#Accarezzare un gatto nero
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Gatto nero: strega, sfortuna, fortuna o felino?
Gatto nero: strega, sfortuna, fortuna o felino? A voi la scelta! #gattonero #credenzegattonero #felinonero #chatnoir #gatonegro #gatopreto #svartakatten #manekineko #schwarzekatze #perfettamentechic
Il gatto nero 🐈⬛ è una camuffamento di una strega? Un brutto presagio per chi lo incontra? O una grande benedizione di gran fortuna ad averne🐾in casa? O semplicemente un bellissimo micio dal manto scuro? Ognuno la pensa come vuole ma nel frattempo togliamoci qualche curiosità su tanti interrogativi sul felino nero. 🐈⬛Strega? Nella storia, soprattutto nel Medioevo, si credeva che i gatti neri…
#17 novembre#22 razze di gatti dal manto nero#abbondanza e benessere#Accarezzare un gatto nero#aiutanti delle streghe#Angora nero#avversione dei gatti neri#bellissimo micio#Black Cat#Bombay Americano nero#British Shorthair#brutto presagio#camuffamento di una strega#Cat Sìth#Chat noir#compagni delle streghe#creatura enorme#creature demoniache#credenze popolari#dal 31 ottobre al 1 novembre#dea Bastet#demoni#Devon Rex nero#emanazione della bolla Vox in Rama del 1233#energie negative#esseri magici#famigli#felini dal manto scuro#felino#felino dal manto nero
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non sono triste, ho solo bisogno di un buon libro da leggere e di un gatto nero da accarezzare.
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Nessuno parla di niente in particolare e nessuno sembra preoccupato per questo, io almeno no. Mio padre racconta che uno dei suoi soci in affari è appena morto di cancro al pancreas e mia madre racconta che una sua conoscente, una con cui gioca a tennis, ha avuto una mastectomia. Mio padre ordina un'altra bottiglia - la terza? la quarta? - e parla di un affare che sta concludendo. La più grande delle mie sorelle sbadiglia, tormenta l'insalata. Penso a Blair tutta sola nel suo letto ad accarezzare quello stupido gatto nero e al cartellone con la scritta «Sparire Qui», e allo sguardo di Julian, e chissà se Julian è in vendita. Penso alla gente che ha paura di buttarsi, e alla piscina di notte, con l'acqua luminosa che brilla in giardino.
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Ieri al ritorno dai discount che non ha più prezzi da discount abbiamo incontrato un cagnolone nero, una stazza davvero importante, se si fosse messo all'inpiedi sarebbe stato alto quanto noi (e noi di tautologiedialettiche non possiamo vantare un'altezza stratosferica, ma vista la media qua siamo abbastanza "alti") ed era tutto felice e sorridente, mi metteva allegria, ieri poi ero tutta gasata perché per una volta nella mia vita avevo preso una decisione e passato all'atto nell'arco della stessa giornata che è una roba molto insolita dato che ci vogliono giorni settimane ma anche mesi prima che ci muoviamo; questa mattina sempre di ritorno in quel maledetto discount che ormai non ha più i prezzi di un discount ma quello c'è e quello ci teniamo, c'era di nuovo quel cagnone e voleva farsi accarezzare il muso e sorrideva e si strusciava come un gatto solo che fatto da una bestia di non saprei-quanti-chili questo significa che ci stava buttando a terra, però la sua linguaccia penzoloni metteva allegria ed oggi ci serve tantissimo perché il gasamento di ieri si è concluso in uno sprofondamento negli abissi della nostra psiche dove non riusciamo più a pensare e a prendere delle decisioni peggio di prima e soprattutto dove esiste il nulla.
Però camminare in strade semideserte, col cielo grigio, aria fredda e umida, quando i pensieri non sono felici, è una bella cosa, soprattutto se mentre stavi a testa in giù per asciugare i capelli ti pieghi in due come se fosse venuto un crampo allo stomaco ma non sono le viscere che si ribellano, ma l'anima, lo spirito, boh un pugno mentale ad altezza stomaco (una poi dice "perché hai sempre bruciore di stomaco") e ti metti a piangere lacrime che nemmeno escono ma ti esce il mal di testa perché comunque hai sforzato occhi tempie e tutta quella zona là e poi la giornata è pure umida e soffri di cervicale. Allora lì una passeggiata, tu anima grigia ed incolore, cane randagio in questo deserto di opportunità, ci sta benissimo quando fuori è tutto grigio e deserto e sei finalmente nel tuo elemento. "La natura che si riappropria dei propri spazi". Chissà se questo stato d'animo poi sia la causa scatenante dei continui sogni fondamentalmente tutti uguali che facciamo: girovagare in ospedali – cliniche o qualcosa di simile – labirintici cerca di qualcuno o qualcosa (solitamente un bagno) altre volte in cerca di un'uscita e non trovare mai niente/nessuno di quello che cercavamo.
"Anima pezzente aerospaziale" sarà il nostro insulto preferito, lo inseriremo nella nostra lista di insulti predefiniti così partirà in automatico appena se ne presenterà l'occasione.
