#Asini Volanti
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Esattamente dove mi trovo da un po' di tempo, nell'attesa di avvistare gli asini volanti!
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Guaaaaaardoooo gli asini che voooooooooolano nel cieeel!
Guardo gli asini che volano nel ciel ma le papere sulle nuvole si divertono a fare i cigni nel ruscel bianco come inchiostro vanno i treni sopra il mare tutto blu e le gondole bianche sbocciano nel crepuscolo sulle canne dei bambu’ Du du du du du Queste strane cose vedo ed altro ancor quando ticchete ticche ticchete ticche ticchete sento che e’ guarito il cuor dall’estasi d’amor
#I diavoli volanti#The Flying Deuces#Stanlio e Ollio#Morbelli e Filippini#a zonzo#mauro zambuto#alberto sordi#Guardo gli asini che volano nel ciel#Gino Filippini#Ernesto Bonino#laurel and hardy
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Clamoroso: i semafori usati per il condizionamento mentale!
Clamoroso: i semafori usati per il condizionamento mentale!
Sempre con te.
Era sotto gli occhi di tutti, ma è solo grazie agli studi di Quaquareo Marciainpiù che oggi possiamo dire di aver scoperto un’evidenza nascosta abilmente con tecniche di condizionamento mentale al di fuori del comune. Anzi, per lo più all’interno dei comuni, nei centri urbani.
Infatti il ricercatore indipendente Marciainpiù, dopo anni di osservazione in vari incroci di varie…
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#ascoltare con il naso#asini volanti#drenanti#epatite#fluoro#ostentare ostensione#piumaggio#puericultura#purezza sporca#rotta per casa di Dio#tiepido lamento
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Luca Bonaffini svela il suo tour dedicato alla “Madre Terra” Sette concerti in sette città. Anteprima al Teatro Arciliuto
Luca Bonaffini svela il suo tour dedicato alla “Madre Terra” Sette concerti in sette città. Anteprima al Teatro Arciliuto
@teatroarciliuto #LucaBonaffini #recital #uomo #universo
Sette concerti in sette città, ispirandosi ai Chakra, tra uomo e Universo. (more…)
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A zonzo con Stanlio e Ollio
A zonzo con Stanlio e Ollio
Alzi la mano chi non ha mai visto, almeno una volta, la famosa canzone con relativo balletto di Stanlio e Ollio “Guardo gli asini….” tratta dal film i Diavoli Volanti del 1942. Quella canzone, con un testo cosi demenziale, cantata da Alberto Sordi che per anni fu il doppiatore di Ollio, in realtà riprendeva un altro pezzo musicale uscito poco tempo prima, la canzone si chiamava A zonzo, diretta…
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¥ € $.. You would like! You think maybe.. You wish it were so, but unfortunately what You hope or You believe or yet You can do is running out and You will can just winding down. £LOYDS instead, for this ..they will begin a war and lead it in Your place. Your time is up, see how they come at You from everywhere.. Sic Transit Gloria Mundi.. in Caput Mundi
Che aggiungere a quel Saving Private Ryan capace di seppellire, distrarre, riallacciare in qualche luogo comune della sofferenza quel filone commuovente che appartenne solo alle barbarie di una razza ascesa al potere dalle profondità infernali per scendere a patti con la storia e scriverla mentre stringe alleanze e strappa compromessi sotto l’emblema di certe supposte origini nel plantageneto carolingio dei Francis, di una dinastia tiranna, infame che fu rapace e capace di gettare nel baratro un continente intero grazie ai dissapori di un dissidio familiare con la pazienza che seppe attendere, meditare, profondere l’adito perfetto, l’abito e l’ordito per assolversi, rinnovarsi col lustro e i giubilei che proclamarono quella divina come la vittima di un disegno immane tramato, architettato, pianificato e attuato alle sue spalle, nello scompiscio di un intrigo internazionale, “a sua insaputa” come non bastasse giocare nuovamente alla fottuta schiera di lesbiche che solleticavano l’immagine onirica di una povera nottambula scomparsa dalla vita mondana di Parigi e dai salotti buoni che la incoronarono ai festini fino all’alba Valkyria dei Saturnali della Manche.
Quella Manica della via che collega Londra a Parigi col tunnel dell’amore, il Te-Je-Veux che debuttò agli onori internazionali come il treno dell’Erasmus, la ferrovia Smoothbore ovvero ad alta velocità iniziale che La Getlink ha in gestione oggi e cambiando nome come i Windsor in precedenza nacque dal Groupe Eurotunnel SE che progettò e costruì malgrado i tentennamenti dei conservatori il costoso ecomostro a impatto ambientale zero che un appalto tanto cospicuo aveva saputo intrecciare coi Benefit e la ricca dote di ancelle fresche da sverginare sull’altare Eliseo di residuati belligeranti come Mitterrand, Giscard d’Estain, e Jacques Chirac nella coalizione d’intenti franco americana capitanata da Bruxelles e alla monolitica ditta appaltatrice Royal Dinasty cogli interessi degli investor che la finanziarono per decenni dalle Holding Banking of Westminster HSBC e LLoyd’s in testa a tutte.
