#è triste però
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in tutto questo confessione seria:
ho fatto una playlist con le canzoni di un'altra epoca che mi sfiorano piano dentro e la cosa che ho pensato quando le ho viste tutte in fila è stata: queste sono tutte quelle da non dedicare mai assolutamente
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#@anon#ciao tesoro#non pubblico solo per non avere gente che non mi caga mai#sul mio blog a farmi la morale 🤣#però hai perfettamente ragione#quello che sto vedendo per una cagata da niente (almeno per ora)#non l’ho mai visto per tutto lo schifo che è durato dal 2021 a pochi mesi fa#con la pandemia pure appresso#quindi lo so#pensa che io ero uscita da qui perché non volevo vedere proprio la gente che giustificava nonostante lo show disgustoso che si vedeva ogni#santo giorno#e ora per una paparazzata c’è un commento negativo al giorno#non vedo tutta questa gran difesa ed è veramente triste come cosa#quindi ti do seriamente ragione su tutto#chiaramente non faccio di tutta l’erba un fascio perche molte persone che conosco#hanno lo stesso pensiero per entrambi o non parlano proprio di ste cose#però per la maggior parte sono d’accordo con te
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Nora, mia suocera, è ancora una bellissima donna di cinquantadue anni. Molto curata e palestrata. Mia moglie Luisa purtroppo due anni fa se n'è andata lassù per un incidente stradale. Lei quindi mi aiuta coi due bimbi e con la casa. Luisa era figlia unica e quindi dopo lo shock iniziale, ora gli equilibri delle due famiglie si sono assestati.
Viviamo a distanza di pochi isolati in un piccolo paese; al mattino mio suocero Berto dopo colazione va via, apre il suo negozio di autoricambi in una cittadina vicina e torna a casa solo alle nove di sera. Quindi, di fatto, dopo avviate le cose di casa sua, Nora diventa il fulcro di casa mia.
Da un mese però le cose tra noi due si sono fatte più intense: va detto che sono sempre stato il "cocco delle signore" sin da quando avevo diciotto anni. In un momento di tenerezza e relax, una domenica, subito dopo pranzo, lei era passata per vedere se era tutto a posto e per aiutare i bambini coi compiti, come sempre fa.
Ero sul divano, con un'aria un po' triste. Lei aveva finito di dare una sistemata alla cucina. Dopo la doccia avevo addosso l'accappatoio. Nora s'è seduta sul divano un momento accanto a me. I bambini ancora stavano facendo il riposino. Mi sono lasciato andare: in un impulso di estrema intimità le ho detto che come maschio sentivo molto forte la mancanza di una "femmina". Non avevo cattive intenzioni, giuro.
Lei però, un po' materna e un po' porca, mi ha accarezzato, poi ha lasciato scivolare la mano sul mio torace nudo e peloso. Era chiaramente attratta. Sentendo una dolcezza femminile indugiare forse un po' troppo sul mio corpo, m'è venuto spontaneo aprire l'accappatoio. Lei mi ha potuto vedere torace, ventre, inguine nudi e... il mio uccello bello reattivo al tocco di una donna attraente.
Senza pensare forse troppo, rispondendo a un impulso naturale, la mia suocera sexy s'è chinata e me l'ha preso in bocca. Per pochi secondi solo, perché io cominciavo a muoverlo nella sua testa. Mi piaceva. Molto. Allora, deciso, le ho preso la testa, l'ho baciata sulle labbra con trasporto e l'ho accompagnata in camera da letto. La volevo. La desideravo.
Lei capiva di non poter più scappare. Le tenevo la schiena e la spingevo. Diceva debolmente: "ma che fai? N-nooo... Non si può... Dai... Non dobbiamo..." Ma procedeva senza esitazioni. Ho chiuso a chiave per precauzione, lei si scusava: era imbarazzata. Rossa in viso da mangiarla di baci. Si mordeva le labbra dal senso di imbarazzo e rimorso. Parlava nervosamente. Ma non vedeva l'ora di farsi scopare. Lo capivo chiaramente.
