#Abiotico
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funghimagazine · 9 months ago
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Un Febbraio assai “fungino”. Aggiornamento funghi 17-02-2024
[vc_row][vc_column][vc_column_text] Un mese di Febbraio particolarmente generoso di funghi Aggiornamento funghi 17-02-2024 – Prologo Apro, in maniera alquanto insolita, questo lungo articolo di Aggiornamento funghi, con una doverosa dedica che vorrei fare ad un preziosissimo membro della community di Funghimagazine, Philip Rogosky che dal 29 di Gennaio scorso risulta scoparso da casa. Non…
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stargatesblog · 5 months ago
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Agricoltura: gli effetti di umati e idrolizzati
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Gli umati e gli idrolizzati sono sostanze organiche che possono contribuire all'equilibrato accrescimento delle colture agricole. Queste sostanze sono ricche di sostanze nutritive essenziali per le piante, come azoto, fosforo, potassio, e micronutrienti come zinco, manganese, ferro, boro, rame e molibdeno.
L'utilizzo di umati e idrolizzati nelle colture agricole può migliorare la crescita delle piante, aumentare la produzione di frutti o verdure, migliorare la qualità del suolo e contribuire alla sostenibilità dell'agricoltura. Inoltre, si comporta come fosse un ammendante agricolo per suoli queste sostanze possono aiutare le piante ad aumentare la resistenza alle malattie e agli agenti patogeni, migliorare l'assorbimento di acqua e nutrienti e ridurre lo stress ambientale.
Tuttavia, è importante utilizzare gli umati e gli idrolizzati in modo corretto e secondo le dosi consigliate, per evitare eventuali effetti negativi sulle piante e sull'ambiente. Inoltre, è importante tenere conto delle specifiche esigenze delle diverse colture e adattare l'utilizzo di biochar per agricoltura a queste sostanze in base alle condizioni del terreno e alle necessità delle piante.
In conclusione, gli umati e gli idrolizzati possono svolgere un ruolo importante nell'equilibrato accrescimento delle colture agricole, contribuendo a migliorare la produttività e la sostenibilità dell'agricoltura. Tuttavia, è fondamentale utilizzarli in modo corretto e consapevole, tenendo conto delle specifiche esigenze delle diverse colture e delle condizioni ambientali. Trova il negozio biochar più interessante del web con prezzi contenuti.
Gli idrolizzati sono sostanze ottenute dalla rottura delle molecole di proteine attraverso il processo di idrolisi. Questo ammendante per agricoltura biologica processo consiste nel rompere i legami peptidici tra gli amminoacidi che compongono le proteine, tramite l'aggiunta di acqua e di enzimi idrolitici.
Gli idrolizzati vengono utilizzati in agricoltura per diversi scopi, tra cui:
Fornire nutrienti alle piante: gli idrolizzati contengono amminiacidi facilmente assimilabili dalle piante, che possono utilizzare direttamente per la loro crescita e sviluppo.
Migliorare la fertilità del suolo: gli idrolizzati possono favorire l'attività biologica nel suolo, stimolando la crescita dei microrganismi benefici e migliorando la struttura del terreno.
Migliorare la resistenza delle piante allo stress: gli amminiacidi presenti negli idrolizzati possono aiutare le piante a superare situazioni di stress abiotico, come siccità, eccesso di sali nel terreno o esposizione a agenti patogeni.
Ridurre l'uso di fertilizzanti chimici: l'utilizzo di idrolizzati può ridurre la necessità di utilizzare fertilizzanti chimici, contribuendo alla sostenibilità dell'agricoltura e alla riduzione dell'impatto ambientale.
In sintesi, gli idrolizzati si usano in agricoltura per favorire la crescita e lo sviluppo delle piante, migliorare la fertilità del suolo e ridurre l'uso di fertilizzanti chimici, contribuendo a una produzione agricola più sostenibile e rispettosa dell'ambiente.
Gli umati sono concimi organici di origine animale, ottenuti dalla decomposizione biologica di scarti alimentari, letame, lettiere, ossa e altri materiali biodegradabili. Si utilizzano in agricoltura per biochar vendita e produzione apportare nutrienti al terreno e migliorarne la fertilità, permettendo alle piante di crescere in modo sano e vigoroso.
Gli umati contengono una grande varietà di sostanze nutritive come azoto, fosforo, potassio, calcio, magnesio, zolfo, oltre a micronutrienti come ferro, rame, zinco e manganese, che sono essenziali per la crescita delle piante. Inoltre, favoriscono la biodiversità del suolo, stimolando l'attività dei microrganismi che contribuiscono alla mineralizzazione degli elementi nutritivi.
Vedi anche: conoscere e prevenire la muffa grigia
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rabiscart · 7 years ago
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Título: Abiótico Acrílica sobre Papel Acrylic on paper 21↔ x 29,7↕ cm  
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nat220616-blog · 6 years ago
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Centro Universitario Siglo XXI Universidad Autónoma del Estado de México dirección de instituciones incorporadas cultura ambiental
Introducción:
El suelo es considerado como uno de los recursos naturales en la vida como es el aire y el agua , ya que el hombre puede usar de manera prudente estos elementos y se vuelve un recurso renovable. Todo lo constituye el suelo es posible los recursos naturales como también la contaminación del sueño es un recurso biotoco y abiotico.
Se supone que el suelo es una de las fases más importantes de un ecosistema ya que a través de éste nos podemos relacionar con todos alrededor porque de ahí depende nuestro alimento y a su vez nuestro oxígeno que es vital para la supervivencia de los seres vivos en el planeta Tierra.
Justificación
El tema elegido es muy importante ya que lo vemos en nuestra vida diaria y no hacemos algo u se nos hizo muy interesante hablar de el para que se den cuenta que muchos de los factores de que nos quejamos son provocados por está contaminación.
Objetivos
Reducir la contaminación del suelo
Hacer conciencia sobre el uso del suelo
@concienciaproyectoverdecusxxi
Cuadros Peña Jacqueline Aguilar Rubio EvelynDaniela Jiménez Velázquez Alejandra Romero plata Gerardo mangú Miranda Casandra Salinas Delgado Natalia Julieta
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perssonfreeman65-blog · 6 years ago
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coltivare marijuana nel bosco
Basandosi sui risultati degli studi condotti sulla cannabis fumata in pazienti con inquietudine neuropatico associato all'HIV, l'associazione Americans for Safe Access ha denunciato il ministero federale il 21 febbraio per la sua assicurazione che la cannabis non avrebbe benefici medici accettati. Difatti doveva considerarsi, invece, l'attitudine della pianta oggetto di coltivazione a giungere a maturazione ed a produrre sostanza stupefacente, riscontrando in concreto l'offensività della condotta. Posteriormente il solstizio d'estate i giorni iniziano ad accorciarsi, questo porta le piante a muoversi verso il periodo della fioritura e gemmatura senza una crescita in altezza eccessiva neppure necessaria. Molti coltivatori sono convinti successo ottenere raccolti più abbondanti potando e piegando le piante di Cannabis autofiorenti. Quelle di tipo abiotico sono le gelate tardive nella fasi giovanili della pianta, mentre il vento forte e la grandine possono compromettere la qualità della fibra ed causare l'allettamento della coltura. Questo, in una pianta di cannabis femminizzata potrebbe essere un problema perché, per possedere una fioritura corretta, ciò tipo di pianta ha bisogno di 12 ore di buio assoluto. LUCCA Assoluzione coltivazione 3 piante di cannabis per uso personale. I reati contestati riguardano la coltivazione di 19 piante di canapa indiana ed il possesso di circa un etto di tesi stupefacente, rinvenuta e sequestrata all'interno del Peugeot 307 che usavano per recarsi al podere”. Per la produzione di resina vittoria alta qualità è pertanto di vitale importanza decidere semi cloni di categoria di canapa selezionate every la loro capacità successo produrre alte percentuali vittoria THC). Osservando la poche parole é una singola pianta facile da mantenere, ma che in ciascuno caso ha bisogno nel modo gna sue cure per poi dare prodotto di fattura. Si consiglia di coltivare le piante di cannabis autofiorenti in un fotoperiodo unico di 18 ore di luce e 6 ore di buio, per ottenere la massima resa. Il mio armadio every la coltivazione», racconta, «ora è sicuramente uno dei più sofisticati d'Italia, mi diverto di tanto in tanto ad aggiungerci ventilatori, sensori, irrigatori ed ogni optional in più che migliori la resa delle piante. La cannabis light nel momento in cui rispetta questo limite è considerato legale. Se lo fanno, le piante femmine cominciano a fare i semi e dedicano di meno energie alla creazione successo THC. https://www.slideshare.net/buurwilcox69/autofiorenti-quando-cambiare-bulbo di semi Green House offre semi per la versione Big Bang del Big Bang. I coltivatori hanno visto subito questo vantaggio per altre categoria, e hanno iniziato a coltivare semi con questa abilità di 'autofiorire'. A quella, più punitiva, della terza sezione, che ha stabilito che mantenere cannabis è sempre reato, a prescindere dalle dimensioni e dallo scopo. Il termine automatico” si riferisce al fatto quale i semi autofiorenti non dipendono dalla diminuzione delle ore di luce (artificiali naturali) per entrare durante la fase di fioritura per produrre le infiorescenze. La coltivazione di piante di cannabis per uso medico a contenuto di tetraidrocannabinolo migliore allo 0, 2% occorre essere autorizzata dal Ministero della Salute”. Dopodichè si genereranno i semi di cannabis che in futuro formeranno un nuovo esemplare, assicurando in questa maniera la riproduzione della specie e per tanto, la sua sopravvivenza. Ciò significa quale la Ruderalis, nella propria forma pura, non provoca nessun tipo di opinione, ma, incrociata con genetiche Sativa ed Indica, produce ibridi autofiorenti con nel modo che caratteristiche di queste ultime. Inoltre, tutte le varietà di Cannabis sono in grado di essere incrociate tra di loro ottenendo individui fertili e sani. Ad esempio, il California Hash Plant può essere una buona decisione, poiché si tratta vittoria un seme di marijuana classificato come "fuoristrada".
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III. Suelo:
Rocas de Suesca
Régimen edáfico (temperatura y humedad)
El clima predominante varía entre las condiciones de Páramo árido a semiárido, semihúmedo y húmedo y frío semiárido y húmedo, con una temperatura media de 14.3°C, máxima de 17.05°C y mínima de 5.56°C, en esta zona del país es importante sembrar los primeros meses del año ya que los siguientes dos trimestres la humedad relativa es muy alta, esto, en las épocas de bajas temperaturas hacen que se sature el medio y se puedan presentar heladas que afectan los cultivos, el promedio de rango de humedad relativa es entre el 73% y el 84%. (UNION TEMPORAL AUDICON AMBIOTEC)
Clasificación taxonómica de suelos (al nivel que encuentren bien sea Orden, suborden, familia)
Las rocas de Suesca tienen rasgos geomorfológicos con presencia de niveles rocosos lo cual modela el relieve y el paisaje natural actual. La microcuenca localizada cerca a las rocas está constituida por una serie de filos rocosos que se ven afectados por pliegues y fracturas; esto se debe a la presencia de serranías o de laderas rocosas debido a la acción de factores exógenos como la meteorización y los procesos erosivos. En la zona se pueden identificar 3 tipos de geoformas, esto depende de la posición altitudinal que son producto de la constitución geológica, estructural y de las propiedades geomecánicas de la roca  (Montaña, Piedemonte y Valle o Planicie). La geoforma de montaña está constituida por filos rocosos, este tipo de relieve se debe a las intercalaciones de niveles de rocas duras que son resistentes a las acciones de procesos exógenos como la meteorización o la erosión, los procesos geomorfológicos activos de las montañas son los procesos de degradación, la erosión y la remoción en masa. Un fenómeno de gran importancia en la zona son los movimientos de remoción de masa debido a la presencia de zonas inestables por efecto de las altas pendientes, debido a la fractura y meteorización. 
