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Richelmy e quelle cose che i libri non dicono
Da un bigliettino battuto a macchina e rinvenuto fra le sue carte, si apprende che la collaborazione di Richelmy con il quotidiano torinese della sera [“Stampa Sera”] durò dal 1965 al 1979; ma dallo spoglio che ho eseguito – tramite microfilm – su “Stampa Sera” risulta che il primo articolo di Richelmy non apparve che nel numero del 5-6 ottobre 1966, mentre l’ultimo risale a dieci anni dopo (2…
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#"Stampa sera"#1966#1979#Agostino Richelmy#articoli#campagne#contadino#Irene Barichello#letteratura#libri#luoghi#mondo#nomi#osterie#passanti#poeta#pubblicista#quotidiano#recensioni#strade#Torino#tradizione
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Richelmy e quelle cose che i libri non dicono
Da un bigliettino battuto a macchina e rinvenuto fra le sue carte, si apprende che la collaborazione di Richelmy con il quotidiano torinese della sera [“Stampa Sera”] durò dal 1965 al 1979; ma dallo spoglio che ho eseguito – tramite microfilm – su “Stampa Sera” risulta che il primo articolo di Richelmy non apparve che nel numero del 5-6 ottobre 1966, mentre l’ultimo risale a dieci anni dopo (2…
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Richelmy e quelle cose che i libri non dicono
Da un bigliettino battuto a macchina e rinvenuto fra le sue carte, si apprende che la collaborazione di Richelmy con il quotidiano torinese della sera [“Stampa Sera”] durò dal 1965 al 1979; ma dallo spoglio che ho eseguito – tramite microfilm – su “Stampa Sera” risulta che il primo articolo di Richelmy non apparve che nel numero del 5-6 ottobre 1966, mentre l’ultimo risale a dieci anni dopo (2…
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11 lug 2023 11:27
COME TI STRITOLO LA “PITONESSA” – QUOTE NELLE SOCIETA’, RUOLI E COMPENSI: "REPORT" SMENTISCE LA DIFESA DI DANIELA SANTANCHÈ IN SENATO - TRA 2014 E 2018 LA PITONESSA “HA INCASSATO 400 MILA EURO ALL'ANNO MENTRE LA SOCIETÀ PERDEVA 7 MILIONI" - SMENTITA ANCHE A PROPOSITO DEI DIPENDENTI LICENZIATI SENZA LIQUIDAZIONI – IL MISTERO DEL FONDO ARABO NEGMA - COME AFFRONTERÀ I DEBITI DI VISIBILIA? LA MINISTRA: “HO MESSO A DISPOSIZIONE IL MIO PATRIMONIO”. PAROLE AL VENTO PER LA PROCURA DI MILANO… - VIDEO -
Durante il suo intervento la ministra Santanché ha duramente attaccato la lavoratrice che ha denunciato Visibilia per aver lavorato nonostante fosse in Cassa integrazione a zero ore. Per la prima volta l’ex dipendente di Visibilia ha deciso di mostrare il suo volto #Report pic.twitter.com/GITdM4Ivzj — Report (@reportrai3) July 10, 2023
Grazia Longo per la Stampa
Daniela Santanchè con le spalle al muro dopo l'inchiesta di Report. La sua posizione all'interno del governo è appesa un filo, anche se Meloni, seppur non apertamente, continua apparentemente a sostenerla. Ma fino a quando? Indagata dalla Procura di Milano per falso in bilancio e bancarotta fraudolenta, Santanchè smentisce se stessa. O meglio, l'imprenditrice smentisce la ministra.
In un impietoso fact checking, alla lettera «verifica dei fatti», la trasmissione d'inchiesta Report, condotta da Sigfrido Ranucci, ieri sera su Rai 3, ha messo a confronto le azioni concrete di Santanchè a Visibilia e dintorni e le sue dichiarazioni in Senato.
