#Aldo Dalla Vecchia
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iannozzigiuseppe · 1 year ago
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Aldo Dalla Vecchia ne racconta la storia e il percorso dalle origini a oggi: L’occhio magico. Breve storia della televisione italiana
Aldo Dalla Vecchia ne racconta la storia e il percorso dalle origini a oggi ALDO DALLA VECCHIA L’occhio magico. Breve storia della televisione italiana Prefazione di Massimo Scaglioni Graphe.it Edizioni >La televisione italiana compie 70 primavere, ed è ancora al centro delle nostre vite, anzi sempre di più, fra lineare e digitale, generaliste e piattaforme, free e on demand. L’occhio…
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arcobalengo · 2 years ago
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A Corrado Simioni? Quello di Hyperion? Quello legato alle Brigate rosse di Moretti? Quello legato alla Cia? «Sì, una fidejussione per Hyperion, la scuola di lingue internazionali a Parigi di cui Simioni era tra i fondatori. Ed era anche grande amico di Mario Moretti. L’Hyperion fu al centro delle attenzioni e manipolazioni da parte dei servizi segreti statunitensi e dei loro alleati, come il Mossad, e le indagini svolte dal dottor Pietro Calogero della Procura di Roma, come lui stesso ha riferito a novembre 2015 alla Commissione parlamentare sul caso Moro, nonostante gli ostacoli posti dal Sisde, accertarono che la sede distaccata dell’Istituto a Rouen in Normandia in realtà era una sede periferica della Cia. Ilardo riferì anche dei rapporti con le Brigate Rosse di Torino, grazie all’intermediazione di un magistrato torinese, Luigi Moschella, che era stato nel 1978 pubblico ministero nel primo processo contro le Br, quello che segnò la fine della vecchia leadership Br e l’avvio della strategia dell’annientamento di Mario Moretti. Magistrato che era amico e in affari non leciti con tale Germano la Chioma, uno dei componenti la banda di Tony Chichiarelli che il 24 marzo 1984 mise a segno la famosa rapina da 35 miliardi di lire alla Brink’s Securmark di Roma. Lo stesso Moschella cercherà di riciclare parte dei titoli trafugati»
. Torniamo al puzzle e ai riferimenti oltreoceano… «Il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro o l’omicidio del Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980) non furono altro che delle tappe. Come altri avvenimenti simili, a partire dalla strage di piazza Fontana del dicembre 1969, fino alla strage della stazione di Bologna (2 agosto 1980). Tappe di una prima fase di un piano più sofisticato, teso a quei tempi a far sì che la Democrazia cristiana svolgesse in Italia un ruolo di governo, al fine di contrastare la forte opposizione comunista e socialista e la presenza del Vaticano, con la sua notevole influenza politica, al solo scopo di attuare scelte politiche, economiche e sociali più utili alla politica statunitense e anche per garantire la sicurezza delle tante basi militari Usa presenti in Italia».
Strategia che poi proseguì con un maggior coinvolgimento della criminalità organizzata di stampo mafioso… «I nuovi apparati militari e terroristici. Questo grazie al coinvolgimento della massoneria e dei servizi segreti. Con loro si sono raggiunte forme terroristiche incisive e cruente. Basti pensare alla strage del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e della scorta, il 23 maggio 1992. O a quella del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta, il 19 luglio 1992. O agli attentati stragisti del 1993-1994 a Firenze, Milano e Roma. Tutto ciò all’indomani dell’omicidio di Salvo Lima, uomo forte della Dc siciliana e terminale politico di Giulio Andreotti. Tutto nell’evidente opzione di sostituire il vecchio con un nuovo contenitore politico, come già prefigurato nel “Piano di Rinascita democratica” di Licio Gelli, capo del P2. E agente americano».
Franco Fracassi - The Italy Project
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lamilanomagazine · 7 months ago
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Bari: presentato un modello innovativo di valorizzazione del patrimonio culturale
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Bari: presentato un modello innovativo di valorizzazione del patrimonio culturale. È stato presentato nella sala giunta di Palazzo di Città, alla presenza dell'assessora comunale alle Culture e al Turismo, il progetto iBari, realizzato da un consorzio di imprese composto dalla capofila THESIS S.r.l., dalla spin off dell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro D.A.BI.MUS. S.r.l. e da Quorum Italia S.r.l., con il supporto scientifico dal Dipartimento di Ricerca e Innovazione Umanistica di UNIBA, in riscontro al fabbisogno di modelli innovativi di valorizzazione culturale e turistica del patrimonio culturale della città di Bari, manifestato dal Comune di Bari nell'ambito del bando regionale Innolabs a valere su fondi FESR. A illustrare il progetto il prof. Nicola Barbuti, legale rappresentante della D.A.BI.MUS. S.r.l., che ha spiegato come obiettivo dell'iniziativa sia quello di valorizzare il patrimonio culturale della città non solo dal punto di vista emozionale, ma anche dal punto di vista informativo, educativo e conoscitivo. A tal fine, è stato elaborato un modello innovativo di creatività digitale in grado di restituire all'esperienza della comunità monumenti e luoghi culturalmente simbolo della città, rigenerati nelle loro architetture originali in dimensione digitale. Quali evidenze particolarmente significative della storia recente, sono stati presi in considerazione due monumenti non convenzionalmente valorizzati nella loro dimensione di beni culturali: il Teatro Petruzzelli, costruito nei primissimi anni del '900 e da oltre un secolo uno dei teatri più prestigiosi al mondo, rigenerato in una suggestiva ed emozionante realtà immersiva fin nei minimi dettagli architettonici così come si presentava al momento dell'inaugurazione nei primi anni del Novecento; l'ex Mercato del pesce in piazza del Ferrarese, edificato ai margini della città vecchia nella tarda seconda metà dell'800, rigenerato nelle tre principali fasi del suo ciclo di vita in un'innovativa realtà mista fruibile on site e in movimento tramite un app scaricabile su dispositivi mobili. Le due esperienze sono state realizzate con grande accuratezza utilizzando fonti storiche originali: planimetrie, fotografie, cartoline, libri, documenti, incisioni, locandine e altri reperti, che sono state digitalizzati presso i laboratori delle imprese per creare le soluzioni interattive. Il Petruzzelli è stato ricostruito in realtà virtuale immersiva fruibile tramite visore a puntamento oculare e offre all'utente un'interazione che genera un impatto di notevole suggestione emozionale, in quanto si possono apprezzare pienamente i pregi architettonici e artistici del monumento, distrutti dall'incendio del 1991, quali gli affreschi della cupola, i tendoni dei sipari di apertura e di intervallo, gli ornamenti in legno e foglia oro che arredavano i palchi, in un gioco di luci e colori perfettamente ricostruiti per restituire le intense sensazioni emotive vissute dagli spettatori oltre cento anni fa entrando nel teatro per la prima volta. Negli ambienti è possibile integrare layer aggiuntivi con cui l'utente può interagire. Questa soluzione, che sarà disponibile al pubblico nelle prossime settimane, necessita di un punto di accesso dotato di hardware. L'app sviluppata per l'ex Mercato del pesce, disponibile sugli store digitali, offre agli utenti la possibilità di interagire con l'immobile nelle tre principali e diverse fasi edilizie che l'hanno profondamente modificato tra la fine dell'800 e i primi anni del '900, ricostruite in una dimensione digitale vivibile on site in prossimità dell'edificio e popolata da personaggi caratteristici integrati con tecnica particle system, alcuni dei quali animati tramite soluzioni audio-video che contengono narrazioni in vernacolo barese. "Siamo di fronte a due esperienze che non hanno semplicemente un valore in chiave turistica, ma anche "educational" - ha spiegato Nicola Barbuti -, in quanto i monumenti ricostruiti sono di fatto accessi tramite cui turisti e cittadini hanno la possibilità di entrare in contatto e conoscere le identità che definiscono la storia della nostra città, anche negli aspetti culturali altrimenti intangibili. Entrambe le installazioni sono incrementali e possono perciò essere ulteriormente popolate di contenuti anche attraverso il contributo partecipativo degli utenti e su richiesta di soggetti terzi. Ringraziamo il Comune di Bari per averci dato questa possibilità e aver contribuito alla realizzazione del progetto. Siamo convinti che i modelli di rigenerazione digitale creati possono diventare i nuclei primigeni di ecosistemi in cui attivare nuovi approcci di accesso alla conoscenza, che siano scalabili su diverse tipologie di contesti e di beni. In prospettiva, questo approccio potrà rappresentare un promettente avvio di strategie innovative di valorizzazione e conoscenza del patrimonio culturale locale e regionale, in grado di offrire agli utenti accessi e interazioni prima impensabili".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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alemicheli76 · 1 year ago
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“La tele a Torino”, Aldo Dalla Vecchia, Buendia Books. A cura di Barbara Anderson
Signori e Signore Buonasera. Oggi la mia recensione inizia proprio così, come gli annunci sui programmi televisivi delle famosissime Signorine Buonasera, ve le ricordate? Erano sedute, i capelli acconciati perfettamente, un trucco delicato, un sorriso smagliante, sempre vestite in maniera sobria ed elegante, ci guardavano negli occhi rassicuranti, diventavano quasi parte della famiglia, io le…
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enkeynetwork · 2 years ago
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yomersapiens · 1 year ago
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2023/2024
JAHRESKARTASTROPHE
Ebbene sì, questo post che porto avanti da un decennio in aprile è diventato una mostra. Ma cosa ve lo dico a fare a voi, che questo percorso lo conoscete. I viennesi non lo conoscevano e così mi hanno dato uno spazio al cui interno ho messo tutte le storie dietro alle fototessere e, non contento, ho curato un vero e proprio evento artistico.
