#Agli incroci dei venti
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alcune riviste letterarie online: link utili
Elenco incompleto di riviste letterarie online italiane 13-14 agosto 2023 pagina in continuo aggiornamento: – |||||| ( random index) https://rndmndx.blogspot.com/ – agli incroci dei venti https://www.agliincrocideiventi.it/ – Allegoria https://www.allegoriaonline.it/ – Altri Animali https://www.altrianimali.it/ – Antinomie https://antinomie.it/ – arabpop https://www.arabpop.it/ – Aracne…
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Torna Crossroads, un giro dell'Emilia-Romagna al ritmo del grande jazz con 60 concerti per oltre 400 musicisti
Torna Crossroads, un giro dell'Emilia-Romagna al ritmo del grande jazz con 60 concerti per oltre 400 musicisti. Il festival Crossroads festeggia la sua 25^ edizione con un nuovo giro attorno al mondo delle musiche improvvisate (jazz e affini), con divagazioni etniche, cantautorali, sperimentali. E oltre a viaggiare simbolicamente da un continente all'altro grazie agli artisti ospiti, percorrerà invece assai concretamente tutta l'Emilia-Romagna: col suo dna di festival itinerante, dal 3 marzo al 13 luglio farà tappa in oltre venti comuni sull'intero territorio regionale con più di 60 concerti (per oltre 400 musicisti). Un programma talmente vasto da lasciare spazio alle grandi star italiane e internazionali (Enrico Rava, Paolo Fresu, Abdullah Ibrahim, Richard Galliano...), alle giovani promesse già in aria di celebrità (Matteo Mancuso, Frida Bollani Magoni), alle figure storiche (Don Moye, Uri Caine), ai nomi di più raro ascolto nel circuito festivaliero, ai talenti del territorio locale. "Uno straordinario calendario di appuntamenti distribuiti in tanti luoghi della regione, con nomi di primissimo piano e numerosi progetti e residenze- commenta l'assessore regionale alla Cultura e Paesaggio, Mauro Felicori-. Al giro di boa del quarto di secolo, Crossroads si conferma una realtà solida nel panorama musicale dell'Emilia-Romagna, un appuntamento irrinunciabile che porta a vivere intensamente la magia dei concerti dal vivo, un'eccellenza della produzione culturale in regione. Il cartellone come al solito rispecchia la ricchezza e la varietà del jazz, proponendo un programma realmente di grande qualità e rappresentativo della musica creativa e improvvisata. Insomma, una vera festa per i tanti appassionati della nostra regione: complimenti e auguri". "Nel nome il destino. Crossroads non smette di indagare in ogni direzione gli incroci, i crocevia, i bivi delle musiche creative come del territorio regionale. Ne esce ogni volta una mappa intricata di viali, strade, vicoli che si intrecciano l'un l'altro in mille rivoli, conducendo in luoghi, reali e ideali, disparati, molteplici, vari e variegati...- dichiara Sandra Costantini, direttrice artistica di Crossroads-. Man mano vedo crescere il calendario sotto gli occhi e quando questo festival nomade prende finalmente forma, ecco ripetersi la magia: percorsi zigzaganti tra le meraviglie di un vasto territorio, musica da ogni dove, interpreti da ogni latitudine, echi di mille influenze, una vera comunità artistica multipolare e democratica in un mondo che non lo è. Una boccata di ossigeno". Crossroads 2024 è organizzato da Jazz Network in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura e Paesaggio della Regione Emilia-Romagna e con il sostegno del Ministero della Cultura e di numerose altre istituzioni. Crossroads fa parte di Jazzer powered by Gruppo Hera.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Buongiorno
"Oggi siamo chiusi...da ieri, tutti"
Un venerdì magro per la finanza, un venerdì agli stecchetti per i conti in tasca, un venerdì di fioretti e fiori della primavera, un venerdì arcobaleno per tutti coloro che dopo aver incrociate le braccia al lavoro ora come me incrociano le dita in un Andrà tutto bene...
Non per ferie, siamo chiusi per potere tornare a lavorare.
Lasciamo la scaramanzia dei numeri, del tredici al venti bisesto, guardiamo ad altri numeri che fanno la differenza.
Sembra tutto ed il contrario di tutto, siamo divisi ma uniti, lontani ma vicini, sconosciuti ma amici, stranieri ma tutti italiani.
Siamo il nostro domani da scrivere oggi, per imparare da ieri.
Facciamo buon uso di questo tempo che non vada sprecato un istante di tutto questo senso di aggregazione e responsabilità, di comunità.
Siamo responsabilmente divisi, ma uniti nel fare la cosa giusta.
Ci vorrà del tempo, che non si misura facilmente quando diventa attesa.
Per ora, due caffè...che il tempo davanti ad un caffè vola almeno cosi sapevo.
☕☕☕☕🌈🌈🌈🌈☕☕☕☕
@vefa321
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il mostro
(sistemando vecchi indrizzi mail -non fatelo, mai- ho trovato un racconto breve di una decina di anni fa che avevo completamente rimosso dalla mia memoria credo dai tempi in cui ancora il non plus ultra della comunicazione sociale era msn messenger, non so neanche se lo avessi mai messo qua o da altre parti in precedenza; comunque sia, lo incollo qua sotto)
Guidare annoiati è come essere all’inferno, con la differenza che se non altro all’inferno non devi stare attento alla strada.
Non sono mai riuscito ad ascoltare dischi interi in auto, già dopo tre o quattro canzoni di fila perdo la pazienza e comincio a rovistare nel cruscotto per scegliere il prossimo cd masterizzato da maledire venti minuti dopo. Ho bisogno di parole, discorsi, chiacchiere per non impazzire, specie quando mancano ancora centosettanta chilometri ed entrambe le corsie sono bloccate dalla geniale idea del camionista che fa gli ottantasette all’ora di superare quello che si tiene, più prudentemente, sugli ottantasei. Il problema è che sembra che questo venerdì pomeriggio tutto l’etere si sia messo d’accordo per trasmettere soltanto irritazione, e quando la punta del tuo indice diventa un calco del pulsante per mandare avanti la frequenza capisci che forse è ora di spegnere tutto e lasciare che a non farti pensare sia il fischio di sottofondo del motore lasciato andare a troppi giri.
L’asfalto scivola sotto la carrozzeria a centoventi all’ora, per poi esser sputato fuori dallo specchietto retrovisore. Ancora un’ora e un quarto buona di strada. Quella storia che a volte ti penti di non aver mai iniziato a fumare giusto perché almeno avresti qualcosa da fare in momenti come questo.
“Tutto bene, no?” chiedo, senza staccare gli occhi dalla A4, tentando la conversazione come misura estrema prima di arrendermi al tramonto sulla Pianura Padana. A passare troppo tempo in mezzo a un paesaggio del genere cominci a credere che al centro del Sistema Solare non ci sia una stella, ma che tutto giri intorno ad una complicata costellazione di capannoni. E troppo tempo è stato più o meno tre uscite fa.
Il mostro mi guarda con la sua solita faccia beata dal sedile del passeggero, senza confermare né smentire. Sta lì, come al solito. Lascia penzolare le gambette sopra il tappetino e si gode il viaggio con gli occhi socchiusi e le labbra incurvate nella sua posa pigramente soddisfatta.
Sospiro, dichiarando ufficialmente la mia resa alla noia grigioverde che assedia i finestrini. “Metti almeno la cintura.”
Non si muove di un millimetro, nemmeno per annuire. Non avendo il collo, è qualcosa che gli si può perdonare, suppongo. Rimane l�� a fissarmi nel suo colore radioattivo da fumetto, le mani appoggiate sull’addome, le dita incrociate.
Non che mi aspettassi davvero una risposta, sia chiaro. Non sono pazzo. Beh, non attualmente. Magari il giorno in cui inizierà a rispondere sarà il caso di farsi qualche domanda, ma al momento posso dirmi sufficientemente sicuro che non sia nulla più di un semplice gioco tra me e me o, se preferite il finto gergo da psicanalista dei telefilm, un costrutto della mia mente. Un costrutto neanche troppo originale, a dire il vero, dato che è praticamente Slimer, quello dei vecchi cartoni dei Ghostbusters, con in più un paio di gambette rachitiche. Quella storia che la televisione ha distrutto la fantasia alla mia generazione.
Non ha nemmeno un nome (o, meglio, non ha un nome pronunciabile nella nostra lingua, dato che arriva da un’altra dimensione)(sì, sto scherzando). Semplicemente, c’è sempre stato, sin da quando ero bambino. A nove anni non riuscivo a dormire per paura di un compito in classe, lui rimaneva imbambolato a fissarmi dalla sedia dove mia madre mi preparava i vestiti per il giorno dopo. A diciotto, con l’orale della maturità a tre giorni di distanza, continuavo a rileggere la stessa frase un migliaio di volte dimenticandola ancora prima di arrivare al punto, e lui era appollaiato sulla scrivania che ondeggiava leggermente al ritmo dei miei vaffanculo. Durante la tesi ha praticamente vissuto sulla tastiera del mio computer, e non era facile spiegare ai miei che, se non ero riuscito a scrivere nemmeno una riga in sei ore, era perché c’era una creatura inesistente che si rifiutava di togliersi dai tasti.
(Scrivevo un messaggio per dirle buonanotte, ti amo, lei rispondeva soltanto notte e lui era dietro la mia spalla destra per avere una visuale ottimale del display del cellulare. Che già era un casino giocare decentemente a Snake 2 con qualcuno che mi guardava, figuriamoci accettare che stava andando tutto a puttane.)
È tutta una questione di che parte del tuo corpo è stata scelta dal destino per somatizzare e tormentarti, almeno fino al momento in cui gli acciacchi si distribuiranno uniformemente in tutto il tuo organismo e sarai pronto per essere uno di quegli anziani che rendono le giornate in sala d’attesa dal dottore la cosa più prossima all’infinito che un essere umano possa sperimentare in questa vita. C’è chi l’ansia, la preoccupazione, quel senso di totale e completo oh, cazzo li sente nello stomaco, chi nelle meningi, chi nell’intestino, chi nei nervi.
Io me li sento nell’immaginazione. Un metro e qualcosa di bozzi, sorriso e rotoli di ciccia alieni. A volte mi chiedo perché qualcosa del genere mi succeda solo con le cose brutte, perché non possa avere una presenza costante che mi segnali che stanno per arrivare momenti migliori. Quella storia che uno è destinato a venir su pessimista.
Ancora adesso, quando ho una presentazione importante il giorno dopo è a lato dello schermo del portatile che si gode le mie bestemmie a Power Point. Se esco di casa in ritardo lo trovo già steso sul corrimano delle scale per non perdersi il probabile spettacolo di me che inciampo e finisco a rotolare per due o tre rampe.
E ora è qui, accanto a me, perché sa benissimo che domani
Eh.
Poi c’è il casello, poi ci sono solo provinciali, comunali, vialetto, saluti.
A cena mio padre risolve l’indovinello finale del programma di rai uno, e quello più o meno è il momento più eccitante di tutta la faccenda. Mi fanno le solite domande su come sta andando, stando bene attenti a non scendere troppo nei dettagli. Confeziono le risposte con cura per non creare nessun tipo di preoccupazione, e li osservo mentre le assorbono con un certo sollievo e un cucchiaio di piselli in più, lieti di poter passare ad altro. Essere cresciuto in una famiglia in cui la comunicazione interpersonale è considerata un disagevole equivoco rappresenta un vantaggio non indifferente, a volte.
Dico ai miei che no, non credo di uscire. Sono stanco per il viaggio, vado a letto presto che tanto vedo tutti domani. Uno, due, tre sms per ripeterlo agli altri, rimbalzare le insistenze. Sì, sono sicuro. Grazie lo stesso, davvero. Ciao.
Il mostro si guarda intorno sul letto, seduto sopra il pigiama ben piegato che mi aspetta sul cuscino. Erano mesi che non vedeva camera mia, e ora rotea gli occhietti su ogni angolo, superficie e poster di questi dieci metri quadri scarsi, come quando vai a votare alle tue vecchie scuole elementari e cerchi di raccattare i ricordi di quei tempi da ogni piastrella.
“Bravo. Se te gà da ‘fondar, se no altro che sia dentro l’oceano.” Era successo che ci eravamo lasciati. Non l’avevo presa bene. Non l’avevo presa in nessuna maniera, in realtà. Avevo smesso di voler pensare e la soluzione più immediata era stata concentrarmi sugli ultimi esami che mi mancavano prima della laurea. Credo che per qualche mese studiare sia l’unica cosa che abbia fatto con regolarità maniacale, al contrario di altre attività secondarie come l’uscire con gli amici, il radermi, il lavarmi o, non so, il parlare. Avevo scoperto che, da un certo numero di pagine al giorno in poi, le formule diventano una specie di mantra che ti occupa la testa durante il giorno e ti stanca quel che ti basta per affrontare la notte. Arriva un certo punto in cui addirittura credi di averla superata.
La prima volta che l’avevo rivista avevo finto di dover telefonare ed ero tornato a casa a vomitare anche l’anima, col mostro che lasciava penzolare le gambe a cavallo del bidet. Quella storia che a pensare positivo sei sempre due passi indietro rispetto a dove credevi di essere.
Dopo un paio di colloqui in cui avevo simulato con successo una certa voglia di responsabilità, mi avevano offerto un lavoro a Milano. Sette provincie e tre ore e mezza di auto più in là. Sembrava una buona idea. Quando l’avevo detto a mia nonna lei mi aveva abbracciato e risposto cos��, nel nostro dialetto fatto apposta per odorare di terra e parlare di sbagli.
Bravo. Se devi affondare, se non altro che sia dentro l’oceano.