Emergono numerose ed evidenti contraddizioni. A partire dalla sua affermazione a Palazzo Madama, il 5 luglio scorso: «La mia partecipazione in Ki Group srl non ha mai, ripeto mai, superato il 5 per cento».
Peccato che la società sia di proprietà di Ki Group spa, che a sua volta è controllata da Bioera. E il bilancio 2013 rivela che Daniela Santanchè possedeva il 14,9 per cento di Bioera tramite la D1 Partecipazioni, un'altra holding in cui lei è socia con l'ex fidanzato Alessandro Sallusti.
Sempre in Senato la ministra del Turismo ha dichiarato di essere entrata in Ki Group esclusivamente per supportare il figlio Lorenzo Mazzaro.
Ma nel 2013 il ragazzo aveva solo 17 anni e non lavorava. E invece in quell'anno le aziende della Santanchè del gruppo Visibilia, che già non navigavano in acque tranquille, venivano finanziate da Bioera, e quindi con i soldi di Ki Group, per 1 milione e 300 mila euro finalizzato a un aumento di capitale.
La ministra, poi, nega di aver avuto un ruolo in Ki Group srl. Ma viene tradita dal bilancio 2014 che dimostra che già allora era la presidente della Ki Group spa, la controllante. Dai bilanci si evince inoltre che ha spalleggiato l'ex fidanzato Canio Mazzaro fin dall'inizio dell'impresa del biologico, assumendo nel 2012 la presidenza di Bioera, carica che conserverà anche negli anni successivi.
E ancora: Santanchè ha ribadito che i suoi compensi non sono mai stati superiori a 100 mila euro lordi all'anno, tra il 2014 e il 2018, mentre documenti interni attestano che ha incassato oltre 400 mila euro lordi all'anno anche quando la società perdeva 7 milioni di euro. Viene inoltre smentita anche a proposito dei dipendenti licenziati senza liquidazioni: lei nega di essere stata operativa in azienda all'epoca dei fatti, ma come si legge nel bilancio 2021 di Ki Group srl il licenziamento della quasi totalità dei dipendenti risale al 2021-2022, quando Daniela Santanchè era perfettamente operativa all'interno dell'azienda.
La ministra ha respinto l'accusa relativa al fatto che la dipendente Federica Bottiglione, che lavorava mentre era in cassa integrazione a zero ore, fosse all'oscuro della sua situazione contrattuale e ha negato che abbia lavorato in cassa integrazione. Ma la verità raccontata da Bottiglione di fronte alle telecamere è completamente opposta. «Non sapevo di essere in cassa integrazione a zero ore. Durante il Covid ho sempre lavorato. Soprattutto perché il mio ruolo di responsabile affari societari e investor relator è obbligatorio in Borsa, è quella persona che dà comunicazioni al mercato, e non si può smettere di darle se si è quotati».
(...)
Un autentico mistero è anche il fondo arabo Negma.
Secondo la ministra ha portato benefici agli azionisti di Visibilia, ma nei fatti nel giro di tre anni, dopo il finanziamento Negma, il valore delle azioni è crollato da 90 euro a 10 centesimi nel 2022. Eppure Santanchè insiste che dal gennaio 2023 il titolo di Visibilia è cresciuto del 500 per cento. Ma viene contraddetta dall'azionista di minoranza di Visibilia, Giuseppe Zeno, che a Report dichiara: «È una cosa ridicola questa, perché il titolo viene giù da 40 euro, è arrivato a 0,20. Quindi adesso da 0,20 a 0,60 è ridicolo dire che abbia avuto una ripresa del 200% perché siamo sempre sotto del 90%». Come affronterà i debiti di Visibilia?