Una Lady D-Day che scalpitava da quando cercava di imitare quella celebrità di Audrey Hepburn nell’immemorabile A Colazione da Tiffany adesso non esisteva più, e quanto più fremeva lei si struggeva per questo, tanto più s’adirava e si circondava di bastardi motivati per fare i preparativi necessari che da qualche anno, come un’astuta volpe aveva messo in cantiere con quella reputazione crollata sugli scandali e le love story strappa applausi alla Kevin Kostner nell’immortale The Bodyguard dal 1992 al novembre del 1995 con quel divorzio annunciato che la spinse sul trampolino di lancio per fare il salto di qualità, coi titoloni preconfezionati, gli scatti rubati al reality di uno sciacallaggio e bombardamento mediatico senza tregua di interviste e reciproche litanie fatte con l’esclusiva monotona costanza di comparsate sul filo dell’adulazione con personalità e autorità inverosimili come Pavarotti e Madre Teresa di Calcutta pseudonimo impronunciabile di una bacucca Anjezë Gonxhe Bojaxhiu sopravvenuta a due guerre mondiali e da quei Balcani massacrati nei Jeux sans Frontieres, che quel retaggio albanese prostrò fin sul lastricato di S.Pietro come un premio Nobel per la pace da Giovanni Paolo II; l’opportunità e la precisa forma di manipolazione che ricreava l’alibi inattaccabile, quello che conobbe in una disgraziata morta di fame come lei che si trovava nella carità d’una menopausa femminista, nella stessa lurida situazione e sensazione smarrita di una condizione ormonale angosciante che aveva portato l’autunno nel cuore con qualche anno di anticipo, e che nel risentimento e nella foga di redimersi si affannava dalla parentesi svampita, incerta e invasata di Amnesty riciclandosi, reinventandosi, restaurandosi autrice di letture per bambocci, come quella ostrica cozza e vongola senza perla di Joanne Kathleen Rowling che si circondava innocenza bambina e maghetti mangia-morte coagulando un mucchio di boiate per autori improvvisati e reclutati apposta tra le rassegne di asini del nuovo cinema paradiso e vitelloni scarabocchiatori professionisti assoldati, selezionati e ingaggiati come parcheggiatori ad ore per presentare una babbana senza mestiere alla stampa e al cerchio magico di Lady Voldemort che le fecero scalare le classifiche di recensioni e di vendite il primo anno di pubblicazione.
E per un anno di frenetica rincorsa che dovette sopportare, soffrire, soffermare, puntualizzare, coltivare almeno nel presentimento e nel pronostico di una cagna colla collana di racconti della buona notte scritta azzeccando i tempi che una sgualdrina sbeffeggiata nel ludibrio della City avrebbe lasciato nel ricordo di se e col mignoli sull’attacco del rimorso del Thè; colei che si trasformava inesorabilmente nella brutta reputazione di un’usignolo che una volta frequentava circoli di avulsi e teste di cazzo colla carta d’oro in serate di beneficenza, adesso era il Bad Romance o la triste allegoria, di una parodia sbattuta sulla graticola e sulla gogna della celebrazione, di un’eroinomane ebbra e ebrea sbiadita dagli anni e dalle grinze che andava alla ricerca di quella trasgressione e di quelle giovanili emozioni forti, che la combattevano a cazzotti in un maleficio di frustrazioni e di magia oscura, e dove colei che poteva essere una paladina degli indifesi e dei mutilati dalle mine antiuomo, grazie alla causa delle sorellanze promulgava e sanciva Trattati di Ottawa a Ginevra o NewYork facendo ratificare Convenzioni internazionali per la proibizione dell'uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione, mentre dando il tocco ad una sceneggiata degna del soldato Ryan, si rigirava dalla padella nella brace del compianto e delle condoglianze nel parallelismo di un soggetto freddo e sfrontato come il nostro soldato Ryan, che come lei si era buttato nella mischia per Spielberg che a sua volta lo aveva incredibilmente richiesto per la parte di James Francis Ryan e in accordo con Matt Damon per mostrare come un cazzone finito Dietro le Linee Nemiche faceva il verso quasi lo sfottò alla Sfinge di Lady Voldemort Oca starnazzante col Fegato Sbocconcellato nel Foie Gras di Godiva ( interpretato da un sacrificato Tom Hanks e da uno sfigato Matt Damon) che in fondo faceva solo da zerbino a Lady D-Day e a nessuno importava o rammentava nulla di quelle radici sioniste o origini Churchill.
Di una Reginade Potente Maestade e Cagaova, che nel 1961 all’anagrafe dei doppi cognomi portava già il soprannome di Lady D-Day, e aveva la fama di quella Crudelia De Mon castratrice di dalmata o della Dalmatia che la lanciò come sua madre alla ribalta di un sogno fiabesco, sposarsi in un castello oppure come cenerentola fare la bambinaia a Peter Pan.
Una leggiadria Diana Frances Spencer, che coll’incantesimo del viso doveva essere convincere e riabilitare ..le masse di ignoranti colla presunzione dei coglioni e pecoroni adoranti inginocchiati che il suo contegno fosse una colpa e la ragione prima della sua dipartita: per il portamento, per il diletto merito di saper usare il galateo nell’arte della prossemica e il linguaggio del corpo più di un interprete della lingua dei segni, trasmettendo una gestualità fatta di parole e a tratti gli smile accigliati, ammiccati, imboniti, accattivati spinti nel mestiere di una buttana che ha solo voglia di rimestare le acque torbide dei fatti, per scherzare con le brame di una regina non pervenuta alla verità storica della sua famiglia.. taciuta di un massacro termobarico senza precedenti, travisando e omettendo anche nel ricordo stesso del WW2 ciò che con tutti lo sfregio e l’insulto hanno rinnegato la memoria di quei valorosi che sono stati scartavetrati, dilaniati e lavati censurando, epurando, riscrivendo su quel massacro le scene dei dissanguamenti, dei trivellamenti strazianti e soprattutto con quel colpo teatrale sotto il Ponte dell’Almà, l’accostamento impressionante dei V1 nella crudeltà che in quei fatti non doveva averci assolutamente avere nulla a che fare.. Nel realismo di quelle vicende mostruose per cui tali insinuazioni non dovevano essere mai mostrate ..censurando, eradicando, cancellando certamente e perciò che prima poteva passare da un’idea e prima che materiale per libri di storia.. diventare il presentimento di qualcosa che ancora oggi perseguita i loro incubi la notte facendo tremare i baldacchini dei sonni beati ..questi campioni d’Europa che non hanno mai provato vergogna di niente..