Convinta di aver un nipote ambizioso, deciso a farsi un nome in una città grande duecento volte la nostra. O, forse, abbastanza esperta di mostri per avere il buon cuore di fingere che fosse così.
(Il sonno che non arriva fino alle quattro. Alzarsi con il mal di testa, mia madre che mi porta un succo alla pesca per colazione, con la cannuccia infilata già dentro, come non fossero passati più di vent’anni. Vestirsi e sentire la giacca tirare sotto le braccia, a livello dell’anima.)
“Mi spiace che tu non sia riuscito a venire all’addio al celibato”, mi dice Marco stringendo leggermente la mano sulla mia spalla sinistra. “Anche a me, gli altri mi hanno raccontato come è andata e mi sono mangiato le mani. È che al lavoro in questo periodo è un casino, è già tanto se son riuscito a prendermi questi due giorni”, mento. Prova a chiedermi qualcos’altro, ma viene afferrato per il gomito dal testimone e portato in chiesa perché, senza nemmeno qualche tradizionale minuto di ritardo, sta arrivando la sposa. Resto fermo sul sagrato, superato da amici e conoscenti che mi lanciano domande e bonari rimproveri in serie, come una catena di montaggio di convenzioni sociali che è inevitabile attraversare quando è un sacco che non ti fai sentire, è un sacco che non ti fai vedere, è un sacco che non ti trovo su Facebook. Lavoro. Impegni. Scuse improvvisate che migliorano e si arricchiscono di dettagli ad ogni nuovo giro. Ancora, e ancora. Finché, finalmente, arriva l’auto della sposa, che lascia scendere con una certa fatica un abito ingombrante dentro al quale si muove solenne un fascio di sorrisi tirati, lacca e trucco attraverso il quale riconosco Anna. La portiera si richiude svariati secondi dopo, lasciando srotolare con calma i commenti delle invitate e lo strascico bianco. Applausi mentre attraversa il sagrato, i tacchi che sopravvivono con qualche difficoltà ai cubetti di porfido. Qualcuno con l’occhio già lucido. Luca che progetta una maniera per saltare la celebrazione, cercando in giro un bar adatto e gli invitati giusti a cui scroccare minuti e sigarette. Sto per seguire la massa attraverso il portone quando vedo il mostro alla fine dello strascico, che si lascia trascinare come fosse Trinità. Non ho bisogno di chiedermi perché sia lì. Alzo lo sguardo sopra la sua espressione ridicolmente beota e la vedo in coda tra gli invitati, parlare con un’amica mentre scende gli scalini del duomo, ridere. Sembra felice. Sembra lei. Nonostante la capigliatura troppo elaborata, tutto quel trucco di cui non avrebbe bisogno, un vestito che è un incarto di caramella che le lascia libere le spalle. Quelle spalle. Quel neo. Non sono pronto. Cazzo, non sono pronto.
Corro dietro a Luca, che mi circonda le spalle con il suo braccio destro mentre acceleriamo il passo verso il bar. Magari entro a cerimonia già iniziata, ecco.
(Essere seduti a tavoli diversi, finire occhi negli occhi per qualche secondo di imbarazzo infinito. Alzare una mano, provare un’espressione gentile ma riuscire solo in una smorfia poco convinta, per nulla efficace. Non aver pensato a cosa dirle, non aver pensato a cosa potrebbe volermi dire lei. Non volerci pensare tutt’ora. Qualcuno che si azzarda a chiedermi se l’ho più sentita, se sto bene, se mi vedo con qualcuna e un altro miliardo di se che dribblo come posso. Mai stato un gran calciatore. Andare a salutare qualcuno al suo tavolo e far finta di niente. Girare lo sguardo un attimo troppo tardi quando si alza e attraversa il mio campo visivo. Capire che se n’è accorta. Guardare l’orologio. Controllare il cellulare ogni sei minuti netti, pregando in una telefonata di lavoro il sabato pomeriggio.)
Il mostro si gode beato antipasti, primi e secondi gentilmente offerti dal mio sistema nervoso.
Nel giardino sul retro del ristorante ci sono due altalene e più suv di quanto la media nazionale potrebbe far pensare. Mi siedo sulla tavoletta di plastica nera e ondeggio leggermente, la fronte imperlata di sudore appoggiata a una delle due catenelle di sostegno, a elemosinare quel po’ di frescura che pochi centimetri di metallo possono regalare. Dentro c’è troppo movimento, troppo alcol, troppo casino, e i principi della termodinamica non perdonano. Sotto i portici, lontano da me, invitati che chiacchierano, fumano, si scattano fotografie. Il musicista ben pagato per intrattenere gli invitati si prende una pausa davanti alla fontana all’ingresso. Tra poco qualcuno comincerà a ringraziare gli sposi, rassicurandoli sul fatto che è stato tutto perfetto, e si avvierà verso casa a smaltire la giornata. Sull’altalena accanto il mostro si gode la brezza e le poche stelle che le luci dei lampioni ci concedono. Chissà da quanto era qui fuori ad aspettarmi. Alzo la mano verso di lui, reggendo un bicchiere immaginario, e propongo un brindisi. “A noi due, vecchio. Ce l’abbiamo quasi fatta anche stasera.”
“Parli da solo, ora?”
La voce le esce meno sicura e sarcastica di quanto vorrebbe, la conosco ancora troppo bene per non accorgermene, ma il cuore salta un battito lo stesso. Il fatto che io non riesca a pensare a una risposta più intelligente di “ciao” conferma, come se ce ne fosse bisogno, chi sarà sempre nella posizione di vantaggio tra noi due.
Si avvicina senza fretta. Una ciocca di capelli fuori posto che le balla davanti a ogni piccolo movimento del capo, accarezzandole le labbra. Quelle labbra. Neanche tutto il rossetto del mondo potrebbe renderle diverse da quelle che ho imparato a memoria. Un altro passo ed è a cinque metri. I nostri sedici anni. Ancora un passo e siamo ai diciassette, al nostro primo bacio. Avanti veloce, correre attraverso i ricordi dei diciotto, diciannove, venti fino a rallentare all’altezza dei ventitré, ventiquattro, venticinque. La scarpa destra che affonda leggermente nell’erba ben tosata. Fermarsi con una pugnalata in mezzo al petto ai ventisei. Le nostre domeniche pomeriggio. Le nostre voci sotto le coperte. I nostri progetti, Cristo santo. I sabati sera promessi agli altri e poi tenuti solo per noi. Scegliere i nomi da dare ai figli che avremmo avuto, un giorno. Il suo basta. Fingere che fosse anche il mio basta. L’ultimo passo. Non riuscire ancora a far passare dell’aria sensata tra le corde vocali.
Ora è a portata di far male, e ancora non so dove vuole arrivare. Ci sono i suoi occhi e c’è tutto il resto che un po’ alla volta diventa soltanto una macchia sfocata. Giardino. Auto. Invitati. Voci. Il mostro le cede l’altalena al mio fianco -vai a fidarti degli amici- e si allontana tranquillo verso la confusione. Alla fine allora riesce a camminarci, su quelle gambe. Lei si sistema per quella che sembra una vita intera. Inspira profondamente e chiude gli occhi, poi lascia andare in un colpo solo l’aria e mi guarda in un modo che ho paura di riconoscere. Non sorride, ma la conosco troppo bene per non sapere che sta morendo dalla voglia di farlo.
Perfino i grilli adesso rimangono in silenzio. Siamo solo io, lei e tutto l’oceano di ricordi, scazzi, convinzioni fatte a pezzi e foto scattate mille volte per esser sicuri che vengano bene che c’è stato tra di noi.
Se dobbiamo affondare, se non altro.
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Chi Di Laser Colpisce D’Amore Perisce
“Ok sono Milena e LO SO che mi avete chiesto kose e con calma ce la famo ma stasera è Halloween quindi ricapitotilolando (si l’ho scritto apposta come una cretina) la cosa è questa: sono stata al laser game con dei miei amici e abbiamo giocato in “night zombie mode” e mi sono divertita un sacco e niente mi è salita la teen au so... spero ve la godrete!
(Also ho pure vinto quindi mi hanno regalato una partita omaggio seeeee sono felicissma perché io non vinco mai niente ashjssjjwjw)
Here we go!
Andare al Laser Game non era mai stata una delle priorità assolute di Ermal
Per la verità, nemmeno festeggiare Halloween lo era, così come non era nemmeno strettamente necessario presentarsi alle feste
Questo quantomeno secondo lui perché, per la verità, a quella opinione si opponeva fortemente quella totalmente contraria del suo amico e coinquilino Francesco, festaiolo di natura che amava particolarmente qualsiasi posto in cui ci fossero gente, musica e alcool e che riteneva un affronto personale non essere invitato-cosa che comunque la gente si premurava di non fare perché, come usava dire lui “No Gabba, No party” e tutti ormai sembravano credere in quel detto
Il punto era che,non per suo volere, si era ritrovato ad una festa di Halloween organizzata al Laser Game
E che figo, direte voi
E che palle, dice invece lui, ad alta voce proprio
“Che palle, Francesco”
L’ennesima lamentela, insomma, che gli sfugge dalla bocca mentre la macchina accosta al posto designato
“Dai Ermal non rompere il cazzo” gli dice invece l’altro, eccitato come un bambino a cui hanno detto che quell'anno Santa Lucia, Natale, Pasqua e il compleanno arrivano tutti nello stesso giorno
Si volta pure a guardarlo, sorridendogli a trentadue denti con il suo costume che somiglia semplicemente a un poncio di plastica in cui ha infilato la testa
“Che cosa dovresti essere?” gli aveva chiesto a casa, inarcando un sopracciglio, ottenendo una sconsolata occhiata da parte sua mentre si poneva vicino alla sua ragazza che invece si era infilata una maglietta con dipinto sopra a mano alcune linee e si metteva ad indicarli come a mostrare il collegamento tra i loro costumi “Capito ora?”
Ermal del canto suo ancora non capiva esattamente come Francesco avesse una ragazza E un ragazzo. Non nel senso che non capiva le relazioni poliamorose, nel senso che non capiva proprio come Francesco fosse riuscito a farsi amare da due persone per bene come Marco e Anna contemporaneamente
Per cui, aveva scosso la testa “No. Cosa dovreste essere, dei pezzi di un museo d’arte contemporanea?” aveva domandato, ironico
“Ermal. Amico mio. Proprio tu manchi così tanto di fantasia?” aveva ribadito Francesco, quasi offeso da quell'affronto “Siamo un preservativo bucato e un test di gravidanza, naturalmente! E Marco farà il bebè. Gli abbiamo comprato un bavaglino” aveva affermato, entusiasta
Ermal non aveva nemmeno avuto la forza di commentare mentre, inorridito, si tirava su per andare a buttarsi dalla finestra
“E tu da cosa sei vestito?” aveva chiesto Francesco, osservando criticamente i suoi skinny jeans neri e la giacca di pelle nera che aveva indosso, sotto la quale non c’era altro che una maglia nera degli AC/DC
“Da sto cazzo” aveva replicato lui, spegnendo la sigaretta nel posacenere e chinandosi ad allacciarsi le all star rigorosamente nere
“Eddai Ermal” aveva ribattuto Francesco “ti devi vestire da qualcosa anche tu!”
“Ma non vedi? Sono vestito. Fingi che sia uno dei tipi di Grease se proprio ti turba l’idea che sia me stesso e non...beh, no, un preservativo bucato potresti comunque essere tu” aveva replicato con un sorrisino
Francesco, al solito, non si era offeso. Maledizione.
“Sembri un cadavere” aveva detto Anna allegramente, indicando le sue occhiaie che non scomparivano dal 15′-18′ e il suo colorito smunto da universitario che non vede la luce del sole dal paleolitico
Ermal aveva scrollato le spalle “Sempre meglio che essere incinta” aveva ribatutto ironicamente
“Il nostro è un costume di coppia, ma che ne sai tu” aveva precisato Francesco e, al contrario suo, la cosa l’aveva pizzicato nell’orgoglio più di quanto fosse disposto ad ammettere
Ok che non aveva una relazione da, beh, mesi, ma non era questo il punto.
Lui studiava, non aveva tempo per una persona, figuriamoci per due.
Non come Francesco, che l’università non sapeva nemmeno dove fosse di casa ma conosceva le case di tutti e ogni locale
Ermal, per la verità, si era pure opposto con tutte le sue forze a farsi trascinare alla festa, ma Francesco non aveva davvero voluto sentir ragioni per cui eccoli lì, finalmente, stipati dentro una stanzetta mentre uno dei ragazzi che lavora in cassa gli spiega come giocare
Guardandosi intorno, si è accorto di conoscere più o meno tutti i presenti: ci sono Francesco, Marco, Andrea, Anna, Dino, Gent, Eleni e Annalisa. Gli unici che non conosce sono quei tre nell'angolino,una ragazza e due ragazzi, che non ha mai visto in vita sua.
Lei è carina, alta e slanciata, dai capelli mossi e castani e il viso sottile e sorridente. E’ seduta vicino ad Annalisa e le due parlottano per cui intuisce che siano amiche. Per quanto riguarda i ragazzi, uno dei due non è particolarmente degno di nota mentre l’altro...eh
L’altro è, in una parole, un figo.
Non può’ negare che sia davvero, beh, bello. Se ne sta appoggiato al muro, le braccia tatuate e decisamente solide incrociate al petto,la leggera barba che gli adorna il viso stanco che però è aperto in un sorriso leggero. Ha le occhiaie e le lentiggini e due occhi dalle ciglia anche fin troppo lunghe per un ragazzo. Come lui, è vestito semplicemente con una maglia scura e dei jeans e la cosa lo fa sospirare di sollievo.