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“ La stanza in cui entrai conteneva una vecchia stufa di ferro nero che mandava un luccichio di fiamme. Due poltrone vetuste e incredibilmente malridotte. Un altro bel tavolo di legno, vecchio, coperto di carta di giornale. Un divano pieno di vestiti e fagotti. E un gatto giallo sul pavimento. Era tutto così sudicio, squallido, triste, orribile. Pensai a tutte noi che scrivevamo di decorazioni, mobili e colori - a come cambiava il gusto, alla quantità di oggetti che buttavamo via, sempre stanche di tutto. E c'era questa cucina, la cui foto, se l'avessimo pubblicata, ci avrebbe sommerso di donazioni di lettori. Mistress Fowler arrivò con una vecchia teiera marrone e un paio di tazze da tè, di porcellana, piuttosto graziose. Fu la cosa più difficile che avessi mai fatto, bere da quella tazza sporca. Non parlammo molto perché non volevo rivolgerle domande dirette, e lei tremava di orgoglio e dignità. Continuava ad accarezzare la gatta - «Bellezza mia, tesoro,» in tono duro ma con una sorta di dolcezza - e disse senza guardarmi, «Quand'ero giovane mio padre aveva un negozio, e poi abbiamo avuto una casa in Saint John's Wood, e così lo so come dovrebbero essere le cose.» E quando mi accomiatai disse, sempre senza guardarmi, «Suppongo che non ci vedremo più...» E io dissi, «Potremmo vederci, se vuole.» Allora mi guardò, e c'era un leggero sorriso nei suoi occhi, e io dissi, «Verrò sabato pomeriggio a prendere il tè, se vuole.» «Oh, ma certo che voglio, certo che voglio.» E tra di noi si stabilì un attimo di intimità: ecco la parola giusta. Eppure lei era così orgogliosa, non voleva chiedermi niente, poi si voltò dall'altra parte e ricominciò ad accarezzare la gatta: Oh, carina, bellezza mia. Quella sera tornai a casa in preda al panico. Mi ero compromessa, mi ero impegnata. Ero piena di disgusto. L'odore acre, sudicio permeava i miei vestiti e i miei capelli. Mi feci un bagno, mi lavai i capelli, mi vestii e mi truccai con cura, poi telefonai a Joyce e dissi, «Andiamo a cena fuori.» Consumammo un'ottima cena da Alfredo, e parlammo. Io non dissi niente di Mistress Fowler, naturalmente, eppure non feci che pensare a lei: seduta nel ristorante, con tutta quella gente ben vestita, pulita, continuavo a pensare, se lei entrasse in questo posto... be', non glielo permetterebbero mai. Non potrebbe entrare qui, nemmeno come sguattera, o donna delle pulizie. “
Doris Lessing, Il diario di Jane Somers, (traduzione dall'inglese di Marisa Caramella), Feltrinelli-Milano, 1986¹ [ Libro elettronico ].
[ Edizione originale: The Diary of a Good Neighbour, Alfred A. Knopf Publisher, 1983 ]
#Doris Lessing#Il diario di Jane Somers#Marisa Caramella#letteratura europea del XX secolo#narrativa del '900#libri#letteratura inglese del '900#letteratura inglese del XX secolo#narrativa del XX secolo#letteratura europea del '900#letture#citazioni letterarie#leggere#donne#commiserazione#povertà
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Buoni propositi per il 2019
Fare letture mirate (principalmente su argomento dottorato + medioriente);
Recupero classici in bianco e nero;
Approfondire lo spagnolo;
Portare a termine il progetto a maglia;
Farmi nuovi amici;
Andare in Portogallo;
Fare tour Giorgio Bassani a Ferrara (che poi lo dico perché potrebbe esserci la possibilità);
Visitare gli Uffizi;
Fare una settimana di mare;
Cercare di ufficializzare l'iscrizione al dottorato;
Mangiare più sano, evitando il più possibile grassi insaturi;
Procurarmi una macchina per i waffle e una Sodastream, per consumare meno plastica;
Consumare meno plastica;
Rincarare la dose di miglioramento intellettivo;
Accarezzare almeno un gatto che non sia il mio;
Fare un viaggio, anche in Germania stessa, con ragazzo;
Tagliarmi la barba completamente almeno una volta, così da curare anche le impurità della pelle;
Trovare un feed più personale su Instagram;
Cercare di vedere più spesso Davide;
Continuare almeno uno dei carteggi che tengo in questo momento;
Fare molti vestiti per la Barbie che mi ha regalato Armando;
Tornare a Berlino;
Recuperare i Soprano.
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Il piacere, nero su bianco
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Il piacere, nero su bianco:
guardare le piante grasse e domandarmi come mai quelle che preferisco hanno sempre le spine;
il sorriso sui visi di mia sorella e mio fratello quando pensano che non li stia guardando;
accarezzare le orecchie del mio gatto;
il caffè con il latte freddo e la prima sigaretta appena alzata;
sedermi in un angolo di un bar, da sola, con un pezzo di carta, e scrivere delle persone che mi passano vicino, che per un attimo strofinano timidamente la loro vita con la mia;
puntare i negativi dei vecchi rullini verso il cielo, controluce;
sedermi a gambe incrociate su un cuscino morbido;
abbracciare chi mi apre la porta di casa;
la sensazione di solletico alla punta delle dita quando incontro una casa particolare in un vicolo stretto;
fumare sul retro delle stazioni di servizio in autostrada;
vedere le parole nero su bianco.
(instagram)
#spina#le spine#spine#piacere#nero su bianco#amore#dolore#mancanza#scrittura#scrivere#scrittore#piante grasse#pianta#pianta grassa#cactus#sorriso#fratello#sorella#famiglia#orecchie#carezze#carezza#gatto#caffè#latte#sigaretta#bar#angolo#carta#foglio
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Ieri ho conosciuto un gatto nero rosso e bianco al cimitero. L’ho incrociato che passeggiava vicino alla necropoli e mi è passato accanto senza parlarmi e poi di nuovo, vicino alle cappelle di famiglia dei ricchi. Mi è venuto incontro, ha fatto un miagolio minuscolo e poi si è steso a terra con la pancia morbida all’aria per farsi accarezzare e prendere in braccio. Avrei voluto portarlo a casa ma non sarebbe stato giusto, anche perché sicuramente sta meglio lì in mezzo a tutti quei larici e marmo e quiete piuttosto che a casa mia in quaranta metri quadri. È un autunno bellissimo, pallido e nebbioso. I tre semi di limone che ho piantato in quarantena sono ora timide ma solide piantine. Papà mi ha regalato un frullatore e l’altra sera ho preparato la vellutata di zucca per me e Naim. É bello cucinare per due. Quando andiamo a dormire lui si infila prima nella mia parte del letto per scaldarlo prima che arrivi io. La mia cosa preferita però sono gli abbracci: la notte mentre dormiamo, la mattina prima di salutarci, la sera quando ci rivediamo, mentre lavo i piatti o quando lo guardo ed è così bello che devo andarmi a rifugiare sul suo petto così non lo devo guardare in faccia. Stamattina c’è il sole e resto qui sul balcone a scrivere e leggere un po’. Penso al gatto di ieri e forse lo andrò a trovare questa settimana.