Infatti, e almeno, per quelle scene iniziali ambientate nello spettacolare sbarco di Omaha.. in tutta la durata dell’assedio sulla spiaggia.. Spielberg decise di scandire un ritmo asfissiante, stagnante, sopraffatto per così dire galleggiare e riagganciarsi al filone de Il Giorno più Lungo delle ricostruzioni storiche con John Wayne, che secondo le versioni ufficiali ad Omaha vide sopraffatti interi battaglioni, in convogli da 36 uomini che impegnò le truppe in un combattimento interminabile spalle al mare.. laddove per Spielberg comunque la frenesia sembrava utile in quelle raffiche e spargimenti vari che mettendo letteralmente all’angolo e seminando perdite ingenti ad una fanteria apparissero congegnali per decimare i segnali rivelatori di un disastro annunciato, nell’assurdo di riversarsi allo sbaraglio con delle bombe volanti plananti che spiovevano dal cielo, e che avevano messo ogni centimetro di quella sponda francese sotto tiro, il giudizio che avrebbe avuto pure un bambino ..se diciamo che è credibile, fattibile, plausibile una visione rielaborata delle ondate che le facevano apparire bersagli facili per le mitragliatrici fortificate ed efficaci seppure in lontananza, e che sfiguravano l’impegno che vide reparti ammassati per quelle esercitazioni che prepararono il vero sbarco in Normandia in una tecnica d’avvicinamento farraginosa, passiva e maldestra, non pervenuta ad ogni tentativo di respingere quel fuoco di sbarramento, e che fra quei soldati assieme ai mezzi anfibi li facendoli sembrare impacciati, imbranati, imbambolati sulla riva, adesso Spielberg poteva usare per farli anche sentire paralizzati, per creare la suggestione della guerra coi toni bassi che non spettacolarizzassero l’agguato realmente accaduto: così da esaltare il sacrificio di migliaia di uomini con una storia dietro di malcapitati che non sono più traditi o abbandonati laggiù al destino di morire..
Distorcendo la realtà e la letalità di quelle minacce, travisando il grado di sferrare, accennare una timida risposta, annichilendo e deformazione i contesto di quella brutalità in battaglia per l’estetica seminfermo mentale di Spielberg che li voleva buoni e cotti a puntino per un confronto temerario, impavido, disperato, alla baionetta come nel primo conflitto mondiale, appena capaci di una reazione all’assalto coi fucili a piumini e le carabine, invece di avvalersi dei validi strumenti di morte che sono, lanciarazzi, mortai, bangalore, bazooka e casse di granate a mano da sparare in bocca al nemico.
E in un crescendo colpo su colpo che seguiva lo spartito e il ritornello delle smitragliate assumendo quel tono di drammaticità nelle scene cruente di un soldato che penzolava e si raccoglieva l’arto staccato sulla battigia, mentre le rammollite sortite di placide carabine offrivano una copertura a petto scoperto in quello che assomigliava alla quadratura di un cerchio che mostrasse non quei muscoli e neppure l’imprevedibile e irrazionale strazio che macella i cadaveri come animali.. ma soltanto un 1944 alternativo fatto di amenità, incongruenze, ingenuità e boiate simili con quello spirito di patate che adesso veniva a proposito e in un’inquadratura perfetta che si specchiava e si conciliava e si rinchiudeva perbene nella zucca di quei nativi digitali, analfabeti NAÏF, e mongoloidi come pochi altri aldilà dei preconcetti e nelle personificazioni o nei modelli vomitati da imitare ad uso e consumo e dinnanzi alle forme subdole e imboccate della retorica all’ingoio che li bevevano a scodelle di semolini e pappette condite di stereotipi, ..pasticciando, generalizzando, ammucchiando e accatastando un’ordine di grandezza e un ordine naturale delle cose nel ciarpame dei neologismi, dei sillogismi, della confutazione meschina di un’ignoranza mansueta che immagina il mondo come un luogo del caos o dove tutto regna d’incanto ed esiste alla rinfusa e piacevole calma nelle idee o nella fortuna colla speranza
..un delirio, un sogno e un desiderio che motivassero il caso che non trova più quella ragione se non esiste più nella natura della finalità, del movente, del significato che lo pone com’é per funzionare.. e avere uno scopo d’esistere.
Da quelle cianfrusaglie imbastardite di concerti e dagli espedienti stupefacenti che vi rimescolavano le idee assieme a quelle colonne sonore durante gli anni 90 musicali, spensierati, disillusi, ottimisti, liberalizzati.. si riflettevano le gioie rapprese di una globalizzazione delle opportunità, che impressionando più di ogni moda e icona cinematografica i tempi, in ognuno di voi assisteva e si lasciava cullare nell’immaginario collettivo coi suoi beveroni di tempi condizionali e imperativi.. per credere, intravede, crogiolare l’esperienza artificiale di.. una sborra che fu manna dal cielo e appartenne al vizio insensibile e alla retorica bovina di una depravata, pusillanime, patetica minorata mentale piena di se che schizzava e sguazzava tra le giostre pelviche di suo marito, nell’ EXVOTO divorziato e indecente di un rapporto tra due rifiuti umani imperdonabili, sempre e ineluttabilmente complici, appassionatamente quanto luridamente insieme, nella buona e nella cattiva sorte, in disaccordo per tutti e d’incontro, d’accordo su tutto.. trasformando quel colmo e quei fottuti Tom Hanks, Matt Damon in eroi impronunciabili del cretinismo, tra i flutti e l’idiozia dei valori in battaglia, nei luoghi comuni e indescrivibili dell’incoscienza dove le speranze si sono infrante a ondate di valorosi e temerari sotto quella pioggia termobarica..