Las rocas de Suesca a nivel fisiológico y morfológico tiene características según su topografía, a continuación los aspectos físicos de esta zona.
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Usos actuales (van relacionados con las actividades económicas actuales)
Los usos actuales de la zona se realizan por medio de la cobertura vegetal, que mayormente representa el uso por medio de pastizales aptos para el pastoreo de ganado, esto, es una de las principales actividades económicas de la zona con un 59%, cerca a esta zona se encuentra el suelo con una ronda hidráulica con características principalmente arenosas lo cual no permite gran adaptación o adherencia de nutrientes necesarios para los cultivos, este suelo representa el 3%, el uso del suelo cerca a la ronda hídrica se encuentra exclusivamente enfocado en la vegetación nativa que permite la recarga y la almacena para la preservación del agua. Sin embargo, las actividades económicas del sector aumentan las problemáticas ambientales por los factores antrópicos que desequilibran el entorno natural, los usos son la ampliación de la frontera agrícola y pecuaria junto con actividades ecoturísticas. 
Factores formadores y procesos generales
Desde vertientes de tercer orden y asociados a las corrientes principales, se aprecia el aporte efectuado por depósitos glaciales y glacio-fluviales. Hacia las parte más bajas se identifican una serie de depósitos de taludes, coluviones, abanicos y conos de deyección que invaden parcialmente a los depósitos de carácter fluvial. Cabe recordar que adicional a los procesos degradacionales actuales, la región estuvo afectada por procesos glaciales y peri-glaciales, de manera que aún se observan algunos rasgos morfológicos de nichos o circos glaciales hacia las cimas más altas, así como algunas acumulaciones de morrenas y de detritos asociados. 
Vocación de uso y cobertura actual según información IGAC. 
El uso principal que se le puede dar a las tierras sin afectar la capacidad natural está ligado a los cultivos  (papa, arveja, fresa), algunos frutales, además, a vocación forestal para la producción y conservación de los recursos naturales, en esta zona se encuentran varias especies forestales que ayudan a conservar el equilibrio ecosistémico.
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Según el IGAC, Cundinamarca cuenta con 1.541.595 hectáreas dedicadas a la producción agrícola, ganadera y explotación de recursos naturales (64% departamento). Como referencia se muestran los cultivos  de flores para exportación y de productos como la papa, y los terrenos exclusivos a la cría de ganado bovino, que cubren más del 60 % de sus coberturas. Por esto, los suelos son vulnerables y probablemente presentan conflictos por la sobrecarga al ecosistema, este factor influye en la calidad del suelo a mediano plazo.
Clasificación de capacidad de uso de las tierras. 
La combinación de la climatología y las características de las geoformas donde se pueden detallar las limitaciones en el uso de los suelos por la  capacidad de producción, riesgo de deterioro del suelo y requerimientos de manejo.La clasificación es una herramienta adaptada poe el Instituto Geográfico Agustín Codazzi (IGAC) desde 1968, para servir en la planificación del uso de la tierra, diseñar e implementar estrategias para el sector agropecuario y definir políticas sobre el medio ambiente.
La clasificación de las tierras para la identificación de la potencia de la zona en diferentes partes del desarrollo inicia con el desarrollo agrícola ya que los componentes bioticos y abioticos del ecosistema, además de la disponibilidad de recursos ayuda en el desarrollo de la zona, igualmente las zonas de recuperación, ya que en esta zona por el estado ecológico y productivo tiene que cumplir con los objetivos de conservación para el restablecimiento de la capacidad de los ecosistemas de donde se proveen bienes y servicios. Suesca cuenta con una cobertura vegetal con variedad de producción de cultivo y vegetación
Área de praderas — Predominio de rastrojo, vegetación arbustiva y herbácea, pastos manejados y pastos naturales sin manejo. 
Área agrícola - Cultivos de papa, trigo, maíz y cebada. 
Área de bosques - Bosque natural secundario, de galería y plantado. 
Área sin uso agropecuario - Zonas de canteras y tierras erosionadas. 
Área mixta - Zonas erosionadas con intercalados de bosque plantado. 
Posee un alto porcentaje en el uso del suelo pecuario con 1.062Ha y agrícola con 7878,7 Ha, esta zona debería tener un uso forestal ya que tiene varias vocaciones para modificar el suelo y generar más actividades económicas sin dejar de lado las implicaciones negativas al ambiente en el futuro. (CAR, E. Alfonso)
Conflicto de uso de las tierras. 
Los conflictos predominantes en los usos de las tierras se determinan por las referentes ecosistémicas como clima, la topografía,  la erosión, material parental, la profundidad efectiva de los suelos, el drenaje natural, la fertilidad, la presencia y/o ausencia de pedregosidad o de rocosidad y a la frecuencia de inundaciones. Estos factores se evalúan cualitativamente para determinar los conflictos y tener más detalle del usos apropiado y sostenible que se le puede dar a las tierras. Se presentan 3 diferentes conflictos:
Sobreutilización de las tierras: En estas áreas se ve un uso potencial donde se supera el aprovechamiento del ecosistema, esto desencadena problemas de erosión en los suelos y un deterioro ambiental, esta sobreutilización tiene varios niveles, desde la más ligera hasta la más severa, la sobreutilización ligera corresponde al momento en el cual el uso está por encima del uso recomendado y la sobreutilización moderada es cuando el uso se encuentra por encima de la capacidad óptima de la tierra y la sobreutilización severa es cuando las tierras se ven gravemente afectadas por el uso sobre la capacidad productiva, en este nivel se ven altos niveles de erosión y remoción de masa. 
Tierras con subutilización: El uso que se le da es menos intenso comparado con la sobreutilización, se divide en tres, la subutilización ligera donde las áreas usadas tienen finalidades cercanas al uso principal de la tierra, la subutilización moderada en la cual el uso está por debajo de la capacidad óptima de utilización y la subutilización severa donde el uso está muy por debajo de la capacidad de utilización 
Tierras sin conflicto: Estas áreas tienen un uso adecuado y sujeto a la capacidad productiva del ecosistema, tienen un uso recomendado y compatible
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Adicionalmente, también existen conflictos por el uso del agua, estos conflictos surgen a partir del recurso hídrico y de la oferta que tiene esta cuenca. “El índice de escasez para esta cuenca equivale a 4% lo que indica que no se experimentan presiones importantes sobre el recurso hídrico, esto debido a razones de tipo geológicas y morfológicas propias del terreno y la zona donde se ubica esta cuenca.” (UNIÓN TEMPORAL AUDICON AMBIOTEC)
Laguna de Guatavita
Régimen edáfico (temperatura y humedad)
Temperatura: Presenta un piso térmico frío en la totalidad, con una temperatura promedio de 14°- 13°C (Plan ambiental municipal, 1995).
Humedad: El nivel de humedad es bochornoso, opresivo o insoportable, no varía considerablemente durante el año, y permanece prácticamente constante en 0 % (Weather Spark, N.d).La humedad relativa mensual presenta una distribución temporal de tipo monomodal, el valor promedio anual es de 75.4%.(Planeación ecológica, Ecoforest Ltda,2010)
Clasificación taxonómica de suelos (al nivel que encuentren bien sea Orden, suborden, familia)
La Corporación Autónoma Regional De Cundinamarca, indica una buena retención del cuerpo hídrico en los diferentes perfiles del suelo debido a la precipitación media anual, sin embargo  la composición del suelo al ser de tipo arcillosa laminar,cuenta con una buena parte del agua que no se evapora, esta drena a diferentes corrientes hídricas, lo que ha generado una cantidad significativa de cárcavas a lo largo de las pendientes del Municipio (Corporación Autónoma de Cundinamarca (CAR),2016).
El 40% del Municipio no presenta ningún tipo de erosión, esto se debe a que a pesar que en estas zonas se encuentra el suelo con algún grado de compactación, estas se encuentran con coberturas vegetales, que van desde pastos limpios, cultivos, bosques, entre otros.Por otra parte a pesar que la compactación es un factor de degradación del suelo, es un factor independiente de degradación previo a la erosión, por lo que es recomendable tomar la compactación como un determinante para la erosión.(Corporación Autónoma de Cundinamarca (CAR),2016).
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Figura 1: Niveles de erosión en el municipio de Guatavita. Tomado de (CAR-2016)
En los alrededores del municipio de Guatavita aflora una secuencia cretácea depositada en ambiente marino, infrayaciendo discordantemente a una sucesión terciaria depositada en ambientes de transición y continental; sobre estas rocas reposan discordantemente depósitos cuaternarios. Las formaciones que se presentan son:
Grupo Guadalupe (Ksgs), generalmente arenoso con intercalaciones de liditas, limolitas silíceas y arcillolitas, el cual ha sido subdividido de la base al techo en las formaciones Arenisca Dura, Plaeners y Labor y Tierna. La formación Arenisca Dura está constituida principalmente por areniscas macizas de grano fino con cemento silíceo. La Formación Plaeners está conformada por una secuencia de liditas, limolitas silíceas, lodolitas y areniscas. La Formación Labor y Tierna está constituida por areniscas cuarzosas de grano medio a fino.
Formación Guaduas (TKgu), constituida por arcillolitas y lutitas con intercalaciones de areniscas y carbón. 
Formación Arenisca de Cacho (Tpc), constituida principalmente de arenisca cuarzosa separadas por una capa de arcillolita limosa. 
Formación Bogotá, constituida por una secuencia litológica de arcillolitas abigarradas alternadas con areniscas friables y limolitas. 
Formación Regadera (Ter), constituida principalmente por arenisca cuarzosa.
Depósitos Cuaternarios (Q), en el área del municipio de Guatavita, estos depósitos están representados por depósitos aluviales y coluviales, constituidos por arcilla limosa lacustre y fluvial; depósitos glaciales y terraza de material no consolidado, que afloran en pequeños sectores a l noroeste, sureste y centro del municipio.  (Plan ambiental municipal, 1995).
Historial de uso (anteriormente en que se utilizaba el recurso)
De las 24.135 hectáreas del área municipal aproximadamente el 51% se encuentra cubierta de pastos, el 43% corresponde a bosques, suelos de uso urbano, suelos erosionados y espejos de agua. Se ha caracterizado por ser un municipio cuyo sistema predial está propenso a la subdivisión por la demanda de la migración proveniente de Santafé de Bogotá, con el fin de establecer fincas de recreo, las sucesiones legales de tipo familiar, la parcelación con fines de construcción de vivienda, lo que hace que el sistema de minifundios ocupe un área apreciable del territorio municipal. (Plan ambiental municipal, 1995).Desde siempre sus suelos se han usado para producción agropecuaria y otras actividades que se nombraran en los usos actuales.