Non riesce a non fissargli le labbra sottili e appena screpolate mentre quello se le umetta appena, ma distoglie lo sguardo non appena si accorge che lo sta fissando
Che figure di merda
Intanto il tipo gli ha spiegato tutto: avranno delle pettorine con delle luci a cui saranno attaccati i fucili. Bisogna mirare alle luci per colpire gli avversari. Una volta che si è stati colpiti, si rimane per qualche istante incapaci di essere colpiti di nuovo o di colpire l’avversario. All’interno dell’arena di gioco, posta su due livelli, ci saranno delle gemme che danno dei bonus come l’invisibilità, ovvero lo spegnimento delle luci sulle pettorine per un tempo limitato. Chi colpisce più persone accumula più punti e vince
Semplice e lineare, come un videogioco insomma
Dato che esistono varie modalità di gioco e loro hanno due partite, finiscono a provare prima quella a squadra
Ermal finisce insieme a Marco, Francesco, Anna, Gent e Annalisa. Loro, ovviamente, contro agli altri.
La partita è... divertente
Per quanto Ermal si sforzi di non ammetterlo, non è poi così male
Certo, deve correre avanti e indietro e la sua squadra risulta abbastanza uno schifo tanto che perdono e solo lui si classifica tra i primi quattro, ma sì, è più divertente del previsto
Si rende anche subito conto di aver fatto bene a vestirsi di nero: le luci dell’arena fanno risaltare i colori chiari e infatti è facilissimo trovare Marco dato lo stupido bavaglino che indossa
Durante la stessa viene colpito una volta dal ragazzo misterioso e, per ripicca, si impegna a colpirlo quante più volte può, causando in lui una risata all’ennesimo colpo
“Regazzì, tu sempre tra le palle stai, ao” gli dice, scomparendo poi da qualche parte dopo essergli passato accanto scompigliandogli i capelli
Ah. Ok.
Ma chi gli ha dato il permesso? E sopratutto, come si permette di andarsene senza farlo ancora. Infame.
Comunque, i venti minuti scorrono più veloci del previsto e prima che se ne rendano conto devono tornare a riporre le pettorine
Durante i loro venti minuti di pausa in cui riprendono fiato e un’altra squadra di ragazzi gioca, riesce a farsi presentare gli sconosciuti.
Alessandra, Claudio, Fabrizio.
Così glieli indica Annalisa, partendo dalla sua amica e finendo con il romano-chiaramente, dato l’accento-che sta catturando la sua attenzione da prima
“So Fabbbbrizio” ripete lui, stringendogli la mano con un sorriso che lo fa arrossire e ringrazia il calore provocato dalla corsa, altrimenti si noterebbe troppo
“Ermal” rimanda, mordicchiandosi poi il labbro quando l’altro si passa una mano tra i corti capelli castani giù scompigliato
“M’hai dato del filo da torcere eh regazzì” ride Fabrizio-anzi no, Fabbbbrizio, con quattro b-cosa a cui Ermal replica con uno sbuffo e un sorrisino
“Niente di personale” ribatte, passandosi una mano tra i ricci “Eri un avversario, dopotutto”
Fabrizio, del canto suo, gli sorride e basta, studiandolo da capo a piedi
Anche lui ha notato subito quel ragazzo sconosciuto che, con quei ricci scuri, gli occhi neri e la pelle pallida ha già conquistato la sua attenzione
Dopotutto Ermal è bello
E, ha detta dei suoi amici, anche single
Per cui, non si sente minimamente in colpa a provarci.
“Ma certo” ribatte, ripassandoselo di nuovo con lo sguardo e scompigliandogli i ricci di nuovo “non me la prendo mica” soffia, avvicinandosi appena a lui
Lui che arrossice appena e si lecca le labbra e lo guarda e ok, bene, sono sulla stessa linea d’onda
“Mi piace la tua maglietta” dice poi, indicandola, sfiorandola appena con la punta delle dita “Hai buoni gusti in fatto di musica. Dopo dovremmo parlarne, se ti va”
Ermal sta per ribattere che sì, certo che gli va, ma non ci riesce.
Non fanno in tempo a dirsi altro perché vengono richiamati e gli viene spiegata la modalità della prossima partita, che faranno in modalità zombie e al buio
La cosa funzionerà così: non ci saranno luci nell’arena, se non le loro pettorine. Tutte le pettorine saranno verdi all’inizio della partita tranne una, che sarà quella dello zombie e sarà rossa. Ogni volta che lo zombie colpisce qualcuno, questo diventerà a sua volta uno zombie. L’ultimo a rimanere con la pettorina verde riceverà duecento punti e diventerà lo zombie 0, mentre in automatico tutte le altre pettorine torneranno verdi e si ricomincerà da capo.
Ok, Ermal doveva ammetterlo: la cosa era parecchio una figata
Oltretutto, la partita precedente gli aveva dato l’occasione di studiarsi i punti ciechi dell’arena per cui, con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito a rimanere sempre l’ultimo sopravvissuto e a trasformarsi in zombie, ricevendo così i 200 punti e tendendo imboscate agli altri
E sì, perché Ermal non sa prendere i giochi solo come giochi quindi si è elaborato tutta una strategia
Anche perché vuole vincere
E le cose vanno benissimo, infatti.
Vanno esattamente come ha programmato e usando la gemma dell’invisibilità passati quindici minuti è in testa alle classifiche
Se ne sta lì, nascosto in un punto cieco in attesa di rimanere l’ultimo sopravvissuto quando, dal nulla, sbuca uno zombie
Non fa in tempo ad alzare il fucile per sparargli che quello, però, alza le mani
“Aspetta te prego me stanno tutti addosso lasciami respirà te giuro che nun te trasformo”
Ah. Fabrizio.
Abbassa piano il fucile, diffidente, guardandolo.
Sembra davvero stravolto, con i capelli tutti scompigliati e il viso che, per quanto puo’ vedere nella luce rossastra, è paonazzo
“Te giuro” mormora “So l’unico zombie in giro e non riesco a colpire nessuno perché me sparano tutti contro” ansima, guardandolo “lasciami riprendere e non ti sparo” dice, posandosi la mano sul fianco “mannaggia so vecchio pe’ ste cose” ride
Ermal, a quel punto, cede. Ok, se lo lascia rimanere un sopravvissuto va bene
“Ok” dice “ma vieni più qua, o ti vedranno. Questo è il mio punto cieco, non farmi scoprire” mormora piano, schiacciandosi contro l’angolo della stretta rientranza per fargli spazio. Tra le pettorine e i loro corpi, occupano tutto quello disponibile e non sono che a pochi centimetri l’un dall’altro
Si osservano, diffidenti
Ermal continua a tenere in mano il fucile, mentre Fabrizio l’ha abbandonato al proprio fianco
“Cinque minuti all’uscita dall’arena” annuncia una voce metallica agli autoparlanti “Ci sono undici sopravvissuti”
Quindi Fabrizio non ha mentito: è lui l’unico zombie
Ermal lo osserva, critico.
Condividere lo spazio vitale con qualcuno non è uno dei suoi forti, se poi questo qualcuno è uno sconosciuto parecchio bello ancora meno
Incredibilmente, così sfatto sembra ancora più bello di prima
“Senti” mormora piano Ermal, per non farsi scoprire. Sopra e attorno a loro sente le voci e i passi degli altri che camminano, in cerca dello zombie “Spara a uno di loro restando nascosto qui. Così si fanno fuori a vicenda. Possiamo continuare a colpirli senza farci scoprire. Io non colpisco te, tu non colpisci me. Così alla fine rimango solo io, mi prendo i duecento punti, la partita finisce e ho vinto. E tu nel mentre recuperi qualche punto e non finisci ultimo. Non sapranno cosa li ha colpiti, credimi. Se stiamo attenti non ci troveranno e ci guadagniamo entrambi. Che dici?” gli propone, guardandolo
Fabrizio, del canto suo, lo osserva quasi stranito, inarcando le sopracciglia
“Cazzo ma sei un piccolo demonietto tu. Comunque nun so messo così male, so tipo terzo ao!” ridacchia, cosa che fa arrossire Ermal che, per non darlo a vedere, alza il naso all’insù
“Abbiamo un accordo o no?” chiede, allungando la mano verso di lui
Mano che lui, dopo un secondo, stringe con un ghigno
“Ce sto”
Le cose vanno tutte come nel previsto. Circa un paio di minuti dopo Fabrizio riesce a colpire qualcuno e da quel momento in poi il numero dei sopravvissuti inizia drasticamente a calare.
E loro, dal loro piccolo nascondiglio, sparano a chiunque passi di lì. Per la verità, Fabrizio riesce a trasformare almeno cinque persone in zombie ed Ermal, soddisfatto della cosa, li colpisce mentre si allontanano, confusi da chi li abbia colpiti, guadagnando punti
E poi, succede
“Un minuto all’uscita dall’arena. Un sopravvissuto. Ripulire. Diamo inizio all’invasione” annuncia la voce mentre la pettorina di Ermal diventa rossa e quella di Fabrizio torna verde
“Ottimo lavoro!” dice Ermal entusiasta.
Sono entrambi sudati e sfatti, ma hanno decisamente fatto un buon lavoro, sì
E poi, lo sguardo gli casca sul lettore digitale del fucile di Fabrizio ed è li che si accorge che la sua strategia ha funzionato anche fin troppo bene
Secondo. E solo di pochi punti indietro a lui
Se lo colpisse, vincerebbe.
E Fabrizio se ne accorge perché, seguendo il suo sguardo, nota i due schermi vicini e i punti segnati sull’uno e sull’altro.
E’ un attimo: si guardano e di colpo sono con le spalle premute ai due angoli della parete, che si puntano i fucili contro
“Allora” mormora Ermal, piano “Niente cazzate. E’ mia la vittoria. Avevamo un accordo”
“Lo so” è quel che dice Fabrizio, guardandolo “Facciamo così: giù le armi, che dici?”
Ed Ermal vorrebbe anche dire di sì ma, si sa, fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio, no?
“Ascolta” riprende Fabrizio, abbassando lentamente il fucile “Sarebbe inutile darsi addosso ora, no?” mormora, sporgendosi appena verso di lui e che cazzo sta facendo? Sono già vicini, anche fin troppo “Abbiamo un accordo e Dato che abbiamo circa trenta secondi li potremmo impiegare...meglio” dice, arricciando le labbra in un ghigno leggero che Ermal non riesce a decifrare, ma che gli fa fermare il cuore per un istante.
Anche perché, per l’appunto, lo spazio vitale che condividono è davvero insufficiente per due persone e loro sono tutti stretti e schiacciati, a sperarli solo le pettorine e qualche centimetro
Deglutisce, guardando Fabrizio avvicinarsi ancora a lui e non riesce a non fissare lo sguardo sulle sue labbra
In fondo, è tutta la sera che lo punta e non ha dubbi sul fatto che l’altro se ne sia accorto dato che a sua volta ci aveva provato e nemmeno tanto sottilmente, invitandolo pure a parlare di musica
Per cui sì, fanculo, perché non approfittarne?
Dopotutto, chissà quando resteranno soli altrimenti dato che ora ci sarà la festa vera e propria e ad Ermal non piace pomciare davanti agli altri, nemmeno un po’
Non è nemmeno sicuro che l’altro poi lo farebbe o che le cose avrebbero effettivamente un finale più lieto per cui si, fanculo meglio approfittarne.
Perciò, abbassa in automatico il fucile, leccandosi le labbra mentre Fabrizio gli posa piano due dita sotto al mento per fargli alzare il viso
“Si bello regazzì” gli mormora, sorridendogli
E si avvicina e i loro nasi si stanno sfiorando e lui socchiude gli occhi e-
La sua pettorina lampeggia, il pew leggero di sottofondo che precede solo di un istante la voce metallica che dice “Fine della partita. Uscire dall’arena”
E abbassando lo sguardo inorridito, trova conferma ai suoi sospetti: secondo.
La punta del fucile di Fabrizio è ancora puntata contro la sua pettorina e lui è secondo
Secondo perché Fabrizio gli ha sparato a tradimento, facendogli credere di volerlo baciare
Arrossisce fin sulla punta delle orecchie, scostandosi da lui di scatto
“MA SEI UN INFAME!” sbotta, offeso-anche se non davvero, dai, se l’è giocata bene lo deve ammettere-mentre si dirige verso l’uscita, l’altro che gli va dietro ridacchiando
“Sei proprio un burino... sleale... infame...e senza onore” borbotta mentre si leva la pettorina e la ripone nello spazio apposito, causando in Fabrizio, che l’ha seguito e ora è accanto a lui, un eccesso di risa
“Ma sentilo” replica, divertito, passandogli una mano tra i ricci, gesto che Ermal scansa senza troppa convinzione
“Niente di personale” continua Fabrizio “Eri un avversario, dopotutto. Non ti sarai mica offeso” chiede, cosa che gli fa spalancare la bocca in una smorfia di sconvolto e divertito stupore
“Ma vedi questo!” ribatte, dirigendosi verso il bancone per ritirare la scheda dei punti “non solo mi rubi la vittoria, ma pure le frasi!”
E Fabrizio ride, ride e gli pizzica il fianco, cosa che lo fa sussultare e arrossire
Alla fine, ad entrambi viene regalata una partita omaggio dato che sono i primi due classificati, ma la sconfitta brucia ad Ermal più di ogni altra cosa
Quasi più della ferita nell’orgoglio
Perché andiamo, quanto è stato stupido a farsi fregare così?
Anche se, onestamente, chi non si sarebbe distratto davanti a Fabrizio skst
E nonostante tutto, non riesce a non avercela con Fabrizio
Per cui, mentre sono fuori dal posto a fumare prima di partire alla volta del locale in cui dovranno concludere i festeggiamenti, si tira su dal muro dove è appoggiato, accanto a Fabrizio, schiacciando la sigaretta sotto la scarpa prima di voltarsi a guardarlo
Non si sono parlati dopo il ritiro dei premi perché Fabrizio è stato preso da parte dai suoi amici ed Ermal è stato assalito da Francesco che ha debitamente pensato di prenderlo per il culo per aver perso di così poco, sfottendolo con frasi tipo “che c’è, stavi sbavando sopra a Fabrizio?”