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Un signore mentre passeggiavo con Zero mi ha fermata facendomi le solite domande che si fanno quando si incontra un cucciolo, quanti mesi ha, cosa gli do da mangiare e se ha imparato a fare i suoi bisognini fuori o no. Io sono sempre molto disponibile e rispondo alle domande, poi parlando mi accorgo che il tipo aveva scambiato Zero per un segugio ma li per li non ho detto nulla, non tutte le persone conoscono tutte le razze di cani e a me non piace mettermi in cattedra a fare la maestrina così continuo la conversazione che si sposta sul gatto rosso del signore, dopo qualche risata e alcuni luoghi comuni sui gatti che puntualmente mi sento in dovere di sfatare, tipo che i gatti sono animali opportunisti e che non si affezionano come i cani, mi dice una frase che mi lascia di stucco, cito testualmente: "nella mia vita ho avuto gatti di tutti i colori tranne che neri perché portano sfortuna" a quel punto lo informo che ho un bellissimo gatto nero e lui con un'espressione perplessa mi chiede con il segugio (Zero) dentro casa come andavano le cose, così rispondo che il segugio non è un segugio ma un dobermann, lui fa una risatina, smette di accarezzare Zero e mi dice: "hai un gatto che porta sfiga e il cane pazzo di Hitler" a quel punto non ci vedo più e facendo appello a tutta la mia diplomazia gli ho risposto, citandomi testualmente: "il dobermann a sette anni compie solo sette anni e non impazzisce, il cane di Hitler era un pastore tedesco e che comunque qualsiasi sia stato il suo cane non vedo come questo c'entri qualcosa con l'amore e la passione per un determinato tipo di cane, che il mio gatto nero non porta sfortuna è che l'unica vera sfiga è che nel 2018 si incontrano ancora persone così tremendamente ignoranti e superstiziose" poi io e Zero ci siamo girati e siamo andati a giocare con la pallina. Amo i miei pet e non ammetto di sentire certe assurdità su di loro. #mypet #mydobermann #mycat #blackcat #gattonero #dobielove #dobie #dobermann #lovedobermann #loveblackcats #zero #piccettino #lechatnoir #kuroneko #lovedog #mydog #loveanimals #puppy
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Dan non ha mai avuto un animale domestico, per via del lavoro che faceva, rendeva impossibile potersi prendere cura di gatto o di un cane. Forse aveva sbagliato, perché l'effetto terapeutico di un animale domestico, l'avrebbe risollevato.
Ascolta la storia di Jack e di Cerbero ed assume un'espressione intenerita.
L'uomo deve aver vissuto molti momenti difficili e, nonostante la conoscenza, Dan non ha mai voluto chiedergli di parlargliene: è sicuro che l'avrebbe fatto lui, al momento giusto.
"Mi piace averne conferma." continua ad accarezzare il pelo nero e sospira con pacatezza. "Resterà con noi?"
“Ehm… Edward? Jack ha per caso portato qualcuno a casa questa notte? Perché c'è un grosso cane nero in salotto e… Sembra un po’ depresso.”
Si avvicina con cautela, solleva la mano verso l'animale e posa il palmo delicatamente sulla testa, per dargli delle carezze.
“Hey, ragazzone…”
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Capitolo 2
Ingrid
Quell'incontro mi ha turbata più di quanto non voglia. Aggrotto le sopracciglia davanti allo specchio mentre mi tolgo il mascara con un dischetto di cotone, storcendo anche la bocca. Mi spazzolo velocemente raccogliendo poi i capelli in una treccia e infilando una maglietta non mia. Poi mi infilo sotto le coperte. La musica è sottile in sottofondo ed assieme al frinire di grilli, complice il jet lag, mi addormento quasi subito con un respiro sottile e continuo. E' un tonfo che mi sveglia quella notte. Un vaso rotto. Mi alzo a sedere di scatto, cercando con la mano nel buio, di soprassalto, l'abat jour sul comodino, pensando ad un opossum o un procione che abbia deciso di giocare coi bidoni della mia spazzatura. Non appena accendo la luce tiro un urletto che subito mi gorgoglia in gola. Sul mio comodino c'è quello che sembra un leopardo in miniatura, vicino alle dimensioni di un gatto, anche se più grosso. Forse vicino ad un cane di taglia media, valuto osservandolo. Non mi sono documentata a dovere sulla fauna del Bayou, questo mi sembra evidente. Sta li, con grandi occhi acquosi quasi fessurati , come se mi stesse soppesando, seduto composto come una regina, sventagliando con la coda a destra e sinistra con ancora la zampa sinistra alzata, quella che deve aver decretato la prematura morte del vaso. Non so come cacciarlo via mentre sto immobile, immaginando il da farsi, valutando anche l'idea di andare a prendere la scopa in cucina. Ma non appena inizio ad accarezzare questa ipotesi l'animale si gira spiccando un agile balzo verso la finestra ed avviandosi per le strade, ingoiata da scampoli di buio in cui scivola. Fuoriuscendo dalle lenzuola abbasso lentamente la finestra, rinunciando a lasciarla aperta per questa notte e tornando poco dopo a dormire. ▼▼▼ Porto ancora sul viso i segni di un sonno disturbato. Ma nonostante questo decido di uscire in strada, bussando di porta in porta alla ricerca di un lavoro. Ho i capelli sciolti sulle spalle come un manto vivo, li sento fraseggiarmi sul busto mentre solco l'acciottolato del quartiere francese. Indosso un paio di shorts in jeans ed una camicia smanicata bianca, così come le scarpe da tennis che porto ai piedi e che constato non essere troppo confortevoli su una strada edificata troppi anni fa. Alzo gli occhi per valutare quale locale possa aver bisogno di qualcosa. So suonare, so esibirmi. In australia ero una discreta danzatrice su fune. Ma qui non vedo ombra di circo e questo mi da la sensazione di essere irritata. Mi rendo conto di essere sovrappensiero, qualcuno mi da anche una spallata, facendomi traballare qualche istante sulle mie stesse gambe mentre mi scuso, voltandomi indietro. E nonostante i miei proventi mi permettano una vita più che dignitosa per un lungo tempo ancora decido in un lampo che non riesco a stare con le mani in mano; non ne sono mai stata capace. Girovagare senza meta mi irrita proprio quanto la prospettiva di non fare nulla. Così salgo i tre scalini che portano alla porta di un bar dipinto in giallo e blu. Alzo il viso sull'insegna leggendo “Momo Café”. Ma è la voce roca di un uomo seduto ad un tavolino nel portico che mi richiama alla realtà, come se fino ad allora fossi stata assente. « Cerca qualcuno signorina? » è proprio una di quelle voci che si assocerebbero ad una canzone blues e proviene da un personaggio altrettanto peculiare. Un uomo di colore, con la