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Ecco la mia parete, ecco tutti i reblog.
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Ecco i dettagli di tutte le annate e perché no, nel finale ho chiesto pure al pubblico di partecipare e suggerirmi cosa fare l'anno prossimo.
Ovviamente non ero solo, perché se io faccio una cosa devo per forza trascinare le persone che stimo di più.
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C'era Francesca Centonze con una serie di profumi ispirati dagli odori delle linee della metropolitana. C'era Samt und Seide con un giacchetto pieno di volti da indossare per distrarre le videocamera con il tracciamento facciale quando ti muovi nei luoghi pubblici. C'era Aldo Giannotti con due disegni stupendi dedicati ad AKIRA, il film da cui tutto è partito. C'era Pablo con un video ripreso di nascosto mentre girava per la metro fingendosi un controllore e chiedeva i biglietti alle persone e una è pure scappata da lui. E poi c'era una nostra vecchia conoscenza, il caro Spaam con un lavoro su i curriculum che ha dovuto inviare per cambiare lavoro, dove ogni volta allegava una foto ritratto diversa e si è fatto un centinaio di foto con parrucche e baffi finti per trarre in inganno le varie aziende che alla fine, senza nemmeno cagarlo, usavano una ia per rispondere automaticamente, deumanizzandolo completamente.
Ne è uscita una mostra sul controllo, l'identità, l'andare contro le regole della società, sbeffeggiare l'autorità, insomma, da questo post è nata l'arte.
Ah, ed è pure venuta un sacco di gente.
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Ho stampato dei vinili che ho venduto e sono stato lì a raccontare il percorso a tutti gli avventori. Poi è morta la nonna, ho vinto con il manoscritto, mi sono messo a lavorare al libro, ci sono stato dietro fino al lancio a settembre e poi tutta la promozione in ottobre e insomma, sono stato così impegnato da dimenticarmi di fare la foto di quest'anno.
Cioè, l'avevo anche fatta, ma oramai era troppo tardi e la Wienerlinien mi ha mandato la stessa tessera dell'anno scorso.
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Sono stato sconfitto.
Peccato, perché la foto che volevo mettere era davvero bella. Vabbé, magari trovo un modo per fregarli nuovamente. Anche se non sono proprio sicuro di restare qua a Vienna a vivere.
Grazie a tutti per aver seguito l'evoluzione di questo post! Si invecchia e il mondo è fottuto ma ricordatevi: perseverate! Dalla perseveranza nasce tutto. È nato il mio libro, è nata questa mostra, nascerà pure qualcosa d'altro, speriamo.
Akira è un film di animazione giapponese del 1988, una pietra miliare del genere “non ci capisco un cazzo fino alla fine però è fatto strabene”. C’è sempre stata una scena che mi ha fatto morire dal ridere, questa.
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Arrestano uno della banda di teppisti, sul documento è spavaldo, in realtà davanti al poliziotto fa tutto il carino. Così quest’anno ho dovuto rinnovare l’abbonamento ai trasporti pubblici viennesi ed ero in conflitto sul farlo o meno. Poi ho letto l’opuscolo informativo e hanno inserito la possibilità di caricare la fototessera online che sarà poi stampata sul documento ufficiale senza controlli. Sì, avete capito.
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Con tanto di cerotto. I 365€ meglio spesi in vita mia. Se poi però non colgono la citazione e mi fanno scendere dalla ubahn piango.
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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La poesia lineare di Carla Bertola
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Il “Lasciatemi divertire” di Aldo Palazzeschi, cioè il giocare con le parole, lo troviamo – per fortuna – in un buon numero di poeti contemporanei. Ma perché si gioca con le parole? Si gioca con le parole, no per un semplice divertissement ma ˗ come dice Giangiacomo Amoretti ne Il gioco della poesia1 ˗ « un tentativo di rompere il continuum dell’esperienza quotidiana, dominata dalla coscienza e dal senso della realtà, per aprirlo a una verità diversa», alla traslazione del quotidiano. La sfida dei “manipolatori di parole” è con loro stessi e con il linguaggio che vorrebbero gli appartenesse con la sua piena autonomia eteronima e riproposte ascrivibili non al proprio quotidiano contraddetto dal paradosso e all’antinomia. Ma cosa vuol dire “traslare il quotidiano”? Proprio quello che stavamo dicendo, lavorare per una poesia/linguaggio/scrittura antinomica che non dica di sé, del sé poeta, ma che vada al di là di ciò che quotidianamente facciamo, in modo da postulare un continuo movimento “del fare”. In buona sostanza allontanarsi dal proprio dettato autobiografico, dalla routine di tutti i giorni che forse non interessa nemmeno al poeta stesso. Si sa che la parodia e il nonsense sono due importanti attrattori affinché in poesia emerga il “giocare con le parole”, quasi due anarcoidi, nella forma e nella sostanza, ma non per questo meno curiosi e interessanti. È una «rivoluzione della mente», se vogliamo, come dice Italo Calvino, non meno seria e sensata. E un po’ tutti i poeti, quando il clima si fa tragico ed incerto, «anche la “vecchia” poesia italiana si trasforma, facendosi in essa meno netti i confini tra senso e nonsenso, tra serio e tragicomico ridicule . Sanguineti ad esempio, soprattutto dagli anni Settanta, infila nei suoi libri, quasi uno dietro l’altro, tautogrammi, ribattimenti leporeambici, acrostici acrobatici (da qui un titolo come Acrobistico), invenzioni e scomposizioni lessicali come “versavice viceversa e dice” alla maniera del Carroll di Jabberwocky. C’è poi Antonio Porta, che nella sua famosa antologia per Feltrinelli, Poesia degli anni Settanta, celebra – come scrive lui – “l’ultrasenso del nonsenso” di Toti Scialoja, tanto da rivendicarne una certa organicità al discorso della neoavanguardia. E ancora nell’antologia portiana ritroviamo poeti della Neoavanguardia di seconda generazione ad alto contenuto nonsense come Corrado Costa, Vincenzo Spatola o Giulia Niccolai»2. Uno dei poeti contemporanei che gioca con le parole è senza dubbio Carla Bertola che è anche una eccellente poeta visiva e sonora: Berenice  Berenice bere anice non si addice Il berbero burbero bercia in berberesco ˗ mai bere barbaresco ˗ La bergère berce le berceau ˗ ma non beve solo l’eau ˗ Bere cin zio e cin zia che bere ci formi! Nel bergamasco con voi berrò. La dolce berceuse si fa   berleffe del berillo,    la berghinella     bergola assai, alla berlina non ci va mai? Berk  ber  ché?  Berlicche  lecca  chicche  viaggia  in  berlina  fino  a Berlino, spende berlinghe in berlingozzi  (che almeno s’ingozzi)  alla berlocca.                 Ber ma alle Bermude, cacciando bernacle un poco bernecche,                             berneggiando qua e là.                                          Sfoggiavo    una bernia (dopo la sbornia)    che bernoccolo sotto il berretto! Il berrettaio  ha  la  berretta  facile,  più  del  fucile.  Chi  ha  il  ber retto può bere assai                                  Il bersagliere berrovéria il bersaglieresco ben fresco, anche il bers’aglio ber sà. Ber so,  Berta  cara,  Berta  bello  è  ber  e  berteggiar, ma  attenta  che la                                 bertesca ti addesca. Bertibello, Bertino, Bertocchio, Bertolo finto tonto.       Bertone       lenone, Berto vello di bertuccia. Se    ti     tolgo dal berretto, un     beruzzo di berzemino te lo fai?       (al Bar Zemino mi troverai) (In «Risvolti», n. 1, settembre 1998, pp. 32-33) Carla Bertola vive a Torino dove è nata nel 1935. Artista visuale scrittrice performer promotrice di iniziative culturali ha partecipato a moltissime mostre internazionali. Numerose le mostre individuali così come le performances di poesia sonora e d’azione in varie città europee oltre che in Canada Messico Brasile Cuba. È stata Artist in Residence presso il Sirius Arts Centre in Irlanda nel 2010. Ha editato e diretto dal 1978, insieme ad Alberto Vitacchio, la rivista internazionale multimediale «Offerta Speciale» ed eseguito il maggior numero di performences sonore e pièces denominate  Poesiteatro. Ha pubblicato soltanto due libri di poesie lineari (almeno in Italia), I Monologhi, (SIC, 1973) e Ritrovamenti (Eureka Edizioni, 2016). I suoi libri verbovisuali libri d’artista e poesie si trovano in molti cataloghi, antologie, collezioni pubbliche e private, riviste cartacee e online («Letteratura»; «Altri Termini»; «Carte Segrete»; «Uomini e Idee»; «Anterem»; «Testuale»; «Salvo Imprevisti»; «Amenophis»; «Plages»; «D(o)cks»; «Dopodomani»; «Risvolti»; «L’Intranquille»; «Otoliths»; «Ulu-late»; «Margutte»; «Utsanga»; «Frequenze Poetiche», etc.). Una rappresentativa selezione delle sue opere è presente al Museo della Carale di Ivrea. Tra le antologie segnaliamo Poesia Totale (Mantova, 1998); A point of View Visual ʼ90 (Russia, 1998); Libri d’Artista in Italia (Torino, 1999); International Artists’ Books (Ungheria, 2000). Ma chi è veramente Carla Bertola? Ad una rivista non-rivista on line, «Margutte» (così si definiscono i responsabili, anzi, le responsabili di questa rivista: Gabriella Mongardi e Silvia Pio), così si autodefinisce: «Ho cominciato a scrivere da ragazza, senza nessun indirizzo e poche conoscenze letterarie, anche se leggevo molto già a 15 anni . Verso gli anni ’60 ho iniziato a scrivere poesie di una certa consistenza, ispirate dalle letture dei contemporanei Ungaretti, Quasimodo, Gatto. Mi rendo conto adesso che quello che mi attirava, inconsciamente era la musicalità dei loro versi, il ritmo impresso alla parola. Iniziai anche a pubblicare qualche poesia su riviste letterarie. Squarotti mi recensì dicendo che ero la miglior scrittrice su piazza, peccato che lo dicesse di tutti. Anche se non ci credevo, mi azzardai a inviare dei testi al Premio Città di Amalfi, che era presieduto da Quasimodo, ma non ricordo l’anno. Fatto sta che ebbi il terzo premio e lui morì di crepacuore. Sul finire degli anni ‘60 cominciai a scrivere testi interessanti e nel ’72 Franco Cavallo mi pubblicò un libretto I Monologhi nella collana Sic, che purtroppo ebbe breve durata. Erano anni che si leggeva molto in pubblico e io stessa organizzai delle serate di poesia e partecipai a degli incontri con altri poeti. Leggendo in pubblico ci si ascolta e ci si confronta. Si capisce anche cosa si vuole o non vuole fare. Non saprei dire esattamente come venni a conoscenza di scritture verbovisuali. Certamente con la “scoperta” del Futurismo e del Dadaismo. Per approdare alle esperienze del Gruppo ’63 e sentendo io stessa il bisogno di sperimentare nuove forme di scrittura. Non sono mai stata molto incline al sentimentalismo nella poesia. Anche nei miei testi “seri” si intravedeva una vena ironica e «un’assoluta mancanza di pietà verso me stessa» (a detta di un critico che mi criticava anche, meno male)»: La Ballata dei Saldi saldi saldi saldi saldi saldi saldi saldi saldi la tendenza è forte   ma la carne è in scatola vendita promozionale a chi va bene          a chi va male pochi soldi  saldi saldi saldi sa           tanti saldi sa saldi sa melamangio viva           melavvito al dito dietro di lei il deserto             dopo di lui il diluvio davanti a noi il disastro liquidazione totalitaria saldi oh  yes           soldiiiiissssmmmiiiiii  oh yes svendiamo sìì veniamo ci sveniamo non svenite saldiamo sa sal fuori i saldi o sparo      saldi subito spero Il mio corpo ti salderà 3x2 sei fregato  quante volte la luna ho sognato… saldi… saldi Saldano i bastimenti occassioni  ocasssioni   occasioni stracciate straccioni occasionali i sogni si avverano i saldi si azzerano prezzi pazzi pazzi siamo a pezzi prezzi fissi  siete pazzi signori e signore signore ascoltaci signore dacci la saldezza eterna Macbeth you’ll sleep no more  all is sold so sad no sales nomore Un saldo nel buio tenetevi ai soldi tenetevi saldi teniamoci i soldi saldisolsalsolsasooo si saldi chi può (in «Offerta Speciale», n. 6, novembre 1990, p. 18) Dunque, la poesia bertolana è costellata d’ironia spensieratezza allegria; tristezza malinconia aggressive invettive, che a detta della stessa Bertola sono stati i sentimenti sui quali gli editori (italiani, naturalmente) accampavano sempre qualche scusa per non pubblicarla. La poesia di Bertola si compone anche per accumulo, associazione di vocaboli, dissociazioni, allitterazioni, calembours; una fonetica del significante che viviseziona parole e segni con il ritmo e il suono che incalzano ad ogni angolo del foglio che spesso viene occupato (ma sarebbe più adatto dire invaso) in tutto il suo spazio bianco, creando la cosiddetta “parola che si vede”. E non potrebbe essere altrimenti, visto che Bertola è anche una importante poeta visuale. Potremmo dire anche ˗ forse senza essere smentiti ˗ che la poesia lineare di Carla precludeva e preclude in sé tratti di “visualità” fin troppo evidenti, e soprattutto le linee guida delle sue performances sonore. D’altronde, nella nota a Ritrovamenti, ci confida che «La mia scrittura ha iniziato un’evoluzione costante alla fine degli anni ’70 incontrando la poesia visuale e poco dopo la poesia sonora. Tuttavia, rileggendo i testi degli anni sessanta, sparsi in qualche rivista storica del periodo, ritrovo già un ritmo che doveva segnare il percorso successivo fino alle performances e alle opere visive delle attuali installazioni». Un tempo dicemmo che i suoi testi nascevano da sensazioni momentanee e/o spontanee, senza premeditazioni, da spunti spinti sul foglio alla rinfusa, figli del caos. Ma ben altra è la struttura del suo linguaggio. C’è da ribadire ancora una volta che il ritmo e il suono dei fonemi, spesso squamati come si squama una spigola da indesiderate anossie siderali, sono i cardini del suo discorso poetico, più ˗ forse ˗ della voglia di dire o di fare, che pur “dicono” e “fanno” questi versi. Docile e allo stesso tempo sorniona, Carla Bertola, con gli strumenti della consapevolezza e dell’esperienza, ci conduce nel suo mondo, quasi in punta di piedi, dove ogni cosa viene sostituita dal magma della concretezza, dove ogni azione è fecondata da un’azione più prepotente, sia pure per accumulo di parole frante e scorporate da un io lirico e melense di tanta poesia in circolazione («… Salina Lina sa cosa? / Sa lino e seta e lana e / Salì nella Salicornia e Saliva la Saliva / Sali scendi Salimetro salì metrò / Salmi per una Salma Salmastro per un Salmì / Salmodìa sal mi dia il sal m’odia / Sal modico o poco prezzo…3). Quindi si riscontrano tracce di nonsense («Sa lato per lato per / Salpa salpinge…»), di limerichs, d’irrisione pungente («S’Alice nel Salicento sogna l’aceto…») che Bertola propone (anche se a volte cautamente) come modo, se non l’unico, per uscire dall’impasse, dallo spaesamento che attraversa la nostra letteratura. Di qui il senso fisico di vivere dentro le cose, dentro l’azione del corpo, lo spazio tra una parola e l’altra (a volte quasi “siderale”) come una pulsione struggente che diviene fattore di un tempo di rottura di armonie incantevoli e ipnotiche che rifiuta ogni sistema di certezza di un mondo