Si sono ritrovati solo lì fuori e hanno fumato in silenzio senza guardarsi, ma ora Ermal rompe quella stabilità pacifica che si è creata
“Senti, signor imbroglione” lo apostrofa, guadagnandosi un sorriso da parte sua “Mi dai tu un passaggio fino al locale della festa?
Fabrizio, del canto suo, si tira su a sua volta, anche se Ermal non arretra e si ritrovano così vicini, come prima, senza nemmeno le pettorine a creare un po’ di spazio
Si fissano, guardandosi negli occhi, studiandosi, leccandosi le labbra
“Hai paura delle moto?” chiede Fabrizio, gettando la sigaretta a terra e soffiando il fumo di sbieco, lontano dalla sua faccia
Stupidamente, lo attraversa il pensiero che anche Fabrizio potrebbe venire dritto da una cosa tipo Grease
E chi cazzo dovrebbe essere lui, Sandy?
Ridicolo
“No” replica Ermal, sorridendo a sua volta, tirandosi appena su la giacca
Ora anche Fabrizio ne indossa una, sempre nera e sempre di pelle
E cazzo, se non gli sta da dio
“Allora” sorride lui, pestando la cicca “ti do un passaggio io, si” conferma
Esattamente cinque minuti dopo, Ermal si ritrova sulla moto, con il casco e le braccia strette attorno alla vita di Fabrizio
“Ci vediamo alla festa” dice agli altri lui, mettendo in moto
Inutile dire che al locale non ci sono mai arrivati
Però, una cosa Ermal di certo l’ha imparato: a volte le feste di Halloween al Laser Game non sono una priorità, ma non sono nemmeno così una palla come pensava
E, a volte, ti rimediano anche una sana scopata e un ragazzo
THE END Per cui niente, volevo mettere questa cosina per Halloween
Fatemi sapere cosa ne pensate!
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No mare 2' parte
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Cammino per quelle strade riparate dal maestrale che ogni tanto agli incroci lasciano intravedere il mare poche centinaia di metri più giù apprezzandone l’edilizia minima, povera, popolare ma riverniciata di recente. Una porta con una finestra accanto, a volte solo una portafinestra, minuscoli arretramenti dalla strada per stare seduti l’estate, la sera, nel caldo torrido dell’asfalto e delle lamiere delle macchine parcheggiate. Alcune di queste casette sono abitate, le persiane aperte mostrano tendine di pizzo o fi tulle che riparano l’interno da sguardi indiscreti. Cammino per strade deserte e no. No, non si possono dire deserte. Deserte lo sono le strade dei villaggi residenziali, ma qui no, qui anche nella strada deserta, che sembra deserta, senti una voce, dentro una casetta, dietro l’angolo della prossima traversa, il macellaio saluta la parrucchiera che si affaccia sulla veranda della sua casa-bottega, l’operaio in nero parla al cellulare davanti a una porta aperta con un pavimento in sostituzione all’interno, no, non c’è il deserto, c’è una vita minuta, minima, discreta, presente. Vita Una nuvola di profumo mi rapisce portandomi indietro di decenni. Un glicine copre una grossa terrazza a piano terra. Non è immenso come quello che mio padre piantò nel cortile di casa quando nacqui io e che inondava con i suoi venti metri d’altezza e quasi quaranta quadri di pergola l’intera strada, quel glicine incolpevole che sessant’anni dopo mia sorella avrebbe distrutto per paura che demolisse la nostra (ora sua) casa. E’ più contenuto, ma quel profumo è il profumo della mia fanciullezza, giovinezza e anche più, è il profumo di una parte della mia vita. Il Sole si alza entrando dentro le strade strette, riducendo le ombre, facendo sorridere le case che rimandano pian piano il suo calore, quasi a contrastare i refoli di maestrale che riescono a penetrare nel dedalo di incroci e sguinci. Una donna rientra in casa dopo aver sistemato su una fila di sedie l’ultimo cuscino a tener compagnia a copriletto, tappetini e asciugamani che hanno assorbito umido per tutto l’inverno. SI stanno svegliando anche le “casevacanza” o forse le case da villeggiatura. Il tempo è passato, risbuco sul parcheggio ventoso ripromettendomi di tornare nella “casbah”, quando sarà piena di macchine di villeggianti, di porte aperte e voci di diverse regioni, quando sarà abitata e io potrò apprezzare un aspetto insolito delle vacanze. Il “nonmare”
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Selezioni, settembre 2074
20:26 28/9 Faunya_Florent | sabato, ore 7.00 / spalti Corvonero | L`orario è a dir poco scandaloso, il sole da poco sorto in cielo, e il castello di Hogwarts galleggia ancora in un`atmosfera silenziosa, ovattata e dominata dalle tinte del grigio e del blu. Molti studenti ancora dormono nella pace dei propri dormitori, forse sognando la colazione imminente, altri ancora si stanno preparando per la prima uscita ad Hogsmeade dell`anno, ma non è il caso della manciata di Corvonero alla quale Faunya ha dato appuntamento nelle prime ore del mattino. Di per sé la ragazza ha combattuto contro al sonno e la stanchezza accumulata durante la settimana per recarsi, persino con un certo anticipo rispetto all`ora prestabilita, al Campo da Quidditch. Il riscaldamento fisico che ha già portato a termine le consente di poter sfoggiare l’uniforme della squadra senza soffrire più di tanto il tocco pungente dell’aria mattutina, un`aria carica dei profumi dell`erba e della pioggia appena caduta. Il body dalle maniche lunghe, di colore celeste e passamaneria in bronzo, delinea le sue forme sinuose e la vita sottile; i fianchi sono drappeggiati da una lunga gonna in chiffon leggerissimo, incantato di modo da oscillare dolcemente per non intralciare mai i movimenti di chi lo indossa, che Faunya porta rimboccata su di un lato, di fatto accorciandola di alcune spanne. Si erige composta, il mento alto e le mani poggiate sul parapetto delle tifoserie, torreggiando sul campo da gioco dagli spalti ornati di stendardi bronzoblu. Alle sue spalle si sviluppano in altezza i gradoni solitamente riservati al pubblico Corvonero, completamente deserti al di là di una borsa di stoffa e di un mantello scompostamente gettato sulla pietra. All`arrivo dei primi membri della squadra, un sorriso riscalda il volto ambrato della ragazza, che si volta per accoglierli con un «Mi fa piacere rivedervi» da intendersi con un "qui al campo" sottinteso, essendo questo il loro primo allenamento ufficiale. Ma è un`allegria di breve durata, smorzata dalla consapevolezza di avere dinnanzi soltanto un esiguo numero di facce nuove - una sola, in effetti. Quella di Ambra «Pochi» commenta Faunya, morsicandosi il labbro inferiore «Siete pochi...» distogliendo l`attenzione dal gruppo per ricondurla pensosamente al di là del parapetto.
20:45 28/9 AmbraDelphine_LeBlanc ( Dormitorio > Spalti Corvonero | Sabato 29 settembre | 7 am ) Le compagne stavano ancora dormendo quando lei quatta e calma s’è avviata all’esterno del dormitorio più o meno all’alba come ogni sabato. Qualche respirazione in sala comune, la meditazione a gambe incrociate del sabato mattina ed eccola lì pronta a fare quello che deve fare. Perché questo è un sabato speciale. Ecco perché cammina a mento alto tutta bella fiera, a passo spedito per arrivare al campo con ampio anticipo. La gonnella plissettata color panna che indossa che le sobbalza poco sopra le ginocchia ad ogni passo. Al di sotto un maglioncino rosa pallido a collo alto con una trama a trecce molto morbida, infilato giusto sotto l’orlo della gonna. La collanina sottile dorata di mamma le penzola al collo e l’evidente medaglietta dorata riflette la luce in maniera evidente. (Ambra e i suoi look del sabato: un argomento a parte). Ci sarà una divisa? Non ci sarà una divisa? Lei queste cose di per certo non le sa ma è ben curiosa di scoprirle. Tiene la bacchetta in una piccola tracolla in pelle panna ed un elegante foulard dai colori della sua casa sventola nella mano sinistra. La mano destra viene passata tra i capelli che sono sempre lilla, tenuti sciolti, e le cascano perfettamente ordinati sulle spalle, per portarne alcune ciocche all’indietro come volersi liberare la visuale. Allunga il passo oltrepassando svelta il giardino e dirigendosi verso il campo. Non appena arrivata è con un’occhiata rapida che va a cercare la figura di FAUNYA. Ci vuole ben poco perché la veda, in effetti è facile riconoscerla. Bellissima, in azzurro, con gonnella blu, proprio poco lontano dall’ingresso selezionato dalla primina. Così arrossisce un filo e portando entrambe le mani alla nuca per farsi rapida uno chignon basso da ballerina, prosegue verso la quintina. Farebbe un gesto tiepido con la testa guardandola se FAUNYA guardasse il suo ingresso, tanto per annunciarsi insomma. Per poi posizionarsi al di sotto dei gradoni ed attendere che la capitana li accolga. Sorridendole in posizione eretta con una mano educatamente stretta nell’altra quando lei fa il suo discorso di benvenuto, Risponde solo « Non è il numero quel che conta » alzando il mento in sua direzione e voltandosi in ricerca di qualche altro compagno che dovrebbe arrivare a breve, si spera.
21:11 28/9 David_Villegas ( Spalti Corvonero ) Da sopra le increspature della fronte alta, svettano riccioli nerissimi agitati dai raggelanti venti scozzesi, punte inanellate d`irriverente contrasto all`austerità d`una rasatura graduale sul capo maschile che torreggia ad altitudini proibitive sul manipolo di ragazzine stazionatesi sugli spalti di Corvonero. Con stivaloni di cuoio usurato che minacciosi sembrano essere di misura doppia rispetto alla media delle scarpette attorno a lui, un Villegas selvatico se ne va a sedere d`uno dei gradoni, poco dietro AMBRA a cui rivolge un vago saluto con l`alzata della mancina: le ginocchia divaricate, l`ampia schiena incurvata contro il gradine retrostante e il fragante odore di pane tostato a inondare i suoi dintorni e che lui azzanna tutto tranquillo. Seppur le abitudini d`atleta definisca spalle larghe e squadrate d`una corporatura longilinea, seppur lo si possa riconoscere come il tizio che si spacca le ossa a saltare dalle scale mobili, a quest`ora del mattino ha le stesse placide movenze d`un bradipo in pensione. Veste i soliti pantaloni alla turca, d`un cupo smeraldo, larghi abbastanza da permettergli acrobazie spericolate, e una tunica dall`aria un po` marziale e altrettanto sciupata. Appare quietamente impressionato dalla determinazione sfavillante di AMBRA quando questa fa il suo pronto commento: le sopracciglia s`alzano sulla fronte ambrata mentre le palpebre vanno a contrarsi un po` a inquadrare meglio questa bimba bianca - letteralmente - che risalta persino più di lui in in Sala Comune. Poi un altro morso al suo toast.
21:21 28/9 Eileen_Walker (Spalti, 29.09, ore 7) Svegliarsi presto non è più un problema, visto che a quest’ora, ogni giorno, c’è la colazione in Sala Grande. Oggi, però, non ci sono lezioni, bensì mentre gli altri studenti stanno facendo colazione, lei si dirige verso il campo da Quidditch, accompagnata dalla fedele Brinna, la sua ombra in tutto e per tutto. È già in veste da allenamento, ovvero un paio di pantaloni da tuta neri, una felpa rossa con scritto “WORLD’S OKAYEST SISTER” e scarpe da tennis. I capelli biondi sono già raccolti in un chignon e manco veramente poco per lei alzarsi il cappuccio e fare una versione moderna di Cappuccetto Rosso con la lupa affianco. In mano, tiene il barattolo con tanto di coperchio con buchi dove c’è Azzurra, la fiamma azzurra che è la sua seconda migliore amica per un mese intero, fino a quando smettere di bruciare e morirà. Nella tasca marsupio c’è invece la sua bacchetta, nascosta agli occhi altrui e ha indosso anche un borsone da sport con la tracolla in diagonale, dove ha qualche frutto per fare colazione. Arriva facendo leggermente jogging, mantenendo il passo con Brinna, e si ritrova FAUNYA già in divisa, AMBRA, sperando che abbia capito la lezione di non gettarsi tra le fauci del famiglio, e lui. Si è presentato veramente. «Giorno» saluta, prima di sedersi sugli spalti, appoggiando il borsone ed Azzurra, mentre Brinna si sdraia attorno a lei. «Mi sono per caso persa il memo di venire direttamente in divisa?» chiede verso la capitana.