Factores formadores y procesos generales
El origen de la Laguna de Guatavita está rodeado de enigmas alrededor de los cuales se han tejido teorías incluyendo la posibilidad de que constituya el cráter producido por un meteorito. Varios autores sostienen la tesis de que fue el carácter fue formado por un colapso de origen salino. Sin embargo, las evidencias observadas crean serias dudas acerca de la validez de ambas teorías.Las observaciones realizadas indican que se trata de una cuenca de origen fluvial formada por destrucción, controlada principalmente por factores estructurales, estratigráficos y geomorfológicos.
A partir de estos estudios a lo largo de la historia se ha llegado a concluir que la forma de la laguna de Guatavita está controlada por factores estructurales estratigráficos y geomorfológicos los cuales permitieron el desarrollo de una cuenca erosiva semejante a la de un cráter. Además la laguna ya ha terminado su fase erosiva y ha entrado en su etapa final de sedimentación. 
La teoría sobre el origen del cráter por impacto meteorítico carece de evidencias confiables para la afirmación de la misma y la teoria de colapso salino resulta forzada en razón de amplio intervalo estratigráfico que se interpone entre las rocas que conforman el cráter y las rocas que contienen la sal (Huberto Rosas, Orlando Navas, 1989).
Usos actuales (van relacionados con las actividades económicas actuales)
Actualmente, en la laguna de Guatavita el uso del suelo está enfocado en el pastoreo intensivo,  cultivos transitorios intensivos, uso de protección y una pequeña área para la conservación y/o recuperación de la naturaleza (figura 1), con esto se puede observar que en esta zona hay un impacto ambiental fuerte debido a la intervención antrópica por actividades agropecuarias.
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Figura 2: Uso actual del suelo. Tomado de (CAR-2021)
Vocación de uso y cobertura actual según información IGAC. 
La laguna de Guatavita tiene servicios ecosistémicos de provisión del recurso hídrico por hacer parte de la microcuenca de la quebrada Ganadillo, esta zona en particular tiene una fuerte carga sobre este recurso ya que en esta área naturalmente tiene vegetación de páramo y subpáramo, existen fragmentos de grandes arbustales y herbazales, estos fragmentos o parches se deben a las actividades antrópicas.
Clasificación de capacidad de uso de las tierras.
Según el artículo 29 del acuerdo No. 15 del 2001 el territorio del municipio de guatavita se clasifica en: 
Suelo urbano: Son las áreas del territorio municipal destinada a usos urbanos que cuentan con infraestructura vial y redes primarias de energía, acueducto y alcantarillado; Posibilitándose su urbanización y edificación según sea el caso. Las áreas que conforman el suelo urbano estarán definidas por el perímetro urbano, el cual en ningún caso podrá ser mayor que el denominado perímetro de servicios públicos o sanitario
Suelo Rural: Contempla áreas permitidas para la producción agropecuaria de las veredas: Tominé de Blancos, Tominé de Indios, Chaleche, Montecillo, Santa María, Choche, Corales, Hatillo, Carbonera Baja, Carbonera Alta, Potrero Largo, Guandita, Juiquin, Amoladero y Monquentiva. El suelo rural mantendrá su división político administrativa ( ver mapa de división política). En el municipio de Guatavita se concertó con la comunidad participante en las mesas de trabajo y su resultado está determinado por el plano de suelos (suelo urbano, suelo rural y suelo de protección).
Suelo de protección: Dentro de esta clasificación se localizan los suelos cuyo uso está destinado a la protección del suelo (urbano o rural); que por sus características geográficas, paisajísticas, ambientales o por formar parte de zonas de utilidad pública, o por amenazas y riesgo no mitigable para la localización de asentamientos humanos tiene restringida la posibilidad de utilizarse para fines distintos al de protección.(Consejo municipal de Guatavita)
Estas zonas quedan determinadas en el plano de suelos (suelo urbano, suelo rural y suelo de protección).
Páramos y subpáramos.
Ronda de protección.
Áreas de bosque protector.
Áreas de protección de nacederos y cuerpos de agua. Zonas declaradas y proyectadas quebradas chuscales.
Zona de amortiguación área declarada.
Áreas de protección de quebradas.
Corredor vial ambiental. Área de protección de fauna.
Zona propuesta para reserva. (Consejo municipal de Guatavita)
Conflicto de uso de las tierras. 
El pueblo de Guatavita duró hasta septiembre de 1967, cuando se inundó la cabecera municipal para la regulación de volúmenes de agua del río Bogotá. Por eso, el pueblo fue trasladado al lugar de su actual ubicación, donde se construyó una población moderna pero de aspecto colonial. Las ruinas del pueblo anterior se encuentran actualmente al sur del fondo del Embalse del Tominé.Sin embargo en la zona no se ha presentado grandes conflictos por el uso de las tierras presentes (Huberto Rosas, Orlando Navas, 1989).
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netmassimo · 4 years ago
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Un articolo pubblicato sulla rivista "Nature Astronomy" riporta la scoperta di fosfina nelle nubi del pianeta Venere. Un team di ricercatori guidato dall'astrofisica Jane Greaves dell'Università britannica di Cardiff, ha usato il James Clerk Maxwell Telescope (JCMT) alle Hawaii e il radiotelescopio ALMA per sondare l'atmosfera venusiana. La concentrazione di fosfina rilevata è di circa venti parti per miliardo, che possono sembrare poche ma per quanto ne sappiamo solo batteri anaerobici sono in grado di produrla in quella quantità. Per questo motivo, la fosfina è considerato una firma biologica nello studio delle atmosfere di esopianeti anche se al momento non è possibile escludere completamente che esista un processo abiotico che produca fosfina nelle condizioni dell'atmosfera di Venere.
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cinquecolonnemagazine · 4 years ago
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Energia per la vita dalle profondità della Terra
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Uno studio, nell’ambito delle Scienze della Terra e della vita, di cui è capofila un ricercatore dell’Università di Torino, Alberto Vitale Brovarone, apre a nuovi scenari geologici e sarà pubblicato sull’autorevole rivista Nature Communications. La ricerca ha identificato alcune fonti profonde (fino a 80 km di profondità) di fonti di energia di natura abiotica (non legate all’attività biologica) come il metano e l’idrogeno molecolare, aprendo un nuovo scenario con possibili implicazioni sull’origine, massa e distribuzione di biosfera profonda. Lo studio sostiene che queste sorgenti profonde alimentano dal basso la vita nella biosfera profonda. Il lavoro comprende coautori italiani, come Donato Giovannelli ricercatore di Microbiologia presso il Dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli, francesi e americani ed è stato realizzato durante la borsa Rita Levi Montalcini - Rientro dei ricercatori finanziata dal MIUR di Alberto Vitale Brovarone, ricercatore del Dipartimento di Scienze della Terra di UniTo. Le fonti di energia per la Terra Le sorgenti naturali di idrogeno e di metano abiotico, che costituiscono le nuove fonti di energia per la Terra, (il raro metano che si forma in assenza di processi biologici) hanno avuto un ruolo fondamentale durante l’evoluzione del nostro pianeta e rappresentano un target primario per l’esplorazione planetaria. Read the full article
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PER MIGLIORARE LA PRODUZIONE, BASTA UN CLICK! #DIG #DROP #PLANT è il nuovo PARADIGMA: dopo il trapianto, il nostro biostimolante in pastiglie CLICK inizierà a stimolare il metabolismo, migliorando lo sviluppo delle radici e la crescita delle piante. E se si verifica uno stress abiotico, non c’é problema: CLICK migliora anche la tolleranza delle colture agli stress climatici. I risultati? Miglior resa e miglior qualità del raccolto ovviamente!
PER MIGLIORARE LA PRODUZIONE, BASTA UN CLICK! #DIG #DROP #PLANT è il nuovo PARADIGMA: dopo il trapianto, il nostro biostimolante in pastiglie CLICK inizierà a stimolare il metabolismo, migliorando lo sviluppo delle radici e la crescita delle piante. E se si verifica uno stress abiotico, non c’é problema: CLICK migliora anche la tolleranza delle colture agli stress climatici. I risultati? Miglior resa e miglior qualità del raccolto ovviamente!
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itspaulinablog-blog · 5 years ago
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D) aspectos físicos (factores abióticos)
Ya que estos se desarrollan en los ecosistemas se menciona cada aspecto de los factores abióticos tales como el agua, la temperatura, el suelo, luz solar, viento y rocas  entre otros, mismos que interactuan con los factores abióticos cabe mencionar que todos lo seres vivos necesitan tener relación con cada uno de los factores abióticos o por lo menos la mayoría con el agua 
https://www.google.com/search?q=factores+abioticos&source=lnms&tbm=isch&sa=X&ved=0ahUKEwjH76bEy5XlAhW_HTQIHbYzDwYQ_AUIEigB&biw=1024&bih=625#imgrc=7Ddz6iY_lnAukM:
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hwang55vasquez-blog · 6 years ago
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coltivare marijuana nel bosco
Basandosi sui risultati degli studi condotti sulla cannabis fumata in pazienti con sconvolgimento neuropatico associato all'HIV, l'associazione Americans for Safe Access ha denunciato il ministero federale il 21 febbraio per la sua assicurazione che la cannabis non avrebbe benefici medici accettati. Difatti doveva considerarsi, invece, l'attitudine della pianta oggetto di coltivazione a giungere a maturazione ed a produrre sostanza stupefacente, riscontrando in concreto l'offensività della condotta. Dopo il solstizio d'estate i giorni iniziano ad accorciarsi, questo porta le piante a muoversi verso il periodo della fioritura e gemmatura senza una crescita in altezza eccessiva e non necessaria. Un folto numero di coltivatori sono convinti successo ottenere raccolti più abbondanti potando e piegando nel modo gna piante di Cannabis autofiorenti. Quelle di tipo abiotico sono le gelate tardive nella fasi giovanili della pianta, mentre il vento forte e la grandine possono compromettere la qualità della fibra e causare l'allettamento della coltura. La scelta del seme è di primaria importanza per la coltivazione tuttora canapa. semi autofiorenti big bud ha due differenti fasi principali dopo la semina: quella vegetativa e quella di fioritura. Every la coltivazione di cannabis indoor occorre scegliere un locale che sia idoneo per contenere la growroom. L'indagato si è mostrato collaborativo, spiegando che le piante erano per uso personale. I semi di canapa sono un alimento molto ricco di sostanze nutritive. Questi vasi possono anche proteggere le vostre piante dall'attacco di parassiti insetti quali lumache, che potrebbero rovinare i vostri semi. Si consiglia di mantenere le piante di cannabis autofiorenti in un fotoperiodo unico di 18 ore di luce e 6 ore di buio, per ottenere la massima resa. Il mio armadio per la coltivazione», racconta, «ora è sicuramente uno dei più sofisticati d'Italia, mi diverto ogni tanto ad aggiungerci ventilatori, sensori, irrigatori e ogni optional in più che migliori la resa delle piante. Diciamo che una singola pianta autofiorente, se coltivata con cura, con terriccio idoneo e le giuste dosi di concime, può produrre di media dai 30 a 40 grammi. Oggi in Italia è possibile coltivare canapa con un contenuto massimo di Thc certificato dello 0, 2%, scegliendo tra le 64 sementi attualmente registrate e autorizzate nell'Unione europea. I coltivatori hanno visto subito questo vantaggio per altre categoria, e hanno iniziato a coltivare semi con questa abilità di 'autofiorire'. A quella, più punitiva, della terza sezione, che ha stabilito che mantenere cannabis è sempre reato, a prescindere dalle caratteristiche e dallo scopo. Non tutti sanno quale quella che è possibile comprare online anche dal tabaccaio, non è la marijuana vera e propria, man una sua versione ‘leggera' (da qui il termine ‘light). Dalla scelta dei semi alle lampade: come mantenere una piantina di marijuana. Alcune varietà di piante autofiorenti arrivano a fiorire in due 3 settimane e sono pronte per il raccolto successivamente sei-otto settimane. Coltivare piante successo marijuana all'aria aperta è veramente fantastico, ma è in grado di diventare estremamente frustrante non appena iniziano ad emergere i primi problemi e non si è preparati ad affrontarli. Da un reparto le piante possono avvalersi della protezione che nel modo che serre forniscono dall'ambiente esterno e allo stesso periodo possono godere della luce solare e dell'aria aperta. L'erba che viene venduta, infatti, contiene un Thc inferiore allo 0, 6%, la soglia stabilita dalle legge per rendere la marijuana illegale. Non ci sono differenze visibili tra semi di cannabis regolari, femminilizzati autofiorenti, semi di indica sativa ed semi per la coltivazione di canapa industriale.