In Senato la ministra ha assicurato: «Ho messo a disposizione il mio patrimonio». Parole al vento per il perito della Procura di Milano che nella sua relazione boccia la considerazione perché «troppo generica». Insufficienti paiono infatti, come garanzie, l'immobile di lusso di Milano e il Twiga, lo stabilimento per vip a Marina di Pietrasanta, di cui ha ceduto le quote al fidanzato Dimitri Kunz (anche lui indagato) e a Flavio Briatore. Per non parlare del rischio di un possibile conflitto di interessi, considerato che il governo dovrà mettere all'asta le concessioni balneari.
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Io sono la regina delle distratte. Sin da piccola perdevo pezzi, dimenticavo di scrivere i compiti sul diario, confondevo le persone... e via via che sono passati gli anni è stato un crescendo: dal lasciare la canna dell’acqua aperta tutto il giorno (è successo l’altroieri), al bruciare la cena al dimenticate i figli a scuola/musica/palestra... oltre alla brutta abitudine di non guardare l’agenda la sera prima e saltare gli appuntamenti medici di Maria Celeste accampando scuse pietose... ogni giorno me ne capita una, ma tant’è... ho il cervello sempre in funzione. Non riesco a fermarmi, faccio 6 cose contemporaneamente e di notte quando non riesco a dormire mi vengono strabilianti idee che per lo più rimangono lì sul cuscino... però ecco, questa t-shirt e tutto il resto è frutto di questo strano cervello che rotola come una valanga travolgendo tutto quello che incontra... Se anche voi avete questo problema da oggi in poi potrete inventare una nuova scusa quando indosserete questa maglietta😂 • • • 👉 100% cotone biologico 👉 stampa serigrafata 👉 taglie dalla XS alla XL Per ordini e info scrivetemi in direct 😃 • • • #tshirt #tshirtshop #tshirtstyle #distraction #instatshirt #heartdesign #distrazioni #tshirtdesign #italianstyle #instagoods #magliette #outfit #anita_romeo #tshirtpersonalizzate #pe2021 #moda #fashion #frasi #quotes #instaquotes #frasidivertenti #tshirtprinting #tshirtlovers (presso Varese, Italy) https://www.instagram.com/p/CNXNKhHgIZt/?igshid=4gjvc1jp9mwl
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Forza Nuova: IREN con i super guadagni ripianerà i bilanci degli enti che hanno le quote
Forza Nuova: IREN con i super guadagni ripianerà i bilanci degli enti che hanno le quote
Ieri sera i militanti di Forza Nuova Torino hanno affisso uno striscione che recita “IREN, SOCIETA’ PUBBLICA, CON LE BOLLETTE RIPIANATE I BILANCI”. Il problema del caro energia è ormai noto, si susseguono manifestazioni in tutta Torino e proprio dalla stampa abbiamo appreso che in un condominio moroso IREN ha chiuso il teleriscaldamento. “La nostra azione punta a coinvolgere nel problema le…
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Ci sono alcuni dati che sulla Stampa, Repubblica e Corriere della Sera, non si leggono mai.
Anzi il “giornalone unico” (ottima definizione di Marco Travaglio) in questi giorni si distingue proprio come cassa di risonanza delle iniziative del fronte SI TAV, e per critiche insulse e pretestuose contro la Giunta Appendino accusata di “decrescita felice” (Molinari sulla Stampa), dimenticando la “crescita infelice” del duo Chiamparino-Fassino che han lasciato a Torino il debito pro capite più alto d’Italia, (cioè fino a 3.500 euro per ogni torinese e che ancora oggi si avvicina complessivamente ai 3 miliardi di €.); debito che è la causa del taglio dei servizi e del peggioramento della qualità della vita nella Città Metropolitana.
Del resto le linee editoriali SI TAV che rimandano ai Gruppi Finanziari che controllano l’economia del Paese e l’informazione, non lasciano margini di autonomia ai giornalisti, sempre più fedeli alla linea della formazione più che dell’informazione.
Primo: i dati sui flussi del traffico sono sempre stati gonfiati a dismisura per creare nell’opinione pubblica l’idea della necessità di una nuova linea ad Alta Velocità tra Torino e Lyon.