21:30 28/9 Faunya_Florent | sabato, ore 7.00 / spalti Corvonero | Tra le vecchie facce ce n`è una meno scontata del previsto che non fatica affatto a catturare l`attenzione di Faunya. Osservando DAVID, le labbra della giovane si arrotondano con fare disorientato, e le occorre qualche istante in più per riuscire a comporre il viso in un`espressione di rilassata noncuranza «David Villegas!» lo richiama, una nota di allegra presa in giro nel tono di voce «Hai forse nascosto le mie nuove reclute? O sei tu» socchiude lo sguardo, premurandosi di affilarlo a puntino «La mia nuova recluta?» lo fissa con serietà, indagando fra le linee e le ombre del suo viso, salvo poi ridacchiare sommessa e scuotere appena il capo come a lasciar perdere le pessime ironie. In effetti, la prima cosa che fa dopo è occhieggiare proprio EILEEN, un po` per sincerarsi di eventuali malumori, ma soprattutto per cercare di intimarle con uno sguardo di stare tranquilla «Nah. L`ho messa solo per mostrarla a quelli nuovi» e perché le mancava indossarla, ma ssh. Pianta un pugno sul fianco e solleva il mento, mettendosi brevemente in posa, dopodiché sorride alla vista di Brinna accoccolata intorno alla padroncina «Beh, comunque sia, bentornati. E benvenuti» aggiunge alla volta di AMBRA, omaggiandola di un`occhiata che si sofferma in modo particolare sui suoi capelli nel colore dei lillà stinti. Alle sue parole di incoraggiamento si stringe nelle spalle, apparendo non del tutto convinta «Mh, vero» tuttavia risponde «E poi non posso davvero lamentarmi per la scarsa affluenza. Questo club ha sempre preteso molto dai suoi membri» tenendo, di conseguenza, ben lontani i compagni dotati di amor prop... più pigri «Soprattutto dal punto di vista atletico» lascia per un istante cadere il discorso, preparando il terreno in vista della dolorosa rivelazione che seguirà «E sarà così anche quest`anno. Tuttavia!» schiude un sorriso colmo di trepidazione che risente non poco della runa della competività, Teiwaz, che porta segnata sul palmo di una mano «Adesso che siamo maturati» scocca uno sguardo eloquente a LEEN ed Evanna, oramai alle prese col terribile anno dei G.U.FO. «E` mia intenzione concentrarmi un po` più sugli incantesimi e meno sulla ginnastica. Ho già in mente un paio di cose...» annuisce tra sé e sé, lasciandoli col dubbio e riportando brevemente lo sguardo sul campo vero e proprio «Avete domande?» li interroga qualche istante più tardi, gettando loro uno sguardo da oltre la spalla e indugiando, per forza di cose, su AMBRA.
21:46 28/9 AmbraDelphine_LeBlanc ( Dormitorio > Spalti Corvonero | Sabato 29 settembre | 7 am ) E così finito di sistemare lo chignon di capelli LILLA si starebbe giusto annodando il foulard al collo fieramente, per lasciare che anch’esso come la gonnella di FAUNYA sventoli reagendo alla brezza mattutina, quando vede entrare in campo DAVID che la saluta con un gesto della mano. Al quale reagisce d’instino con un delicato ed elegante inchino del viso in segno di saluto. Al che lei assottiglia le iridi, sgranandole poi mostrando un espressione vagamente sorpresa. Ma che ci fa un uomo sugli spalti delle cheers? Non che sia di vedute ristrette, ma insomma, il problema è solo e soltanto uno « ma come farai con il body? » diretta. Al che si gira ponendogli la domanda proprio mentre sta addentando il suo toast, perché quello che sta immaginando e la figura di un VILLEGAS abbigliato alla FLORENT. E la cosa la turba non poco. Poi quando EILEEN fa il suo ingresso sugli spalti è un largo sorriso che le viene riservato e starebbe per balzare in piedi, la si può chiaramente vedere bloccare la mossa, quando vede BRINNA, non fosse che la voce della quintina dopo il loro ultimo incontro le torna in mente e, dunque, a lezione imparata, decide saggiamente di starsene quieta stoppandosi, facendo solo un microscatto, e ritornando poi ferma nella sua posizione eretta ad osservare le due dedicando ad entrambe un solo « Bonjour! » con tanto di manina sventolante. Al commento di EILEEN risponde poi « OH! Quale divisa? Bisognava acquistarne una? » quasi sussurrato per evitare che FAUNYA la senta. E si perché figuriamoci, lei non sa nulla. Per fortuna che FAUNYA come al solito condivide gli stessi dubbi su VILLEGAS e le chiarisce subito invece quelli riguardanti la divisa. Al punto che lei sospira un filo, andandosi poi a sedere sugli spalti poco lontana da EILEEN. Occhi sempre ben fissi sulla CAPITANA al quale annuisce quando gli da il benvenuto. Deglutisce appena quando sente la parola ‘atletico’ rimanendo quieta ad osservare la prefetta, che quando annuncia la novità degli incantesimi, la rende tipo la persona più felice sula faccia della terra. Infatti gli occhi le brillano e se ne esce con un « OUI! » mentre il pugno destro si stringe in una mossa di entusiasmo. Lei ama gli incantesimi e di qualsiasi cosa si tratti sarà emozionante. E perché se c’era una preoccupazione che aveva era proprio l’eccessivo sforzo fisico ed infatti, parlando di domande, è proprio un «Ma è vero che servono dei grandi bicipiti allenati per essere una cheers?» (Parole di HERMES Ambra, gli hai davvero dato creduto?) che pronuncia in direzione di FAUNYA, facendo toccare le punte dei piedi in maniera timida. Poi, aggiunge pure un « Ma noi primini? Come saranno organizzate le cose? » Guardando la capitana in maniera speranzosa. Perché non ha mica capito se potrà o no prendere parte attivamente alla cosa.
22:03 28/9 David_Villegas ( Spalti Corvonero ) Con un ultimo morso, finisce di sbranare il suo toast e le sue necessità nutritive delle ore sette sono saziate: le spalle robuste sembrano incurvarsi ulteriormente in questa ulteriore e dissacrante rilassatezza, soddisfazione dello spuntino pre colazione. Cerca scambiare un`occhiata d`approvazione con chiunque gli sia al fianco - Evanna dove sei - prima di venir messo sull`attenti, letteralmente dal richiamo di FAUNYA, che lo fa ruotare col capo fino a inquadrarla gradoni sotto di sé. Seppur le palpebre restino lì mezze pesanti sulle iridi scure, per il sonno rubato o per perenne pigrizia, le labbra carnose del ragazzo vanno a stiracchiarsi esibendo un sorriso colpevole, chiarissimo contro il volto scuro. « Mi mancavi anche tu, mia » poi tranquillissimo a dire. Altrettanto rilassato nell`ascoltare e prestare attenzione ad AMBRA. « Il tuo futuro capitano se la cava alquanto con la Tessimanzia. » la rassicura, perché non abbia incubi la notte, povera bambina che non riesce a concepire cambio di divisa. Il capo un po` s`abbandona all`indietro quando viene "sminuito" il lavoro atletico della squadra, mentre a `domande`, alza indolente il braccio destro, esponendo la manona ruvida e quel laccio di cuoio sull`ossatura robusta del polso. « Cosa hai in mente? » Con lo sguardo assiste a quella deviazione verso il campo compiuto da lei, ma lui resta fisso a guardarla, ora sporgendosi in avanti con la schiena, i gomiti sulle ginocchia. « Non credo tutti qui sappiano esattamente cosa facciano le Cheerleader. » Ambra primo esempio, ma a quanto pare ci si sta mettendo anche lui.
22:24 28/9 Eileen_Walker (Spalti, 29.09, ore 7) Non sa cosa aspettarsi da quella che dovrebbe essere una battuta di FAUNYA ai danni di DAVID, pertanto si limita ad inarcare un sopracciglio in direzione della prefetta, giusto per ricordare quella bellissima conversazione avuta proprio con questa situazione come argomento. Ma sta in silenzio, limitandosi ad ignorare la situazione per quanto assurda essa sia. «La divisa ti verrà fatta su misura, tranquilla» risponde alla domanda di AMBRA, una mano che va ad affondare nel pelo di Brinna, che inizia a farsi più lungo, lasciando un po’ di peli sulla mano. Le parole di FAUNYA vengono ascoltate e per quanto non disdegni l’uso della magia nelle coreografia le sorge un dubbio. «Per quanto l’idea è bella, come farai con gli studenti degli anni più piccoli, come ad esempio Ambra?» domanda, che poi sono domande che si fanno un po’ tutti. Si gira verso AMBRA, con quella domanda strana sui bicipiti. «Chi te lo ha detto? Comunque, no, ma l’attività fisica ti definisce i muscoli, per farli grossi si fa un altro tipo di esercizio, basta che osservi Faunya per capire come è il fisico» le dice, pazientemente, mentre si adagia contro Brinna. Se poi la quiete viene interrotta dalla presenza di un fantasma, dagli abiti presi direttamente dalla rappresentazione teatrale di Amleto, con l’emotività dello stesso personaggio, Eileen si mette entrambi le mani sulla faccia per nascondersi. O voler sprofondare. «Scusatemi, è il compito di Halliwell» afferma, indicando il fantasma, felice come un agnello a pasqua di rividerla.
22:36 28/9 Faunya_Florent | sabato, ore 7.00 / spalti Corvonero | La puerile ingenuità di AMBRA riesce a strapparle un sorriso in ben due occasioni - body e bicipiti - per quanto Faunya cerchi però di dissimularlo chinando il capo verso le proprie scarpe «Quelli servono soprattutto ai Battitori» le risponde sulle prime, sfatando il mito di Hermes, salvo poi ripensarci «... dipende, in realtà. Non sarebbero male in un ragazzo, o anche in una ragazza che volesse specializzarsi in un certo genere di salti» scruta la ragazzina da capo a piedi, soffermandosi sulla sua corporatura delicata «Ma non credo sarebbe molto nel tuo stile. Non ti preoccupare» tenta di rincuorarla, sollevando gli angoli della bocca in un modesto sorriso. Anche DAVID si adopera per fare lo stesso, guadagnandosi da lei uno sguardo grato - o forse è a causa del complimento indiretto sulla Tessimanzia, chissà - diversamente dalla manona alzata, che viene studiata con leggera incertezza «Ti direi che è una sorpresa che vedrai in campo, ma...» piega il capo verso una spalla, formulando stavolta in maniera diretta l`annosa domanda «Vuoi tornare in squadra, o sei solo venuto a salutarci?» che EILEEN le mette pressione sociale, tipo. Non cessa comunque di sorridere, nemmeno alla domanda della stessa Walker che solleva un problema non da poco «Ci occuperemo noi degli incantesimi più difficili» le spiega, stringendosi nelle spalle prima di ammettere che «E` che quest`anno mi piacerebbe che provassimo tante cose diverse per lasciare spazio a quello che ognuno preferisce» batte fra loro le mani in un moto di determinazione, decretando «Al Lumos di ciò, il vostro primo compito sarà quello di provare a reclutare nuovi membri» sorride, elencando con entusiasmo crescente «Atleti, ballerini, appassionati di Incantesimi, disegnatori che si occupino degli striscioni... qualsiasi abilità sarà ben accetta. E se vi diranno di no...» si alleggerisce il petto di un sospiro, sforzandosi di rallegrare la propria rassegnazione «Non ha importanza. Tutt`al più avrete fatto pubblicità al club» afferma con maggior convinzione, incrociando le braccia al petto con un contegno pieno di gravità «Ora» si umetta le labbra, prolungando la pausa qualche istante in più alla vista del fantasma di EILEEN «Salve!» lo saluta educatamente, prima di voltarsi a richiamare «AMBRA» cercandola con negli occhi un pizzico di dispiacere «Visto che frequenti ancora il primo anno, non posso ammetterti ufficialmente nella nostra squadra. Dovrai aspettare il prossimo anno per indossare questa divisa» si indica una spalla rivestita dal body e solleva un angolo della bocca, abbozzando un sorriso privo di effettiva allegria «Ma se ti va, ogni tanto puoi comunque allenarti insieme a noi e vedere se la cosa ti può piacere. Ci troviamo qui, tre volte alla settimana. Ti piacerebbe?» la interroga, spalancando appena gli occhi con fare speranzoso.
22:52 28/9 AmbraDelphine_LeBlanc ( Spalti Corvonero | Sabato 29 settembre | 7 am ) è uno sguardo vagamente dubbioso quello che continua a riservare a DAVID, che per altro non conosce e perciò non ha idea di come si chiami. Sguardo che diventa pure ancora più perplesso quando lui le risponde in maniera così poco chiara. Non c’ha capito niente. E dunque la testa le si piega di lato sulla destra un po’ perplessa. Va bene che è inesperta ed è in mezzo ad un gruppo di gente molto più grande di lei, ma insomma, potrebbe anche essere un po’ meno enigmatico. Finché non sgrana gli occhi quando lui dice di essere « il futuro CAPITANO? » (si perché qui qualcuno a questo punto pensa che il capitano sarà VILLEGAS) cosa che ripete e marca bene l’ultima parola andando a cercare lo sguardo di EILEEN dapprima e poi quello di FAUNYA nella speranza di ricevere un chiarimento. Un « Che sarebbe poi la tessimanzia? » quasi non riesce a dirlo, quindi il suono le esce un po’ sbiascicato in direzione del ragazzo. È poi un «Comunque ti sta benissimo! » davvero sincero, con tanto di gote arrossate ed indice della mano destra che indica il corpo della ragazza, quello che rivolge a FAUNYA parlando del body della squadra. Che l’avrà anche messo solo per mostrarlo a quelli nuovi, ma insomma, fa la sua gramissima figura. Poi squadra EILEEN arrossendo un po’ mentre una sensazione di vago imbarazzo per aver creduto alle parole del terzino si impossessa di lei, cosa che deglutendo si impegna bene a scacciare deglutendo rapidamente prima che l’intera squadra si renda conto delle sue emozioni « Un amico » Risponde ad EILEEN, che già dal fatto che si tratti di un uomo dovrebbe intuire che la frase non è stata detta da una persona affidabile in materia. Poi per fortuna FAUNYA la rasserena, come suo solito, al che lei ascoltando le spiegazioni sui muscoli le sorride quieta ed alzando un filo la testa in sua direzione risponde un secco « Sì, beh » tossicchiando per schiarirsi la voce vagamente imbarazzata « ecco io ho fatto della danza classica quando ero piccola, non mi ci vedo molto » con i bicipiti da battitore. Alla domanda di FAUNYA a VILLEGAS segue la scena incuriosita. Ritornando poi alla capitana alla quale proposta di pubblicità risponde con un attivo balzo in su della testa ed un « oh! BIEN SUR! » non tradotto ed un « Se ci diranno no, noi chiederemo di nuovo » niente. Patriota per la vita. Risponde testarda annuendo a FAUNYA bella motivata. Quando viene richiamata dalla ragazza poi si gira dandole la sua totale attenzione, piegando un filo il viso in basso presa dall’emozione. « Oui… » risponde al suono del suo nome mentre gli occhi le si spengono un filo al suono della frase successiva. Non potrà far parte della squadra. Oh oh. E starebbe pure abbassando la testa, non fosse che FAUNYA le da comunque una chance. Al che lei rialza la testa sorridendole ampiamente e rispondendo solo « OUI » questa volta in tono molto più convinto e sicuro, con tanto di pugni che si serrano, annuendo anche be due volte con la testa. Della serie: Si, Lo voglio. « Quando? » perché non ha bisogno di sapere molto altro. Lei ci sarà.