blatero, col rischio di farsi alleata di una catarsi: Un foglio biancofa paura ha un futuroimprevedibile strappare non servepotrebbe servire meglio   scritto se poi è stampatopubblicato tuttoè concesso come un matrimonio   l’incertezza è logorante crudelmentedisumana specie per quelliche restano purtroppo non tutti   capiscono certe creature se unonon le aiuta persino gli insettinon si lasciano in agoniaho visitato tantibar trattorie affini frequentato   chiese ospedali grandimagazzini la solitudineha sempre un odorequalche volta puzza raramenteprofuma le case nuovesono tristi perché non mancaniente eccetto la polvere ciò le rendedisadatte all’amore (Da Ritrovamenti, Eureka Edizioni, 2016, p. 14) I versi di Carla vivono di una verve spinta e convinta, di un hazard in consapevole controllo: le parole si accostano a vicenda, si sezionano, si scrutano e si spezzano in modo elegante, senza subire violenza, quasi pacificamente, in enjambement fedeli al richiamo di un’analisi ulteriore proveniente dalla conoscenza del poeta. Il che da un lato porta a un automatismo che gira attorno all’enigma, dall’altro ad una parechesi e al divertissement, demistificando la parola nell’uso e nel modo che le sono più congeniali: accoppiandola ˗ è proprio il caso di dire ˗ con segni pieni di virilità di quel suono-ritmo di cui abbiamo già detto. Insomma, la sua praxis poetica, tra anafore e bisticci di parole, pur restando tutto sommato ancorata al formale, nonché agli estremi di un gioco ludico, in realtà possiede gli strumenti per rimettersi alla funzionalità del Testo. Inoltre, nei versi della Bertola non soltanto l’ironia e l’autoironia sono assicurate, ma anche un andamento scanzonato che sprizza come quando apriamo una lattina di coca cola agitata, per scardinare le coordinate, le consonanze col senso comune, partorendo alla luce del sole quei segni nascosti e immagini “nuove” indispensabili per imbastire un ricamo di vita diversa, al di fuori degli ambienti minimali e ipnotici dei significanti corrotti e usurati, scontati, che l’incomunicabilità del postmoderno4 custodisce gelosamente come un segreto che non gli appartiene, e che solo il poeta che azzarda riesce a vedere e a denunciare. ____________________ 1  In «Redaction Magazine», 31 dicembre 2020. 2  Andrea Afribo, Tracce di nonsense nella poesia del Novecento, in «treccani.it magazine», 25 giugno 2008. 3  C. Bertola, Il sale e i suoi derivati, in «Offerta Speciale», n. 5, maggio 1990, pp. 31-32. 4  Secondo Jean Baudrillard (La società dei consumi, Il Mulino), in un mondo frammentario e senza legami, di pura rappresentazione, i modelli finiscono con il sostituire le cose, e il soggetto è spinto ad abbandonare la propria condizione di individuo, declinando le proprie scelte personali, per ridursi a personaggio all’interno del discorso autoreferenziale attraverso cui la società mostra e produce se stessa; un mondo di feticci e simulacri, in cui non c’è alcuna distinzione tra significante e significato, in cui il segno è già di per sé ipersignificativo, è già messaggio. È il famoso capitale “giunto a un tale livello di accumulazione da diventare immagine” (Guy Debord, La società dello spettacolo, Massari editore) (Emiliano Zappalà, Postmoderno e Postmodernità: vivere la nostra epoca, in «sulromanzo.it», 31 agosto 2012).   Read the full article
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stilouniverse · 2 years ago
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Aldo Dalla Vecchia "Diabolik dietro la maschera. Indagini sul Re del Terrore", Graphe.it Edizioni
Aldo Dalla Vecchia “Diabolik dietro la maschera. Indagini sul Re del Terrore”, Graphe.it Edizioni
Prefazione di Gabriele Acerbo Pagine 108, prezzo 9 euro, Graphe.it Edizioni Il fascino di Diabolik, spietato nel crimine quanto abile nella fuga, ha colpito nel tempo migliaia di lettori. L’aura sfuggente del Re del Terrore non offusca però la nitidezza di questo dettagliatissimo saggio: del celebre antieroe mascherato ci verrà svelata ogni cosa, dalla storia della cravatta di Ginko ai curiosi…
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sciatu · 4 years ago
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Focaccia messinese: alla norma, capricciosa, con funghi tradizionale con patate e pancetta, con cipolla
Mimì e Gegè e la focaccia alle cipolle
“Gegè devi dormire!!” Si disse per l’ennesima volta girandosi nel letto che a forza del suo inquieto muoversi prima da un lato poi dall’altro era uno sfacelo con coperte e lenzuola ormai per conto loro. Il fatto era che aveva litigato con Mimì e quando questo accadeva, gli veniva una raggia (rabbia) che per un giorno aveva nu scattu di nebbi che avrebbe preso il mondo e lo avrebbe buttato all’aria. Con la mente ritornò all’inizio della tragedia, quando erano entrati nella rosticceria del loro amico Geraldo. Una volta arrivati la moglie di Geraldo non era alla cassa per accompagnarli al tavolo come amichevolmente faceva di solito. Seduta alla cassa c’era la suocera di Aldo, una signora ancora con l’aria giovanile, con un enorme decolté dove un delfino tatuato nel seno sinistro saltava in una minna enorme che, con la gemella, si allargavano abbronzate, profumate e vogliose per la gioia degli occhi dei clienti del locale. La signora, con la sua chioma ossigenata, era tutta cunsata (vestita elegante), con un vestito turchese ed era avvolta in una nube di Paciulli tanto forte che stordiva.  Per completare il quadro aveva gli occhi pittati (colorati) con un ombretto dello stesso colore turchese del vestito, cosa che a Gegè ricordò subito il trucco delle donnine nude che da sole o a coppie si offrivano sulle copertine dei film porno danesi degli anni settanta. La signora si alzò e li accompagnò al tavolo ancheggiando con il culo enorme quanto il seno e ormai informe ma proprio per questo volgarmente provocante. Mostrava inoltre, a causa della gonna che arrivava a metà coscia, due gambe scolpite dalla cellulite ma messe in bella evidenza senza vergogna alla “mangiami-mangiami” Gegè  era entrato immediatamente Nella modalità “Studdutu di sticchiu”, nel senso che si era dimenticato dove era e con chi era e seguiva quel culo come il gregge segue il culo del pastore. Arrivati al tavolo si era perso nel seguire il delfino tatuato saltargli davanti mentre la signora allisciava la tovaglia per liberarla da pieghe invisibili facendogli dondolare sotto gli occhi quel seno floscio ma abbondante, disponibile e voglioso. Infine seguì con interesse l’ammasso di gelatina del sedere allontanarsi mentre ballonzolava ad ogni passo degli zamponi depilati della signora. Tutto questo Gegè osservava senza accorgersi di come Mimi lo stesse a sua volta pietosamente guardando stupita e delusa, e, cosa peggiore, incazzatissima. Gegè si voltò nel letto perché a questo punto viene la parte peggiore della serata: arriva il cameriere! Un essere strano e lungo-lungo, che tutto gentile incominciò a chiedere a Mimì cosa volesse mangiare e lei ripeté quello che da sempre aveva preso da Geraldo: un arancino, duecento grammi di focaccia tradizionale, duecento di Norma e duecento con le patate e per finire uno sfincione di riso ricoperto di zucchero. Insomma, il minimo per sopravvivere e di ben inferiore a quello che Gegè avrebbe ordinato. Ora, quell’anima longa del cameriere incominciò a dire che la focaccia con le patate non c’era! Doveva scegliere tra quella alle cipolle o quella con i funghi. I due incominciarono a discutere su quale fosse la più buona. Ogni tanto il cameriere guardava Gegè di sfuggita, forse solo per tenerlo buono, gli