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biologiamarco-blog · 7 years ago
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Parte 5 // factores bioticos y abioticos.
Factor abiotico: elementos sin vida en un ecosistema. Ej: Unas tenis.
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huertahierbabuena-blog · 7 years ago
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Día 1:
En el día uno hicimos limpieza e hidratar a la planta.
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identificamos los factores bioticos y abioticos como:                bioticos                                    abióticos         1.planta de hierba                         tierra, rocas, hojas muertas              buena.                                                  abono, palos, agua.
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edson1098-blog · 7 years ago
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QUE ES GESTION DEL TERRIRTORIO
La Gestión Territorial se refiere a la tarea de llevar a cabo acciones o actividades que promuevan un uso sustentable del territorio. El propósito fundamental es contar con pautas que permitan definir una utilización del terreno que maximice la obtención de servicios ecosistémicos.
QUE ES MEDIO AMBIENTE
1.- El medio ambiente o medioambiente es el conjunto de componentes físicos, químicos, y biológicos externos con los que interactúan los seres vivos. Respecto al ser humano, comprende el conjunto de factores naturales, sociales y culturales existentes en un lugar y en un momento determinado, que influyen en su vida y afectarán a las generaciones futuras.
https://es.wikipedia.org/wiki/Medio_ambiente
2.- Medio ambiente, conjunto de elementos  abióticos (energía  solar, suelo, agua y  aire) y  bióticos (organismos vivos) que integran la delgada capa  de la Tierra  llamada biosfera,  sustento y hogar de los seres vivos. Leer más: http://www.monografias.com/trabajos15/medio-ambiente-venezuela/medio-ambiente-venezuela.shtml#ixzz4voPuR8nZ 3.- El medio ambiente es un sistema formado por elementos naturales y artificiales que están interrelacionados y que son modificados por la acción humana. Se trata del entorno que condiciona la forma de vida de la sociedad y que incluye valores naturales, sociales y culturales que existen en un lugar y momento determinado.
https://elblogverde.com/el-medio-ambiente/
4.- Podemos definir al medio ambiente como aquel espacio en el cual tiene lugar algún tipo de intercambio natural que hace posible en él la vida. Espacio, que incluye a la naturaleza y a las grandes ciudades, en el cual interactúan las diversas formas de vida que conviven y en el que se generan procesos vitales https://www.definicionabc.com/medio-ambiente/medio-ambiente.php
5.- El medio ambiente es el conjunto de todas las cosas vivas que nos rodean. De éste obtenemos agua, comida,combustibles y materias primas que sirven para fabricar las cosas que utilizamos diariamente.
http://www.cinu.org.mx/ninos/html/onu_n5.htm
MI DEFINICION: El medio ambiente es el espacio en donde se desarrollan los seres vivos y permite su interacción con sus componentes fisicos, quimicos, naturalez, sociales, etc. Pero tambien es importante saber que un medio amiente no está compuesto solo por seres vivos sino tambien por elemento abioticos
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divinortv · 8 years ago
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Entrada 2030: Factores Bióticos y Abióticos de los Ecosistemas.
Categoría: Cultura General.
Publicado: 2017-04-05.
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aattolini · 8 years ago
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La coevoluzione cultura-gene
[...] ora, giacché la NTC prevede anche la migrazione/dispersione opportunista d’organismi che si spostano nello spazio, cioè che si trasferiscono in nuovi ambienti (delocalizzazione) dove devono sperimentare altre condizioni, si pensi alla portata dell’affermazione sulle dinamiche transgenerazionali di nicchia se oggetto di studio diventa il genere Homo, là dove tutto il suo vissuto è fenomeno leggibile anche come effetto di una costruzione di nicchia transgenerazionale che si basa sulle dinamiche esperienziali di delocalizzazione e domesticazione dell’ambiente (v. supra) da parte d’una collettività d’organismi guidata dal cervello sociale (di cui s’è parlato diffusamente sopra e che sarà definito a seguire); questo dato che, s’è vero che le informazioni e i comportamenti acquisiti dagli organismi attraverso processi ontogenetici non possono essere ereditati in quanto si perdono dopo la loro morte, processi come l’appreso dai suoi discendenti in un contesto sociale, possono essere di notevole importanza per la sopravvivenza di questi (trasmissione verticale), per la loro diffusione promossa tra i componenti all’interno della generazione presente (trasmissione orizzontale) e per la trasmissione dell’appreso a una generazione più giovane messa in atto da un qualsiasi componente d’una generazione precedente (trasmissione obliqua), giacché il dispositivo dell’ereditarietà ecologica può permettere al cervello sociale di valutare e controllare in modo dinamico e plastico i parametri critici della costruzione di nicchia attraverso le modalità di circolazione dell’appreso (intesi i parametri critici come tutto ciò che può ridurre l’incertezza negli ambienti selettivi rispetto agli interessi manifestati dagli organismi riguardo alla loro fitness, cioè controllando il ventaglio degli ambienti di sviluppo cui possono essere esposti gli eredi), con la clausola che l’appreso dalla collettività d’organismi sia poi inteso in termini di flussi di conoscenze accumulate, di comportamenti e di pratiche acquisite; un insieme, dunque, ch’è veicolato da un cervello sociale in un processo di sociogenesi ininterrotta che, come mostra l’iter del genere Homo, implica dei cambiamenti tanto nel trasferimento transgenerazionale dell’ereditarietà ecologica quanto nella loro stabilizzazione (selettiva) storicamente data e determinata; e in special modo nel momento in cui la costruzione di nicchia gli permette di persistere, cioè di sussistere e riprodursi, nelle condizioni ambientali frammentate, instabili e ostative, ossia inospitali e proprie al vissuto di domesticazione dell’ambiente da parte del genere Homo (v. per esempio, supra, l’effetto di tamponamento, o buffering), condizioni d’antropizzazione che come si vedrà creano poi le premesse per la domesticazione e la colonizzazione dell’intero pianeta da parte di Homo sapiens; senza però dimenticare che questo dato di fatto, cioè che l’ereditarietà ecologica influenza fortemente le dinamiche evolutive, vale tanto per il genere Homo quanto per le centinaia di specie sociali di mammiferi, uccelli e pesci, così come per gli insetti eusociali (quali termiti, formiche, api, vespe e altre ancora), cioè in tutte quelle specie in cui la capacità d’interagire con l’ambiente, grazie al detto dispositivo di conoscenza e comportamento acquisito promosso dall’ingegneria ecologica, non è una capacità ch’è garantita dalla presenza di geni selezionati dall’evoluzione; o, detto altrimenti, è sempre sottinteso che questo dispositivo d’ereditarietà ecologica rappresenta un’eredità extragenetica che allarga il concetto stesso d’ereditarietà di là dalla genetica di trasmissione, ciò che sottolinea, in generale, come non tutto lo sviluppo sia sotto stretto controllo genetico (e sempre fatta salva la causalità reciproca e ricorsiva tra eredità ecologica e eredità genetica); ora, l’appreso dalla citata collettività d’organismi rimanda a quello che qui s’intende con il termine cultura, termine ombrello di difficile esplicitazione semantica a causa del suo uso polisemico (o, volendo, del suo uso come concetto passe-partout che difficilmente trova unanime consenso), che qui s’adotta nella sua valenza di strumento di trasmissione e modellamento sociale grazie al quale il genere Homo ha potuto costruire le sue nicchie in grado di modificare l’ambiente abiotico e biotico degli ecosistemi a suo vantaggio (e con ricadute evolutive anche per piante e animali, che sfociano infine nella selezione artificiale; per esempio, v., infra, la loro domesticazione) e che possiamo tradurre, come sopra accennato, attraverso il ricorso ai flussi di conoscenze, di comportamenti e di pratiche acquisite trasmesse (in modo non passivo) con lo stoccaggio delle memorie e delle competenze che transitano nei cervelli e con la loro esplicitazione attraverso il linguaggio o l’imitazione o con altri modalità d’apprendimento sociale (o social learning), oppure con altri strumenti e metodi d’immagazzinamento esterno della memoria (v. infra), tratti che sono tutti d’interfaccia nell’interazione via via più complessa dell’organismo con l’ambiente e che possono essere indicizzati grazie al tasso d’uno sviluppo economico e sociale storicamente dato (e sono tratti d’interfaccia perché lo stoccaggio della memoria culturale ci dovrebbe rendere edotti del fatto che la cognizione immagazzinata non è qualcosa che capita solo nel nostro cervello alla stregua d’una routine biologica, ma che la cognizione in gioco che abita e che transita nella nostra mente è la risultante storica dei cambiamenti che intervengono nelle strutture d’assemblaggio e in quelle di relazione tra le eterogenee componenti biotiche e abiotiche d’un ambiente, d’una realtà); tasso di sviluppo economico e sociale storicamente dato, dunque, che poi può essere indicizzato, più o meno in dettaglio per gli ultimi 100 000 anni, questo ricorrendo alla tipologia delle risorse utilizzate, ai mezzi di produzione utilizzati per trasformarle in prodotto (e, a seguire, a distribuirlo per il consumo) e dai rapporti sociali che si creano nella collettività in riferimento alle possibilità di sfruttamento delle risorse offerte dallo stato dei mezzi di produzione e dall’accesso al consumo dei prodotti, ivi compreso il lavoro e la sua parcellizzazione (con tassi di delega allo stoccaggio specializzato delle conoscenze accumulate che variano al variare delle complessità sociale e della divisione complessiva del lavoro necessario per mantenere in essere e permettere la riproduzione sociale della struttura economica); e giacché ruoli e compiti che alterano il comportamento degli individui del genere Homo in una società storicamente situata lo fanno in un modo plastico e radicale, la modificazione dell’insieme (che, come vedremo a seguire, si basa sulla produzione materiale) include anche l’organizzazione degli stati mentali (epistemici o meno che siano, e là dove l’episteme riguarda l’indagine razionale del percepito), l’intrecciarsi dei vissuti emotivi (prosociali) e dei vincoli paradigmatici che i sistemi delle credenze e i sistemi valoriali (insomma i sistemi legati allo stato delle forze produttive e delle visioni del mondo, o Weltanschauungen), stabiliscono e plasmano all’interno delle collettività proiettate verso la loro riproduzione sociale in fase d’assestamento o di stabilizzazione (ciò che comprende anche la gestione della violenza istituzionale verso l’esterno e della violenza intraspecie all’interno) e altro ancora; con la clausola, ritornando alla costruzione di nicchia, che il serbatoio dell’appreso transgenerazionale (o eredità culturale, cultural inheritance) è poi da intendersi come una componente dell’eredità ecologica, un suo sottoinsieme che può essere definito come costruzione d’una nicchia culturale (cultural niche construction) o, detto altrimenti, che l’eredità non è tripla (genetica, ecologica e culturale), ma duale (genetica e ecologica) essendo la costruzione della nicchia culturale solo una componente, sia pur molto pervasiva nell’antropizzazione dell’ambiente, dell’eredità ecologica (o, detto altrimenti, non tutta la costruzione della nicchia umana è costruzione della nicchia culturale, e non tutta l’eredità ecologica umana è eredità culturale); e a proposito della pervasività di questo tratto della costruzione culturale, e fatto salvo il caso che l’eredità ecologica possa implicare un processo culturale senza alcuna ricaduta genetica, si presenta il problema dell’evoluzione dell’eredità genetica umana che si combina con l’eredità culturale (o coevoluzione cultura-gene, detta anche teoria dell’eredità duale, o Dual inheritance theory, DIT), il tutto come un effetto endogeno della costruzione di nicchia che potrebbe influenzare la selezione naturale dei geni nel genere Homo, selezione che, a sua volta, potrebbe a volte poi influenzare l’espressione dei processi culturali e l’antropizzazione dell’ambiente.