pelle color del cioccolato fuso e i capelli ormai sulla via dell'incanutimento, con tra le labbra la pipa e una sgargiante camicia color salmone dalle maniche arrotolate. « Un lavoro, per la verità.. »ammetto stringendomi nelle spalle con un mezzo sorriso. Sembra valutarmi per qualche momento, per poi domandarmi « Che genere di lavoro? ». Mentre si sofferma con gli occhi sulle mie gambe nude il mio istinto mi dice di incazzarmi ma decido di non farlo, obiettando per un più diplomatico e pacato « Pasticcera, barista, pianista, cameriera fa lo stesso. Sono qui da poco ».Vedo l'uomo tirare indietro la testa come se si fosse aspettato da me che scegliessi un guadagno più facile ed immediato. « In effetti abbiamo perso molta clientela per via dei dolci. Sai Louis era un bravissimo pasticciere ma il signore lo ha chiamato a sé... » si sofferma per guardare il cielo come durante una preghiera gospel sfilandosi anche la pipa dalle labbra per qualche istante, salvo poi che vi approda nuovamente mentre lo guardo tacendo,« Sei disposta a consegnare i tuoi dolci a domicilio ogni sera? Così per il mattino sono già pronti. »Annuisco prontamente, facendo danzare i capelli sulle spalle. L'attimo dopo si scusa, posando la pipa sul tavolo ed entrando chiamando a gran voce un nome di donna. Rimango sola sul porticato mentre entra nel bar luminoso dalle ampie vetrate in stile francese, attraversando le sagome di luce che l'impiombatura disegna sull'assito del pavimento. Rimango li a fissarlo entrare ed uscire dalla luce, come persa in qualche meandro che non riesco ad identificare meglio, inabissata chissà dove. Ed è lì, in quello spazio azzurro, che sento un prurito fastidioso alla nuca. Scuoto le spalle un istante, issandomi meglio la borsa sulla spalla, per poi guardarmi in giro con fare quasi sospettoso, voltandomi su me stessa. Sbatto le ciglia in silenzio osservando i passanti che però sembrano ignorarmi, non come mi aspettavo proprio come faccio io per la maggior parte del tempo. Sbatto le palpebre contro il sole, schermandomi persino la fronte con la mano per voltarmi verso il negozio alle mie spalle. Leggo l'insegna con scritto “Maeve, cartomante” e il mio sguardo si insinua nella vetrina dove un mucchio di oggetti sono accumulati con aria apparentemente casuale. Riesco ad intravedere la sagoma di qualcuno, ma il sole richiede troppo sforzo se non fosse che una voce mi fa voltare:«E così sei tu la ragazza che ci farebbe i dolci? » i miei occhi si arrampicano sino ad una donna di mezza età dalla pelle d'ebano, con spalle massicce ed indosso un ampio caffetano colorato a fiori, con un turbante di treccine nere sul capo ed uno sfavillante rossetto arancione. Mi sporgo per porgerle la mano masticando un « Si signora...? » quasi interrogativo così i suoi occhi di un nero profondo mi fanno sentire sotto esame. « Mh.» non sembra convinta nemmeno nel pronunciare quell'unica sillaba, salvo poi dire « Riusciresti a portarmi qualcosa di tuo entro stasera?»« Sissignora».« Alle 21 qui» si limita a dire la donna, per poi rientrare nel salone e tornare probabilmente al suo lavoro. « Santa donna» sento dire Momo, annuendo mentre si rimette la pipa tra le labbra con un gesto pigro. « A stasera allora, ragazza...» Annuisco, per poi dirigermi a casa e da li al supermarket più vicino. Nivek
Il negozio di Maeve è uno dei più famosi del quartiere francese, ma la fiumana di gente che scorre sotto i portici davanti a noi non indirizza mai lo sguardo verso la sua vetrina, passa oltre abbracciando l'idea che fingere di non vedere equivalga a non essere visti. Maeve, invece, vede tutto. Lo vede attraverso le carte che rovescia sul tavolo, in un silenzio denso che rende il suo respiro suggestivo, caldo abbastanza da farmi eccitare pur avendola alle spalle ed essendo privato del panorama offerto dalla sua scollatura. Il suo potere è il polo opposto del magnete ubicato sulla punta del mio uccello, ogni volta che sono con lei rimpiango di non avere indossato pantaloni più comodi di questi stupidi jeans attillati dietro la patta dei quali il mio cazzo sta per scoppiare. Lo addomestico con un'indolenza divenuta familiare dopo il duecentonovantasettesimo "non adesso" e mentre sono lì che lo friziono per narcotizzare il mio entusiasmo, una nuova insidia si fa strada tra i miei lombi. Il formicolio che da giorni mi solletica la nuca diventa un brusio inquieto sottopelle, un sussurro che indirizza il mio sguardo oltre il vetro, accanto al quale ero appostato, e mi induce a cercare la radice di quel prurito. Che sia o meno una coincidenza, ogni volta che cerco l'origine di quel soffio magico il mio sguardo incontra la brunetta di qualche sera fa, il suo volto spaesato e lentigginoso che spicca fra la folla neanche fosse sospesa su un diverso piano della realtà, immobile rispetto alla cacofonia di corpi, forme e colori che le sfrecciano accanto.
« Non fa per te, lasciala perdere... » la voce di Maeve mi fa trasalire, ma non riesco a distogliere l'attenzione da quella ragazza. So capire da solo come la sensazione che mi rimanda sia in netta contrapposizione con ciò che sono, ma la sola idea di andare contro ogni più logico principio mi cava fuori un sorriso scellerato.
« Te lo hanno detto le carte, o è la gelosia a farti parlare? » chiedo senza voltarmi, inseguendo con lo sguardo la morettina fino al lato opposto della strada, scattando una foto mentale al suo sedere mentre mi rivolge la schiena e chiede informazioni a Momo, il proprietario del cafè di fronte a noi.
« Una o l'altra, fa qualche differenza? Se ti conosco almeno un po' so che nessuna delle due possibilità ti fermerà dall'assecondare la tua dissolutezza, men che meno se ti sei già messo in testa di inseguirla... » il sibilo delle carte si ferma, e la voce di Maeve diventa via-via più vicina, fino a ruzzolarmi sottoforma di fiato lungo il profilo del collo. I suoi tanti anelli mi inducono a contrarre i muscoli dell'addome, quando il metallo che li caratterizza lecca la mia pelle nuda sotto la maglietta, disegnando un garbuglio di brividi che mi si rovescia nello stomaco e getta un guizzo di sangue in più all'interno dei miei boxer. « Ti pentirai di non avermi dato ascolto e più di una notte sentirai la mancanza delle mie cosce quando sarai lontano da qui... come io sentirò la tua. »
« Sembra che tu abbia trovato il tempo per me, adesso... » non presto mai molta attenzione alle profezie che Maeve cerca di rifilarmi fra le righe, ma al contrario realizzo piuttosto facilmente quando un "non adesso" diventa "qui, subito".
