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#13 giugno 1881
saifbaghdadroleplay · 2 years
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#AccaddeOggi, 13 luglio 1878, il trattato di Berlino fu firmato dall'Impero Ottomano e dalle altre grandi potenze europee, tra cui Regno Unito, Austria-Ungheria, Francia, Germania, Regno d'Italia e Russia.
Il trattato ha ridotto gravemente i beni territoriali dell'Impero Ottomano nei Balcani. Il trattato riconosceva anche l'indipendenza dei principi sovrani di Romania, Serbia e Montenegro.
Durante la guerra serbo-turca del 1876-1878, la Russia minacciò gli ottomani di firmare una tregua con i serbi per fermare la guerra. La prima guerra serbo-turca fu vinta dagli ottomani ma con il sostegno russo alla Serbia, gli ottomani persero la seconda guerra e il trattato di San Stefano (3 marzo 1878) fu imposto agli ottomani dalla Russia.
Dal 13 giugno al 13 luglio 1878 si convocano a Berlino i rappresentanti delle maggiori potenze europee per rinegoziare il Trattato di San Stefano. Il Congresso ha cercato di risolvere non solo la guerra russo-turca, ma anche i molti conflitti nei Balcani.
Secondo i termini del Trattato di Berlino, gli Ottomani hanno perso due quinti del territorio dell'impero e un quinto della sua popolazione nei Balcani e nell'Anatolia orientale. Tra i territori arresi vi erano tre province nella regione del Caucaso, nell'Anatolia orientale: Kars, Ardahan e Batum.
Gli ottomani hanno perso altri territori a favore delle potenze europee oltre a quelli arresi nel Trattato di Berlino. La Gran Bretagna prese Cipro come colonia nel 1878, la Francia occupò la Tunisia nel 1881, e dopo essere intervenuta nella crisi egiziana del 1882, la Gran Bretagna pose quella provincia autonoma ottomana sotto il dominio coloniale britannico.
Queste perdite hanno convinto il sultano Abdülhamid II che doveva governare l'Impero Ottomano con mano forte per proteggerlo da ulteriori smembramenti da parte di ambiziose potenze europee. A suo merito, tra il 1882 e il 1908 Abdülhamid protesse i domini ottomani da ulteriori smembramenti.
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accadde...oggi: nel 1881 nasce Mary Antin
accadde…oggi: nel 1881 nasce Mary Antin
Mary Antin (Polack, 13 giugno 1881 – Ramapo, 15 maggio 1949) è stata una scrittrice, attivista e politica statunitense di origine ebraica.
Mary Antin nacque il 13 giugno 1881 a Polack, una cittadina all’epoca facente parte dell’impero zarista. Il padre, Israel, emigrò negli Stati Uniti nel 1891 e, riuscito a raccogliere i fondi sufficienti per pagare la traversata, si fece raggiungere dal resto…
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Quando la Polonia fu tradita dal Regno Unito
Il nuovo film sulle fosse di Katyn ha messo in risalto la collusione del Regno Unito con l'Unione Sovietica a danno dei polacchi. Ma è solo la punta dell'iceberg: molti sono gli episodi che testimoniano del tradimento britannico nei confronti della Polonia.
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di Roberto Marchesini (22-07-2018)
Diversi lettori de La Nuova Bussola Quotidiana mi hanno scritto per chiedere lumi a proposito della recensione di Rino Cammilleri del film L’ultimo testimone (clicca qui). Possibile che i britannici (e gli statunitensi) sapessero la verità su Katyń e non abbiano detto nulla per non dispiacere l’alleato sovietico? Il pensiero manicheo, tipico della contrapposizione politica, segna un corto circuito: non siamo noi i buoni? Noi occidentali, alleati dei britannici e degli USA? Non erano (non sono) i russi, i cattivi?
Beh, a dirla tutta, l’atteggiamento descritto nei film era la regola, nei rapporti tra il Regno Unito e i polacchi. Gli esempi non mancano.