23:21 28/9 David_Villegas ( Spalti ) La reazione di AMBRA gli graffia una risata di gola, ruvida, che contiene dietro il vibrare del pomo d`Adamo e il quieto divertimento dello sguardo che abbassa un po` per rispetto a Cosetta. Quando si tratta di rispondere all`interrogativo del capitano, lui un po` si reclina meglio contro il gradine e inclina la testa di lato, guardandola impensierito, rughe profonde sulla fronte mentre analizza un po` le circostanze. Guarda EILEEN a cui distende piano un sorrisino sghembo, vagamente ironico, e poi a Evanna, pù rapidamente, al suo fianco. Più lentamente torna ad affrontare FAUNYA, verso cui l`espressione maschile si fa quasi di scuse. « Sottostare alla tua spilla potrebbe essere un divertimento sufficiente per il mio innato masochismo. » sorride piano, come immaginandosi chissà quale dittatura pericolosa - ed esilarante - in Sala Comune. « Purtroppo i nostri allenamenti coincidono e non sono ancora in grado di Gemin… sdoppiare » si corregge. « me stesso. Se solo si decidessero a infilare gli incantesimi nel Quidditch. » e scuote la testa, braccia conserte, con la stessa disapprovazione dei vecchietti contro i calderoni che non sono come quelli d`una volta.
23:52 28/9 Eileen_Walker (Spalti, 29.09, ore 7) Eileen osserva, con ansia crescente, ma stando bene attenta che non si faccia vedere troppo, la risposta di David alla domanda di Faunya, e non si capisce se si è semplicemente intrufolato tanto per, o niente. All’idea di fare pubblicità alla squadra per avere carne fresca, ehm, reclute, la bionda alza la mano. «Potrei scrivere un articolo o un piccolo annuncio nell’Eco del Corvo» così fa due cose al prezzo di una, e anche perché tartassare poveri studenti per chiedere se vogliono entrare o meno, non è da lei, nemmeno sotto effetto della runa della competitività. Per quanto riguarda l’amico di AMBRA «Cerca di non credere tutto quello che ti viene detto, ok?» è l’unica cosa che si sente di dirle, prima di portare la sua attenzione a Tristan il musone, che no, non saluta nessuno e non vorrebbe essere nemmeno lì. «Signor Tristan» lo saluta molto formalmente, mentre sfila la bacchetta dalla tasca marsupio della felpa. E mentre il fantasma le dice cosa deve trasfigurare, a quanto pare eseguire una semplice fattura orcovolante, Eileen si gira verso Faunya, «Solo un secondo» prima di concentrarsi, puntare la bacchetta accanto al fantasma, concentrarsi su quel punto mantenendo il contatto, e pronunciando «Apareciòrcum» immaginandosi una piccola nube di folletti simili a pipistrelli esca dalla punta della bacchetta e voli nella direzione desiderata. Se è andata bene o male, il fantasma tanto non lo dice. «Potrebbe sempre iniziare riprendendo i riscaldamenti che si fanno prima della danza, sono utili per tenere il corpo flessibile» aggiunge in direzione di AMBRA, visto che anche la bimba ha fatto danza.
23:56 28/9 Faunya_Florent | sabato, ore 7.00 / spalti Corvonero | Per qualche istante alterna lo sguardo fra DAVID e AMBRA con un barlume di incertezza, dopodiché Faunya solleva un dito per indicarsi «Sta parlando di me» spiega alla ragazzina in tono indulgente «La Tessimanzia è magia applicata alla moda... ed io la sto appunto studiando. Ti ricordi?» schiude un sorriso di incoraggiamento, tentando di farle capire di cosa si tratta attraverso un esempio pratico «Mi hai vista lavorare da Madama McClan» e beh, naturalmente il suo sorriso non può che ampliarsi nell`essere oggetto di tanti complimenti «Grazie» risponde alla ragazzina, incassando il capino fra le spalle con aria di falsa modestia. L`ironica premessa di DAVID le fa sollevare vertiginosamente le sopracciglia, ed un`aria di sfida le sporca appena la fronte e le labbra, prima che giunga l`ormai ovvia conclusione «Mpf» esala uno sbuffo a mo` di risata «Meno male» che non possa dar vita a un gemellino. Aggrotta le sopracciglia, assumendo ora un`aria piuttosto competitiva «Mi raccomando, allora. Voglio quella Coppa» qualcuno dovrebbe spiegarle che, semmai dovessero vincerla, la Coppa del Quidditch andrà a decorare l`ufficio di Halliwell e non il suo... ma tant`è. Lasciamola sognare «Buona idea!» si volta a sorridere ad EILEEN, approvando l`idea dell`articolo, facendo altrettanto anche per un`AMBRA già lanciatissima nel compito che è stato loro assegnato. Quando lei accetta l`invito ad allenarsi assieme a loro Faunya sorride per l`ennesima volta, gonfiando un poco il petto in un moto d`orgoglio, prima di rivolgersi ai restanti membri della squadra «Se vi sta bene, possiamo confermare gli orari dell`anno scorso» li osserva uno ad uno, in attesa di ricevere una conferma o una smentita «Poi te li scrivo» promette, tornando su AMBRA e congiungendo le dita delle mani in una sorta di tacita supplica «Prima, però, ti andrebbe di mostrarci qualche passo di danza?» suona come una richiesta gentile, ma nei suoi occhi bruni si cela un`espressione di puro calcolo. Si tratta pur sempre di una selezione, sebbene alla fine della piccola, ed eventuale, esibizione ci saranno soltanto frasi di incoraggiamento da parte di Faunya.
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. ╰ 𝐥𝐢𝐟𝐞 𝐛𝐢𝐭𝐞𝐬!
📍 𝗏𝖽𝖻'𝗌 𝗁𝗈𝗎𝗌𝖾 📅 𝗆𝖺𝗒 𝟫, 𝟤𝟢𝟣𝟫 🔗 #𝗇𝖾𝗐𝗒𝗈𝗋𝗄𝖾𝗅𝗂𝗍𝖾𝗋𝗉𝗀
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I corridoi di villa Van Der Bilt sembrano quelli di un museo, con tutti quei ritratti degli antenati appesi alle pareti: non ti stanchi mai di analizzarli, nonostante i ventuno anni - quasi ventidue!, come ti piace puntualizzare - passati ad osservarli. Metri e metri di storia, aneddoti, tradizioni che conosci a menadito, nonostante quella non sia la tua famiglia; metri e metri della casa in cui sei cresciuta e vivi, ma che non è, in fondo, davvero casa tua; metri e metri che rischiano sempre di farti ritardare, come sta accadendo proprio adesso che distogli l'attenzione dal volto florido di Cornelius Van Der Bilt, il patriarca, soltanto dopo aver udito gli scocchi del grosso orologio del salone segnare le dieci meno venti di sera: Avelyn ti aspetta e qualche giorno fa l'hai già fatta aspettare per delle ore, non puoi assolutamente replicare. Procedi a passo spedito e sei quasi giunta alla porta d'ingresso quando, sorprendentemente, ti imbatti Caesar, il capostipite.
‹‹ Buonasera, signor Van Der Bilt. Ancora in giro a quest'ora? ›› date le sue abitudini, difatti, avrebbe dovuto già ritirarsi nelle sue stanze. ‹‹ Buonasera Emma, sono rientrato da poco dall’ufficio— vedo che stai per uscire, Robert verrà con te? ››
Puoi notare una strana curiosità nel tono dell'uomo, una curiosità che ti fa inarcare, quasi impercettibilmente, il sopracciglio destro.
‹‹ Troppo lavoro invecchia, sir: si riguardi! E no, Robert non verrà con me. Ha bisogno di dirgli qualcosa? ›› ‹‹ Credo sia piú pratico dirlo direttamente a te, non vorrei rompere troppo l’equilibrio di questa famiglia. Né tanto meno il suo. ››
Okay, adesso hai palesemente il sopracciglio inarcato, complice anche la sua espressione da schiaffi. Che cosa avrà da dire di così pericoloso? E, soprattutto, perché proprio a te? Le vostre interazioni fino ad ora si sono sempre limitate ai saluti rispettosi e ai regali sempre molto generosi che ti hanno concesso di condurre una vita alla pari dei rampolli dell'UES, dunque non riesci a immaginare di che cosa si tratti nemmeno sforzandoti.
‹‹ Non comprendo, l'equilibrio non si turberebbe lo stesso inviando un messaggero - in questo caso me? ›› ‹‹ No, no, non credo sia opportuno un messaggero. Sono quasi sicuro che manterrai il silenzio. ›› ‹‹ Non ha paura di quel "quasi"? Io e suo figlio siamo molto amici, non gli ho mai nascosto niente in vita mia: perché dovrei cominciare adesso? ›› ‹‹ Perchè avrai cosí tanti pensieri che lui passerà in secondo piano. È proprio questa vostra vicinanza il problema, Emma. ››
Rotei gli occhi al soffitto, improvvisamente ti sembra tutto più chiaro: certo, se è come immagini tu, il signor VDB ti delude e non poco. Vale la pena dargli il beneficio del dubbio, però.
‹‹ Non vedo per quale motivo, si è mostrato sempre abbastanza contento del nostro essere migliori amici. Improvvisamente, dopo quasi ventidue anni, la figlia dei camerieri non va più bene? ›› ‹‹ Mi credi cosí stupido da non aver notato la vostra vicinanza? C’era un limite da non superare e devi capire che non ho intenzione di dare speranze per una cosa che non dovrebbe esserci. È inappropriato e contro natura. ›› ‹‹ Inappropriato e contro natura. ›› un sorrisetto ironico fa capolino sulle tue labbra e, contemporaneamente, incroci le braccia al petto. ‹‹ Mi faccia indovinare, oltre ad avergli imposto il corso di studi vuole scegliere anche con chi Robert possa, come ha detto lei, superare un certo limite? ›› ‹‹ Non ho intenzione di spiegare il perché di certe scelte per lui, come tu non hai il diritto di intrometterti in questa cosa. Ascoltami attentamente, perchè non lo ripeteró due volte. Tuo padre non è stato molto sincero: prima di tua madre, prima di te, c’è stata un’altra persona. Blair. Esatto. Sai cosa succede quando un cameriere si intromette in un matrimonio? Soltanto brutte cose. Ti risparmio i dettagli. Ti basta sapere che Robert non è un Van Der Bilt. Quindi, se la genetica non sbaglia, è un Lancey. Adesso ti faccio questa domanda: vuoi davvero continuare a superare quel limite? ››
È inevitabile, per te, spalancare gli occhi: le sue parole sono chiaramente uno shock per tutta una serie di motivi. Tuo padre non tradirebbe mai tua madre, è sempre stato troppo innamorato di lei, non le ha mai fatto mancare un gesto gentile o romantico che fosse. E tu e Robert — non può essere come dice l'uomo di fronte a te, deve essere il suo contorto modo per allontanarvi a causa di qualche altra strana convinzione delle sue. Il tuo corpo non reagirebbe mai al suo profumo e alla sua vicinanza come invece fa, se foste davvero fratelli. Fratellastri?! Poco importa, tanto non è vero. Deglutisci, mentre tenti di nascondergli la tua preoccupazione mostrandoti sicura e sfacciata come al tuo solito.
‹‹ Non posso crederle senza prove, potrebbe essere tutto un marchingegno suo — con tutto il rispetto, chiaramente. Anche perché non comprendo il motivo di un mancato licenziamento. Non è così che funziona quando un cameriere si mostra irrispettoso? ›› ‹‹ Potrebbe chiedere a mia moglie, lei confermerebbe la mia versione e sono certo che non ti mentirebbe. Proprio lei, pur di non licenziare tuo padre, decise di troncare la relazione. Adesso non mi dilungo oltre — buona serata. ›› ‹‹ Aspetti, buona serata un cazzo: ›› diciamo pure addio al proposito di non mostrarti agitata. ‹‹ Le pare che possa andare da sua moglie a chiedere una cosa del genere? Avrebbe il sacrosanto diritto di mandarmi a quel paese. Spetta a lei darmi delle prove, fino a quel momento non crederò ad una singola parola di ciò che mi ha detto. ›› bugia, il tarlo del dubbio si sta già facendo spazio dentro di te. ‹‹ La prova è una: mia moglie è rimasta incinta, dopo che io personalmente li ho beccati insieme. Quale prova vuoi, quando la più evidente è davanti agli occhi? Sta a te se credermi o meno, la verità è questa. ›› ‹‹ E lei non ha avuto rapporti con sua moglie in quel periodo? ›› sei forse un po' invadente, ma non t'importa granché. ‹‹ Perchè avrebbe dovuto tradirmi, se non per questo? ››
Ti ammutolisci per qualche istante, un po' sorpresa da quella risposta.