Per quanti funerali servirono ad olocausto per ricalcare, rivalutare, riflettere, proiettare ogni sensazione e sforzo investiti per anni a questi maledetti bastardi infernali che da un sipario all’altro rinascono per trasmettersi gli scrupoli a violentarvi di nuovo.. e nei confronti di un rompipalle, che nell’esempio di William vive fra i frutti avulsi, non solo per il bastardello mezzosangue che è, ma nel modo rilassato, quasi riverso lì sulla poltrona VIP a compiacersi e rallegrarsi assieme alle sue amiche troie e ammiratrici invasate di lunga data nella sua girandola giocosa, amorosa.. pietosa che in lui hanno confidato e riposto tutte le aspettative del loro status / tenore di pescivendole, e che gli si sono aggrovigliate addosso come nelle visceri e gli ettolitri a litrozzi di effetti speciali che hanno fatto gli incassi da tutto esaurito col soldatino RYAN di un escamotage per tirarsi fuori dall’impasse e il Bon Ton.. all’apice della carriera di questo Principe sono state l’esclusiva rilasciata fresca a quei tabloid di merda soffice e rimpiattino che gli eccelsi cani gloriosi e rognosi e rabbiosi di quel fottuto di suo padre ruminavano con Lady Voldemort quando sapevano e avevano la credibilità, la spendibilità, l’attendibilità e la fiducia di essere critici, obiettivi, meno vassali e sinceri o feroci con l’etichetta addomesticata che li ha trasformati in coacervo di odiosi notori plebei neppure sfiorati, con la penna o nella scelta di gettarli con metodo nel fango da cui discendono, perché li avrebbe contraddetti di fronte a quella lesbica schifosa che venerarono, quando potevano smontarla, schiodarla, rinnegarla, nei suoi gesti di sufficienza, svergognarla e distruggerla e invece di stendergli un tappeto rosso disprezzarla per non ridursi a dei lacchè..
Lacchè che ritenevano all’epoca Salvate il Soldato Ryan un buon film.. rispolverando ogni 5 anni il genere debosciato tipo di quei Benigni e Polanski alle ultime battute di un escalation dei Balcani che nel motto del WW2, aveva osato dove arrivano i macellai e dove osavano le Aquile Naziste con quelle pellicole imperdibili e in quello stile inconfondibile.. che proprio quei grandi cineasti come Tarantino, Bay e Spielberg non potevano lascarsi scappare e mancare alle anteprime: da Pearl Harbor a Dunkerque, da Stalingrado a Midway, sempre Bastardi senza Gloria della rivisitazione o nell’aneddoto da sciogliere per ogni arcidiavolo che ha nei dettagli la dimensione e la voglia di sfasciare un Tiger per sciorinare gergo e nomi di battaglia RYAN, FURY, PITT sbriciolando col cannolo alla crema di ricotta ogni Sherman che nella seconda guerra mondiale realmente ebbe laggiù i numeri, le tragedie e le perdite umane di vite, equipaggi e migliaia di combattimenti persi nello scontro diretto.
Negli sprazzi di un Leitmotiv nauseante e negli spruzzi di una menzogna solleticata, accarezzata, sdolcinata nell’invenzione tirata fuori da uno scenario di violenza cieca, folle debitamente ridimensionata nella portata e nel sadismo che quelle forme più lievi di ultraviolenza, Spielberg l’aveva già immortalate a delle sequenze meno inimmaginabili, più digeribili e assecondabili per un pubblico meno esigente; trascurando il resto, le circostanze, il realismo, e i particolari assieme a quelle cifre che al più di qualche ripresa buona dovevano trasmettere un sentimento di lagna e in ciascuno la repulsione che freme e preme per voltare pagina, per non guardare più in faccia la morte e girarsi dall’altra parte. La fragile consapevolezza di aggrapparsi nell’illusione di un domani col cielo sempre sereno e i desideri allontanati da quell’esperienza di orrore.. nella realtà e nella fretta che riesce a cogliere e comprendere perfino un’insinuazione così infantile di chi c’ha visto decenni di progressi tecnologici ottenuti spingendo quelle tradizioni fino all’esaltazione e al prodigio nella tecnica, dei cannoni Rheinmetall, mentre la formalità e la sacralità della commemorazione venivano servite per motivare la cappa di ignoranza e contro-divulgazione nel merito di fingere, fuorviare e infine scardinare spudoratamente ogni volta quei dubbi, e sospetti e interrogativi all’intuito genuino di chi aprendo gli occhi li veniva di nuovo a richiudere tra la disinformazione, le falsità e l’atrocità spinta fino all’amenità babbuina; nel solito adagio di cavalcarne negli animi, le pulsioni che sorreggono e sconfinano le convinzioni di un uomo determinato a relegarsi con tutti gli altri fessi, quando distribuire una colpa condivisa si trascina nella scusa fino ad una forma di abitudine religiosa e giustificabile, ad una nobiltà d’animo che abborraccia motivazioni a intenzioni, nella normalità di una gently insensibile, carnefice, impunità, che non si sputa in bocca e soltanto quando sprofonda nell’oscenità di chi ha realizzato cosa significa una farsa si strappa le vesti in quella commozione a parole, quella miserabile incredulità da commozione cerebrale!