« Hai intenzione di sprecarlo continuando a guardare fuori? » me lo domanda seguendo la direzione dei miei occhi e trovando a sua volta l'oggetto del mio interesse; interesse che in lei dura poco e che prova ad eclissare in me slacciandomi i pantaloni ed infilandoci una mano dentro.
Nel momento in cui le dita di Maeve si allacciano alla mia carne, riesco ad intercettare lo sguardo della ragazza dall'altra parte della strada. Non sono sicuro che lei riesca a vedermi oltre il riflesso del vetro, ma di sicuro io vedo lei, e per una frazione di secondo la mia coscienza sprofonda nell'abisso del suo sguardo e viaggia attraverso il tempo, proiettandomi in futuro caliginoso ed umido, dove sono le sue mani e la sua bocca a scaldarmi i lombi.
« Ti sembro il tipo che si lascia sfuggire le occasioni..? » accomodo il desiderio di Maeve e mi volto verso di lei dopo aver girato il cartellino affisso alla porta, lasciandomi alle spalle la brunetta e chiudendo l'ingresso alla clientela.
Malgrado questo, è una faccia lentigginosa che continuo a vedere, mentre la bocca di Maeve mi zittisce.
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Chapter 64 - Coffee Pet Restaurant
Henry
Giornale per le mani, sta leggendo uno degli articoli dell'Advocate intanto che, senza fretta particolare passa per French Street, puntando -perché sarebbe volendo anche di ritorno- verso St. Philip Street. Fra le dita la carta di giornale, su questa puntata l'attenzione, gli occhi oltre gli occhiali da sole. Indossa jeans, un maglione di cotone blu, una camicia che è pulita ma non pare abbia visto il ferro da stiro del signor Chang. Al polso sinistro tiene un sacchetto di quelli di tela, con dentro le meraviglie del fornaio, al polso destro c'è il guinzaglio rosso dall'altro capo del quale ci sta il cane. Labrador nero, giovane, giovanissimo. Proprio piccolo. Che snasa e saltella non proprio compostamente qua e là. Deve ancora imparare ad andare in giro come si deve, diciamo. Però sta facendo progressi. Se non fosse che ad una porta, forse seguendo un odore particolare si allunga verso l'interno (cane e guinzaglio al seguito), tirando di conseguenza il braccio di Henry verso l'interno del Coffee Pet Restaurant. «?!».
Ginevra
Non si è alzata prestissimo, ma è già in libreria di cui ha spalancato la porta. Cleo sosta proprio lì, al sole, tra la porta e il marciapiede e osserva i passanti, senza però dar segno di voler andar via. Indossa un abito azzurro a pois piccolissimi bianchi, con la gonna ampia che le arriva fino al ginocchio. La parte superiore ha le fattezze di una camicia, le maniche sono corte e primi bottoni sono lasciati aperti. I capelli sono sciolti. Sta armeggiando con le caraffe del caffè e non guarda verso l'ingresso, ma quando il Labrador punta verso la porta della libreria, Cleo perde tutta la sua amicizia verso il mondo, inarca la schiena arruffando il pelo e poco dopo arretra per fuggire a nascondersi all'irruenza del cucciolo
Malcolm
Non ha in programma di andare all’FBI oggi, ieri ha lavorato fino a tardi - notte inoltrata se non fino all’alba -per cui questa mattina si è svegliato tardi e con un monte ore di sonno di tre ore circa. Rientra ora in quella che è la sua casa, almeno fino a lunedì. E’ anche per tutti questi trasferimenti che si sente molto inquieto, anche se non dà a vederlo. E’ uscito giusto un attimo, con agente di scorta al seguito, per raggiungere la giornaleria più vicina, comprandosi le solite tre testate: l’Advocate, il New York Times e il Los Angeles Times. Le tiene sotto braccio, sa come fare lui per evitare che si spiegazzino o che si disallineino. Col suo solito passo deciso e marziale, l’agente a fianco a lui, sta tornando alla libreria, provenendo dalla parte opposta a quella da cui giunge Henry col suo cucciolo. Il giornalista indossa un completo blu, una maglietta grigia e degli occhiali da sole, per ragioni di stanchezza e mal di testa che gli fanno sopportare poco la luce intensa del sole che splende su New Orleans. Guarda davanti a sé, per cui può vedere Henry e il cucciolo che tira verso l’ingresso. Trovandosi ormai proprio nei pressi e dovendo entrare nella libreria, osserva la scena e saluta Henry con la solita impostata educazione, scrutando il dottore: «Buongiorno dottor Taggart.» fa, mentre lo sguardo è sì nascosto dagli occhiali, ma non si fatica ad immaginare che sia il solito, austero e indagatore. «Deve entrare?» domanda, avvicinandosi con sicurezza all’ingresso e portando lo sguardo all’interno, cercando ovviamente Ginevra. «Il suo cane a quanto pare è interessato.» commenta, dando un’occhiata al cane.
Henry
Vede il gatto o meglio l'ombra dell'animale quando, dopo essersi inarcata a ponte per fare forse paura al nemico, schizza via. Tira in po' indietro il cane con il guinzaglio, per dare tempo all'altro animale di mettersi in salvo, richiamandolo: «Luigi...!». Ne usa uno dei nomignoli, ovviamente, perché è inspiegabile come si decida di battezzare un cane e poi lo si chiami sempre con altri nomi, per la gioia e confusione della bestiola. Un attimo dopo di questa piccola incidenza si volta, visto che a richiamarlo è Malcolm in arrivo. «Professore, buongiorno» saluta a sua volta. Un'occhiata non può che andare anche all'uomo che probabilmente con discrezione l'accompagna, poi torna a considerare il primo, lasciandogli lo spazio sufficiente per essere il primo a rientrare: «Dopo di lei». E quindi guarda il cane, puntato indubbiamente verso l'interno «Sì, il mio cane sembra decisamente interessato.» si sporge quanto basta per allungare la testa a guardare verso l'interno e smuove una mano per salutare anche Ginevra, che ha intravisto «Ciao!». E c'è anche la buona idea di chiedere «Possiamo? Non morde... non troppo, almeno» perché come tutti i cuccioli ha l'istinto di masticare ogni cosa che gli capita a tiro, in realtà. Ma non è per aggredire, è per assaporare, per conoscere. Il piccolo cane ha già perso l'attenzione per il gatto, ad esempio: sta ora scodinzolando verso Malcolm, intenzionato ad annusargli le scarpe.