Mi diceva che Berto non la tocca più. Che però lei non l'aveva mai cornificato. Le ho tolto le mutandine bagnatissime, le ho sollevato la gonna, tappato la bocca dapprima con l'indice, poi baciandola di nuovo con trasporto e alla fine infilandole l'uccello in fregna con un solo colpo violento. Ha chiuso gli occhi mugolando di piacere e infine s'è lasciata scopare. Mi ha detto un bellissimo: "siiii... fottimi forte!" Per cui, da un po' lei per ciò che riguarda le mie esigenze di sesso provvede alla grande. Mi dà tutto ciò che posso desiderare. Ingoia la mia sborra di gran lena. Le piace da morire il mio sapore. Si passa la lingua sullle labbra. Annusa il mio inguine, rapita dal mio odore. E lecca i residui.
Gliene posso scaricare in gola quanta ne produco. Non fa una piega e manda giù tutto. Se lo voglio, mi dà il suo buco del culo da leccare e sfondare a piacere. Mi allatta materna, se lo desidero; le posso riempire la fregna elastica e accogliente col mio cazzo a lungo quanto voglio. Non potrei chiedere di meglio. Sono sicuro che Luisa da lassù approvi: sua madre così non è che proprio tradisca suo padre, perché sta solo aiutando me e la nostra famigliola in tutto! Provvede a tutte le nostre esigenze. E mi fa scopare perché è solo molto generosa. Poi, io non sostituisco la mia moglie defunta con un'altra donna giovane ed estranea. Tutto resta in famiglia e viviamo felici.
Aliantis
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STORIA LUNGA E TRISTE
Un po' di tempo fa mi telefona un signore del mio paese che faceva il fabbro, mi dice che gli affari gli sono andati male per svariati motivi e che sia l'oliveto di sua proprietà che il capannone andranno presto all'asta, mi dice "ho pensato che magari ti poteva interessare visto che ci confini" e così io li per li spiazzato e lusingato per aver pensato a me gli dico SI! di getto, senza pensarci troppo. L'accordo consisteva in questo: visto che avevamo pochi soldi entrambi e che a lui interessava riprendersi il capannone e a me l'oliveto (che lui aveva già abbandonato da tempo) mettevamo un po' di soldi per uno e così non lasciavamo che gli sciacalli si aggiudicassero l'asta. Bene, inizia una trafila burocratica abbastanza lunga che non sto a raccontarvi dove come al solito metto tutto me stesso, arriviamo quindi a una ventina di giorni dall'asta, è tutto pronto ma il signore inizia a gohstarmi, non mi risponde al telefono, fa finta di non vedermi quando passo in mezzo al paese, si nega al citofono; non riesco proprio a comprendere questo comportamento e intanto passano i giorni, quando a 3 giorni dall' asta mi telefona e mi dice che non se ne fa più niente, che vuole riprendere tutto la moglie (da cui è separato) che è la prima creditrice e così è tutto più semplice. Mi assicura che però il nostro accordo non si cambia, appena acquisito tutto poi per la stessa cifra mi venderà l'oliveto senza nemmeno pagare le spese notarili. La cosa mi puzza ma lascio perdere, avete presente quando proprio non avete energie per lottare? E poi lottare per cosa? Per un oliveto abbandonato? Bene, passano i mesi e il silenzio è tombale, do quest'affare per perso ormai fino a che oggi, porto l'olio a un mio nuovo cliente, iniziamo a chiacchierare e mi racconta che nella zona dove opero voleva prendere un oliveto molto bello, me lo descrive e somiglia proprio tanto a quello del fabbro, mi racconta che il proprietario se lo voleva riprendere insieme a un ragazzo agricoltore ma alla fine la moglie si è fatta prestare i soldi da due tizi e si è presa tutto lei e adesso ha messo in vendita il tutto per il quadruplo del prezzo.
Chi sono i due tizi? I miei zii.
#tutto questo per non farmi allargare troppo#io veramente boh#lo schifo#sopportatemi#scrivere mi aiuta a sfogarmi#ve vojo bene
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Dopo tanto, sono fiera di me stessa. Però stasera mi sento un po' triste. Serviva a qualcuno che io scrivessi questa cosa? No. Ma qui per ricordarmi che è ok non sentire una sola emozione, un solo stato univoco.
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QUESTA È UNA STORIA CHE NON SO COME COMINCIARE A RACCONTARVI
È una storia triste con un finale velato di speranza che però non riesce a diminuire in me la tristezza, visto che è troppo spesso ripetuta ovunque nel solito loop di solitudine e sofferenza.
Non a caso ho deciso di raccontarla solo adesso e a taluni potrà sembrare che io mi voglia agganciare furbescamente al trend 'femminicidio' e con questo post fare virtue signaling.
Tutt'altro, credetemi.