Quando inciampa e si scontra coi mannaggia di un’inesorabile stato di indifferenza, d’insofferenza, di sufficienza, di conformismo con quello stupore e quel senso di retorica vuota, di rinuncia, di sconfitta o torpore tiepido, tipiche e dedite in quanti l’apprezzano e l’approvano così ..e come in un intrattenimento confusionario, vanverato in un movimento concentrico interiore di quella visione d’insieme ambigua, apatica, improvvisata che giustifica una mentalità distorta, pronta ad accogliere l’emozione più della ragione, di quella sana reazione spontanea che si spegne ed all’ora e pronta a giustificare un modo di pensare, di intendere, e di fare propria quell’inerzia e quella solerzia ad esitare ancora; ..disorientando, altalenando, mancando da quelle normali ancore del raziocinio che si chiamano intelletto, giudizio, buon senso, prudenza, presenza, allora si consuma il peccato capitale nell’incoscienza di caproni belanti che si gettano a capofitto nel caos di uno stato mentale, di un umore melanconico che si aliena da ogni barlume di convinzione, opinione, ipotesi o palese nesso del ragionamento per confutare, rimbambire, ribadire fino all’osceno quella teoria del complotto o quella retorica bevuta di parabole giocose, di azzeccagarbugli e scrittori arrovellati nella gioiosa rassegna, intervista, arroganza del dibattito che quella pratica.. scannata col fare e il come, fossero quasi nella contraddizione in termini di una società immersa nel rumore di fondo, nella bambagia della presunzione, nell’ovatta e nella frenesia mielata di un guazzabuglio di involucri di plastica che tracimano preconcetti e pappate di retorica per dei begli stronzi e recipienti di devianza, di disagio, di crudeltà impregnata, resa spietata, malefica, e rigurgitata come chi si aliena nel vizio, nel biasimo ingrigito, artefatto, ostinato.. nel rifiuto apriori e in quella contraddizione moderata a dispetto e sfregio dell’intelligenza altrui, della ragionevole coerenza dei fatti, dei ruoli e delle tempistiche che fanno la storia e la scrivono con l’intelligenza.. se smentendosi e demolendosi a chiunque non osate persino porvi più al centro di quelle circostanze che l’hanno provocata questa carneficina, che l’hanno prodotta, cercata nei millesimali e in un’esito senza scampo, in quell’immane scempio senza equivoco.. e in quell’ incastro di aspetti irrazionali, che sono purtroppo stati pure logistici, geometrici e incontrovertibili.
Col casino insomma, servito nello stacco pubblicitario di un primo piano abbagliato, estraniato ma partecipato, concentrato verso quei momenti di tregua quando creava suspense, scanditi sui tempi morti fra i combattimenti che sconvolsero per sempre l’esistenza degli europei e nel teatro di battaglia di un regista: Steven Spielberg che voleva riempire di gloria epica, mandando a spasso in Normandia un drappello di coglioni improbabili nell’idea infelice che gli costò qualche riconoscimento in più, ma che sicuramente, debitamente, preventivamente aveva compreso nella parantesi di una missione onorevole, importante.. e anche allegra e spensierata di una ricerca per campi che un gruppo di imbecilli si dava per andare a caccia di un paracadutista disperso figuriamoci caduto.
Addirittura facendo spallucce, e scrivendo una storia novella che anzitutto era nelle ondate incessanti fino nell’entroterra, l’estrema sintesi di una capacità militare che si muoveva, su un territorio impervio, ostile riversando e infrangendosi sui baluardi di una tattica di logoramento, che ripiegava come un origami lo scenario pianificato e organizzato di una difesa fra domini protetti paese dopo paese, regione dopo regione, ponte dopo ponte, tale da ridurre, costringere, bloccare l’avanzata di questi poveracci a delle logiche di una sacca di resistenza, fatta di strategie simmetriche che li trucidavano ad imbuto e li scaraventavano come ramoscelli in aria, come dei manichini della pietà sfracellati nel crash test, schiacciati e sopraffatti respingendoli contro quei capolavori di morte che li hanno drasticamente spazzati via dalle coste alle campagne di siepi, e che sono stati i veri simboli di questo (vecchio) continente, alla maniera recalcitrante di un’attacco che ha mandato allo sbaraglio, al tappeto migliaia di sprovveduti convinti di vivere su quel filo o sul rasoio di un pericolo e che già erano in bilico sul confine sospeso a metà fra le rassicurazioni e le ambizioni di entrambe le fazioni: compattate nella dottrina di generazioni intere votate allo sfondamento, motivate nello sfiancamento, o durante un assedio barricate in unno sbarramento, ricondizionate nell’alleggerimento dagli scrupoli che li mobilitò in una mentalità suicida, ottusa priva di dubbi, che li contrapponeva nella supremazia, nella superiorità aerea, o nella lucida e micidiale piega di un esercito senza rivali; in un conflitto che lavò le sue colpe in quel realismo bellico che tutti gli spettri della prima guerra mondiale aveva abbracciato e che assomigliava sempre di più alla visione apocalittica, allucinante, lungimirante di un limite quanto più accanito e brutale esistesse già per farne lo sproposito di chi l’ha vissuto come quella pagina indelebile e secretata da decenni di ricostruzioni e testimonianze reticenti, attraverso quegli scampati e quei soldati e gerarchi e cani totalitari che ritornarono dalla Normandia sulle loro gambe per balbettare ai mammalucchi di oggi: la loro tempra e la volta in cui la volontà non si arrese alla paura, nonostante il panico e la piscia gridasse fiotti di vigliaccheria al posto loro, laggiù.. nemmeno durante l’atto di rimanere vivi, nell’iniziativa che fu presenza di spirito quando li fortificava dentro con istinti irriducibili, e li emozionava fuori.. nel cosiddetto pieno disprezzo della violenza o meglio ancora, nello sprezzo di un rischio calcolato che li vide agire nel nome dell’incoscienza e dietro una sporca dozzina di Stati Maggiori che non avevano nessuna voce in capitolo e nessuna preoccupazione di perderli a migliaia, mentre avvizzivano come quei reduci che sono imputriditi nella STASI e di ogni riscontro oggettivo che una forca di Norimberga oggi non li avrebbe risparmiati..