Ginevra
Volta solo il capo verso l'ingresso, sorride verso Malcolm che precede Henry nell'entrare e poi verso quest'ultimo che fa capolino; sorride spontaneamente, con la fossetta che fa la sua comparsa sulla guancia sinistra. E' un attimo quello in cui segue con lo sguardo la fuga di Cleo sugli scaffali, torna ad osservare la porta «Che bel cucciolo!» esclama allegra «Ma certo! Entra pure Henry!» gli fa cenno con la mano di entrare, lo sguardo torna su Malcolm per un momento prima di prendere una delle caraffe «volete un caffè?» domanda a entrambi mentre già si muove verso le tazze, di colori e forme diverse, in bella mostra sugli scaffali. «L'agente vuole del caffè?» chiede a Malcolm, anche se lo sguardo non è su di lui. Ai piedi, non si era detto, ha scarpe da tennis bianche.
Malcolm
Il nome con cui il cane viene chiamato, gli provoca un segreto moto di divertimento, se non altro perché il suono della parola associato al cucciolo gli pare comico. Ma non sorride e non si smuove, giammai. Aggiunge un austero cenno del capo nei confronti di Henry, per poi, a seguito dell’invito ad entrare per primo, fare il suo ingresso nella libreria. L’agente invece si ferma fuori, prenderà posto sulla panchina. «Bentrovata» dice pacatamente rivolto verso Ginevra, un saluto appropriato visto che è stato via solo per poco tempo. Forse, a dirla tutta, un po’ più di quello necessario a comprarsi tre giornali, ma chissà. Distende un momento l’espressione del volto, togliendosi gli occhiali una volta entrato e riponendoli nella tasca interna della giacca. Abbassa lo sguardo sul cane che si è avvicinato a lui e, dato che ha molti meno problemi con gli animali che con le persone, si china, piegandosi sulle ginocchia ed avendo l’accortezza di allontanare i giornali dal cucciolo – che lo sa come sono i cuccioli – cerca di accarezzarlo un po’, con delicatezza, tutto un programma. Il commento invece è tendenzialmente freddo: «E’ un bell’esemplare» ma suvvia, parliamo di Malcolm, che vi aspettate? «Per me si, grazie» risponde a proposito del caffè e riguardo all’agente: «Portiamoglielo lo stesso, male che vada farò il bis.» che proprio gliene serve tanto di caffè. Si rialza in piedi, smettendo di dare retta al cane, almeno temporaneamente, per dirigersi verso il bancone dove sarebbe Ginevra.
Henry
Dopo l'ok della padrona di casa ecco che anche lui entra in negozio, preceduto dal pimpante botolino nero guinzagliato. Sorride, e lo presenta: «Lui è Little Louis, per gli amici detto Luigi o Polpetta.» intanto che appunto il soggetto in questione si fa accarezzare spudoratamente dal Malcolm che, se vincerà le simpatie del peloso, fra un attimo se lo ritroverà sdraiato ai piedi a mostrargli la pancia rosa per i doverosi grattini. «Grazie, sì» conferma riguardo al caffé, intanto che leva gli occhiali oltre la fronte. Si volta a guardare oltre la vetrina, quando Ginevra fa riferimento all'agente. Quindi torna a lei «Bel vestitino, sembri pronta per una sessione di Jive!». Il cane ovviamente per un attimo, quando Malcolm si rialza, si osserva intorno non capendo come mai le coccole siano smesse, si rovescerà di nuovo sul fianco per poi rimettersi in piedi, pronto a focalizzare la sua attenzione su altro. Tipo: l'affascinante angolo del divano... va annusato, è un must!
Ginevra
Allunga il braccio per posare la caraffa sul bancone e poter così prendere quattro tazze che va a posare non distante, allineate. Inizia a riempierle con il caffé e ne solleva due con la mano destra, tenedole per il manico e una sulla sinistra. Si volge e porge verso Malcolm che ha raggiunto il bancone le due tazze, di cui una è ovviamente per l'agente e quando le avrà lasciate andrà verso Henry per porgergli la tazza. Quando avrà le mani libere sarà il suo turno di accovacciarsi sulle ginocchia per mettersi ad altezza del cane, senza avvicinare le mani inizialmente, ma lasciandosi prima annusare e solo dopo andando ad accarezzarlo ��ciao Polpetta!» Alza lo sguardo su Henry, restando in quella posizione, «è davvero un bel cane» gli sorride «come mai questa scelta? ...» sembra voler aggiungere qualcosa ma poi resta in silenzio con un leggero sorriso sulle labbra, divertita da qualcosa. Si rialza e passa le mani sulla gonna «grazie!» abbassa lo sguardo su se stessa «in effetti lo ha scelto Maman... ha detto che era "sobrio"» scandisce l'ultima parola sottolineandola, poi scuote il capo divertita e va verso il bancone per prendere la tazza di caffè che ha riempito per sè
Malcolm
Mugugna soltanto alla presentazione del cane, mugugna per nascondere il divertimento e la tenerezza che un esserino del genere non può non suscitare perfino in un tipo come Malcolm. Stira un leggero e rapidissimo sorriso - !! – solo e soltanto nei confronti del cucciolo che si prende le carezze della mano “vecchia” e un po’ ossuta del giornalista. Ma non sarà per molto, perché poi l’uomo si avvia al bancone e posa su di esso i giornali, ovviamente curandosi di sistemarli perfettamente allineati e simmetrici, forse aggiustando pure qualche altro oggetto lì presente. Quei gesti rapidi e compulsivi, di cui non può fare a meno. Dovrà prendere le due tazze, per sé e per l’agente, quindi necessita di avere le mani libere. Quando avrà le due tazze, mentre lascia parlare Henry e Ginevra facendosi da parte col suo fare taciturno e discreto, esce fuori parlottando un momento con l’agente e porgendogli quindi la tazza, che quello accetterà di buon grado. Rientra e di nuovo se ne torna al bancone, per poi sgusciare subito dietro e sparire diretto verso il piano di sopra, giusto per un minuto: va a prendere gli altri occhiali, visto che intende leggere il giornale.