‹‹ Un tradimento non si verifica soltanto in assenza di sesso, per quanto ognuno abbia comunque delle esigenze. La ringrazio per questa amabile chiacchierata. ›› abbassi il capo con ironia in segno di saluto e giri i tacchi: hai bisogno di andare via da questa casa per almeno qualche ora e hai bisogno di farlo subito. Percorri qualche passo in direzione della porta, ma poi, improvvisamente, torni dall'uomo che era rimasto ad osservarti e, forse dimenticando quanto dovresti essergli riconoscente per tutto ciò che hai, gli punti l'indice contro con fare minaccioso. ‹‹ Ah, se questa storia dovesse rivelarsi falsa, sappia che le conseguenze non saranno tanto dolci. Ossequi. ››
Ridicola.
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Osservi lo skyline della tua città comodamente sdraiata sulla tua panchina preferita del Gantry Plaza State Park, il posto che raggiungi sempre quando di notte vuoi stare sola e che, infatti, hai mostrato soltanto ad una persona. Non puoi fare a meno di pensare che dietro tutte quelle luci si nascondano persone, che magari sono sole come te o che magari hanno avuto il coraggio di aprire il loro cuore e abbandonarsi all'amore. Sorridi, ironica. A te riconoscere i tuoi sentimenti porta solo sfiga, non sei destinata a certe cose: perché scoprire che Robert potrebbe essere tuo fratello proprio quando stavi familiarizzando con l'idea di poterne essere innamorata, altrimenti?
𝐇𝐢𝐬 𝐩𝐥𝐚𝐧 𝐟𝐨𝐫 𝐦𝐞 𝐢𝐬 𝐪𝐮𝐢𝐭𝐞 𝐜𝐥𝐞𝐚𝐫.
╾ 𝑳𝒖𝒄𝒊𝒇𝒆𝒓 ╾
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La Cina punta su Merlot e Cabernet a Emozioni dal Mondo 2017
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La Cina punta su Merlot e Cabernet a Emozioni dal Mondo 2017
Sta diventando sempre più internazionale la competizione enologica di Bergamo dedicata a Merlot e Cabernet. Dai 9 Paesi “fondatori” della prima edizione del concorso Emozioni dal Mondo (era il 2005) si è passati infatti ai 23 di quest’ultima (19-21 ottobre 2017), con 256 etichette in gara e un medagliere complessivo di 77 ori.
La sorpresa di quest’anno è la Cina, che ha ottenuto ben 11 medaglie su 17 vini presentati, a conferma dei progressi che la vitivinicoltura del Sol Levante sta facendo anno dopo anno. Ottime anche le performance di alcuni Paesi dell’Est europeo, a cominciare da Serbia (8 riconoscimenti) e Croazia (7), e del sempre più sorprendente Israele (5 medaglie). E l’Italia, che ha fatto la parte del leone con 33 ori (soprattutto da Veneto, Lombardia e Sicilia).
Merlot e Cabernet dalla Cina, un exploit atteso
Per il concorso bergamasco si tratta di un’evoluzione che non ha sorpreso affatto gli organizzatori, e in particolare il direttore del Consorzio Tutela Valcalepio, Sergio Cantoni. «Fin da quando abbiamo dato vita a Emozioni dal Mondo – Merlot e Cabernet Insieme», commenta il dinamico enologo albese trapiantato nella Bergamasca, «ci siamo posti l’obiettivo di trovare nuove espressioni del territorio. Già dieci anni fa abbiamo “scoperto” Israele, che era considerato un Paese vinicolo secondario e che invece adesso, grazie alle varietà Merlot e Cabernet, sta esprimendo ottimi vini».
L’Est Europa in concorso
«Grazie alla collaborazione di personale dell’Est Europa, abbiamo attirato l’interesse di numerosi Paesi di quell’area: Croazia, Slovenia, Serbia, Moldavia, Montenegro, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania. Ma l’ultima “scoperta” del concorso è stata, come abbiamo visto, la Cina che ha ottenuto numerose medaglie con vini molto interessanti».
Meglio vini potenti o etichette eleganti?
La qualità dei campioni presentati quest’anno è stata, a detta di tutti i giurati, nettamente superiore a quella delle passate edizioni. «Vorremmo però che le commissioni non valutassero i vini solo dal punto di vista storico-qualitativo del Merlot e del Cabernet, ma cercassero di capire anche come si muove l’evoluzione del mercato», spiega il presidente, al quale è stato consegnato anche un premio per l’attività nel Consorzio.«Le cantine dovrebbero produrre vini come richiedono i consumatori. Se vogliamo conquistare nuovi mercati e nuovi appassionati non dobbiamo perciò limitarci agli aspetti storici di queste varietà. Finora il concorso ha premiato soprattutto i vini potenti, caldi, però vorremmo poter valutare anche vini di minore gradazione e più eleganti. In questo, l’assenza dei vini francesi costituisce un aspetto emblematico».
Il regolamento del concorso Oiv
A valutare i vini, gli organizzatori del Consorzio Tutela Valcalepio hanno chiamato circa ottanta esperti degustatori provenienti da ventinove Paesi. Sono stati assegnati solo ori e nessun argento perché l’alta qualità dei campioni presentati ha fatto sì che il limite di medaglie attribuibili (il 30% dei vini partecipanti, a norma di regolamento Oiv) abbia assorbito, in base ai punteggi della giuria, l’intera quota, escludendo così quei vini che avrebbero avuto diritto alle medaglie d’argento. La forbice del punteggio ha oscillato quest’anno tra un massimo di 90/100 e 86/100, voti che di solito rientrano nella categoria delle medaglie d’oro.
Gli altri riconoscimenti di Emozioni dal Mondo 2017
Oltre alle medaglie sono stati assegnati anche venti premi della stampa specializzata, uno a ciascun Paese, per i vini che hanno ottenuto il punteggio più alto oltre la soglia richiesta per la medaglia d’oro. A un Merlot australiano è stato assegnato invece il premio del web, mentre altri due riconoscimenti sono andati a vini fuori concorso ottenuti da incroci di Merlot e Cabernet. La lista dei premiati è consultabile su www.emozionidalmondo.it
In programma anche un convegno e il banco d’assaggio
Infine, grande interesse anche per il convegno sul tema “Bevi il tuo territorio e sarai sano”, che si è svolto alla Camera di Commercio di Bergamo con l’intervento di alcuni importanti esperti internazionali. Nell’occasione, il professor Mario Fregoni ha presentato il proprio volume (di uscita imminente) “Le viti native americane ed asiatiche. Prontuario dei portinnesti e delle varietà”. In chiusura di kermesse, si è svolto a Porta Sant’Agostino un affollato banco d’assaggio dei vini premiati aperto al pubblico.
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Il dono.
San Pietroburgo - 3 dicembre 1983
“Bayu-bayushki-bayu, Ne lozhisya na krayu. Pridyot serenkiy volchok, On ukhvatit za bochok I utashchit vo lesok Pod rakitovy kustok.”
Una donna dondolava con un bambino tra le braccia, gli occhi scavati e un rivolo di sangue che scendeva da una ferita aperta sulla fronte. Piangeva, ma non come farebbe chiunque sia sopravvissuto a qualcosa, versava solo lacrime vuote, acqua salata che fuoriusciva da un involucro. “ Bayu-bayushki-bayu “ la mano della donna lentamente si allontanò dal corpo e dalle gambe del bambino che tremava, scosso dal terrore più puro. Le dita toccarono la lama fredda di un coltello, attirarono verso di sé l’arma, che la donna infine impugnò. Il braccio si sollevò lentamente, forse troppo lentamente. Agli occhi di chi aveva pochi anni quello non doveva essere che un gioco, ma per John quell’azione poteva corrispondere a una sola reazione. John si divincolò subito dalle braccia della madre, che però riuscì ad afferrare la collottola e trascinarlo a sé, nel mentre aveva anche calato la lama, che però era andata a incastrarsi tra le assi del pavimento di legno. «Mama! Niet! Niet! Shto tij dielaiesh!?» John riuscì a farsi sfilare la maglietta e a sfuggire dagli artigli della madre delirante, completamente ubriaca e probabilmente anche sotto effetto di qualche droga. John arretrò lentamente, ma quando la madre scattò in avanti finì per inciampare e cadere a terra. Di nuovo il padre, seppur riverso in una pozza di sangue privo di vita, stava per fargli del male involontariamente, aiutando sua moglie in quell’osceno gesto di annientamento della sua stessa prole. John sentiva i pantaloni umidi, le mani bagnate del sangue del suo stesso padre, vedeva la madre raggiungerlo brandendo un altro coltello, afferrato dal tavolo. Gli sembrava di vedere tutto a rallentatore, fu allora che l’istinto di sopravvivenza vinse, ancora una volta, la stessa sera. Deglutì e si allungò verso la sua sinistra, dove poco prima aveva lasciato cadere la pistola che aveva fatto partire il colpo che aveva poi ucciso il padre, caricò il proiettile e sparò solo quando non serviva la mira per uccidere, quando la madre gli era praticamente sopra. Il corpo della madre, gli cadde addosso, andando a sovrapporsi a quello del padre. John strisciò all’indietro, in un angolo. Si raccolse e atterrito fissò la scena. Non poteva credere a cosa era appena accaduto, non poteva credere di aver finalmente difeso la madre dalle molestie del padre. Mamà non aveva capito però, lo aveva guardato atterrito ed era caduta in ginocchio. Il resto fu inspiegabile. John guardò i propri vestiti e le proprie mani colme di sangue, gettò a terra la pistola e pianse, forse per l’ultima volta nella sua vita.
• Mosca - 9 maggio 1980 •
Un ragazzo molto alto, dal corpo muscoloso e allenato, se ne stava in piedi davanti alla scrivania della Direttrice. «Lo sai che se te ne andrai noi non potremo più offrirti la nostra protezione, Jardani?» Il ragazzo annuì e tese la mano verso il pegno che la Direttrice offriva come ultimo regalo a ognuno dei suoi allievi che decideva di allontanarsi dall’Istituto. La Direttrice bloccò il polso del ragazzo con un colpo secco, che per nulla somigliava ai modi che aveva sempre avuto, «La vendetta non ti porterà da nessuna parte. Non immolarti per Inna, non ne vale la pena.» Il giovane uomo esitò qualche istante, ma poi si liberò dalla presa con un movimento circolare fluido e prese il pegno. Le luci rosse e blu lampeggiavano sul viso tumefatto di Jardani. Per l’ennesima volta nella sua vita si era trovato con un’arma in mano e i vestiti completamente coperti di sangue. Deglutì alla vista della polizia che veniva verso di lui con le pistole puntate contro, gettò a terra l’arma e alzò le braccia, soccombendo così al destino per il quale la Direttrice lo aveva messo in guardia.
• Mosca - 18 settembre 1990 •
John si stava allenando come sempre durante la sua ora d’aria, i muscoli indolenziti dal troppo star fermi sembravano scalpitare mentre, alla barra, tirava su l’intero peso del suo corpo. Era cresciuto in prigione, da anni non vedeva la libertà. Dal riformatorio era passato alla prigione per adulti e da lì aveva solo desiderato di essere lasciato in pace, con i suoi fantasmi.