Questa storia parla del coraggio di una ragazzina di 20 anni, l'unica reale protagonista, mentre noi come famiglia, semmai, abbiamo avuto solo il merito di essere al posto giusto al momento giusto.
Ricordate questo: AL POSTO GIUSTO AL MOMENTO GIUSTO e poi nella chiusa a questo post capirete.
Anche se dubito fortemente che conosciate lei o siate venuti a sapere della sua storia, per un mio senso di riservatezza cambierò molti particolari, senza però far perdere mai il senso di quanto accaduto.
Mia figlia piccola aveva una compagna di studi con la quale era rimasta in contatto anche dopo la maturità e una sera questa ragazza è venuta a cena a casa nostra, su strana insistenza di nostra figlia perché era già tanto tempo che non si vedevano, tranne qualche messaggio con cui lei la teneva informata sullo stato di salute del fratellino di 7 anni, affetto da una forma aggressiva ma curabile di leucemia.
Avevamo capito che era successo qualcosa e infatti questa ragazza, durante la cena, ci confida che lei, la madre e, soprattutto, il fratellino sono da anni vittime di maltrattamenti psicologici e fisici a opera del padre.
E noi, su insistenza di nostra figlia che è riuscita a convincerla, siamo state le prime e uniche persone alle quali trova finalmente la forza di dirlo, visto che il padre aveva costretto la madre a chiudere i contatti con ogni parente e cerchia di amici.
Erano sole, la madre non lavorava e tutti dipendevano da un unico stipendio, quello del padre, che inoltre decideva quando e quanto potessero uscire di casa.
Una storia di abusi familiari come tante, solo che invece di sentirlo in un telegiornale ce le stava raccontando di persona una ragazzina smilza e che sorrideva triste per l'imbarazzo.
E poi ho visto gli occhi di mia figlia, pieni di rabbia e indignazione ma scintillanti anche di qualcos'altro... speranza, anzi, convinzione che noi potessimo aiutarla.
Con un peso enorme nel cuore, le abbiamo allora parlato tutta la sera, l'abbiamo consolata, consigliata e spronata a fare quello che la madre non aveva più la forza di fare: denunciare ai carabinieri e rivolgersi a un centro antiviolenza.
E mentre lei piangeva lacrime di gioia per aver finalmente trovato qualcuno con cui aprirsi, le arriva un messaggio wathsapp sul telefono con una foto.
Una foto da suo fratello.
Che si era fotografato il naso.
Rotto e sanguinante.
E il messaggio sotto diceva 'Papà ha picchiato la mamma e poi me. E poi se n'è andato'.
Un bambino di 7 anni con la leucemia che deve andare a fare la chemio due volte a settimana.
A vederlo scritto pare assurdo pure a me, una di quelle brutte sceneggiature per una fiction rai in prima serata ma il fatto era che stava succedendo di fronte ai nostri occhi e non so come io sia riuscito a non prendere una delle mie asce appese al muro per andare schiantarlo in due come un ceppo marcio.
Lei, però, non si scompone più di tanto e ci dice 'Adesso vado. Ci penso io' con un tono che nascondeva stanchezza e abitudine... ma forse anche qualcos'altro di nuovo.
Vent'anni anni e ci pensava lei, quando noi - cinquantenni - eravamo solo riusciti a dire delle belle parole, tutto sommato inutili.
Prende ed esce, con noi che le andiamo dietro urlandole di chiamare subito i carabinieri e cercando di andare assieme ma lei sembra essere molto decisa, finché le luci posteriori della sua macchina non scompaiono nella notte.
Minuti, decine di minuti e poi ore ad aspettare notizie, senza conoscere il suo indirizzo e senza sapere dove mandare qualcuno a controllare.
Poi squilla il telefono. È lei. Ci racconta che quando è arrivata a casa ha subito controllato che non ci fosse la macchina del padre, è entrata e ha chiuso la porta da dentro lasciandoci le chiavi sopra. E quando il padre, ore dopo, ha provato a entrare e, non riuscendoci, ha cominciato a dare in escandescenze, ha chiamato i carabinieri dicendo loro che aveva picchiato la madre e il fratello.
Carabinieri che, ovviamente, lo hanno beccato mentre prendeva a calci la porta di un appartamento con dentro una donna e un bambino sanguinanti per le botte ricevute.
Nonostante tutto, quella notte non siamo riusciti a dormire.