faceva un sorrisino da pigghiata pu cucu (presa in giro) e tornava a parlare fitto fitto con Mimì. Poiché negli altri vediamo sempre i nostri difetti, Gegè incominciò a pensare che il cameriere dava corda a parlare a Mimì per poter vedere dall’alto la sua scollatura che era cosa che faceva resuscitare i morti. Al pensiero degli occhi lascivi di lui sulla morbida e soffice pelle di Mimì, il sangue gli incominciò a pulsare nelle tempie. Per cui incominciò a guadarlo di traverso, come pure guardava la moglie mezzo incazzato per il suo smuffuniari cu da cosa longa e ‘nutili. Si incazzò ancora di più quando il cameriere se ne andò e lei lo osservò andar via guardandogli il culo. “Chi ti vaddi?” chiese con uno scatto di nervi. Lei lo guardò stupita e seccata rispose “Picchì? Jo non pozzu vaddari?” Gegè capì dal tono e da come lei aveva pronunciato “Jo” che stava per cadere in un precipizio e, malgrado ne avesse coscienza, sentandosi nel giusto come tutti i ladri che hanno appena rubato, ci si buttò senza esitare. “Ma comi? Se sei cu mia ti metti a vaddari l’autri?” “Ma tu lo sai chi è quello?” “Chi minni futti cu jè e cu nun è: se ci sono io, a me devi guardare” “Ma se tu hai lasciato una scia di bava dietro il culo della suocera di Aldo ora mi vieni a fare la predica” “Non cambiare discorso…” “E poi quello lo sai chi è ? - Gegè stava per rispondere ma ormai Mimì era scatenata - Quello è Tonino u Sciantusu, u zitu di Cammelu “gnagnà”” La visione di Cammelu detto Gnagnà per evidenziare le sue movenze molli e la sua parlata strascicata e femminina (che accentuava quando a Carnevale si vestiva da damina veneziana del ‘600), gli apparve di fronte con effetti devastanti “Il fidanzato di Cammelu…?” “Si u zitu u zitu! Jo non m’aviria a preoccupari picchi a vecchia ci vaddi u culu e non ti accorgi che u Sciantusu buttava l’occhio tra le tue gambe a prendere le misure: non hai visto come si nagava (ancheggiava) per richiamare la tua attenzione? “ “A me attenzione? Ma chi minni futti ammia du Sciantusu” “E da soggira di Aldo tinni futti o no?” “Ma figurati si pensu a da vecchia….” “Eh si intantu i minni ci vaddavi a di sacchi i  bettula vacanti chi ti pinnuliavanu davanti (sacche  flosce, di bettola che ti pendevano davanti)” E per sottolineare il concetto fece dondolare mollemente davanti a lui la mano chiusa punta “Ma chi dici….” Ma ormai l’ira di Mimì era un crescendo inarrestabile di critiche e lamentele. Alla fine , mangiato l’arancino, lui chiese di mettere tutto in una scatola portavivande e di andarsene a casa a finire il pranzo. Fu peggio. Se da Geraldo lei si lamentava di lui sottovoce, in macchina gridava e a casa urlava. Alla fine disgustata, dopo aver sbattuto tutte le porte di casa, Mimì se ne andò a letto dove, dopo qualche ora, con la speranza che lei dormisse, andò anche lui, senza però riuscire a prendere sonno. Raccontato il triste antefatto torniamo in tempo reale con Gegè che si gira e rigira nel letto passando dal sonno alla veglia con randomica continuità. Stava sognando che era su una spiaggia colore della pelle delle minne monchie (molli) della vecchia suocera, con le onde del mare colore del vestito da vecchia jarrusa (buttana). Le onde andavano e venivano con lui che pancia all’aria cercava di sciogliere il proprio io nel mare e finalmente dormire. Invece si svegliò nuovamente. Mimì girandosi nel letto nervosamente lo aveva richiamato alla realtà. Si girò verso di lei per addormentarsi e nel buio vide che era sveglia e che lo guardava con due occhi che sembravano due stelle gemelle nella notte. Gegè penso che l’amore è solo una minchia di parola che ti rovina la vita, ma lei ci credeva, e questa sua fede, rendeva questa parola reale, vera! Lui non poteva passarci sopra e lasciare che la sua ciolla si godesse Mimì mentre gli donava il bene più grande che sentiva, per poi pensare di fottersi la prima vecchia monchia che incontrava. In amore bisogna pensare per due, trovare un punto di equilibrio e viverlo insieme. Se uno pensa solo per se, l’amore diventa una prigione da cui si vuole solo scappare. Lei lo amava forse di più di quanto lui l’amava, la prova era nel suo non riuscire a dormire, sconvolta come lui dal litigio avuto, mentre lui voleva solo dormire  per dimenticare tutto e nascondere il problema. Non poteva far finta che non era successo niente e lasciarle sprecare il suo amore. Quell’amore apparteneva anche a lui e lui doveva santificarlo come se fosse il bene più prezioso che, chi lo amava, gli affidava. Un figlio invisibile di cui lui doveva prendersi cura. Tutto questo pensò stupendosi lui stesso della lucidità e profondità che aveva avuto. Capì anche che in fondo erano questi pensieri  (che la parte più profonda del suo io distillava dentro di lui) che non lo facevano dormire frustandolo con sensi di colpa e impietose considerazioni di se stesso. Si avvicinò e mise le sue gambe tra quelle di lei che subito vi si attorcigliarono intrappolandole. Avvicinò lentamente le sue labbra a quelle di lei e la baciò “Scusami – sussurrò con un filo di voce – mi sono comportato da scemo” E la baciò ancora Sentì le sue labbra cedere mollemente come la prima volta che l’aveva baciata “Si cretinu – fece lei impietosamente - chi vaddi i vecchi e laidi quannu ci sugnu jo…..?” “È chi nui masculi ragiunamu ca minchia….” Sentì la mano di lei scendere lungo il suo corpo ed afferrare il sopradetto centro del ragionamento dei maschi “Jo ta tagghiu sta cosa sa mustri (se la mostri) a n’otra” “Farivi nu tortu sulu a tia stissa” Rispose lui pronto e prima che lei potesse rispondere le mise tutta la lingua in bocca, a sfidare la sua perché lei a stringere u micciu (lo stoppino) l’aveva fatto crescere a dismisura “Faresti solo un torto a te stessa – ripetè sorridendo -  u sai chi jè sulu toi.” Mimì sorrise e nel buio il suo sorriso apparve a Gegè la luce di una stella cadente “Videmu” e prese tra sue labbra il labbro superiore di lui succhiandolo e mordendolo e mentre lui apriva la bocca per rispondere al suo attacco, la lingua di lei ne approfittò per entrare e scendergli fino quasi in gola. Lui lasciò fare mentre la sua mano scivolava sul seno si lei e lentamente scendeva verso il cespuglio che lei aveva tra le gambe ad abbellire u pacchiu. Ma non arrivò fino a li in fondo, si mise a stringere e tirare forte i peletti , come a sfidarla. Lei accettò la sfida e mentre la sua mano destra stringeva il micciu di lui e con il pollice ne sfregava la punta per farlo crescere da XL a XXXL, con la mano manca, la mano del diavolo o del cuore, gli stringeva e rilasciava le sfericità terminali, quasi a gonfiare l’asta di cui l’altra mano violentava la parte più sensibile della punta. Il risultato fu che  lui senti defluire verso quel pezzo di carne periferico, tutto il sangue del suo corpo. Lei rimase soddisfatta e forse ingolosita dalle dimensioni e dalla durezza, o forse voleva sottolinearne la sua proprietà assoluta e quindi ne prese possesso rovesciando lui sulla schiena e salendogli sopra e facendo scomparire l’obelisco dentro il suo ventre. Incominciò a muovendosi avanti ed indietro, come una valchiria sulla sua cavalcatura celeste, schiacciando il corpo di Gegè contro il materasso con le braccia tese  appoggiate al suo petto, mentre le minne le dondolavano seguendo il suo divorare e rilasciare e nel far così, sbattevano contro la sua camicia da notte, gonfiandola e sgonfiandola nella penombra della stanza. Lui afferrò le minnone e le strinse come se fossero palloncini di plastica da far scoppiare. Mimì aumentò il ritmo alzando la testa e chiudendo gli occhi come se dentro di lei stesse crescendo qualcosa che non voleva fermare. Lui lascio la minna e fece scendere lentamente la sua mano destra sulla schiena di lei sfiorandola appena e facendole venire la pelle d’oca. Ora, tanto per non limitare il racconto ad una minimale storia pseudo erotica, devo dirti che Gegè amava immensamente la schiena di Mimì.  