacolo delle macerie.
Come affermano i responsabili della Caritas Marche: “Le 24 voci di questi uomini e donne raccontano le loro storie e ci insegnano che non c’è cambiamento possibile e sensato senza prima essere capaci di riconoscere che la vita è irreversibilmente cambiata. Raccontare significa circoscrivere ed elaborare per poi ritrovare obiettivi di vita e le nostre stesse risorse. Il cambiamento inizia con il primo passo in più”.
Per non dimenticare, ma soprattutto per guardare con speranza al futuro e vivere intensamente il presente, la Caritas diocesana di San Benedetto del Tronto ha pensato a questi tre appuntamenti:
Giovedì 24 agosto 2017 ore 21
Montemonaco – Casa Gioiosa
Celebrazione Eucaristica
Proiezione video “Un passo in più” e confronto.
Venerdì 25 agosto 2017 ore 21.15
Comunanza – Oratorio
Preghiera – Proiezione video “Un passo in più”
consegna auto per Caritas parrocchiale
Sabato 26 agosto 2017 ore 21.00
Rotella – Piazza
Preghiera – Proiezione video “Un passo in più”
confronto
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SAN BENEDETTO – Ultimi due film in gara al San Benedetto Film Fest, Festival Internazionale del Cinema a San Benedetto del Tronto, che continua con successo ad appassionare il pubblico. Ecco il programma della quinta serata, che propone gli ultimi due dei dieci film in gara, in attesa della serata finale di sabato 19 agosto:
Venerdì 11 agosto presso Parco Karol Wojtyla
Ore 21.15 – ‘Duelos‘, regia di Yolanda Román
Sinossi: Il tempo del lutto è il tempo necessario per affrontare la perdita e questo può essere anche non strettamente legato alla morte. “Duelos”, in spagnolo “lutti” ma anche “duelli”, lo racconta attraverso tre distinte situazioni: Un bimbo perde la sua mascotte perché è partito per un posto dove lo possono curare. Un uomo osserva la lotta di sua moglie contro un toro impossibile da vincere. Una coppia getta la spugna perché la loro lotta non finirà mai. Tre storie con lo stesso finale… Il tempo del lutto.
Ore 21.45 – ‘Moor‘, regia di Andres Diaz Sinossi: Jesús, uno studente al termine del suo corso di studi in lettere e filosofia, sta per consegnare la sua tesi di laurea. Ha pianificato il proprio suicidio non appena sarà accettata la sua tesi sul romanzo di Juan Rulfo sulla mitica città di Comala. Al contrario, il rifiuto della sua tesi lo costringe a rimandare i suoi piani suicidi e a cercare nuove informazioni per migliorare il suo lavoro. È determinato a cercare Comala.
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