Il giorno dopo mi arriva un audio su whatsapp (le avevo dato il mio numero per emergenza) e per quanto forse avrei potuto postarvelo qua per farvelo ascoltare, preferisco trascrivervelo
'Ciao, sono E. Ti volevo dire che ieri sera siamo stati al pronto soccorso e io ho insisitito con i medici che facessero tutte le foto a mamma e L. e che poi chiamassero la polizia che c'è dentro. L. è stato coraggioso e ha raccontato tutto, poi anche mia mamma ha trovato il coraggio di parlare. Ora stiamo andando al centro antiviolenza di Parma così ci aiutano con gli avvocati e magari ci trovano anche un altro posto dove andare. Io vi volevo ringraziare perché per la prima volta in vita mia mi sono sentita in una famiglia vera che capiva il mio dolore e la mia paura e con voi ho trovato la forza di parlare. Grazie di essere così meravigliosi'
Io ogni tanto ascolto quell'audio e poi le telefono per sapere come va. Lo ascolto perché, vedete, non mi sembrava che avessimo fatto chissà che cosa ma il tono della sua voce diceva tutto il contrario.
E allora mi sono ricordato di quella vecchia storia del ragazzino con la gamba rotta al quale ho fatto compagnia mentre aspettavamo l'elisoccorso e di come i genitori, mesi dopo, mi hanno riconosciuto in mezzo alla folla e mi sono venuti ad abbracciare come se gliel'avessi riattaccata, quando io mi ero limitato solo a rassicurarlo in attesa dei soccorsi.
Però ero al posto giusto al momento giusto.
Quel posto e quel momento, però, che non sono e non accadono mai a caso alla persona che sa cosa sia la sofferenza.
Se questo mondo non vi ha reso cattivi - e se siete arrivati a leggere fin qua non solo non siete cattivi ma anzi molto pazienti - allora avrete capito che il posto giusto al momento giusto è quello in cui siete ora, nello stesso frammento di tempo in cui decidete di spostare gli occhi dal centro del vostro dolore personale alla consapevolezza di quello degli altri.
Come non mi stancherò mai di dire, una mano protesa salva tanto chi la stringe quanto chi la tende.
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mi sto preparando per uscire e nel mentre sto pensando a quanto era bello quando non esisteva whatsapp, avevo un telefono lg grosso quanto un pollice e mezzo, non potevo parlare con nessuno se non tramite sms (o al computer eventualmente), quando passavo le estati in calabria e scambiavo quei pochi sms che avevo al mese con la ragazzina che mi piaceva e aspettavo le risposte, quando scambiare baci mi dava ancora emozioni, quando avevo fiducia, quando credevo nei sentimenti, ormai sono passati quasi 15 anni e sto invecchiando probabilmente però quanto è diventato tutto così triste e veloce, in pochi secondi facciamo tutto e non si riesce manco ad assaporare le cose, quanto mi mancano quegli anni in cui era tutto lento
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A PROPOSITO DI CHIARA FERRAGNI
Nuova indagine su Chiara Ferragni e in me convivono sensazioni contrastanti di fronte al dibattito sui social network.
Mi torna in mente il film Barbie. È difficile non notare che il film, nel momento in cui critica con intelligenza il patriarcato e mette in luce la tossicità di una società fondata sul machismo, è pur sempre un furbissimo prodotto commerciale che monetizza persino le lotte ("Lotta contro il patriarcato comprando tutti i gadget di Barbie. Avete notato che è uscito il nuovo zainetto?").
Sotto molti aspetti è l'ennesima vittoria del capitalismo.
Però il film ha fatto arrabbiare molte persone che avevano una gigantesca coda di paglia. Queste persone si sono infuriate per motivi sbagliati: non certo per una critica anticapitalista, ma proprio perché erano rappresentanti di quella cultura machista tossica che il film giustamente ha messo alla berlina. E c'erano anche i rossobruni spaventati dall'emancipazione femminile, che disprezzavano pubblicamente il film e tiravano in ballo l'anticapitalismo in modo strumentale per criticare ciò che realmente li infastidiva: la satira contro il patriarcato.
La loro rabbia mi rendeva felice, lo ammetto. Ma mi metteva tristezza l'idea di un capitalismo capace di trasformare le lotte in operazioni commerciali.
Era questo il guazzabuglio dei miei sentimenti quando pensavo al film.
Cosa c'entra Chiara Ferragni? C'entra. Anche Chiara Ferragni si è intestata la causa dell'emancipazione delle donne e della comunità LGBTQIA+. Anche lei queste battaglie le ha monetizzate.