Cominciamo dalle vicende narrate dal film. Il 13 aprile 1943 Radio Berlino diede la notizia del ritrovamento delle fosse di Katyń. All’epoca dei fatti quel luogo era occupato dai sovietici, e c’erano pochi dubbi sulle responsabilità russe. Il generale Władysław Sikorski (1881-1943), capo del governo polacco in esilio, pretese un’indagine da parte della Croce Rossa Internazionale. Churchill (1874-1965) e Roosevelt (1882-1945) fecero enormi pressioni su Sikorski perché rinunciasse all’inchiesta; e così fu. In seguito i russi poterono addossare la colpa ai tedeschi posticipando il massacro di un anno, quando la Wermacht occupò la zona di Katyń. Il film parla di strane morti collegate alla strage di ufficiali polacchi; e anche Sikorski morì in modo  sospetto. Il 4 luglio 1943, poco dopo la sua rinuncia all’inchiesta, il suo aereo ebbe un incidente che molti considerarono sospetto…
Andiamo avanti. Tutti conosciamo – o dovremmo conoscere – l’eroico sacrificio di moltissimi uomini del II Corpo d’Armata Polacco del generale Anders (1892-1970) che conquistarono Montecassino e si batterono nella terribile e decisiva battaglia di Ancona. Eppure molti pellegrini che si recano in visita alla Santa Casa di Loreto si stupiscono di vedere, sulle pendici del monte, un cimitero polacco. Bene: facciamo attenzione alle date. La battaglia di Ancona è tra il giugno e il luglio del 1944. La conferenza di Teheran che vide incontrarsi Churchill, Roosevelt, Stalin si tenne tra il 28 novembre e il primo dicembre del 1943. Significa che, quando i polacchi risalirono l’Italia con gli Alleati e si sacrificarono in sanguinosissime battaglie per liberarla dai tedeschi, erano già consapevoli del fatto che britannici e statunitensi avevano acconsentito a regalare la loro patria alla Russia sovietica.
Traditi, venduti, combatterono ugualmente a fianco di coloro che avevano creduto alleati. Uno dei più noti motti patriottici polacchi recita: «Za waszą i naszą wolność» (per la vostra e nostra libertà). Prima per la vostra, poi per la nostra libertà. Una volta entrati ad Ancona, il generale Anders tenne alle truppe questo discorso: «Oggi il mondo comprende che la Polonia è governata da agenti servi di Mosca… Facciamo voto dinanzi a Dio, sulle nostre bandiere e sulle tombe dei nostri caduti, che continueremo la nostra lotta per la libertà della Polonia indipendentemente dalle condizioni in cui dovremo vivere e lavorare». E ancora, i polacchi in Italia, non cessarono di combattere: entrarono per primi a Bologna (dove furono accolti da bandiere sovietiche) e si misero a disposizione del re d’Italia Umberto II per impedire militarmente l’instaurazione della Repubblica.
Ancora. L’8 giugno 1946, a Londra, si tenne la grande Parata della Vittoria. Sfilarono truppe di diverse nazioni, di tutti i colori. Ma non i polacchi. Non furono invitati i polacchi che combatterono in Italia e in Francia. Degli aviatori polacchi che probabilmente decisero l’esito della Battaglia d’Inghilterra ne furono invitati soltanto ventisei (che rifiutarono sdegnati l’invito). I figli della Polonia, che si batterono più che valorosamente a fianco degli alleati, non furono festeggiati dagli inglesi. Da diverso tempo (nel film L’ultimo testimone ve n’è un accenno) i polacchi in Inghilterra erano insultati ed aggrediti. Come mai? In Polonia c’è un proverbio che recita: «Non potrai mai perdonare la tua vittima».
Ma non basta: parliamo ora dei campi di concentramento e sterminio tedeschi in Polonia. A proposito dei quali si sente dire: «Tutti gli abitanti del paese sapevano quello che stava succedendo dentro il campo di concentramento, ma nessuno voleva vedere». Beh, non è vero, i polacchi rischiarono la vita (e in molti casi la persero) per soccorrere come poterono i prigionieri; organizzarono fughe, e tentarono persino di suscitare delle insurrezioni armate all’interno dei campi. Un esempio su tutti, quello del tenente Witold Pilecki (1901-1948). Al termine dell’invasione russo-tedesca continuò a combattere (come tutti i suoi commilitoni) clandestinamente. Nel settembre del 1940, con il permesso dei superiori (era un militare, non un partigiano) si fece arrestare dalla Gestapo e internare ad Auschwitz. Esatto: Pilecki è l’unico uomo al mondo ad essere entrato volontariamente nei campi di concentramento nazisti. L’anno dopo riuscì a far uscire dal campo un suo rapporto su quanto avveniva ad Auschwitz; il rapporto arrivò al governo in esilio che lo girò agli inglesi. Lo ignorarono. Nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1943 riuscì ad evadere (uno dei pochi ad esserci riuscito): compilò un secondo rapporto che consegnò agli inglesi. Questi giudicarono lo scritto di Pilecki «esagerato». Nel 1944 partecipò all’Insurrezione di Varsavia e, dopo la guerra, raggiunse il II Corpo d’Armata di Anders in Italia. Tornò in Polonia deciso a continuare la guerra contro i sovietici; venne catturato e condannato a morte. Fu ucciso con un colpo alla nuca; non sappiamo né la data della sua morte né dove sia stato gettato il suo corpo. Nonostante questo, la Polonia ha dovuto dotarsi di una legge per difendersi dall’accusa di aver costruito, gestito e organizzato i campi di sterminio nazisti in Polonia.