 LA COEVOLUZIONE CULTURA-GENE
 Detto che si stima che centinaia di geni siano stati oggetto di selezione positiva (relativamente) recente, e spesso in risposta alle attività umane, e sottolineato che in moltissimi casi deve ancora essere dimostrato il fatto che la causa di selezione del gene sia derivata da una pratica culturale, quest’ipotesi della DIT suggerisce che i processi culturali possono influenzare notevolmente l’evoluzione genetica con il tasso di variazione delle frequenze alleliche innescate come risposta a una modificazione delle condizioni ambientali, e sempre fatto salvo il fatto che sia presente un tempo sufficiente affinché si fissi l’allele benefico associato alla modificazione (come dire che la costruzione di nicchia culturale, introducendo una variante extragenetica che rende una mutazione vantaggiosa solo per date variabili ambientali, è in grado d’alterare positivamente l’esito previsto dalla trasmissione puramente genetica); dinamiche d’innesco delle variazioni alleliche che sono poi, in generale, più veloci, nel tempo richiesto per la fissazione dell’allele benefico associato, rispetto alle condizioni richieste dalle dinamiche evolutive convenzionali (o che, come pressioni selettive culturali, possono essere dismesse più velocemente, s’è il caso), questo perché operano con una frequenza maggiore e su un ventaglio più ampio e variato di situazioni; tanto che le pratiche culturali innovative, nei confronti d’una mutazione genetica che obbedisce ai tempi evolutivi standard, hanno solitamente risposte più rapide alla selezione, anche perché la popolazione sulla quale agisce la diffusione d’una innovazione culturale è di fatto numericamente amplificata dalla rapidità della sua diffusione, ciò che fa sì che s’amplifichi nella popolazione anche l’intensità della selezione della variante genetica dimostratasi vantaggiosa; ora, visto che gli ultimi 100 000 anni hanno prodotto, date la nicchie culturali presenti, una pressione selettiva sui fenotipi legata a nuovi habitat e climi; visto che la pressione selettiva s’è esercitata là dove la densità abitativa ha via via promosso l’esposizione a nuovi patogeni legati allo stile di vita antropomorfo (per esempio, alla sedentarietà; v. infra) e dove la vicinanza ad animali domesticati (o in fase di domesticazione, v. infra) ha favorito la diffusione di malattie legate a patogeni zoomorfi (dette zoonosi; v. infra); visto poi che la pressione selettiva s’è storicamente assestata con la transizione dalle società di caccia e raccolta a quelle pastorali e agricole che, affermatesi a partire dagli ultimi 10 000 anni, sono state, infatti, caratterizzate da un rapido e vincente incremento demografico; visto tutto questo, possiamo dunque dire che le situazioni demografiche venutesi a creare potrebbero avere poi permesso ad alcune mutazioni di poter essere vantaggiose e di creare un nuovo genotipo adattato, diciamo così, alla densità abitativa (ragione per cui è possibile che il passaggio dallo stile di vita nomade proprio ai cacciatori-raccoglitori a quello sedentario e ad alta densità demografica degli agricoltori abbia facilitato la diffusione di agenti infettivi legati a un’ampia casistica, ciò che potrebbe avere portato a un rapido incremento della frequenza degli alleli in grado di proteggere contro questi agenti e molto altro ancora); in generale, e partendo dall’assioma che la costruzione di nicchia umana è informata da una piattaforma unica di conoscenze culturali che sono potenti in quanto storicamente cumulatesi (e, bene o male, autoimpostesi), si può poi dire che alla base dei principali eventi che portano alla selezione sui geni umani (e alla formazione di genotipi inediti) ci sono dunque le innovazioni culturali legate alle nuove risorse trofiche, solitamente connesse con la colonizzazione di nuovi habitat, con le pratiche della loro produzione e con le strategie economiche e sociali di trasmissione dell’insieme (ma senza dimenticare che la detta velocità dell’eredità culturale accumula però errori su errori i cui effetti producono spesso conseguenze maladattative non previste, passando, come esemplificano gli ultimi 10 000 anni, dall’alterazione degli equilibri ambientali alla creazione di strutture economico-sociali destabilizzati perché inegualitarie e altre nefaste conseguenze proprie all’Anthropocene); di risultati certi che gli  studi genetici hanno confermato essere soggetti a una selezione (relativamente recente) legata alla coevoluzione cultura-gene ne esistono (anche se, come sopra detto, ci sono moltissimi casi in cui deve ancora essere dimostrato che la causa di selezione del gene è derivata da una pratica culturale), e tra questi l’esempio più studiato d’una mutazione vantaggiosa è quello della c.d. tolleranza al lattosio; e si tratta d’una mutazione che ha permesso ai portatori una chance di sopravvivenza alimentare aumentata (cioè l’accesso a un surplus di calorie che ha dato ai portatori una possibilità d’avere più figli rispetto ai non portatori, specialmente nei periodi di carestia), ciò che ha permesso la diffusione nella popolazione e nelle generazioni a seguire della mutazione legata, nei climi freddi o nei climi caldi e aridi (v. infra), all’ambito della tolleranza al latte d’origine animale dopo lo svezzamento dal latte materno; ciò che rimanda alla comparsa storica della domesticazione del bestiame da latte nelle società pastorali e della produzione dei prodotti caseari fermentati ricavati dal latte (per esempio, yoghurt o formaggio, v. infra), evento di una costruzione di nicchia culturale che ha alterato gli ambienti selettivi di queste società per un numero sufficiente di generazioni (poche centinaia di generazioni) che sono così state in grado, persistendo la pratica culturale, di selezionare quelle mutazioni che conferiscono maggiore tolleranza al lattosio negli adulti e di aumentarne, pertanto, il carico calorico disponibile offerto dall’ambiente (questo perché il latte è un’importante fonte di proteine e grassi; per esempio, è stata stimata sui 400-600 kg la produzione di latte di una mucca nel periodo preistorico durante il periodo dello svezzamento dei vitelli, di cui 150-250 possono essere sottratti per l’alimentazione umana, ciò ch’è, in calorie, quasi equivalente al consumo carneo dell’intera mucca, ciò che ha quantomeno permesso di fare un uso più economico del bestiame e di meglio valorizzare il bestiame femminile rispetto a quello maschile, cioè di programmarne il consumo secondo le esigenze demografiche che si presentano); come detto sopra, è poi il gene LCT quello che poi fornisce le istruzione per produrre l’enzima della lattasi (lattasi florizin-idrolasi, o lactase-phlorizin hydrolase, LPH), enzima che aiuta, durante il transito intestinale, a digerire uno zucchero complesso presente nel latte, il lattosio (LPH è poi prevalentemente espresso nell’intestino tenue, v. infra, dove idrolizza il lattosio in glucosio e galattosio, due zuccheri che sono facilmente assorbiti nel circolo ematico); mentre la lattasi è smessa d’essere prodotta dall’organismo dopo lo svezzamento del lattante, generando, in questo modo, un deficit di lattasi congenita che non gli permette più di digerire il latte d’origine animale (sindrome di malassorbimento detta intolleranza al lattosio), è capitato che dei polimorfismi a singolo nucleotide (v. supra) nelle regioni circostanti al gene LCT che la produce siano associati, negli organismi che presentano queste mutazioni, con la persistenza (ereditabile) della lattasi dall’infanzia fino all’età adulta, ragion per cui questi organismi possono consumare latte d’origine animale senza problemi di malassorbimento, e questo grosso modo si sospetta sia avvenuto in un’economia di sussistenza già dedita alla pastorizia ca. 6 000 anni fa, specificamente in una popolazione nomade di pastori di renne (sulla domesticazione della renna, Rangifer tarandus tarandus, v. infra) vicino ai monti Urali, in Russia (si ricorda che altri dice che la tolleranza al lattosio data a partire da ca. 10 000 anni fa e che solo via via la frequenza dell’allele è poi aumentata, a basse frequenze 8 000-7 000 anni fa e poi, dal 6 000 e solo in certe aree geografiche, ad alte frequenze); in ogni caso, la distribuzione del fenotipo tollerante al lattosio si sovrappone al reperimento dei siti che, in quest’arco temporale di 10 000 anni, mostrano presenza d’attività pastorali legate all’allevamento di animali da latte e all’attività di produzione, di stoccaggio e di distribuzione del latte e dei prodotti caseari (sovrapposizione in cui l’insorgere della mutazione segue l’adozione della pastorizia, ossia una costruzione di nicchia culturale, dunque una coevoluzione cultura-gene che va sotto il nome di Cultural Historical hypothesis; la cui contro-ipotesi è quella che afferma che la tolleranza al lattosio è stata consentita prima dall’insorgenza d’una mutazione cui solo a seguire s’è affermata con la diffusione dell’allele collegata alla pratica culturale della pastorizia che ne ha permesso la persistenza) e che si ritrova nei climi aridi e caldi e alle alte altitudini; nei climi aridi e caldi là dove ci sono popolazioni di pastori nomadi che vivono in zone steppose e desertiche, qual è il caso, per esempio, della Penisola Araba, dove il latte di dromedario (Camelus dromedarius, v. supra e infra) è usato dai pastori nomadi, i beduini, e a partire da ca. 4 000 anni fa, come alimento di base che risulta essere, per coloro che lo consumano, oltre che una fonte di cibo, anche una preziosa sostanza liquida incontaminata; mentre nei climi freddi il consumo di latte da parte delle popolazioni nomadi di pastori, oltre che ai citati benefici, apporterebbe loro anche il calcio, ciò che permetterebbe d’evitare la diffusione nella popolazione delle patologie delle ossa (rachitismo e osteomalacìa, v. infra), presenti nei detti climi delle alte altitudini a causa d’una scarsa irradiazione solare (detta Calcium absorption hypothesis; v. infra; sul problema della tolleranza/intolleranza al lattosio, v. supra e infra); un altro esempio di coevoluzione cultura-gene in atto lo si ritrova nelle popolazioni che appartengono alla famiglia linguistica Kwa dell’Africa occidentale e che coltivano yams (lo yam, o Dioscorèa, della famiglia delle Dioscoreacee, è un tubero d’amido commestibile d’una pianta rampicante presente nei paesi tropicali e subtropicali) e i cui i metodi di coltura, vale a dire di gestione antropica dell’ambiente, hanno favorito