È icona di un capitalismo che riesce a trasformare l'attivismo ostentato in un'occasione di profitto mentre vende prodotti e gadget, mentre si prende tutta la scena e oscura la lotta dal basso.
Ma è pur vero che per anni Chiara Ferragni è stata attaccata ferocemente da machisti, redpillati, seguaci di Pillon e reazionari di ogni risma (a cominciare dal Codacons). Ed è stata attaccata per i motivi sbagliati.
Questi critici ora stanno godendo per i guai di Chiara Ferragni e non parleranno d'altro per giorni, così magari ci dimenticheremo dei deputati che giocano con le pistole a Capodanno.
Il godimento di questa gente mi rende triste, anche se non sopporto i Ferragnez e sono disgustato dalla beneficenza dall'alto che sostituisce la solidarietà e la vera lotta.
[L'Ideota]
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aspettando i fuochi d'artificio sul tetto del palazzo più alto del paese. c'è un vento fresco ma delicato, in mare hanno messo lumini per commemorare i caduti in mare. c'è un tramonto timido che si nasconde già dietro la punta della scogliera. ho in testa una canzone da giorni e non se ne vuole andare. ho bisogno di credere in cose belle per dimenticarmi della fatica che faccio ogni giorno. non riesco a dormire da un sacco e mi sento di star ricadendo in dinamiche che mi fanno sentire male.
però la focaccia bigiunta era buona, lavorare in smart dal mare è come non lavorare, la barca è sempre bellissima, io sono triste ma innamorata e qui si respira un'aria più leggera.
respiro e resto a galla.
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il più delle volte la cosa che mi fa sentire più triste è la sensazione di non essere mai cercata dalle persone. non faccio riferimento a nessuno, per carità, anche perché è un problema mio, però non vi nego che un po' va così.
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L'ultimo appuntamento
Non lo faccio mai, ma questa cosa dell'ultimo appuntamento in cui Giulia Cecchettin è stata uccisa mi ha colpito e voglio commentare, anzi voglio raccontare.
Anni fa stavo con una ragazza a distanza, la storia è durata poco, qualche mese, ma io ero presissimo. Lei invece no, tanto che mi ha mollato per uno che gli ho presentato io. Il fatto che mi avesse mollato s'era capito anche al telefono, ma io presi la macchina e volli fare un viaggio di 6 ore per vederla ancora. Era quello che potremmo dire "l'ultimo appuntamento".
Ora, io non sono un maniaco omicida, e avevo almeno una vaga idea di come rispettare una persona dell'altro sesso, quindi lei non ha rischiato più di tanto con me, ma... se la cosa fosse successa oggi, quasi 20 anni dopo? L'avrebbe voluto quell'incontro? E se non l'avesse voluto, io come mi sarei comportato?
Sono stato male per lei per mesi, senza quell'incontro sarebbe andata meglio o peggio? Al giorno d'oggi lei si sarebbe sentita minacciata dal mio chiedere di vederla ancora? E questo, poi, come mi avrebbe fatto sentire?
Non lo so, non riesco a immaginare di picchiare una ragazza solo perché mi molla. La questione del possesso non mi è mai passata per la mente, il massimo che posso possedere di una persona è la sua compagnia se e quando me la vuole concedere. Non sono mai stato troppo geloso, quindi non riesco a comprendere nemmeno lontanamente questi comportamenti, e la paura dell'ultimo appuntamento è una straziante novità.
Volendo rispondere a quelle domande sopra, forse non vederla mi avrebbe anche fatto bene, conoscendomi. Forse mi sarei risollevato prima. Quel weekend da lei (in hotel da solo) io lo ricordo tutt'ora con simpatia, quindi sono stato bene anche se ero lì per essere mollato. E forse questo mi ha portato a soffrire di più.
D'altro canto, però, ribadisco: è stato un bel weekend e sono contento di averlo avuto.
Dire che Giulia ha sbagliato ad andare all'ultimo appuntamento è un errore, perché avrebbe potuto essere un incontro piacevole, per quanto triste. E il fatto che le ragazze debbano avere paura di queste cose mette in risalto quanto la società maschilista e patriarcale sia tutto sommato accettata e sopportata (quando non supportata). Non è lui a doversi vergognare di aver fatto un gesto terribile, è lei che non doveva accettare l'appuntamento.