Nel 1991 Confindustria affermava che nel 1997 l’attuale linea, che nel corso degli anni è stata ammodernata come l’attuale tunnel del Frejus e su cui da tempo passano i TGV e i carri Modalhor per il trasporto dei camion, sarebbe stata satura.
Dopo 27 anni da quella analisi l’attuale linea ferroviaria risulta utilizzata al 32 % della sua potenzialità e il traffico passeggeri con meta Lyon è risibile e non giustifica certo l’Opera.
Secondo: in Francia come in Spagna le merci non viaggiano sulle linee ad Alta Velocità ma su quelle ordinarie che in Spagna come in Portogallo sono a scartamento ridotto: altro che arrivare Lisbona!
Terzo: la Francia (Sncf ha un debito di 50 miliardi in particolare proprio per la costosa gestione delle linee ad Alta Velocità) ha rimandato al 2038, e dopo la verifica dei flussi di traffico, la decisione se progettare oppure no la tratta ad Alta Velocità Modane-Chambery.
Quindi in sostanza oggi non si sta più parlando della Torino Lyon ma solo di un tunnel di base, lungo 52 KM, scollegato dall’Alta Velocità sia in Francia che in Italia e di conseguenza l’Opera dovrebbe essere chiamata linea ad Alta Velocità Susa-Saint Jean de Maurienne (cittadina francese 30 Km ad ovest di Modane).
Inoltre per convincere la Francia, da sempre tiepida rispetto a questo progetto, l’Italia si è ���generosamente” accollata il 57,9% per cento della spesa per il tunnel di base e la Francia solo il 42,1% anche se ben 45 km del tunnel sono in territorio francese e solo 12 km in territorio italiano!
Un tunnel davvero inutile (se non per chi lo vuole costruire… con soldi pubblici) mentre, rispetto all’inquinamento atmosferico di Torino e della cintura metropolitana, sarebbe ben più indispensabile sviluppare una maggiore e migliore rete di trasporto pubblico e con almeno altre due linee di metropolitana, anche per decongestionare il soffocante anello della tangenziale che registra più di 400.000 passaggi giornalieri e che ha una gran quota di responsabilità sull’inquinamento atmosferico.
C’è anche un’altra questione, ancora sottovalutata nei suoi effetti dirompenti sul sistema trasportistico italiano, che dimostra come la Torino Lyon sia ormai fuori tempo massimo rispetto all’evoluzione del trasporto delle merci: le due statali valsusine, così come altre direttrici di traffico, sono sempre più percorse, sette giorni su sette, da decine di camioncini con targa polacca o rumena con una capacità di carico compresa tra i 15/18 quintali che guadagnano quote di traffico a danno dei TIR ed anche del trasporto ferroviario che, in Italia, manca di una logistica efficiente.
E’ un modello di trasporto, su scala internazionale, che risponde alle nuove e ormai consolidate esigenze produttive delle aziende, che hanno abolito o comunque ridotto il deposito nei magazzini e che hanno quindi necessità di un continuo e flessibile rifornimento ad hoc (che il trasporto ferroviario non può garantire) dei pezzi o materiali per le necessità produttive, e anche per il rifornimento delle attività commerciali di media o grande dimensione.
E c’è un altro motivo dietro l’irreversibile affermazione di questo modello di trasporto: i bassi costi per le retribuzioni degli autisti calcolate su parametri dei Paesi dell’Est, pernottamento degli stessi sul mezzo e pasti consumati lungo la strada, la non percorrenza delle autostrade a pagamento, la possibilità di circolare nei giorni festivi quando sono invece fermi i mezzi più pesanti, il non uso del cronotaghigrafo e quindi, a discapito della sicurezza, la possibilità di guidare anche 14/18 ore giornaliere.