l’emergere nelle popolazioni di un’emoglobina (Hb) con una mutazione che ha dato origine all’emoglobina S (HbS) che protegge i portatori sani dell’anemia falciforme dalla malaria; bisogna, infatti, sapere che per fare crescere queste colture di yam gli agricoltori hanno dovuto tagliare delle radure nelle foreste marginali, ciò che ha avuto l’effetto, durante le piogge (e lo yam s’inizia a coltivare quando inizia la stagione delle piogge), d’aumentare la quantità di acqua stagnante a causa delle diverse modalità di drenaggio dei suoli, ciò che a sua volta ha creato, complice anche il clima con temperature che s’aggirano sui 25-30° C, la possibilità d’incrementare la presenza di popolazioni di zanzare apportatrici di malaria (zanzare femmine infette del genere Anopheles) e, pertanto, la diffusione della malaria nelle popolazioni che hanno creato queste stagnazioni (v. infra); fatto salvo che la malaria ha una fase di sviluppo che coinvolge i globuli rossi dell’organismo infettato, è questa diffusione della malaria che ha creato le condizioni per una coevoluzione gene-coltura, nel senso che la pratica antropica di deforestazione a fini alimentari ha favorito la formazione di varianti dell’emoglobina, ossia mutazioni del materiale genico codificante l’emoglobina, ciò che ha portano a emoglobinopatie, quale è il caso dell’emoglobina S, o HbS, che presenta in dati casi una più alta resistenza alla malaria, ciò che conduce a un significativo vantaggio evolutivo (se pur relativo) per i portatori di tale mutazione ch’è molto frequente nelle popolazioni per le quali risulta più alto il rischio di contrarre la malaria; questo perché, se la malaria è molto diffusa in una data area geografica, essere portatori di un solo allele falciforme nell’emoglobina conferisce un vantaggio ai portatori sani dell’emoglobinopatia che sono soggetti a sintomi meno gravi quando sono infettati (l’allele è poi detto falciforme perché è la cellula, deformandosi per una carenza d’ossigeno, crea una struttura a falce, o sickle, da cui la sigla HbS che aggiunge a Hb la S di sickle); infatti, è da ricordare che l’emoglobina permette il metabolismo energetico aerobico, ed è una proteina combinata con il ferro ch’è raccolta nei globuli rossi del sangue ed è dotata della funzione di combinarsi reversibilmente con l’ossigeno molecolare O2, cioè d’assumere ossigeno a livello dei polmoni e di cederlo ai vari tessuti del corpo per permetterne la respirazione cellulare e, nella fase seguente della respirazione, di trasportare il diossido di carbonio, CO2, dai tessuti ai polmoni per l’espulsione; ancora, che l’anemia falciforme (o falcemia o sickle-cell disease) è una forma ereditaria di carenza d’ossigeno nei globuli rossi causata dalla detta mutazione del gene che codifica la catena β dell’emoglobina che, negli individui eterozigoti che possiedono nella catena mutante un allele normale e uno mutante produce effetti non gravi e protegge dalla malaria (e quelli che portano un solo tratto falciforme, o Sickle-cell trait, sono detti portatori sani), a differenza della gravità dei sintomi (che portano a una ridotta aspettativa di vita) che si presenta negli omozigoti che, nella detta catena, presentano una coppia di alleli mutanti; da ricordare che qui la variabile cruciale, cioè la quantità d’acqua stagnante nell’ambiente conseguenza della coltivazione yam, è in sé una variabile ecologica e non una variabile culturale che, in parte, dipende da fattori che sfuggono al controllo della popolazione (cioè dalla quantità delle effettive precipitazioni nell’area coinvolta; quindi, in senso stretto, il legame tra l’eredità culturale e quella genetica non è diretto giacché i due sistemi ereditari, genetici e culturali, necessitano dell’intermediazione d’una variabile intermedia di tipo abiotico ed ecologico; ma, il fatto che si possa poi affermare che le popolazioni adiacenti a quelle degli agricoltori yam che, in Africa occidentale, presentano pratiche agricole non legate alla produzione di questa risorsa trofica, non mostrino lo stesso aumento nella frequenza allelica dei coltivatori di lingua Kwa può essere di supporto a una conclusione che affermi che le pratiche culturali possono guidare l’evoluzione genetica; come lo yam, ch’è un tubero ricco d’amido, contengono amido anche le patate, le farine di frumento, di mais, d’orzo, d’avena, di segale, il riso etc., e il consumo di questi prodotti amidacei nella dieta umana si presenta come fortemente strutturato a partire dalle società agricole, questo perché l’amido ha costituito e costituisce il carboidrato (o glucide) tra i più importanti nella dieta umana, tanto che questi, per il tramite del suo massiccio consumo nella costruzione d’una nicchia culturale in fase d’espansione, ha ingenerato anche risposte genetiche per favorire la sua assimilazione; l’amido, che appartiene al gruppo dei polisaccaridi, si forma nelle parti verdi delle piante per fotosintesi da acqua e diossido di carbonio, e s’accumula quale sostanza di riserva nelle radici, nei tuberi, nei semi (là dove rappresenta una riserva d’energia per la pianta in crescita) e le quantità più elevate d’amido si trovano nelle cariossidi (v. infra) dei cereali e nei tuberi della patata, se pure ne ritrovano, ma in minori quantità, anche nei legumi, nella frutta etc. (e ci si ricordi, a questo proposito, di quanto sopra detto rispetto alle variazioni di consumo di bulbi, tuberi, radici e rizomi nel genere Homo, cioè degli organi di riserva sotterranei, o USO, underground storage organs, che sono cibi ad alto valore nutritivo, cioè amidi che potrebbero avere facilitato la comparsa iniziale e la diffusione di Homo erectus dall’Africa; per inciso, dal punto di vista nutrizionale l’amido apporta, per ogni grammo, 4,2 kcal); nell’organismo la digestione degli amidi si presenta a partire dall’insalivazione nella bocca dei detti cibi masticati (dove di fatto avviene, a livello di quantità, una notevole  digestione dell’amido) e sono le ghiandole salivari che, per il tramite dell’amilasi prodotta, catalizzano il primo passaggio nella digestione degli amidi (dove l’amilasi rappresenta un gruppo d’enzimi che catalizzano l’idrolisi del legame α-1,4-glicosidico dei polisaccaridi costituenti l’amido per arrivare poi a formare una miscela di glucosio e maltosio; l’amilasi salivare, o α-amilasi, è detta anche ptialina, v. infra, ed è la prima espressione dell’amilasi); è poi il gene AMY1 che codifica l’enzima presente nella saliva come amilasi salivare (v. infra), e poiché il consumo d’amido in Homo sapiens si stima si sia storicamente presentato a partire da ca. 200 000 anni fa per poi differenziarsi nelle varie società presentandosi, a partire dalla transizione neolitica, come una caratteristica alimentare propria alle società agricole, e questo a differenza delle società dei cacciatori-raccoglitori delle foreste fluviali e dei territori circumartici (escluse dunque quelle società di cacciatori-raccoglitori che hanno operato e operano in ambienti aridi, per esempio, gli Hadza, v. supra) e di quelle pastorali, che consumano molto meno amido, è allora possibile che queste differenze alimentari portino a pressioni selettive diversificate in società culturalmente diverse nelle modalità di sfruttamento antropico dell’ambiente, cioè che le differenze di dieta nell’esposizione agli amidi, dovute ai vincoli storici contingenti via via presentatisi, abbiano agito sull’amilasi salivare, come mostra, per esempio, il fatto che gli individui provenienti storicamente da popolazioni che hanno praticato diete ad alto contenuto d’amido (o high-starch) hanno, mediamente, più copie AMY1 rispetto a quelli con diete tradizionalmente a basso contenuto d’amido (o low-starch), là dove il più alto numero di copie AMY1 è nei fatti ipotizzabile come opera d’una selezione naturale che ha plasmato una variazione del numero di copie AMY1 in funzione del miglioramento digestivo degli alimenti ricchi d’amido (si ricorda, ancora, che l’amilasi salivare persiste nello stomaco e nell’intestino dopo l’ingestione, ciò che aumenta in tal modo l’attività enzimatica dell’amilasi pancreatica nel piccolo intestino, come dire che un numero di copie superiore di AMY1 è in grado di migliorare l’efficienza con cui diete ricche d’amido sono digerite in bocca, nello stomaco e nell’intestino potendo, così, anche tamponare gli effetti di riduzione della fitness di problemi intestinali eventualmente presenti); ed è notevole il fatto che la transizione neolitica (in tutte le aree dov’è avvenuta) abbia coinvolto anche la dieta del cane (Canis familiaris, v. infra), all’epoca in fase di domesticazione, dando inizio ad una coevoluzione biologica e culturale cane/uomo, coevoluzione che s’ipotizza con il fatto che la dieta del cane in questo periodo muta profondamente poiché, come mostrano alcune indagini paleogenetiche sul DNA antico (ancient DNA, aDNA) di alcuni esemplari di canidi (v. supra; qui si tratta di cani e lupi) sparsi in Eurasia, inizia a digerire gli amidi provenienti dai cereali, cioè da risorse trofiche di scarto, ma edibili, dei prodotti agricoli coltivati da Homo sapiens (il quale modifica, a sua volta e come sopra visto, dieta e modalità digestive), e questo grazie all’enzima dell’amilasi pancreatica codificato dal gene AMY2B, che nel DNA del cane presenta un’amplificazione genica, tanto che questo gene arriverà, dalle iniziali 2 copie precedenti a 8-7 000 anni fa, a essere presente con copie via via più numerose con il decorrere del tempo (e con l’affermarsi definitivo delle pratiche agricole in Eurasia) fino alle attuali e possibili 34 copie, ciò che traduce il passaggio da una dieta esclusivamente carnivora a una onnivora, e questo mentre un parente stretto, il lupo (Canis lupus, v. infra), con il suo tipo di dieta radicalmente carnivora ne presenta a tutt’oggi, e nella più parte dei casi (60 %), solo 2, ciò che può fornire ai cani domesticati un forte vantaggio adattivo in un contesto agricolo, legato probabilmente questo più al cambiamento della dieta e delle abitudini alimentari di Homo sapiens durante il Neolitico piuttosto che a un rilassamento delle naturali pressioni selettive legate a una fase della domesticazione del cane (e un’analoga ristrutturazione dietetica è stata vissuta anche durante la domesticazione dal gatto, Felis catus, come si sostiene per i gatti di Quanhucun, in Cina, che hanno modificato e allungato le loro viscere per l’estrazione e l’assimilazione dei principi nutritivi