Addirittura un servizio di bodyguard si offre di fare da scorta per gli ultimi appuntamenti! Sul serio siamo così incapaci di crescere giovani che non hanno voglia di ammazzare donne e che non le reputano una loro proprietà esclusiva?
Poi venitemi a dire che Michela Murgia non aveva ragione.
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I miei genitori hanno lasciato tutto per andare al nord e avere una vita migliore. Io sono nat* più al nord del nord italia, perché loro volevano che io vivessi meglio di come avevano vissuto loro. E ho avuto una vita e opportunità migliori delle loro. I miei genitori hanno represso il loro accento per tutta la mia vita perché non volevano che io lo assimilassi nemmeno per sbaglio. Perché Dio perdoni se un’accento del sud si fosse sentito in giro. Ad una cena recentemente qualcuno ha detto a mio padre che non era più della sua regione, perché aveva lasciato tutto per una vita migliore, perché l’aveva fatto per me. Quindi oggi, per colpa di uno stato che non avrebbe mai potuto concedergli la vita che abbiamo oggi, noi non siamo più nulla. Pure io, se posso concedermelo, non so che sono. Perché non sarò mai abbastanza per le persone qua, ma nemmeno abbastanza per i miei parenti giù. Perché volere una vita migliore in italia spesso può significare lasciare tutto, girare le spalle alla terra che ami, perché i miei genitori amano la loro regione (guai a chi prova ad insinuare altro), vivere con appunto questo rimorso, questa costante mezza soddisfazione. Perché hai guadagnato, ma hai anche perso. E niente non so dove questo discorso voleva andare a parare, ho perso il filo. Però volevo solo scrivere qualcosa a proposito del fatto di dover lasciare tutto e andare al nord per avere un lavoro decente (e successivamente essere dipinto pure come ingrato se ti lamenti). Non so, questo fatto mi rende triste, volevo dirlo a qualcuno. Buona serata xx
Anon dico "ti capisco" perché l'infanzia l'ho passata in nord italia e l'adolescenza al centro, so bene di cosa stai parlando, solo in età adulta sono tornata a casa. Ringrazio comunque che i miei non siano stati così "rigidi", cioè ovviamente volevano parlassi italiano, ma non hanno mai represso il loro accento o dialetto, e infatti il mio accento è sempre stato percepito come meridionale, in qualunque regione andassi (tranne quella da cui provengo, per loro un periodo ero diventata milanese, un altro romana). Ovvio, mi sono beccata tutte le conseguenze che dici, prese in giro e compagnia, quindi comprendo perché i tuoi l'abbiano fatto, anche se mi mette una tristezza addosso allucinante.
Per la questione "non vengo accettat- manco dagli altri meridionali" comprendo uguale, o meglio, comprendevo. Mi ci è voluto un po' per riadattarmi, ma ti assicuro che non mi rompono più le scatole per questa cosa, anche perché tbh di gente che si trasferisce per necessità al nord ne è pieno, ed è abbastanza ipocrita prendersela con chi se ne va, quando purtroppo è una cosa che facciamo in molti.
I miei 2 cent sulla questione, giusto per concludere:
Quasi tutti quelli che si trasferiscono, che si tratti di migrazione interna o addirittura IMMIGRAZIONE, lo fanno perché obbligati. Non tutti ovvio, ma se a tutti fossero date le stesse possibilità, sarebbero pochi gli spostamenti, punto. Non è manco una questione "lu sudde è più bello, lu sole, lu mare, lu core, voi c'avete solo la nebbia", nono, è semplicemente APPARTENENZA. Forse un giorno, quando il nord s'impoverirà, e i settentrionali capiranno cosa cazzo vuol dire abbandonare la propria casa per spostarsi altrove (addirittura spostarti in un posto dove TI ODIANO), il dolore che si prova nel farlo, magari quel giorno ci daranno tregua. E pensa, noi ci sentiamo così e non proviamo nemmeno 1/3 del dolore di chi viene da altre nazioni o continenti.
Ai meridionali che invece se la prendono con altri meridionali perché se ne sono andati dico: smettetela. Prendetevela piuttosto con un paese che ci obbliga ad abbandonare le nostre case e radici perché fa comodo un sud impoverito e il nord pieno della forza lavoro meridionale.
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Mi mancherà la vista pazzesca dal 22esimo piano? Sì.
Mi mancherà il caffè Nespresso, il cappuccino e caffellate gratis a tutte le ore? Sì.