Gli episodi narrati dal film, per quanto sconcertanti, sono solo una goccia nel mare di fango che i polacchi hanno subìto, continuando a comportarsi in maniera eroica ed esemplare. Ma la storia la scrivono i vincitori, e non sempre sono i migliori. Almeno su questa terra. Sono sicuro che la Madre celeste, che i polacchi venerano a Częstochowa, veglia sui suoi figli sepolti a Montecassino, a Loreto, a Bologna; e sono altrettanto sicuro che lei non ha dubbi su chi abbia meritato il Premio eterno.
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metaforum-it · 8 years
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La presidente dell'Accademia della Crusca. Ancora sul femminile professionale 
Quesito: Serena Bartocchi da Salerno ci chiede come si debba chiamare una donna Presidente del Consiglio: la presidente, la presidentessa o il presidente? Il dubbio è comune anche a altri lettori che ci scrivono da Stanghella, da L'Aquila e da Treviso.
Il settore dei nomi professionali è un settore particolarmente soggetto a discontinuità e oscillazioni che dipendono spesso da ragioni extra-linguistiche. La prima causa dei dubbi che riguardano la forma corretta del femminile di alcuni nomi di mestiere è infatti da rintracciare nei cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi decenni e nel nuovo ruolo della donna nella società contemporanea. Tema dunque alquanto delicato, denso di implicazioni sociali, comunicative, psicologiche e giuridiche, nonché linguisticamente difficile: nella stessa Accademia della Crusca, alcuni accademici sono intervenuti a più riprese, non sempre concordando tra loro, per rispondere a quesiti su questo argomento (ad esempio le risposte di Luca Serianni su La Crusca per voi, n. 8 (aprile 1994) e n. 13 (ottobre 1996) pubblicata anche su questo sito).
Come è noto, una delle modalità più diffuse per generare nomi professionali femminili è quella con l'aggiunta del suffisso -essa sulla base del nome maschile (del tipo dottoressa da dottore, professoressa da professore, ecc.), suffisso ritenuto normale per questo tipo di formazioni dalle grammatiche ottocentesche (ad esempio nella Sintassi italiana di Raffaello Fornaciari del 1881), ma che poi ha perso progressivamente vitalità e produttività. Nel Novecento infatti i movimenti femminili hanno rivendicato alle donne il diritto di esercitare certi ruoli professionali con piena parità giuridica e economica: avvertendo come una limitazione la derivazione del nome professionale femminile da quello maschile, hanno criticato la mancanza di denominazioni autonome. A conferma di questa sorta di dipendenza si può notare che fino a pochi decenni fa proprio i femminili in -essa indicavano la "moglie di" piuttosto che una forma di femminile professionale (nel 1938 Migliorini annotava presidentessa come 'moglie del presidente'). Tradizionalmente attribuiti a uomini (erano rari i casi di presidenti e dirigenti donna), ma linguisticamente ambigenere, sono i nomi di professione uscenti in -ente che derivano dal participio presente dei verbi e variano il loro genere grazie all'articolo che li precede: il dirigente / la dirigente. In merito dunque all'oscillazione sulla forma femminile di il presidente, l'uso dell'articolo femminile senza aggiunta di suffissi può essere un buon compromesso.
Venendo all'attualità, nel maggio 2008, in occasione della sua nomina come prima donna eletta presidente dell'Accademia, Nicoletta Maraschio ha pubblicato sulle colonne del "Sole 24 ore" un articolo in cui esprime il suo parere a favore della forma la presidente: "Essere la presidente è una buona soluzione, favorita da forme analoghe di grande diffusione, anche se non del tutto sovrapponibili, come la preside, la cantante, e per di più in diretta continuità, per quanto mi riguarda, con il titolo la vicepresidente che ho avuto a lungo. La lingua italiana consente, in questo caso, una soluzione semplice e per così dire trasparente e naturale di un problema, quello del riassestamento maschile-femminile nei nomi professionali; bastano infatti l'articolo (maschile o femminile) e l'eventuale accordo (una presidente impegnata / un presidente impegnato) a definire, insieme, il genere e la funzione. Simile il caso dei nomi in -ista (da ciclista a giornalista) non a caso sempre più diffusi perché hanno il vantaggio di fare sistema coi nomi in -ismo e di essere presenti in molte lingue". Piena legittimazione quindi della forma la presidente.
Per approfondimenti:
B.E. [Barbieri, E.?], Difendere l'italiano è un'impresa da donne, in «Il Giornale», 7 giugno 2008, p. 18, intervista a Nicoletta Maraschio
Da Empoli G., Il vertice «rosa» della Crusca: chiamatemi presidente, in «Il Sole 24 ore», 18 maggio 2008, pp.1 e 9
Maraschio N, L'Arciconsola e il «mammo», in «Il Sole 24 ore», 26 maggio 2008, p. 37
Serianni L., Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET, 1989, III, 50-60
Zic. R., La signora della Crusca, in «Famiglia cristiana», 8 giugno 2008, p. 48, intervista a Nicoletta Maraschio
A cura di Angela Frati Redazione Consulenza Linguistica Accademia della Crusca
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