Di nascosto l’aveva fotografata con il telefonino dopo che lei si era fatta la doccia e si stava asciugando i capelli. Al lavoro osservava sempre quella foto con la schiena tutta nuda e le mani di Mimì tra i suoi capelli a farla risaltare nella sua sinuosa seduzione. Ogni giorno ne studiava ogni dettaglio, ingrandendola per poterne vedere ogni neo, ogni più piccola parte che sognava di poter baciare, accarezzare e leccare. I primi tempi che osservava il telefonino si era sentito un maniaco e preso da uno stupido sussulto di perbenismo, pensò di cancellare la foto, ma non vi riuscì. Quella era la sua Mimì, quella che viveva dentro i suoi desideri, non poteva vergognarsi di lei, di come le veniva la pelle d’oca quando la sfiorava scivolando con le dita dalla spalla fino a dove la schiena da piatta diventava tonda. Gegè pensò a lungo a questo suo pensiero dominante in cui la schiena di Mimì era la sua porta del piacere. Si disse infine che ormai, quando facevano l’amore, erano come due ballerini di tango che sanno a memoria i gesti e le mosse l’uno dell’altra. Così lui sapeva come portarla avanti ed indietro nella loro danza sensuale e lei lo seguiva lasciando fare, sapendo dove lui voleva arrivare e pretendendo che lui capisse cosa lei volesse senza doverglielo dire. Lo scopo della loro danza non era il godimento finale, intenso e provvisorio, ma il viversi continuamente e per sempre. I loro corpi erano solo un mezzo per poter vivere e dare sfogo a quello che dentro di loro sentivano. Come amanti, esistevano grazie all’abbraccio dei loro corpi a prova di quello delle loro anime. Era questo quello che la foto gli aveva fatto capire e per questo conservava nel telefonino la sinuosa e pallida schiena di Mimì, perché quella era l’essenza  ed il motivo di baci delicati di morsi e leccate che ognuno di loro due apprezzava dentro di se nel suo modo, ma insieme all’altro. Nel desiderare e immaginare, lui capiva e sentiva il suo amore per lei e in questo non c’era nulla di sbagliato perché alla fine tutto quello che facevano, senza limiti e per come desideravano e sognavano, non era altro che il modo di concretizzare e vivere il loro amore. Per questo la mano destra di Ģegè incominciò a scendere fino al tondo sedere e provando il piacere di immaginare di farlo con la sua lingua, come già aveva fatto e come presto avrebbe rifatto, perché Mimì sapeva rendere reali tutte le fantasie che gli nascevano dentro. Questo per lui era amarsi: godere l’uno dell’altro. Arrivato in fondo, alzò la mano e diede uno schiaffone rumoroso a quella golosa sofficità dicendole, quello che sentiva dire in simile circostanze nei tanti film porno che aveva visto e da cui aveva imparato quell’alfabeto del sesso che Mimì aveva trasformato in poesia. Così con enfasi le disse “Moviti Troia” Era il suo sogno mutuato da altre perversioni, ma non era quel tipo di gratificante degradazione che Mimì poteva condividere in quel momento, visto che lui la stava paragonando alla vecchia sucaminchie della suocera di Aldo. Mimì sembrò svegliarsi dalla salita verso l’estasi che aveva intrapreso e Gegè vide le sue minnone scendere minacciose verso di lui e la piccola mano di Mimì afferrargli i capeli e, stringendoli, piegare la sua testa a novanta gradi, quasi a staccargliela. In quella posizione scomoda vide brillare gli occhi tondi della sua caramellosa Dea-bambina e la sua piccola dolce bocca aprirsi per sillabare con veemenza “Strunzu!” Gli occhi di fuoco di Mimì lo incenerirono e poi le labbra di lei prossime a quelle di lui, lo baciarono o forse lo morsero perché nel viscidume delle lingue che lottavano per dare od avere ancor più piacere, lui sentì anche sapore di sangue. Il bacio di Mimì fu come buttare benzina su un pagliaio che già bruciava, tanto che lui incominciò a stringerla schiacciandola su quell’enorme vulcano di fuoco che lei stessa, per la sua volontà e piacere aveva creato e che ora lui le donava senza alcun risparmio. Mimì staccò le sue labbra da quelle di lui ed i suoi immensi occhi tornarono a guardarlo quasi a vederlo per la prima volta mentre la bocca restava aperta a mostrare il piacere per l’intensità con cui il suo corpo era unito a quello di lui e di come quello di lui la stesse intensamente e profondamente esplorando “Si strunzu …..” Ripetè in un sospiro addolcito dal mieloso fuoco che la divorava e tornò a baciarlo, delicatamente, pudicamente quasi fosse un bambino a cui bisognava perdonare una monelleria. Lui ne approfittò e intreccio le sue mani dietro i fianchi di lei spingendola ritmicamente avanti e indietro  contro la sua boscaglia di peli, con il suo ciollone-batacchio che suonava a festa nella campana di lei. Mimì si eresse su di lui illuminata nel buio della stanza, dalle righe di luce dei lampioni che filtravano dalle persiane. Lanciò un grido silenzioso per far uscite i raggi del sole che stava splendendo dentro di lei. Gegè la trovo bellissima e con la mano entrò tra le loro due pelurie anch’esse mischiate, bagnate e aggrovigliate, andando a cercate l’inizio delle sue labbra e il punto dove incominciava il suo  piacere. Raggiuntolo, incominciò a giocarci accarezzandolo velocemente e poi agganciandolo con un dito, lo tirò quasi a strapparglielo. Mimì si curvò su di lui con la bocca spalancata a far uscire il troppo piacere che era esploso dentro di lei. Alla fine cadde su Gegè travolta dall’intensità di quanto provava, con il respiro e il cuore che correvano per dare aria all’anima travolta del Big Ben di luce che aveva creato dentro di lei un universo di beatitudine. Gegè la strinse a se, quasi provando nel vibrare delle sue cosce, nel fuoco che era avvampato tra di esse e nel loro liquido scomporsi, lo stesso suo piacere. La danza che li aveva uniti e portati in una dimensione fatta solo dei loro corpi e delle sensazioni che provavano era improvvisamente finita. La realtà era tornata nelle righe di luce sul soffitto, nel suono di una sirena che si allontanava, nello scroscio d’acqua di qualche bagno nel condomino. Lei aprì gli occhi dopo  non si sa quanto tempo e guardandolo gli disse “Vieni” Volendolo su di se per donargli quanto lei aveva già provato “No si stanca …. Domani” Disse Gegè sentendo il suo respiro affannoso e vedendola stravolta dalla fatica e dal piacere. Lei si accuccio tra le sue braccia e lui tirò la coperta a coprirli fino alle orecchie. Bastò meno di un minuto perché Mimì sembrò addormentarsi mentre Gegè restò ad osservarla stupito di quello che avevano fatto non per la solita abitudine e senza averlo programmato, quasi per semplice istinto, per riconfermarsi che quanto era successo non aveva nessuna importanza. Poi lentamente scivolò finalmente sulla soglia del sonno e stava felicemente attraversandola quando Mimì con gli occhi chiusi disse qualcosa in un sospiro, “Ti lassai a fucaccia ca cipudda. Dumani mancittilla (mangiatela)” Allora Gegè al pensare che domani alzandosi avrebbe fatto colazione con la focaccia calda con le cipolle dolci, fu intensamente felice che Mimì esistesse e che l’amasse quanto lui non riusciva neanche a immaginare. La strinse forte e abbracciato a lei scivolò lentamente nel desiderato sonno pensando che questo per lui era l’amore: sacrificarsi per chi si ama.