Henry
Quando Ginevra porta per lui la tazza si sporge praticamente avanti, allungando un braccio come a volerle far fare anche meno strada. «Grazie» ribadisce all'offerta del caffé, prima di guardare ora lei alle prese con le coccole del piccolo venduto, che ovviamente ripropone lo sdraio ai piedi della nuova amica, molto più attraente del divano. Probabilmente verrà attratto anche dalla gonna a cui cercherà di dare una masticata, un assaggino soltanto. Quanto alla scelta, intanto che Malcolm transita il necessario e non più del necessario perché è un tipo preciso, lui risponde a Ginevra «La scelta del Labrador o la scelta del cane in generale?» chiede prima. «E' il regalo di compleanno per Gwenevere... quanto alla scelta del soggetto: casa nuova ha il giardino, ci stava bene un cane che acquista una certa dimensione...» è infatti previsto che Louis diventerà un bestiotto fra i 30 e i 35 kg, infondo. E viste le zampe promette bene. «Il labrador è un compromesso fra un cane buono ed uno che spaventa.» e quindi indica la bestiola che al momento ha l'aria innocentella «E' già iscritto alla scuola di cani ninja, la sera è invisibile... e se non è invisibile, il nero è comunque elegante.» dice finto-serio. «Tua madre ha un concetto di sobrietà ereditato da Greese.» commenta ridacchiando, riguardo il vestito. E smuove una mano per dire che scherza, commentando in definitiva «Ti sta bene.». Lo sguardo torna su Malcolm ed i suoi spostamenti silenziosi. Un sorso di caffè, prima di chiedergli «Riesce a dormire?». E' una domanda che viene in realtà fuori spontaneamente, senza un vero ragionamento dietro, istintivo. Forse il colpo d'occhio medico o la consapevolezza del fatto che il giornalista possa ragionevolmente essere sotto stress.
Ginevra
Rivolge ai giornali di Malcolm uno sguardo veloce, e l'espressione del viso sembra tendersi per un istante in una smorfia di disappunto, ma non commenta nulla e torna verso Henry a cui indica il divano, mentre Malcolm compie quei suoi tragitti. «Ah ecco» sorride sentendo che è un regalo per Gwen «Beh attento a non inciamparci, la sera intendo, quando è invisibile» annuisce, sembra aver preso seriamente la faccenda dell'invisibilità «anche noi prenderemo un cane appena ci saremo trasferiti» aggiunge senza specificare chi sarebbe quel noi. Mentre si siede poi ridacchia «Maman non è mia madre, è la mia vicina Marie» indica con la tazza il piano di sopra e poi beve il primo sorso di caffé con la soddisfazione che si riserva al primo sorso la mattina, ma vien da sé che di certo non è il primo che prende
Malcolm
Ascolta i discorsi fra i due, salvo quei pochi istanti in cui è fuori dalla libreria e le voci gli arrivano più basse e forse meno distinguibili. Ma segue la logica comunque ed infatti una volta rientrato commenta brevemente, in maniera laconica e quanto mai austera, fermandosi giusto il tempo per parlare, un tono quasi sfuggente: «Se intendeva avere una sorta di cane da guardia, ho letto che il Labrador non è la scelta migliore.» e non sembra aspettarsi alcuna risposta, tanto che quel commento lo lascia lì, anche perché sente Ginevra parlare del trasferimento e le getta un’occhiata allarmata, anche se forse lei non se ne accorgerà neanche. Si fa più teso, deglutisce nervosamente e decide di uscire di scena anche se brevemente, allontanandosi. Si ferma di nuovo quando Henry pare rivolgersi proprio a lui, lo guarda per qualche momento e … niente, lo fissa e basta. Tra l’altro uno sguardo neutro, neanche severo per l’intromissione, uno sguardo che dice “non sono affari suoi” ma lo fa nel modo più educato possibile. O forse lo sguardo di uno che non ha voglia di spendere neanche una parola sull’argomento. E quindi, in sintesi, enigmatico. Sparisce al piano di sopra, ma sarà solo il tempo di posare gli occhiali da sole e prendere gli altri, che usa di solito per non stancare troppo la vista quando legge. Farà la sua comparsa poco dopo, riprendendosi in mano i giornali.
Henry
E rassicura, smuovendo la mano libera «Naah, di solito sta fra i piedi alla bionda» a Gwenevere, quando sono in casa dov'è lei tendenzialmente sta anche il cane, quindi rischio di inciamparci per lui non ce n'è. Invisibile o meno. «Uhu... attenzione, novità...?» chiede levando le sopracciglia interessato, intanto che si fa decisamente un po' gli affari di Ginevra, mentre prende nu altro sorso dalla tazza. Si sposta verso il divano, rivolgendo l'attenzione a Malcolm per quell'appunto sul cane da guardia «Non sono rinomato per fare le scelte migliori» gli assicura, come se anche quella del labrador nel giardino fosse una scelta per lo meno in linea con le sue abitudini... non lo sconvolge, a quanto pare, l'idea di stare sbagliando; e -da buon testardo- evidentemente non lo preoccupa o gli fa cambiare idea. Non può invece non percepire il silenzio che gli viene rivolto in risposta al proprio istintivo interessamento e, quando Malcolm va di sopra ad effettuare il cambio di occhiali, lui guarda Ginevra e commenta «Lo prendo per un no.» decidendo. Va anche lui al divano ad accomodarsi, intanto. E c'è da immaginare che il cane vorrebbe approfittare dello stesso privilegio ma Henry allunga una mano per farlo stare giù. Quello ci riprova e lui di nuovo lo prende per la testolina per farlo stare giù. Questa tirirtera fino a rinuncia. Due testardi a confronto, tacito.
Ginevra
Eh si, Ginevra è stata incenerita dallo sguardo di Malcolm, ma non se ne è nemmeno accorta, nessuno le ha detto che era un segreto e per lei la cosa non ha motivo di essere tale. Passa tuttavia lo sguardo da Henry a Malcolm a quella domanda del coroner che le fa inarcare un sopracciglio nella perplessità che, proprio Henry, si interessi al sonno di Malcolm di cui deve sapere, in tutta evidenza, qualcosa. Beve ancora un sorso di Caffè riportando lo sguardo su Henry «qualcuna...» commenta sulle novità, ma non può non sfuggirle un sorriso. Si appoggia con la schiena al divano «e come mai lo porti tu a spasso?» la domanda è tendenziosa e non cerca nemmeno di non farla sembrare tale, infatti aggiunge poco dopo «ci sarà un casino in procura questa mattina, mh?» a chiedere conferma del suo pensiero. Espira dal naso poi «Come mai ti interessi al sonno del Signor Barnes?» e c'è tutta la curiosità del mondo nella domanda, poi sente Malcolm scendere di nuovo le scale, ma mantiene lo sguardo su Henry.