Nella propaganda e nella contropropaganda del dopoguerra che disseminò insinuazioni, controinformazione, disinformazione, e ogni genere di repressione da quella Francia liberata fino a quella depressa Germania federale lastricata di buone intenzioni e costipata nei meandri di una dinastia codarda, bastarda, finita in bolletta e che aveva un disperato bisogno di depredare gli asset del petrolio, dei diamanti e delle risorse minerarie nella corsa alla produzione industriale d’armamenti.. sotto la cortina di ferro e nell’anonimato d’essere per essere in grado di spargere ancora il seme della guerra, per sbrindellare ,incenerire o carbonizzare tutti i potenziali rivali di una stirpe idolatrata.. dragando le rive dai resti di quei cumuli irriconoscibili sulle spiagge di ogni sbarco che si trasformavano ieri in mangime per uccelli, cormorani, gabbiani, granchi, pesci e mosche; e che malgrado fecero i vermi, nella pigrizia della distensione con quei sopravvissuti fuori gioco e fuori dai piedi per sempre, finalmente potevano aspirare ad essere il brodo di una rilettura bollita di scena madre che Lady D seppe prontamente servire per ridare lustro a quella causa persa: nella scappatoia ricreata a misura di questi ladri, nella distrazione di voi altri, e nel dimenticatoio di quei puttani eleganti come Matt Damon che scalavano le quotazioni dello Star System di Hollywood svitando e stappando il nido del kukulo alla suddetta leggiadria nel sempre e nel dove che l’espediente glielo chiedesse; quando ha aguzzato coll’ingegno, anche un fiuto e un lato di doppiezza, subdolo e innato di fare nel male, piacere a queste troie glaciali che li usano e abusano affinando luridamente quella raffinatezza su raffinatezza che il tempo le forme manierate affilano nei coltelli dell’esperienza, dell’obbedienza in ogni fottuta (Lady D-Day) come questa che si trascina sulla passerella per sculettare e apparire a quelle millenarie troie discendenti di altre époque, come la gloria del mondo di quelle grandi baronesse altere e incontrastate che si affacciavano dai balconi dei belvederi delle tempeste di fuoco ad Amburgo, e che hanno consegnato i 2000.. idioti a dei primitivi collo smart-think di disadattati e quanto ancora restava della lucidità giovanile, sbattendogli in faccia favolette le sull’adagio de La Vita è Bella, o sui memoriali apocrifi scolpiti di targhe e raduni sulla spiaggia di Omaha, tra gli altri ossari lapidari cimiteri e campi di concentramento posti da Auschwitz findove arriva un movimento, un sentimento antisemita col contorno e il raccontino piagnucolante di un’Anna Frank sempre per risparmiarsi dall’imbarazzo di quegli spioventi termobarici che furono la mano forte e una costante, che mai balenò in un segno di vergogna, in un sussulto di verità o si mostrò alle telecamere e alle riprese in nessun lungometraggio o documento storico con le sole e crude sequenze di una decimazione, d’intraprendenza, di annientamento premeditato quanto auspicato, e istigato fu studiato a tavolino nei minimi particolari; per provocare, scivolare, orchestrare senza sosta quella spola di LCPV che per una settimana costò più morti di un olocausto avvenuto nei tempi e nei campi di sterminio di tutta Europa; un WW2 che quei volontari li ha visti morire a migliaia, sbalzati in aria come cadaveri, e magari prima li ha uccellati ϸene per delle troie insaziabili, benpensanti che non ci vedevano magari nulla di male, prima d’essere scaricati come pile per essere fatti a pezzi colle rispettive armi che successivamente magari venivano raccolte, ripulite e rifuse rottamate assieme ad ogni testimonianza divelta di una bomba volante in un’attenta linea e politica di programmazione ecologista;
Cosìcché ottennendo forti incassi nel 1998 quando veniva candidato come migliore pellicola e storia triste, questo benedetto soldato RYAN fosse in corsa per 11 nomination portando a casa un bottino insanguinato di 5 statuette, una per ogni spiaggia del Massacro in Normandia: UTAH, OMAHA, GOLD, JUNO, SWORD ..e una standing ovation al completo e a reti unificate.. mentre le altre 6 andavano a Lady D-Day, che se li aggiudicò come leggiadria e divina nella sua più grande interpretazione di cagna divorziata, ingiallita che se la sa ancora raccontare mentre s'intervistava col lutto alle porte, e s'imbrodava di brutto o s'immedesimava nella parte originale di se stessa con un anno d'anticipo lavorando e pregando che il suo fosse il più grande montaggio analogico del millennio, preconfezionando dal 1997 il polpettone di una lucciola della notte che nel nome del suo avvenire aveva fatto tutti i preparativi e i passi di una padrona, e come una Lady de Winter non da sola ma nell'impeccabile reputazione che aveva guadagnato, esibito, sceneggiato, girato e smorfiosamente immortalato adesso ne emanava in tutte le sfumature il finale di una bambinaia con le vampate, che aveva già nel momento che incominciò a sbocciare il fiore.. la consapevolezza che sarebbe svanita, sfinendo nell’amore.. influenzando commissioni, banche d'investimento e fondazioni che l’hanno sostenuta e incattivita a questa marcia trionfale per farne Valkirya de la Manche e sgangherata vittima del filone sulla WW2, permettendole di vincere il premio alla miglior attrice protagonista e in anteprima mondiale per l'Italia alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica dell'allora sbavante giuria della Biennale di Venezia quel 4 settembre.. per riscattare i 370 giorni bisestili esatti col debito di sangue che ha pagato col tributo più alto una storia travisata, rinnegata, e contorta da una stirpe completamente fuori di testa, disinibita e disinvolta anche quando veniva eletta a disgrazia dei suoi sudditi, coi suoi antenati nel primato spregevole dei suoi prosperosi giorni.