Di tanto in tanto però Inna andava a visitarlo, portandogli dei libri, raccontandogli cosa succedeva nel mondo. John aveva imparato l’inglese, il francese, lo spagnolo e le scienze. Atterrò in piedi dopo aver lasciato la sbarra e raccolse la maglietta da terra, diede una rapida occhiata intorno agli altri prigionieri che distolsero lo sguardo. Per quanto lo trovasse strano, nessuno gli aveva mai dato fastidio. Si era sparsa la voce che fosse lì per aver difeso una donna e per aver ucciso i propri genitori per poter sopravvivere. C'erano delle regole, persino in carcere, in un luogo dove i lupi si sbranavano tra di loro, lui era il grosso grizzly che nessuno osava importunare. La sirena suonò proprio mentre con tempismo perfetto si stava infilando la casacca, lo aspettava un’altra giornata in cella, da solo, in compagnia dei suoi libri. In fila indiana rientrarono attraverso la porta che dal cortile conduceva alla sala comune interna e poi alle celle, uno dopo l’altro i carcerati affiancarono le reti metalliche e sorpassarono il metal detector, per poi pigramente infilarsi ognuno nelle proprie celle. Proprio mentre John stava attraversando il metal detector un secondino gli appoggiò una mano sul petto. «Tij niet.» John corrugò la fronte e si fermò. Passarono svariati minuti dove rimase fermo, da solo, davanti al metal detector. «Pacemu?» domandò confuso. «U tibià iest visiit.» rispose la guardia, ma quello non era il momento delle visite. Quando tutte le celle furono chiuse suonò di nuovo la sirena e dal corridoio emerse un gruppo di uomini vestiti in giacca e cravatta, davanti a loro un uomo più anziano, dall’aria affabile, si avvicinò al carcerato. «Noi due dobbiamo farci una chiacchierata.», l’uomo era americano e gli aveva indicato di seguirlo. I secondini sembrarono ignorare la scena, come se tutti lì fossero fantasmi. Gli uomini in giacca e cravatta si disposero in cerchio attorno ai due, il loro presunto capo si sedette e si accese un sigaro mentre gli indicava di prendere posto di fronte a lui. «Ho sentito cose strabilianti sul tuo conto, J.J. Mi hanno detto che non ti hanno mai visto dormire profondamente e che se ti addormenti sei sonnambulo. Alcune guardie hanno giurato di vederti in più posti contemporaneamente, mentre dormivi nella tua cella. Abbiamo persino delle registrazioni dove ti si vede camminare per i corridoi, alla ricerca di chissà cosa. E quando le guardie vengono per colpirti e riportarti in cella? Wossssh, tu sparisci e ti ritrovano in cella, a mugolare nel sonno.» John aveva lo sguardo abbassato sul tavolo e sulle proprie mani incrociate. «Senti, J.J., a nessuno qui interessa cosa tu sia e come abbia fatto a fare tutte le cose che hai mostrato alle telecamere. Io sono qui per offrirti un’opportunità, un’opportunità che porterà il tuo culo fuori di qui.» Il carcerato sollevò gli occhi scuri lentamente, verso lo sconosciuto. «Io mi chiamo Winston e se accetterai la mia proposta voleremo a New York e ti potrai dimenticare il carcere, per tutto il resto della vita.» Jardani continuò a fissare l’americano di nome Winston, in attesa di saperne di più. «Sei di molte parole, eh? Beh dunque… Volevamo offrirti un lavoro, noi dell’Ordine. Sarebbe una cosa che tu sapresti fare alla perfezione e ti garantirebbe di vivere tranquillamente in libertà, senza incorrere in problemi con la legge. Siamo una società segreta molto organizzata, in molti sanno della sua esistenza e comunque è come se nessuno però la conoscesse. Siamo ovunque, persino qui dentro, J.J.» Il carcerato si guardò intorno, uno dei secondini gli fece un breve cenno. Tornò poi a osservare l’uomo, questa volta però dischiuse le labbra, cercando di formulare una frase di senso compiuto. «Mi sembra di capire che questo Ordine, come lo chiamate voi, sia solo una confraternita segreta di delinquenti.» Winston sollevò le sopracciglia, fingendo di essere attaccato e, perché no, offeso dal suo giudizio. «Perché sei subito andato a parare proprio lì?» Il carcerato strinse i denti e i muscoli della mascella guizzarono, «Per quale altro motivo qualcuno sarebbe disposto a rimettermi in libertà in cambio di qualcosa che non sia uccidere?» Winston stavolta sorrise e con un cenno delle dita si fece porgere una valigetta da cui estrasse un registro e alcune monete d’oro. Aprì il registro su una pagina vuota, sembrava già pronta ad accogliere la sua identità. «Vedi J.J. a volte alcuni non capiscono le nostre doti. E talvolta nemmeno noi stessi lo facciamo. Tu hai una dote e chi non la capisce è un ipocrita. Non sei un folle. Tu hai ucciso, ma per una motivazione più che comprensibile. Eppure questa tua inclinazione non passerà mai, quando lo fai una volta e lo rifai appena ne hai l'occasione, giusta o sbagliata che sia, credimi. Solo che questo tuo tormentarti ti porterà a farlo per sbaglio. E allora sì, quel giorno diventerai un mostro e non un dono.» A Jardani sembrava di sentire parlare un folle, tutto questo discorso su moventi giusti e perdono per aver portato via la vita di parecchie persone non avevano senso. «Non credo sia il mio caso.», disse con un fil di voce. I due si osservarono in silenzio a lungo, fino a quando Winston si piegò in avanti sul tavolo, ponendo un palmo aperto sulla pagina vuota. «Ascoltami. Hai passato gran parte della tua vita da solo, sei stato un orfano, nessuno ha mai voluto adottarti e sei uscito dall’Istituto solo per qualche minuto prima di essere arrestato e finire qui. Da quanto sei qui? Cinque? Sei anni? Per quanto ancora devi starci? Dieci? Venti? Dammi retta, non meriti questo posto. Meriti una seconda occasione e noi dell’Ordine vogliamo dartela. Scordati la Direttrice, scordati la Ruska Roma. Devi solo firmare questo registro e seguirmi, la tua vita cambierà.» Il carcerato osservò prima l’uomo e poi il registro. «Cosa succederà dopo che avrò firmato?» Winston estrasse una penna stilografica con una strana punta metallica sul tappo. «Avrai una nuova identità, un lasciapassare e una valuta specifica per il nostro…Mondo. Potrai viaggiare in prima classe, contare su hotel sicuri in tutto il mondo e potrai farti molti amici. In cambio dovrai lavorare per chi te lo chiederà.» «Dovrò uccidere.» Winston lo fissò qualche istante e poi annuì lentamente. «Innocenti?», chiese John, monocorde. Winston stavolta scosse la testa, altrettanto lentamente. Fissò la penna e il registro, poi prese ad annuire. «D’accordo.» Winston sorride e allargò le braccia. «È la scelta più intelligente che ti cambierà la vita, potrai avere un assaggio di normalità e, perché no, di lusso. Ora bucati il dito e imprimi il tuo sangue su questo registro, intanto preparerò i tuoi nuovi documenti.» Il russo fece come gli era stato detto, ma quando venne il momento di firmare si fermò. «E il mio nome? Devo inventarmene uno?» Winston sembrava aver già preparato alcuni documenti, come se avesse già subito sospettato che non avrebbe rifiutato. «Di certo Jardani Jovanovich non ti si addice. Troppo lungo. Troppo sovietivo. Ti chiamerai Jonathan Wick, ti risparmio minuti di indecisione sul tuo futuro nome.» Jardani osservò la sua impronta ormai asciutta sulla pagina e sopra appose la sua firma, la nuova firma. Winston poi allungò verso di lui un passaporto dalle scritte in cirillico, una carta di identità insolita e una pila di dieci monete d’oro. «Inizierai con queste cose e con quello che ti forniremo al Continental una volta arrivati a New York. Per la prima settimana i nuovi arrivati sono ospiti, possono approfittare di qualche giorno di vitto e alloggio gratuiti, nel mentre possono farsi qualche amico e iniziare con qualche contratto. Ogni contratto ti farà guadagnare un po’ di queste monete speciali, oppure qualche altra cosa, questo sarà pattuito con il mandante…Case, auto, nuove armi.» John annuì, ancora leggermente stordito da quella notizia inaspettata. «Benvenuto nell’Ordine, Mr Wick.»
• New York - 6 aprile 2017 •
La musica soffusa tipica degli hotel di lusso, stava accompagnando la camminata incerta di John attraverso la hall. «Buongiorno Mr Wick. Nottata movimentata?» «Charon. Sì, sì decisamente. Potresti per favore mandarmi in camera la colazione, un medico e del Bourbon?» L’uomo di colore, elegante e professionale, si abbandonò a un mezzo sorriso e annuì. «Certo Mr Wick. Desidera altro?» John scosse la testa, con solo l’accenno di una smorfia. Stava per andarsene quando si volse di nuovo verso l’uomo dietro alla reception. «È stato buono?» Charon sorrise di nuovo e annuì, «Come sempre, Mr Wick. Le auguro una buona giornata.» John si esibì di nuovo in un cenno silenzioso. In quel momento aveva solo voglia di sedersi, bere del Bourbon e stare in compagnia del suo fedele amico a quattro zampe senza un nome.
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morse code guitar (un vecchio racconto breve)
mi fai compagnia per una sigaretta -mi scrivi che già sono in pigiama, a un'ora di distanza dall'incazzarmi perché non riesco a prendere sonno- giù al traghetto? passo a prenderti.
vorrei dirti che ho smesso da poco, e vederti succhiare via gusto e centimetri dalle tue philip morris avrebbe l'unico effetto di innervosirmi e farmi sfregare indice e medio fino a consumarli, alla ricerca di qualcosa, come gli amputati che sentono ancora la gamba mandar bestemmie giù per tutto il sistema nervoso. ho un pacchetto vuoto accanto al letto, per le volte che mi sveglio di soprassalto e ne vorrei soltanto una, per cominciare la giornata in modo decente o per tornare a dormire più in fretta. il tempo che occorre a esplorarlo con l'indice per non trovar nulla è quello che mi serve a realizzare che, da un punto di vista che non riesco ancora ad apprezzare, l'ho fatto per il mio bene. se al momento me stesso non mi stesse particolarmente sul cazzo probabilmente sarebbe più facile.
‘cosa ci fai con un pacchetto di cicche vuoto sopra il comodino?’ mi avevi chiesto l'ultima volta, e avrei voluto essere già uno di quegli ex fumatori a cui dà fastidio anche solo l'odore per poterti rispondere, saccente e insostenibile, ‘cosa ci fai tu con uno pieno in borsa, piuttosto’; invece mi ero limitato a chiederti se potevi fumare alla finestra -ché avevo appena imbiancato e non volevo di nuovo la puzza di fumo in camera-, a guardarti inarcare la schiena per infilarti gli slip sotto le coperte e poi uscirne, per camminarmi lontano qualche passo, verso il balcone. il tessuto mal sistemato sulla chiappa sinistra di quel tanto sufficiente a farmi fare di nuovo l'errore di chiederti di tornare a letto. la tua risata compiaciuta.
vorrei dire tutto questo, ma ho poca voglia di lussarmi un pollice sullo schermo del cellulare, per cui dico solo di sì e mi trascino al paio di jeans più vicino al divano.
magari ci scappa un limone. un bacio sul collo senza conseguenze. un abbraccio. una scheggia di qualcosa. mi sto sul cazzo, ma posso anche passarci sopra da quando ho scoperto che neanche tu sei la nostra persona preferita al mondo. senza aspettative è come senza bagaglio; una volta che hai accettato il fatto che tanto lontano non puoi andare è tutto più leggero.
al traghetto ci fermiamo diagonali rispetto alle strisce dei parcheggi, che tanto a quest'ora, in questa zona, in questa stagione. le vacanze imprigionate -come teste di cervo inchiodate a una placca di legno- nelle digitali di chi domani andrà in ufficio a decinecentinaiamigliaia di chilometri da qua. finita l'estate alle vie, agli alberghi, alla città è rimasto solo lo scheletro. senza i muscoli. senza i nervi. senza il cuore, soprattutto. il fiume che si butta pigro nell'adriatico, i cigni che sembra sappiano anche meno di noi cosa fare di stasera, i camerieri del ristorante qua dietro che tornano a casa parlando di mance e frasi in dialetto da sparare ai tedeschi per offenderli sorridendo, come se fosse colpa loro.
scendi e incroci le braccia, appoggiata alla portiera della golf grigia. immobile in tutto se non nell'avambraccio che ti nutre di catrame un respiro alla volta, nel collo per spiare le macchine che passano e nell'aria che passa tra le corde vocali per raccontarmi il tuo punto di vista, le tue bugie. come se non fossero sinonimi.
a venti metri da noi c'è un pescatore che sembra uscito dalle vignette della settimana enigmistica, con il gilet milletasche, la camicia a scacchi. ha i chili di troppo e la barba bianca che ti aspetti da un professore di matematica. a un passo da lui un osservatore di pescatori che delle vignette della settimana enigmistica sembra un autore. fin troppo educato a vedersi, di una certa età, accomodato sugli scogli come fossero una poltrona di pelle marrone. l'uno ben conscio dell'esistenza dell'altro, perfettamente complementari, restano lì, senza dire una parola, guardando fissi il filo che segue la corrente e i movimenti del polso del professore di matematica. d'altronde pescare e osservare chi pesca sono azioni che si risolvono in sè. senza bisogno di parole, osservazioni, battute.
tu continui a parlare di gente che non vedo da anni che ha fatto cose per cui te la sei presa, nemmeno fossimo ancora a scuola. il tuo tono di voce è rassegnato, monocorde. come se non ti volessi lamentare davvero. come se il tutto fosse un pretesto. per me, per il traghetto, per la sigaretta. perché è facile essere la cosa più bella quando tutto intorno è squallido e abbandonato. la consolazione non troppo inconscia di chi non ha voglia di lottare poi tanto.
non ti ascolto quasi più, rapito dal silenzio, dalla tranquillità, dal senso di a posto che esprimono il pescatore e il suo spettatore. mi sintonizzo sulle tue parole solo quando sono accompagnate da una nuvola di fumo che mi brucia gli occhi. ti ricordi quando alle elementari facevamo le recite contro le sigarette e tre anni dopo eravamo stesi sull'argine con le ms rubate al bidello a provare a far i cerchi di fumo?
cosa cazzo fai quando i tuoi sogni da bambino ti appaiono, in tutta la loro ingenuità, delle gigantesche cazzate, ma le aspirazioni degli adulti ti ispirano soltanto una sconfinata mestizia, e sei a troppi paesi privi di bidet di distanza da un luogo in cui -al limite- potresti provare a far qualche soldo cantando come ti senti prima e dopo assoli di chitarra che sembrano scritti in codice morse?
sorridi con un angolo della bocca e schiacci il filtro sotto le converse. un colpo di tosse per prender tempo. che tanto come andava a finire l'hai già deciso tu ancora prima di scrivermi, non vedo perché dovrei preoccuparmene io.
‘andiamo?’, mi dici, e non sento neanche metà dell'eccitazione che vorrei. alla mia sinistra il professore di matematica ha appena tirato su un buon tre etti di pranzo alla griglia dall'acqua. nessun sospiro di gioia, nessun cenno di approvazione dall'autore di vignette della settimana enigmistica. come se fosse prevedibile, inevitabile. il credo dopo la predica. il triplice fischio dopo i novanta minuti. il professore si allunga, toglie la preda dall'amo e commenta, senza distogliere lo sguardo dall'operazione, ‘vede, ragioniere, il fatto è che, in sostanza, ognuno dovrebbe farsi gli affari propri.’
mi prendi per la manica della felpa e mi abbracci, ma tutto quello che vorrei sarebbe andare lì sugli scogli, dove non c'è niente che non sia previsto, e le frasi sono solo riassunti di ragionamenti precisi, circolari, ponderati da sa dio quanto tempo. invece mi rifugio nella mela verde del tuo shampoo e mi accomodo tra il tuo sedile del passeggero e la nostra ennesima possibilità. partiamo e dietro di noi pare si stiano alzando, preparandosi per andare via. come se fosse tutta una scena, una lezione fatta apposta per insegnarmi qualcosa che dimenticherò tra gli elastici della tua biancheria.
o forse è solo che fine settembre è ancora troppo poco autunno per essere vero.
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