presenti nel consumo del miglio comune, Panicum miliaceum, loro offerto dagli agricoltori all’altezza 6-5 000 anni fa, v. infra); e che il tutto sia probabilmente legato al cambiamento della dieta e delle abitudini alimentari di Homo sapiens, cioè alla costruzione di una nicchia culturale, questo lo mostra anche il fatto che alcuni canidi selvatici o semidomesticati, quali i dingo australiani (Canis dingo) e i siberian husky, che provengono da regioni dove le pratiche agricole erano inesistenti, o si sono presentate tutt’al più recentemente (come dire che si parla di canidi la cui dieta storica predilige, per il dingo, la carne e, per i siberian husky, la carne e il pesce), presentano, i dingo, 2 copie del gene AMY2B al pari del lupo e, i siberian husky, da 4 a 8 copie; e senza dimenticare, primo, che l’adattamento a una dieta amidacea (e relativamente ricca di scarti) da parte del cane ha avuto un impatto non solo sulle funzioni digestive, ma anche sui tratti morfologici legati al mordere e al masticare (per esempio, sui denti, il cranio e la conformazione della mandibola); secondo, che analisi genetiche di popolazione canine hanno permesso di identificare un elenco di geni sotto selezione positiva durante il processo della loro domesticazione che si sovrappone a lungo con la relativa lista dei geni selezionati positivamente nello stesso periodo negli esseri umani, tanto che c’è chi sostiene che quest’evoluzione parallela (dove la selezione naturale, spinta da pressioni ambientali fra loro convergenti, potrebbe avere lavorato su una serie analoga di geni nei genomi tanto di Canis familiaris quanto di Homo sapiens) è più evidente nei geni implicati nella digestione, nel metabolismo, nei processi neurologici (v. infra) e, infine, nell’insorgere di forme tumorali maligne; sempre restando nell’ambito della dieta del genere Homo, si possono valorizzare le modalità di cottura degli alimenti sulle braci di legna (per esempio, della carne o degli USO, underground storage organs) al fine d’incorporare un ventaglio più ampio di risorse trofiche (v. supra e infra), modalità che però presentano un fattore negativo, di rischio, in quanto fanno sì che ci s’esponga al fumo, cioè che s’inalino durante la cottura degli elementi nocivi causati dalla parziale combustione di sostanze organiche (il detto legno), principalmente idrocarburi policiclici aromatici (Polycyclic aromatic hydrocarbons, PAH); lo stesso se si usa il fuoco per riscaldare un ambiente che poi diventa fumoso e può causare asfissia da fumo (per esempio, quando il genere Homo trova un riparo contro il freddo a fronte d’ambienti ostili, e laddove i focolari sono poi posti in una posizione centrale nelle profondità delle caverne, là dove avvengono le pratiche sociali legate alla sopravvivenza) o, volendo, con l’uso controllato del fuoco da parte dei cacciatori-raccoglitori per stanare le prede o per essiccare o affumicare la carne (rendendola così adatta allo stoccaggio o al trasporto), o per preparare il terreno a pratiche di coltura in società seminomadi, cioè per arricchire il suolo di azoto al fine di renderlo fertile per la semina per una stagione (v. infra), o perché serve a controllare lo sviluppo di un certo tipo di vegetazione, oppure quando lo si usa come strumento di difesa contro i predatori e d’offesa contro i nemici, o in quanto permette la visione notturna, o, a partire dal Neolitico, quando s’usa il fuoco regolato per manipolare i metalli e le argille per la costruzione di strumenti etc.; insomma quando si presenta una costruzione di nicchia che, grazie alla tecnologia del fuoco (v. supra), introduce un nuovo regime ecologico estremamente versatile (che rimanda, per inciso, alla profonda alterazione d’un equilibrio naturale e d’un paesaggio) e che, in quanto costruzione di nicchia culturale, cioè socialmente trasmessa, diventa irreversibile; ossia da quando il genere Homo è stato in grado di controllare il fuoco opportunistico (v. supra), ecco che si presenta un effetto collaterale non previsto, un metabolismo xenobiotico (v. infra) che porta a effetti negativi per Homo Neanderthalensis, ma che, grazie a una mutazione intervenuta in Homo sapiens, permette la convivenza, diciamo così, con gli idrocarburi policiclici aromatici; infatti, l’uso continuato del fuoco, oltre ai benefici, ha un costo per la salute del genere Homo in quanto il fumo prodotto dalla combustione (di legno o d’altro materiale organico) genera un insieme di fini particelle solide (o particolato) che contiene svariate sostanze chimiche tossiche e irritanti, compresi i citati PAH; particolato che, ad alte concentrazioni, può causare reazioni tossiche acute e una successiva tossicità cronica che, nelle citate collettività, potrebbero arrivare a un’alta frequenza percentuale (o a un elevato tasso di morbilità), tra cui, a causa dell’esposizione materna al fumo, a un aumento della morte programmata delle cellule germinali femminili (o apoptosi degli ovociti) e a un aumento del tempo di gravidanza e, per i neonati, a un elevato rischio di basso peso legato a un’alta mortalità infantile e, nei maschi, a una ridotta spermatogenesi e, in generale, a infezioni respiratorie acute e all’introduzione di fattori mutanti che sono in grado di causare dei tumori (sono cioè fattori oncògeni); ora, s’è detto, sopra, metabolismo xenobiotico, là dove con il termine xenobiotico si rimanda a quell’insieme di sostanze naturali (cui s’aggiungono, oggi, le sostanze attive sintetizzate ex novo da Homo sapiens) che sono estranee al normale metabolismo dell’organismo, dunque a ciò che mangia, beve o respira; sostanze che possono presentarsi come atossiche o tossiche, e dove il grado di tossicità è presente quando queste sostanze sono in grado di produrre un danno a carico dell’organismo che si ritrova a metabolizzarle, danno che nel caso dei tossici idrocarburi policiclici aromatici è alleggerito in Homo sapiens (diversamente che in Homo neanderthalensis) come mostra una recente analisi dei dati di sequenze paleogenetiche sull’esoma (grossomodo con il sequenziamento delle regioni codificanti del genoma d’un individuo in grado d’esprimere proteine) di 3 Homo neanderthalensis (uno nello strato 11 della grotta di Denisova nei Monti Altai, in Siberia, Russia, detto Altai Neanderthal; uno dalla Cueva [cava] del Sidrón nelle Asturie, a Nord-Ovest della Spagna e l’ultimo dalla grotta di Vindija, nel Nord della Croazia) e di un uomo di Denisova (sempre dalla grotta di Denisova, da cui deriva il suo nome, dove sono stati trovati, tra gli strati 9-11, dei suoi reperti fossili che lo imparentano, come ominine, con Homo neanderthalensis; questa grotta, inoltre, è stata frequentata oltre che dal detto Homo Neanderthalensis, anche da Homo sapiens); questi dati sono poi stati confrontati con il DNA di 9 Homo sapiens (3 d’origine sub-sahariana, 3 d’origine europea e, infine, 3 d’origine asiatica); a seguito delle analisi, la discontinuità tra Homo neanderthalensis e Homo sapiens è emersa grazie alla differenza che si presenta nel recettore arilico per gli idrocarburi (aryl hydrocarbon receptor, AHR; scritto anche come Ah Receptor), cioè in quel recettore che regola la risposta metabolica dell’organismo ai PAH (questo perché l’AHR è coinvolto nella regolazione dell’espressione di numerosi geni, per esempio quelli che codificano per enzimi coinvolti nel metabolismo, come il gene CYP1A1, ossia è una proteina che, come fattore di trascrizione del DNA, posta a fronte delle molecole di idrocarburi policiclici aromatici può presentare degli errori di trascrizione recettore; da non dimenticare però che questo recettore, oltre a funzioni esogene, influenza anche numerose funzioni endogene, tra cui il metabolismo lipidico e la funzione immunitaria); infatti, in Homo sapiens, rispetto a Homo neanderthalensis, questi composti tossici prodotti dal mangiare carne cotta alla brace e dall’esposizione al fumo, grazie a una differenza presente nel recettore arilico, ossia a una mutazione, sono metabolizzati molto più lentamente, con meno danni all’organismo; vale a dire che presentano un cambiamento funzionale significativo nella tolleranza ambientale, un’evoluzione nella risposta al fuoco/fumo e alle sue componenti xenobiotiche che si traduce, in Homo sapiens, a una versione mutante della proteina AHR ch’è di 150-1 000 volte meno sensibile agli effetti deleteri del fumo rispetto a Homo neanderthalensis; in dettaglio, nella proteina AHR il cambiamento riguarda un singolo aminoacido, che in Homo sapiens presenta nella posizione 381 una valina (Val381; variante derivata), mentre in Homo neanderthalensis e in Homo di Denisova in questa posizione c’è un’alanina (Ala381; variante ancestrale), mutazione scritta come A → V381 AHR; mutazione, lo si ripete, che permette a Homo sapiens una desensibilizzazione nei confronti di date sostanze xenobiotiche tossiche, ossia rallenta la produzione degli enzimi in gioco per la trasformazione degli idrocarburi che sono responsabili della generazione dei metaboliti tossici, mentre, al contrario, in Homo Neanderthalensis si presenta un’accelerazione nella produzione degli enzimi che dovrebbero metabolizzarli, fenomeno che sovraccarica il metabolismo e produce una tossicità cellulare perniciosa (da ricordare, infatti, che i metaboliti svolgono anche una funzione di regolazione del metabolismo dato che variazioni della loro concentrazione sono in grado d’influenzare la velocità e l’andamento delle reazioni in gioco decelerandole o accelerandole; là dove un metabolita è poi il prodotto d’una reazione e, insieme, la causa di un’altra reazione nel complesso di tutte le reazioni di biosintesi e di degradazione proprie all’organismo, cioè di trasformazione delle molecole); per inciso, ancora, l’alanina, o acido α-aminopropionico, è un aminoacido non essenziale; la valina, o acido α-aminoisovalerianico, è un aminoacido essenziale, v. supra); di qui, dato l’articolato sopra esposto di fatti, s’è sviluppata nei ricercatori l’ipotesi d’un vantaggio selettivo contro gli effetti collaterali negativi della PAH per la specie (tra i quali la detta spermatogenesi e l’apoptosi degli ovociti), vantaggio dunque che sarebbe legato poi a un miglioramento, nella popolazione di Homo sapiens, della fitness; questo in base al noto principio che se una mutazione genera una variabilità genetica casuale in una popolazione (per esempio, Homo sapiens che presenta una mutazione che protegge il suo organismo dagli effetti nocivi del PAH), si