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CONDOTTA FOGNARIA… LO “SCARICO ZERO” DI MELLONE DIVENTA SCARICO VERO
CONDOTTA FOGNARIA… LO “SCARICO ZERO” DI MELLONE DIVENTA SCARICO VERO
Alla fine nel mare neretino di Torre Inserraglio insieme ai liquami finiranno le promesse di Mellone, che per prendere voti nel 2016 fantasticò di scarico zero, carri armati e altri asini volanti. La realtà invece è un’altra: la vicina Porto Cesareo chiede – legittimamente – l’attivazione del depuratore e l’allaccio alla rete fognaria. Un intervento che avrebbe una logica e inevitabile…
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ROYAL LOVE - Lauren Taylor, RECENSIONE
Titolo : ROYAL LOVE Autore : Lauren Taylor il dimagrimento che hai sempre sognato
SCOPRILO ORA!!
Recensione
ROYAL LOVE – Lauren Taylor Ciao bellezze! Oggi vi parlo di Royal Love di Lauren Taylor, self romance contemporaneo uscito il 2 marzo. Il romanzo racconta la storia tra Charlotte,principessina del regno di Rosefield, e Thomas ,sua guardia del corpo. Ragazze mi dispiace tanto doverlo fare,ma mi vedo costretta a stroncare assolutamente questo libro! Parto dicendo che l’unica cosa che ho apprezzato di Royal Love è lo stile di Lauren Taylor perché è abbastanza fluido e corretto,peccato che i pregi si fermino lì. Royal Love ha sicuramente una trama sentita e risentita,ma il vero problema è che sembra la stessa della una serie tv the Royals. Lauren,va bene trarre ispirazione,però qui il “plagio” è palese! Inoltre ogni parte saliente del racconto non è ben sviluppata,mentre altre parti superflue sono prolisse. Per farvi un esempio,la storia d’amore tra i due protagonisti nasce così dal nulla senza nessun vero gioco di sguardi,senza quelle situazioni da batticuore,tutto è molto insipido. Le scene passionali sono pressoché assenti,ma anche quando Charlotte e Thomas sono insieme non si avverte la tensione e la chimica caratteristiche di un romance. Charlotte e Thomas stessi non sono protagonisti ben caratterizzati e,a mio avviso,meritavano più spessore. Altro punto a sfavore del libro sono le mille inesattezze: riguardo al protocollo reale potrei chiudere un occhio,ma non posso soprassedere sul fatto che il protagonista ventenne,dopo vari addestramenti,lavori da anni per la casata reale. E a che età sarebbe entrato nelle varie accademie?! E’ assolutamente surreale! Va bene,stiamo leggendo una storia “inventata”,ma non significa che debbano esserci asini volanti! Bellezze,io sono un’appassionata di serie o romanzi sui reali, ne ho lette a decine,perciò per la prima volta mi sento di sconsigliarvi un romanzo come Royal Love. Lauren,non me ne volere, ma il libro non mi è piaciuto e nemmeno il fatto che sembrasse tratto dalla serie tv. Readers,fatemi sapere cosa ne pensate,vi lascio con una citazione del libro: SCOPRI IL NOSTRO TEAM Vuoi ricevere in anteprima le nostre uscite ?
Trama
ROYAL LOVE – Lauren Taylor Charlotte Eloise Alice Philips è terza in linea di successione al trono di Rosefield. Spensierata e poco attenta all’etichetta di corte, compiuti i diciotto anni dovrà fare i conti con le responsabilità che essere una reale comporta; ma, soprattutto, il matrimonio combinato con Damien, duca di Louchster, si avvicina. Nonostante Charlotte e Damien siano contrari al matrimonio, di comune accordo hanno deciso di reggere la farsa con la promessa, una volta sposati, di soprassedere sulle relazioni extraconiugali l’uno dell’altra. Tuttavia, durante un’intervista televisiva, iniziano a correre voci su una possibile relazione fra Charlotte e il suo bodyguard, Thomas. Così, per placare le acque, suo padre, Re Richard III, la obbliga a mostrarsi di più in pubblico con Damien e le vieta di dar confidenza al suo bodyguard. Eppure, più Charlotte prova a stargli lontano, più sembra difficile: Thomas è l’unico che sa starle accanto nei momenti di panico. Ha inizio così una lotta tra responsabilità di corte e sentimenti confusi che porterà Charlotte a dover scegliere tra l’obbedienza verso suo padre o la libertà di essere se stessa. ROYAL LOVE – Lauren Taylor Buona lettura, eleonora. Se ti è piaciuta questa recensione ti consiglio di acquistare questo libro direttamente su Amazon Cliccando qui Ringraziamo di cuore a tutti quelli che continueranno a sostenerci seguendoci e per chi farà una piccola donazione! Grazie di cuore! SERVIZI ONLINE PER IL TUO LIBRO Vuoi ricevere in anteprima le nostre uscite ? Vuoi ricevere in anteprima le nostre uscite ?
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Long Digital Playing è ON LINE. Dal 7 luglio Dopo la recente acquisizione dell’intero catalogo discografico di C7 ART& MUSIC, finalmente anche “Il Cavaliere degli Asini Volanti” di Luca Bonaffini, “Anima popolare” di Flavio Oreglio, “High’n’low” di Gruppo PNP e “Gesù il Senso” di Renato Bottura sono scaricabili dalle piattaforme digitali più diffuse (Spotify, iTunes ecc).
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Vota Con il suo recente Il cavaliere degli asini volanti, scritto a quattro mani col compositore Roberto Padovan, il cantautore mantovano esplora la tradizione orientale con un gusto moderno Intellettualistico? Proprio no, sebbene le ispirazioni alte proprio non manchino. Anzi, ispirazioni alte ed esotiche, visto che il filo conduttore del nuovo discorso musicale di Luca […]
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e niente. è finita per sempre. ho solo creduto agli asini volanti per mesi. cosa vuoi che sia.