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corallorosso · 4 years ago
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L’uomo nero e le stragi, personaggi come Bellini sono stati protetti da soldati invisibili nello Stato Parecchi anni fa, nel 2009, scrissi la recensione del libro di Giovanni Vignali sulla figura del terrorista Paolo Bellini. Oggi quel libro torna rivisto e aggiornato grazie alle edizioni PaperFirst ed è più attuale di allora. In questo non breve arco di tempo tante cose sono successe e di Bellini, l’amico di Nino Gioè ... sta emergendo a pieno lo spessore criminale. Soprattutto grazie alla inchiesta-rivelazione della Procura generale di Bologna che... hanno messo a fuoco quel che fino ad oggi non si sapeva (letteralmente messo a fuoco, direi, perché il nostro uomo viene riconosciuto in una vecchia foto scattata alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 subito dopo la devastante esplosione). Quel tragico giorno Bellini, già indagato a suo tempo poi prosciolto proprio per l’attentato di Bologna, non era a Rimini a casa della madre, come disse allora l’inchiesta, ma si trovava proprio lì, in quel maledetto piazzale, mentre suo padre Aldo, vecchio arnese del neofascismo, aspettava a casa Ugo Sisti, il procuratore capo della città che non ci pensò proprio a stare al suo posto, accanto ai morti e ai sopravvissuti, ma si reco in una gita relax (proprio così disse) dal suo amico Aldo per un incontro che assomiglia oggi sempre di più ad un sinistro summit di valutazione finale di qualcosa. Paolo Bellini, al tempo della prima versione del libro di Vignali, era già emerso come personaggio davvero significativo nelle vicende destabilizzanti del nostro Paese: militante neofascista, assassino, latitante superprotetto, anche da Sisti, trafficante di opere d’arte e interlocutore nei primi anni ‘90 dei boss di Cosa nostra durante gli anni infuocati delle stragi mentre l’offensiva mafiosa è a livelli altissimi di violenza brutale e lo Stato sotto scacco, suggeritore di un attacco particolare allo Stato, quello alle opere d’arte: “Che ci andò a fare a discutere con Gioè ad Altofonte dove c’ha detto e c’ha messo in testa di potere fare queste stragi verso Firenze, verso Pisa, verso l’Italia?”, disse Totò Riina a proposito di Bellini durante il processo per la strage dei Georgofili (25 marzo 2003). Leggere la biografia di Bellini – tappa obbligata per chi voglia documentarsi sulle cronache indicibili del nostro Paese – può far venire il mal di stomaco e non solo perché il personaggio è un nero dentro: ammazza Alceste Campanile facendolo inginocchiare, un primo colpo di pistola alla nuca poi ancora uno cuore, ammette la sua responsabilità nel 1999 e il pentimento gli consente di usufruire delle attenuanti pur avendo eseguito un omicidio premeditato oltre che politico. Quello che fa indignare oltremodo è che per lunghi anni Bellini ha potuto fare quello che egli pareva. Se i processi lo confermeranno finanche la strage di Bologna nonostante le questure sapevano quasi tutto di lui al tempo. Stupidità e incapacità dello Stato? In realtà, al di là dei momenti di allentamento della attenzione investigativa che pure ci sono stati, la questione purtroppo è che i personaggi che hanno fatto la destabilizzazione in Italia sono stati protetti e hanno addirittura potuto conservare il loro anonimato, sono irregolari, mercenari della guerra non ortodossa, gente arruolata da strutture militari riservatissime, rese trasparenti dalla continua opera degli spazzini che hanno cancellato prove e tracce, indizi e segnali. La destabilizzazione è stata fatta tramite soldati invisibili: questa è la grande questione che ci pone la biografia di Bellini, è lì il punto di caduta delle cronache sporche nel ‘900 italiano. Stefania Limiti, giornalista e scrittrice
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iannozzigiuseppe · 1 year ago
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Aldo Dalla Vecchia ne racconta la storia e il percorso dalle origini a oggi: L’occhio magico. Breve storia della televisione italiana
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libero-de-mente · 5 years ago
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DIARIO DI UNA QUARANTENA
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• GIORNO 4
Restiamo distanti oggi, per litigare meglio domani.
Con l’emergenza del coronavirus e la conseguente quarantena causa forza maggiore, che ci porta a una convivenza condominiale forzata, sono venute a scemare quasi tutte le diatribe o litigi in atto tra i vari condomini.
In alcuni casi, come per i single ad esempio, si cerca una complicità quasi da amici di vecchia data per sentirsi meno soli. Ecco che nella chat Condominio Bellavista di Via dei Ciechi di “Uozzap” ci si dà degli appuntamenti. Tipo “Ci troviamo al pianerottolo del quinto piano per un ape?”, “Si dai ci sto io porto le patatine”, “Fantastico ho una bottiglia di prosecchino in frigo”, “A che ora?”, “Facciamo per le diciotto?”, “Va bene, allora io parto un po’ prima perché arrivo dal piano terra”, “Oh, quando passi per il primo piano mi suoni che andiamo su insieme?”, “Si dai ti faccio uno squillo quando prendo la prima rampa di scale”.
In tutta sincerità non con tutti funziona, ci sono anche quelli litigiosi o burberi. Il menestrello del condominio l’artista GianGianni Mordenti scrisse una canzonetta a tal proposito, quando ebbe da dire con il sig. Tano Caputello. Ogni volta che lo incrociava per le scale il Mordenti che ha sempre, e ripeto sempre, la chitarra con se la imbracciava e cantava “Caro amico ti schivo, così ti distanzio un po’ e siccome sei molto vicino io più forte ti allontanerò”. Fu anche un discreto successo nel condominio, la stessa signora Tamara Longaretti (vedi primo ep. ndr) che per un po’ ci maciullò i timpani cantandola sotto la doccia. Il sig. Tano Caputello quello del quarto piano, è un uomo dal carattere molto iracondo ed è meglio scherzarci poco. Alcune voci su di lui lo accostano al clan degli Scrotolesi, una famiglia di stampo mafioso dedita al racket del riciclo degli Arbre Magique in città, per questo evitiamo come la ̶p̶e̶s̶t̶e̶- pardon… come il coronavirus di avere discussioni con lui. Spesso chi aveva da ridire con lui si trovava una testa di cavallo fuori dalla porta. Anche se negli ultimi episodi usò del caciocavallo, questo perché sembra che sua moglie Concetta Locaco abbia imposto in famiglia una rigida dieta vegetariana. Il Caputello è abituato agli arresti domiciliari, ma da quando la quarantena ha imposto anche alla moglie di stare a casa lo stesso dice di essere sprofondato nel regime casalingo del 14 bis.
In altri casi la quarantena sta mettendo a dura prova dei matrimoni e delle convivenze, oppure delle relazioni extraconiugali. Come la signora Gaia Loprendo moglie del Dott. Fulgido Mancante, la signora Gaia è una nota fredigr… fedrigaf… fradrific… insomma, caro diario, lei è una che allegramente si concede scappatelle. Ieri ha esposto un cartello sul terrazzo con scritto “Andrà tutto bene”. Con i complimenti di buona parte del condominio. Pochi sanno che il cartello è rivolto al condominio dirimpettaio, dove abita un certo Temistocle Pilone, un meccanico d’auto play boy di lungo corso. Lui viene da Cesenatico e con la sua cadenza alla Andrea Roncato del film “Acapulco, prima spiaggia… a sinistra” ha effettuato più controlli a smorzacandela alle automobiliste che alle candele delle automobili. Comunque per risposta ha esposto anche lui un cartello “In astinenza oggi, per godercela domani”. Teneri.
Ci sono poi i nostri amici a quattro zampe che privi di libertà nello scendere a sgambettare nel parco pubblico, cominciano a dare segni d'irrequietezza. Come il cane che vive al terzo piano, si chiama Morsicàlo. Il suo proprietario, il signor Aldo Barzizza, si è beccato spesso insulti e denunce. Quando il suo cane si allontana e si avvicina a degli estranei lui lo richiama a se: “Morsicàlo, Morsicàlo!”, così la gente si spaventa molto. Piuttosto io lo avrei chiamato Leccalo, magari la gente si preoccupava un po’ di meno. Mah!
Il Dcpm (Domani Chiunque Può Morire) ammette però di portare i cani a fare i loro bisogni, ma molti hanno paura e cercano di limitare le uscite. Non tutti. Adriano Zampetti, inquilino del sesto piano di cui si sa ben poco se non che è sposato con figli alla ballerina di night tal Natasha Laprona, usa lo stratagemma di vestire il più piccolo dei suoi figli con il pigiamone di Pluto con tanto di cappuccio con orecchie, poi dopo avergli messo il collare scende in strada dicendo di portare il cane a passeggio. Per uscire un po’ e fare quattro passi. Questa mattina però ha incontrato sul tragitto una coppia di poliziotti in perlustrazione, per non dare nell’occhio ha obbligato suo figlio a fare pipì contro un albero. Zampetti era convinto che la cosa funzionasse, ma i poliziotti hanno capito che era strano vedere un cane fare la pipì in piedi, singhiozzando dalla vergogna. Sembra che il Zampetti se la sia cavata con un cazziatone epocale, senza denuncia.
Comunque caro diario stare a casa non è male, hai tante cose da fare, pensa che ho scoperto che il pavimento di casa mia è costituito da 1.854 piastrelle e 897 listelli di parquet.
Magari dopo che hanno dato il Premier in televisione scendo per un po’ di movida serale, vado a buttare l’immondizia.
Mi chiamo Juri Quarantino e questo è il mio diario di quarantena.
Pagina 4 (to be continued)
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queerographies · 4 years ago
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[La consapevolezza di te][Aldo Dalla Vecchia]
Il fatto secondo te straordinario, l’elemento antropologico che nessuna statistica ha mai rilevato con sufficiente chiarezza, è che una buona parte dei frequentatori delle chat cosiddette gay sono uomini cosiddetti etero.
Un romanzo crudo, uno spaccato di ciò che si cela allo sguardo e al cuore, che lambisce l’estrema sessualità senza scadere nel mero resoconto e che eleva il percorso nell’eros a evoluzione personale e a percorso di crescita, in un continuo alternarsi di speranza e disincanto.