ha che, quando una popolazione sperimenta nella costruzione di nicchia un’esposizione a livelli elevati di PAH, ecco che gli organismi che trasportano la mutazione sono in grado di sopravvivere e riprodursi in presenza di questi livelli elevati di PAH e in più risultano favoriti nella riproduzione perché lasciano agli eredi un genoma adattato a quella specifica nicchia culturale, con l’effetto transgenerazionale finale d’avere geni che codificano per la resistenza alla PAH che si ritrovano via via sempre più diffusi nelle popolazioni che si susseguono e che adottano lo stesso stile di vita (oltre che in Homo sapiens, questo meccanismo si presenta anche in alcune popolazioni di pesci all’interno di habitat altamente inquinati, ciò che fornisce una forte evidenza al fatto che i vertebrati possono adattarsi a una pressione evolutiva dovuta a una persistente esposizione a ligandi AHR ambientali tossici, come mostra il rilascio industriale ad alta concentrazione, durato per ca. 30 anni, nel fiume Hudson, negli Stati Uniti, dei planari bifenili policlorurati, planar polychlorinated biphenyls o PCB, riconosciuti per essere dei potenti ligandi AHR, ciò che ha portato le popolazioni di Atlantic tomcod, o Microgadus tomcod, che lo abitano a evolversi, e nel giro di poche generazioni, si suppone ca. 60 anni, in un modo all’incirca analogo a quello sperimentato da Homo sapiens, in un modo cioè che permetta loro di resistere a molti degli effetti negativi dovuti all’esposizione al PCB, per esempio la mortalità embrionale acuta in condizioni di sovraesposizione dell’AHR ligando; sul concetto di ligando, v. supra); sempre nell’ambito della manipolazione degli alimenti, della loro cottura, legate a uno sviluppo culturale che vede implicati meccanismi di regolazione del cervello, dei denti e del tubo digerente, e di cui si parlerà a seguire a proposito della pratica del cucinare, è interessante un fenomeno che riguarda il gene MYH16 che codifica la principale proteina contrattile che costituisce i tessuti dei muscoli, denominata miosina, implicata nei muscoli masticatori dei primati non umani, e che ha subito una delezione nel lignaggio degli ominini, dove con delezione s’intende una mutazione genica che consiste nella perdita di uno o più nucleotidi in una sequenza di DNA; ora, si sospetta che questa mutazione possa provocare una massiccia riduzione nei muscoli masticatori della mascella (la mutazione è riconducibile a ca. 2,4 milioni d’anni fa), vale a dire che s’ipotizza che la riduzione marcata delle dimensioni di singole fibre muscolari e di interi muscoli masticatori, ossia il decremento (in termini di dimensioni) dei muscoli masticatori la cui causa si ritrova nell’inattivazione di MYH16, abbia rimosso, a partire da ca. 2 milioni d’anni fa (nel passaggio da Paranthropus a Homo ergaster/erectus, v. supra), un vincolo evolutivo sull’encefalizzazione negli ominini, questo permettendo ai piccoli muscoli della mascella di rimodellare il cranio giusto quando la capacità cranica è in fase d’espansione, questo perché la ridotta dimensione dei muscoli della mascella ha necessità di una regione del cranio molto più piccola per il fissaggio di questi muscoli alla struttura ossea (e va da sé che il gene MYH16 dei primati non umani fa sì che questi continuino a presentare presentano potenti muscoli in una mascella massiccia ch’è legata alla loro dieta crudista, muscoli che, causa il loro ampio spazio d’ancoraggio richiesto alla struttura ossea, non hanno lasciato spazio all’espansione del cranio); la figura seguente mostra che la dimensione relativa dei muscoli masticatori è molto diversa tra primati non umani e Homo sapiens; partendo da destra, abbiamo due crani di primati non umani, specificamente un cranio di Macaca fascicularis (un primate principalmente frugivoro, con dieta completata da foglie, fiori, radici, cortecce, insetti, uova d’uccelli e piccoli vertebrati) seguito dal cranio di Gorilla gorilla (un primate folivoro, frugivoro e, in modo opportunistico, insettivoro nel privilegiare termiti e formiche); a sinistra in cranio di Homo sapiens (un primate con dieta onnivora); le differenze nella muscolatura nei tre crani (robuste vs. fragili) si riflettono in alcune caratteristiche delle morfologie craniofacciali, quali la fossa temporale e zigomatica evidenziate in rosso nei tre crani:
                          Figura n.  . Fonte (modificata): Stedman et alii, 2004, p. 417.
 Il tutto che s’è cercato di descrivere s’è poi verificato con una cadenza temporale che grossomodo può coincidere con la probabile comparsa storica della cottura (là dove la masticazione di cibi cotti d’un ominine onnivoro è facilitata rispetto alla masticazione specializzata dei cibi crudi nei primati non umani, v. supra); se quest’ipotesi sarà confermata (poiché non tutti gli studiosi sono in ciò concordi, lo stesso per la data della mutazione spostata, per esempio, a 5,3 milioni d’anni fa), è come dire che siamo in presenza del fatto che un processo culturale ha contribuito a rimuovere un vincolo genetico che impediva un cambiamento morfologico, specificamente quello in grado di correlare la morfologia craniofacciale con la modificazione della forza della contrazione muscolare masticatoria (ed è poi più che probabile che diverse altre delezioni geniche possano essersi verificate in collaborazione con i cambiamenti nella dieta del genere Homo); la tabella seguente, a riassunto, indica i geni identificati come oggetto d’una selezione rapida, storicamente recente, dovuta a pressioni selettive culturali:
 GENI  [1]
FUNZIONE  O FENOTIPO
 PRESSIONE  CULTURALE
 LCT, MAN2A1,  SI, SLC27A4, PPARD, SLC25A20, NCOA1,
LEPR, LEPR, ADAMTS19, ADAMTS20, APEH,  PLAU, HDAC8,
UBR1, USP26, SCP2, NKX2‑2, AMY1,  ADH, NPY1R, NPY5R
Digestione  del latte e di prodotti lattiero-caseari; metabolismo dei carboidrati,  dell’amido, di proteine, di lipidi e fosfati; metabolismo dell’alcool
Produzione  di latte e uso alimentare del latte; preferenze di tipo alimentare; consumo d’alcool
 CITOCROMO  P450 [2] (CYP3A5, CYP2E1, CYP1A2 E CYP2D6)
Disintossicazione
da  composti secondari della pianta
Domesticazione delle piante
CD58, APOBEC3F,  CD72, FCRL2, TSLP, RAG1, RAG2, CD226,
IGJ, TJP1, VPS37C, CSF2, CCNT2,  DEFB118, STAB1, SP1,
ZAP70, BIRC6, CUGBP1, DLG3, HMGCR,  STS, XRN2, ATRN,
G6PD, TNFSF5, HbC, HbE, HbS,  Duffy, α‑globin
Immunità  e risposta ai patogeni;
resistenza  alla malaria e ad altre
malattie  da affollamento (crowd
diseases)
Processi  di dispersione (di distribuzione d’una popolazione su un’altra vasta area); attività  agricole (compresi contatti con il bestiame domesticato); fenomeni d’aggregazione  e di successiva esposizione a nuovi agenti patogeni
LEPR, PON1, RAPTOR, MAPK14, CD36,  DSCR1, FABP2, SOD1,
CETP, EGFR, NPPA, EPHX2, MAPK1,  UCP3, LPA, MMRN1
Metabolismo  energetico, tolleranza al caldo o al freddo; geni heat-shock [3].
Dispersione e successive
esposizioni a nuovi climi
SLC24A5, SLC25A2, EDAR, EDA2R, SLC24A4,  KITLG, TYR,
6p25.3, OCA2, MC1R,  MYO5A, DTNBP1, TYRP1, RAB27A,
MATP, MC2R, ATRN, TRPM1, SILV,  KRTAPs, DCT
Caratteristiche  del fenotipo visibili esternamente, quali pigmentazione della pelle, spessore  dei capelli, colore degli occhi e dei capelli, lentiggini
Dispersione  e adattamento alla situazione locale e/o selezione sessuale
CDK5RAP2, CENPJ, GABRA4, PSEN1, SYT1,  SLC6A4, SNTG1,
GRM3, GRM1, GLRA2, OR4C13, OR2B6,  RAPSN, ASPM, RNT1,
SV2B, SKP1A, DAB1, APPBP2, APBA2,  PCDH15, PHACTR1,
ALG10, PREP, GPM6A, DGKI, ASPM,  MCPH1, FOXP2
Sistema  nervoso, funzioni cerebrali e processi di sviluppo; competenze linguistiche e  apprendimento vocale
Stato  d’esistenza d’una attività cognitiva complessa con la quale la cultura s’intreccia  per potersi manifestarsi [4]; intelligenza sociale; uso della  lingua e
apprendimento  vocale
 BMP3, BMPR2, BMP5, GDF5
 Sviluppo scheletrico
Dispersione e selezione  sessuale
MYH16, ENAM
 Fibre  muscolari della mascella; spessore dello smalto dei denti
Invenzione  della cottura; dieta [5]
 [1] si ricorda che esiste una convenzione internazionale riguardante il modo con cui i nomi dei geni e delle proteine sono scritti; s’usa, per geni e proteine appartenenti al genere Homo, sempre la lettera maiuscola, scritta in corsivo per i geni e in testo pieno (non in corsivo) per le proteine codificate dai geni; per le altre specie, pur mantenendo il corsivo per i geni e il pieno testo per le proteine, si scrive, di solito, in maiuscolo solo con la prima lettera.
[2] Il citocromo P450 (CYP) metabolizza tanto le sostanze xenobiotiche o no che vengono ingerite (anche composti potenzialmente tossici), quanto le sostanze interne, quali le tossine che si formano all'interno delle cellule (come dire ch’è un detossificante dell’organismo).
[3] Il termine heat-shock è traducibile come shock termico, e i geni heat-shock limitano i danni causati da esposizione a stress ambientali di qualsiasi tipo (specie in condizioni estreme) e facilitano il recupero cellulare.
[4] V., infra, il cervello sociale.
[5] Termine da intendersi come l’insieme dei nutrienti utilizzati per garantire il fabbisogno alimentare dell’organismo.
 Tabella n.  . Fonte (adattata): Laland, Odling-Smee e Myles, 2010, p. 143.
 Detto delle evidenze empiriche avanzate dalla genetica sulla ristrutturazione da parte della cultura del genoma del genere Homo (coevoluzione cultura-gene), restano ora da indagare le modalità di trasmissione degli adattamenti cognitivi propri alla cultura e quali sono state le sue modalità evolutive, insomma avvicinarsi a capire come funziona l’essere in esistenza del repertorio delle pratiche e delle informazioni da cui dipende il genere Homo per la sua sopravvivenza (perché, come ha detto qualcuno, soli e deprivati della nostra cultura, siamo senza futuro come specie), e si sospetta fortemente che l’efficacia dimostrata da questo processo evolutivo della cultura nelle specie del genere Homo (che si forma per accumulazione della memoria storica) dipenda dalla formazione biologica d’una processualità cervello-mente a livello individuale, dalla dimensione delle popolazioni (e dei rapporti fra gli organismi che la compongono) e dalla qualità dell’interconnessione fra le reti nella trasmissione dei pacchetti culturali, reti che sono poi socialmente prodotte grazie all’insieme del lavoro materiale/immateriale fin lì accumulato e disponibile in un dato momento storico; e sarà questo l’argomento a seguire.
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