Mi mancheranno sti eventi in cui danno cibo - in questo caso gelato artigianale italiano buonissimo - TUTTO GRATIS??? SÌ, CAZZO, SÌ.
Nonostante tutto ciò, lasciare questo lavoro è una cosa che dovevo fare. Sono triste però non me ne pento.
退職しました。7月1日から新しい仕事始めます。
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Ho passato una bellissima serata ma non mi sentivo così insicura e meno bella rispetto alle altre dai tempi della scuola.
Io so di non essere brutta, ma quando un ragazzo riempie di complimenti un'amica seduta accanto a te mentre non si viene degnati di uno sguardo è una sensazione davvero triste. La mia amica se li merita tutti i complimenti, senza dubbio, ma io mi sono sentita totalmente invisibile.
A quel tavolo tutte belle ma io mi sono sentita come quando al liceo non venivo degnata di uno sguardo. Eppure so di piacere a tanti, so di piacere a me stessa. Ma quella insicurezza non la provavo da anni.
Ad un certo punto ho sentito anche il bisogno di isolarmi in bagno con la scusa di lavarmi le mani. Mi sono dovuta riprendere un attimo perché a momenti sentivo il bisogno di piangere. Ho iniziato a pensare che forse non sono così bella come credevo e per questo non trovo nessuno.
Ma è davvero così? Sono davvero così insignificante? Esiste davvero la bellezza di serie A e la bellezza di serie B?
Però almeno per la prima volta ho ammesso che, nonostante tutto, piaccio a me stessa. Ed è già diverso rispetto all'odio che provavo per me stessa ai tempi della scuola.
Basta adesso andrò a dormire e domani andrà meglio!
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Non so se sono una persona triste
con la vocazione di essere una persona allegra
o, viceversa, il contrario.
Quello che so, però, è che c’è sempre un po' di tristezza
nei miei momenti più felici,
così come c’è sempre un po’ di allegria
nei miei giorni peggiori.
Mario Benedetti
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CHIAMA I RICORDI COL LORO NOME
Nel 2019, la mia compagna, le mie figlie e io decidemmo di intraprendere un percorso che alla fine ci avrebbe portato a diventare la famiglia affidataria di un minore e questo implicava un sacco di incontri, singoli e di gruppo, con cui assistenti sociali e operatori valutavano la nostra capacità di accudimento e contemporaneamente ci informavano e ci formavano su cosa significasse prendersi cura di un minore in modo continuativo ma parallelamente alla famiglia biologica, con la quale dovevamo rimanere sempre in contatto.
(anticipo che poi la cosa finì in un nulla di fatto perché poco dopo scoppiò il caso Bibbiano - 30 km in linea d'aria da Parma - e per precauzione/paura tutti gli affidi subirono un arresto. E poi arrivò il Covid)
La mia riflessione nasce alla lontana da un video che youtube mi ha suggerito questa mattina presto - è poco importante ai fini della storia ma è questo - che mi ha ricordato una caratteristica della mia infanzia...
Difficilmente riuscivo a essere felice per le cose che rendevano felici gli altri e quella vecchia canzone - che è considerato l'Inno del Carnevale di Viareggio, mio luogo di nascita e dei primi 20 anni di vita - ne è l'esempio emblematico, direi quasi sinestesico.
Tutti i viareggini la conoscono e la cantano nel periodo più divertente e frenetico della città ma io la associo a un'allegria dalla quale ero sovente escluso, odore di zucchero filato che non mangiavo e domeniche che significavano solo che l'indomani sarei tornato a scuola, preso in giro dai compagni e snobbato dalla maestra.
Vabbe'... first world problem in confronto ad altri vissuti (in fondo ero amato e accudito) però l'effetto a distanza di anni è ancora questo.
Tornando al quasi presente, una sera le assistenti sociali chiesero al nostro gruppo di futuri genitori affidatari di rievocare a turno prima un ricordo triste e poi uno felice.
E in quel momento ebbi la rivelazione che la quasi totalità dei presenti voleva dare amore a un bambino o a una bambina non propri perché sapeva in prima persona cosa significasse vivere senza quell'amore: gli episodi raccontati a turno non era tristi, erano terribili... violenza, abbandono, soprusi, povertà e ingiustizie impensabili nei confronti di bambino piccolo e, ovviamente, quando arrivò il nostro turno (la mia compagna non ne voleva sapere di aprire bocca) mi sentivo così fortunato e quasi un impostore che, in modo che voleva essere catartico e autoironico, raccontai di quando la maestra in terza o in quarta elementare chiamò un prete che davanti a tutta la classe mi schizzò di acqua santa perché - a detta della vecchia carampana - sicuramente ero indiavolato.