Aldo Dalla Vecchia, nato a Vicenza domenica 14 aprile 1968, è autore televisivo e…
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vorticimagazine · 2 years ago
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Al via la prima edizione di "Libri in Dogana"
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Al via la prima edizione di "Libri in Dogana"
Dalla collaborazione tra SBS Comunicazione (www.sbscomunicazione.it), Fondazione Ghighetta e Dogana Vecchia (www.doganavecchia.eu) nasce la prima edizione di Libri in Dogana. Disseminati per il parco e la sala ricevimenti Editori e Autori incontreranno il pubblico per una giornata all’insegna dell’editoria libera, la cultura e l’arte. Nella stessa giornata saranno esposte le opere del Maestro d’Arte Gilberto Bucci e del fotografo Cesare Galloni.  Sarà allestito il parco esterno o, in caso di maltempo, la sala ricevimenti. Special Guest la cantautrice tifernate Gipsy Fiorucci, in tour con L’anima grida, il suo ultimo singolo, presentato anche a Città di Castello, in piazza della Tabacchina, il 10 luglio. L’editore ferrarese, Argentodorato, sponsor della manifestazione, sarà presente con una magnifica proposta che coinvolgerà i territori dell’Alta Valle del Tevere.  Dopo l’apertura della manifestazione con i saluti degli organizzatori, Fondazione Ghighetta e SBS Comunicazione e degli Enti coinvolti, alle 11 si aprirà ufficialmente la kermesse con la presentazione del libro di Marco Paoli. Al termine si terrà una breve rappresentazione teatrale di un estratto di spettacolo scritto dallo stesso Paoli (attore e direttore artistico del Teatro Microscena a Borgo San Lorenzo -FI- e di diversi festival). Dal "palco centrale” seguiranno diverse presentazioni, una ogni 90 minuti fino alle 19 con la chiusura della giornata di festa. Alla fine di ogni presentazione sarà allestito un piccolo buffet, offerto dagli autori, con alcune prelibatezze preparate nelle cucine della Dogana Vecchia.  Si ringrazia il sindaco di Monte Santa Maria Tiberina, Letizia Michelini, per il sostegno e il Patrocinio Morale dedicato. Per l’occasione sono stati invitati il Sindaco Luca Secondi e l’Amministrazione del comune di Città di Castello. Si ringrazia il fotografo Cesare Galloni per l’immagine fotografica con tecnica infrarossa che ritrae la Dogana Vecchia.
Il programma
Ore 10.30 Apertura manifestazione con saluti istituzionaliOre 11 presentazione del libro di Marco Paoli, Il re della giostraOre 12 al termine, breve rappresentazione teatrale di un estratto di spettacolo scritto dallo stesso Paoli (attore, direttore artistico del Teatro Microscena a Borgo San Lorenzo -FI- e diversi festival).Presentazioni autori nel “palco centrale”ore 13 Fiorella Mandaglio Tra mito e fantasia (CTL Collana SenzaBarcode)ore 14.30 Luigi Puccio Industry 4.0 (Self) ore 16 Chiara Domeniconi Matrioska (Vertigo)ore 17.30 Claudio Chiavari Oltre il limite delle proprie possibilità (Porto Seguro) ore 19 Dario Pasquali Wuthering winds (Robin Edizioni)Per firmare le copie saranno presenti: Gianni Bortolaso, Lara Squarzoni, Aldo Di Virgilio, Marco Costantini, Mirella Bonora. Read the full article
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giorgioviola · 3 years ago
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Eventi Culturali in Provincia di Brescia: Cinema e letteratura con l'Accademia Noir alla biblioteca di civica di salò, lunedi 4 aprile 2022, alle ore 20:30 appuntamento con Aldo Dalla Vecchia!
Eventi Culturali in Provincia di Brescia: Cinema e letteratura con l’Accademia Noir alla biblioteca di civica di salò, lunedi 4 aprile 2022, alle ore 20:30 appuntamento con Aldo Dalla Vecchia!
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touritalia · 3 years ago
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GIORNO 1: 13-11 SABATO MATTINA CATANIA– BARI
Sveglia alle 06.10 per partire alle 07.00 per Catania parcheggio. Arrivo alle 08.05 al park e alle 08.28 sono in fila al gate senza passare dal check in. Imbarco alle 09.25 e partenza alle 09.36 per Bari. A bordo, Ryanair, ha ripreso la sua routine: bevande e snack; profumi e gadget; lotterie. Atterraggio alle 10.21 (previsto 09.20-10.30). Dalle mie info cerco lo Shuttle Bus Tempesta Autoservizi che porta a Bari Stazione che però parte solo alle 11.30. (€4.00) Ne approfitto per carpire informazioni per Matera dall'autista. Arrivo alle 12.00 e in pochi passi sono già in hotel. Preso possesso della camera esco alle 12.35 per la prima visita di Bari con una mappa fornita dall'albergo e una copia A4 stampata prima di partire. Faccio giusto una sosta per pranzare con una Focaccia al Pomodorino (€1,00). Visto che sono vicino alla stazione parto proprio da li, da Piazza Aldo Moro e la sua bella fontana che si illumina di sera. Imbocco la pedonale Via Sparano che porta direttamente a Bari Vecchia. Passo Piazza Umberto I con l'omonima Statua. Da Via Principe Amedeo raggiungo il Teatro Petruzzelli “il quarto teatro più grande d'Italia. Costruito nel 1898 e inaugurato nel 1903, il teatro venne distrutto nel 1991 a causa di un incendio che divampò dopo lo spettacolo "Norma di Bellini" e i lavori di ricostruzione durarono fino al 2009, quando venne restituito alla città.” Passo dalla Banca d'Italia e da Corso Cavour per arrivare al Teatro Margherita “Questo teatro è stato costruito all'inizio XX secolo in onore della visita della Regina Margherita di Savoia a Bari. La sua particolarità è che si trova praticamente sul mare. Dopo circa 40 anni di inattività, il Teatro è stato ristrutturato e restituito all'uso della città. Il piano più alto è utilizzato per l'esposizione di mostre di interesse internazionale, soprattutto sull'arte contemporanea, mentre il piano al di sotto della platea è del Circolo della Vela di Bari.”  A Piazza del Ferrarese trovo altre info per Matera e Lecce presso l'Ufficio Informazione Turistiche. Proseguo da Via Venezia fino al Fortino di Sant'Antonio (chiuso). “Questo fortino fu costruito per scopi difensivi, serviva infatti per contrastare gli attacchi nemici. Oggi è un punto di ritrovo per i baresi, non che sede di numerosi eventi.”  Sempre Via Venezia mi porta a Santa Scolastica e Piazza S. Pietro passando dal retro della Basilica di S. Nicola. Da qui mi infilo nei vicoli di Bari Vecchia. Sosto ai Ruderi di Santa Maria del Buon Consiglio e arrivo tra strette stradine alla Basilica di San Nicola che visito insieme alla cripta e alle reliquie del santo. “La basilica è dedicata all'omonimo santo patrono della città, fu costruita tra il 1087 e il 1197 e ha uno stile architettonico tipico romano; ad oggi al suo interno è conservata la cripta con il corpo del santo . Secondo la leggenda, fu proprio lui a dare origine alla storia di Santa Claus, da noi conosciuto come Babbo Natale.”  Poco distante la Basilica Cattedrale Metropolitana di San Sabino con l'alta torre campanaria e la cappella a base rotonda “Questa basilica, in stile romanico-pugliese, sede vescovile dell'arcidiocesi cattolica di Bari, fu costruita intorno al XII e il XIII secolo per volere dell'arcivescovo Rainaldo sulle macerie del duomo bizantino.” Passo al Castello Svevo-Normanno con il suo fossato. “Questo castello è un'imponente fortezza che fu costruita nel 1131 per volere di Ruggero il Normanno. In parte distrutto nel 1156 dagli stessi Baresi, fu ricostruito nel 1223 sotto Federico II di Svevia.” Taglio per Via Francesco d'Assisi e passo da Palazzo Fizzarotti in stile eclettico; da Piazza Garibaldi fino al Palazzo di Giustizia con fontana e statua omonima. Torno indietro imboccando Corso Vittorio Emanuele II fino al Palazzo del Governo rosso e lungo e al Teatro Comunale Piccinni in rosa. Rientro per mezz'ora in hotel, alle 17.00, perché piove. Riesco e ceno con Orecchiette con Cime di Rapa (€9,00). A fine cena rifaccio un giro di Bari Vecchia entrando dal passaggio su Via Benedetto Petrono. Entro nella Cattedrale si San Savino e nella cripta, la Basilica di San Nicola illuminata e Piazza A. Moro con fontana notturna. Percorsi 8 km.
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