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ANCONA – E’ in fase di montaggio la prima video-track tratta da “Il cavaliere degli asini volanti” di Luca Bonaffini. Prodotta da Long Digital Playing con la supervisione del cantautore mantovano, la regia è stata affidata al giovanissimo Giacomo Bottarelli e protagonista è il rapper emergente (chiamarlo rapper è un po’ riduttivo) Frankie Bröni, scelto da Bonaffini e da Bottarelli come attore principale. L’uscita del videoclip è fissata per il 21 giugno, in occasione del solstizio d’estate.
Ma facciamo un passo indietro: dal 2007 a oggi, sono trascorsi oltre dieci anni e Luca Bonaffini, cantautore dalla penna eclettica, è tornato con un album di inediti. Dopo essersi riprodotto e riproposto con singoli sparsi qua e là, raccolte e antologie, tributi a Bertoli, romanzi, autobiografie e regie teatrali, finalmente l’artista mantovano si è ripreso un piccolo spazio all’interno del mercato musicale (e discografico) italiano.
Con “Il cavaliere degli asini volanti”, Bonaffini prende letteralmente il volo verso nuove mete, sperimentandosi in testi intrisi di romanticismo e di estetica letteraria (ricordiamo che oltre ad essere un musicista Bonaffini è scrittore e autore di testi teatrali), bene accoppiati con musiche geniali, composte da Roberto Padovan – anche co-produttore e arrangiatore dell’album.
Il concept non è semplice e immediato, ma molto ricco di emozioni. È un percorso a due binari (il primo terreno, il secondo mistico) che attraversa il Pianeta Terra per traghettare l’Uomo – prigioniero delle umane, appunto, fragilità – verso l’Universo. Amore e bellezza sono alcuni degli argomenti trattati nel breve ma intenso viaggio redatto dal Bonaffini dreamwriter formato CD.
“La fonte di ispirazione- chiarisce Luca Bonaffini- è stato un vecchio cd che avevo in archivio, di musica reiki scritta da Padovan. Inizialmente temevo un po’ troppo l’associazione alla new age e ai viaggi onirici di Franco Battiato (magari…!). Poi, lungo la strada, ho scoperto che stava nascendo una vera e propria canzone per ogni Chakra, senza citare mai esplicitamente alcuna disciplina. Insomma, alla fine è nato un album di canzoni pure e semplici fatte di bio-suoni e di tanto sentimento.
Il Cuore, come cita “Il frutice e la grande fionda”, in lingua giapponese è “il mio cuore (watashi no kokoro)”. Spunta lo spettro della distruzione delle guerre, dietro “la grande onda di Kanagawa” di Hokusai e la capacità visionaria, quasi a tinte Fantasy, di chi si sente un asino volante. Un asino – ribadisce Luca – non un cavaliere. Il cavaliere non sono io, non siamo noi a dover salvare gli asinelli: saranno loro a portarci verso la salvezza, la felicità“.
Sette tracce forti e intense per “Il cavaliere degli asini volanti” che, tra elettro-pop d’autore e influenze etno-age, ci racconta il nostro tempo in essere e a venire e la sacralità dei nostri valori fondamentali di sempre.
Collaboratore storico del cantautore emiliano, dal 1983 al 2002 Luca Bonaffini è stato frequentatore di “casa Bertoli”, trasformandosi da “allievo e fan” a collaboratore principale. Una lunga strada fatta di incontri, sorprese e canzoni che ha visto il giovane Luca diventare autore, compositore, chitarrista e vocalist di Bertoli, nel giro di pochi fondamentali dischi.
Negli anni del boom televisivo di Pierangelo, Luca c’era: c’era con “Chiama piano” (che Bertoli cantò con Concato) fino alla sera del Festival di Sanremo 1991, nella quale Bertoli interpretò insieme ai Tazenda il brano “Spunta la luna dal monte” che decretò il successo discografico e live dell’artista di Sassuolo, facendolo diventare simbolo televisivo-musicale delle minoranze e della cosiddetat canzone civile.
Su Wikipedia troviamo queste informazioni, ma in realtà gli album da lui realizzati sono tredici, i libri tre, oltre dieci spettacoli di teatro canzone e, tra produzioni artistiche e collaborazioni autorali/partecipazioni, si contano circa una cinquantina di album. https://it.wikipedia.org/wiki/Luca_Bonaffini
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Le piccole pietre millenarie, gli asini volanti e Vonnegut mi danno da pensare... // #arbosandme #valdicciola #populonia #littlestones #sand #kurtvonnegut #mattatoion5 #arbos #quaderno #flyingdonkey
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Dio è morto e gli asini non volano. Satira sull'esistenza di Iannozzi Giuseppe
Dio è morto e gli asini non volano. Satira sull’esistenza di Iannozzi Giuseppe
Dio è morto e gli asini non volano
di Iannozzi Giuseppe
- Chi era Gesù?
- Uno che aveva delle visioni.
- Come mai ce l’aveva?
- Perché a quel tempi Freud non era ancora nato e neanche Nietzsche.
- E chi sarebbe mai questo tizio con il nome simile a uno starnuto?
- Uno che, dopo che Gesù era morto da diverse centinaia di anni sulla croce, ebbe la genialità di dichiarare al mondo intero che “Dio è…
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#asini#asini volanti#Dio è morto#filosofia#Freud#Gesù è morto#Iannozzi Giuseppe#Nietzsche#pazzia#religione#settimo cielo
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ISIS analizza i disegni di un bambino e lo leva ai genitori Spesso la giustizia dei servizi sociali è qualcosa che travalica la semplice osservazione e va più nel profondo, andando a cercare indizi dove non sembra che ce ne siano.
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Dio è morto e gli asini non volano. Satira sull’esistenza di Iannozzi Giuseppe Dio è morto e gli asini non volano di Iannozzi Giuseppe - Chi era Gesù? - Uno che aveva delle visioni.
#asini#asini volanti#Dio è morto#filosofia#Freud#Gesù è morto#Iannozzi Giuseppe#Nietzsche#pazzia#religione#settimo cielo
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