Ribadisco che la cosa voleva essere intesa come un modo per riderci su e detendere l'atmosfera pesante che il racconto dei vissuti terribili aveva fatto calare sul gruppo ma mentre sto mimando con una risatina il gesto del prete con l'aspersorio, mi accorgo che tutti i presenti hanno sgranato gli occhi e hanno dilatato le narici, nella più classica delle espressioni che indicano un sentimento infraintendibile...
La furia dell'indignazione.
Cioè... tu a 10 anni hai visto tua madre pestata a sangue da tuo padre e fatta tacere con un coltello alla gola ed empatizzi con me che ti sto raccontando una stronzata buona per uno sketch su Italia Uno?
Mi sono sentito uno stronzo, soprattutto quando la furia ha lasciato il posto a gesti e parole DI CONFORTO per quello che, evidentemente, sembrava loro una prevaricazione esistenziale orribile (cioè, lo era ma, per cortesia... senso delle proporzioni, signori della giuria).
Mi sono quindi rimesso a sedere, incassando il supporto con un certo qual senso di vergogna, finché poi non è arrivato il momento della condivisione dei momenti felici.
Silenzio di tomba.
Nessuno parlava.
Nessuno riusciva a ricordare qualcosa che lo avesse reso felice.
Con un nodo in gola - perché avevo capito che razza di vita avevano avuto le persone attorno a me - mi rendo conto che io ne avevo MIGLIAIA di momenti felici da condividere ma che ognuno di essi sarebbe stato una spina che avrei conficcato nel loro cuore con le mie stesse mani.
E allora mi alzo e rievoco ad alta voce il ricordo felice per me più antico, quello che ancora ora, a distanza di decenni, rimane saldo e vivido nella parte più profonda del mio cuore...
-Le palle di Natale con la lucina rossa dentro. Quando ero piccolo, durante le vacanze di Natale aspettavo che mio papà e mia mamma andassero a letto e poi mi alzavo per andare a guardare l'albero... non i regali sotto, proprio l'albero. Era finto, di plastica bianca spennachiosa, ma mia mamma avvolgeva sempre intorno alla base una striscia decorativa verde a formare una ghirlanda e mio padre stendeva tutto attorno ai rami un filo con delle palle che, una volta attaccate alla presa elettrica, si illuminavano di rosso. Io mi alzavo di nascosto e nel caldo silenzio della notte guardavo le luci intermittenti dipingere gli angoli del divano e del tavolo, con un sottile ronzio che andava e veniva. Ero al caldo, ero protetto, voluto e amato. Se allungo le mani posso ancora tastare quel ronzio rosso che riempe la silenziosa distanza tra me e l'albero e niente potrà mai rendere quella sensazione di calda pienezza meno potente od offuscarne la completezza. Quello era l'amore che mi veniva dato e che a nessuno sarebbe mai dovuto mancare.
A un certo punto sento una mano che mi si poggia sul braccio (avevo chiuso gli occhi per rievocare il ricordo) e accanto a me c'è la mia compagna che sorride, triste e piena di amore allo stesso tempo.
E attorno a me tutti stanno piangendo in silenzio, esattamente quello che col mio ricordo semplice volevo evitare e che invece doveva aver toccato lo stesso luogo profondo del loro cuore.
E in mezzo alle lacrime (che figuriamoci se a quel punto il sottoscritto frignone è riuscito a trattenere) cominciano a scavare tra i ricordi e a tirarli fuori... il cucciolo che si lasciava accarezzare attraverso il cancello della vicina, il primo sorso dalla bottiglietta di vetro di cedrata, la polvere di un campetto da calcio che si appiccicava sulla pelle sudata, l'odore della cantina, il giradischi a pile...
E nulla. Non so più cosa dire e nemmeno cosa volessi dire.
Forse che sembriamo così piccoli, malmessi e fragili ma che se qualcuno ci picchietta sulla testa e sul cuore siamo capaci di riempire il mondo di cose terribili e meravigliose.
Decidere quali ricordare e quali stendere davanti a noi è una scelta che spetta non a chi picchietta ma a chi permette che essi fluiscano da quella parte profonda di sé a riempire lo spazio tra noi e il domani.
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