Malcolm
Non voleva essere un’occhiata da incenerimento, ma solo allarmata, preoccupata, quanto istintiva. Si stringe solo nelle spalle quando Henry gli risponde riguardo alla scelta del cane, un po’ come a dire “cazzi tuoi”. Scusate il francesismo. Poi, come detto, sparisce e ricompare dopo uno o due minuti al massimo, insomma Henry avrà tutto il tempo per rispondere se vuole. Quando torna, si riprende i giornali e cercherebbe di andare verso la zona del divano, per prendere posto dove può, sempre se c’è posto, altrimenti si piazza ad un tavolino. D’altronde non è un gran chiacchierone, lo sappiamo. Inforca gli occhiali e inizia dall’Advocate, com’è sua abitudine. Non ci vorrà certo molto perché veda il titolo su quel caso che ricorda perfettamente. «Ah..» gli sfugge, mentre aggrotta la fronte per la concentrazione che ripone su quell’articolo. Si affretta ad andare a leggerlo, e per prima cosa va a guardare la firma, piegando leggermente il capo di lato con espressione ancor più interessata. Evidentemente conosce bene la persona in questione: respira a fondo, mettendosi a leggere.
Henry
Sorride e non ha certo fatto il due più due, ancora, riguardo le novità. Nemmeno ha fatto caso allo sguardo lanciato da Malcolm a Ginevra, quindi davvero, è nell'ignoranza più totale. «Interessante!» piccola pausa «Dimmi solo che non è il tizio con la macchinona che aveva parcheggiato qua davanti all'inaugurazione...» le chiede, quasi con un briciolo di speranza. Alla domanda sul perché porti lui a spasso Little, è proprio su questo che cade lo sguardo, neanche lo domandasse al cane. Scuote appena la testa «Se ci sia qualche casino in procura non lo so, capita di lavorare qualche sabato mattina, sia a Gwen, sia a me... ma» rivela «non si parla di lavoro in casa, quindi: non ne ho idea» ammette. Quanto al proprio interesse sul sonno di Malcolm si stringe nelle spalle e fa una smorfia «Immagino che...» lo sguardo vaga un attimo alla vetrina, anzi oltre, verso l'esterno mentre riflette sul perché possa aver fatto questa domanda. Torna a guardare Ginevra aggrottando la fronte «Che diamine, sono un dottore, mi interessa lo stato delle persone!» esclama, pur senza alzare la voce, finto-offeso. «Non è perché mi occupo di morti, che mi interessano meno i vivi.» rivela. E se Malcolm arriva anche lui al divano, Henry si volta a guardarlo e sta lì diversi secondi senza dire niente, assistendo all'apertura del giornale e l'immersione nel mondo della carta stampata da parte del giornalista. Torna a guardare Ginevra «Gli affari funzionano in negozio nonostante la presenza di Anacleto...?» dando ironicamente del gufo -impagliato- a Malcolm, non può evitarsi un certo sogghignetto, per quest'idea che gli ha appena attraversato la testa.
Ginevra
Sgrana gli occhi sentendo il riferimento a Thomas e scuote il capo con tanta veemenza da dover tenere la tazza con entrambe la mani «il Signor-un-pecento? Ma scherzi... Io ero a Zuccotti Park!» resta con la fronte corrugata, immaginando forse una vita con Thomas, in giro in ferrari tra feste bene e gente affettata. Rabbrividisce e affoga quel brivido in un lungo sorso di caffè «Beh ma questa mattina non si sarebbe trattato di parlar di lavoro, ma di notizie...» lo guarda perplessa «non hai letto il giornale?» dischiude poi le labbra alle sue affermazioni sul preoccuparsi dei vivi «Hey!» esclama offesa «del mio di sonno te ne sei fregato altamente!» gli ricorda con uno sguardo eloquente. Non aggiunge altro, evidentemente per la presenza di Malcolm su cui porta lo sguardo a quella affermazione di Henry «vende libri quasi meglio di me, lui si concentra su stile e trama, io su condizioni del libro, autografi, anni di stampa...» espira dal naso, quasi un sospiro nel sottolineare le ovvie differenze sul rapportarsi a un libro tra un lettore pure e qualcuno che invece ci vede un oggetto pregiato di per sè
Malcolm
Il suo calarsi nella lettura è minuzioso, come la cura maniacale che riversa sul giornale, manco avesse fra le mani un oggetto particolarmente fragile, attento a non piegarlo più del dovuto, a tenere le pagine in ordine. Insomma è chiaramente proprio un rituale, ossessivo o meno che lo si voglia definire. Si tuffa nell’articolo, lo legge con un’espressione serissima, diremmo anche un po’ cupa, in faccia, ma interessata, analitica. Realizza con qualche secondo di ritardo di essere stato chiamato in causa con un soprannome. Anacleto. Alza un sopracciglio in direzione di Henry, pur senza smuoversi di una virgola dal suo essere glaciale e statuario – specie se si considera la sua postura quasi stereotipata e rigida. Volta lo sguardo verso Ginevra alla risposta e commenta: «Saprò dove cercare un lavoro tranquillo per il resto dei miei giorni, quando mi ritirerò dal giornalismo.» l’affermazione è secca, ma con una punta di affetto, forse verso i libri e il lavoro correlato, o forse verso Ginevra. In presenza di estranei si mantiene incredibilmente riservato sul loro rapporto. In quel momento il cellulare vibra nella tasca dei pantaloni, è un sms, per cui richiude il giornale con cura, senza fretta, lo ripone insieme agli altri due e recupera il telefono, andando a leggere il contenuto del messaggio. «Bene» commenta laconico, mettendo via il cellulare e rivolgendosi ad entrambi i presenti: «Devo fare un salto all’FBI» e più specificatamente a Ginevra: «Non dovrei metterci molto.» non sembra allarmato, anzi quasi soddisfatto di essere stato contattato. «Dottor Taggart, le auguro una buona giornata.» saluta con formalissima educazione, poi uno sguardo affettuoso a Ginevra, prima di avviarsi coi suoi giornali verso l’esterno.
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