Un modello di “trasporto selvaggio” che aggrava la situazione trasportistica in un Paese in cui, in assenza di un Piano Nazionale dei Trasporti, le infrastrutture e in particolare le Grandi Opere non vengono programmate nell’interesse del Bene Pubblico ma vengono decise dagli interessi di chi le vuole costruire con soldi pubblici per averne poi la gestione privata.
Di tutto questo non si parla ma si progetta una marcia SI TAV: 40.000 per la Stampa e 100.000 per Repubblica……
Per cosa? Per un tratto di 52 km in galleria che ovviamente non può essere percorso a velocità elevata e slegato, sia ad est che ad ovest, dalla rete ad alta velocità !
Evidentemente l’onestà intellettuale è scomparsa e prevalgono solo gli interessi finanziari dei Poteri Forti che già hanno in mano il debito di Torino.
I problemi di sviluppo e occupazione del nord ovest sono ben altri e rimandano al grave ridimensionamento del settore metalmeccanico e manifatturiero, penalizzato dalle continue delocalizzazioni.
L’eventuale marcia SI TAV è anche un pessimo richiamo alla storia di Torino e della FIAT, dimenticando che proprio con quella marcia e la sconfitta della lotta operaia, complice un sindacato ambiguo ed incerto, iniziò, in assenza di un’opposizione operaia e sociale, il percorso che ci ha portato all’oggi dove la FIAT non ha più il centro produttivo a Torino ma negli USA, le autovetture sono principalmente costruite all’estero, FCA paga le tasse in Inghilterra ed ha la sede legale in Olanda e il nuovo manager Manley concluderà, con minori problemi d’immagine di Marchionne, l’operazione di rendere sempre più periferico il comparto auto italiano a cui, malgrado i forti utili (divisi tra gli azionisti) rimangono da anni e in particolare a Mirafiori cassa integrazione (a carico dell’INPS), contratti di solidarietà e nessun concreto progetto produttivo.
In tutto questo divenire Chiamparino giocava a scopone con Marchionne e tranquillizava gli operai e Fassino, nel referendum FIAT del gennaio 2011, invitava a votare SI sulle proposte aziendali e sui sacrifici dei lavoratori ….in cambio di investimenti che poi non ci sono stati.
I due sono stati scavalcati persino da Cesare Romiti, ex uomo forte di Agnelli che, in una recente intervista al Corriere della Sera sulla nomina di Michael Manley, coglie la realtà del progressivo allontanamento dall’Italia del comparto automobilistico e la prossima scomparsa del marchio FIAT, e soprattutto coglie l’involuzione del passaggio da un’industria produttiva a una prevalenza della speculazione finanziaria “…mi dispiace constatare che gli interessi degli azionisti vengano sempre anteposti a quelli del Paese..”.
Tesi confermata dalla recente vendita della Magneti Marelli (l’azienda di componentistica di FCA) alla nipponica Calsonic Kansey ora di proprietà del fondo Usa Kkr, che sicuramente più che agli investimenti produttivi guarderà ai dividendi degli azionisti.
E questa operazione finanziaria già garantisce agli azionisti un dividendo straordinario di 2 miliardi di euro ma ai 10.000 operai del gruppo e a quelli del relativo indotto regala l’incertezza del futuro.
Chiamparino minaccia il Referendum…strana proposta da parte di un esponente del PD, partito che nulla ha fatto per rendere esecutiva la volontà espressa dagli Italiani nel Referendum del 2011 contro la gestione privata dell’acqua (95% dei votanti favorevoli per l’acqua bene comune).
Conta di avere il pieno appoggio mediatico del Giornalone Unico (Corriere della Sera La Stampa e Repubblica) e dei poteri forti della Città, alcuni dei quali, come già detto, hanno in mano il debito di Torino, in gran parte dovuto ai costi delle Olimpiadi del 2006, e che è la causa della difficoltà finanziaria e amministrativa del Capoluogo.
Questa è la realtà con cui Torino deve confrontarsi per trovare le giuste soluzioni di un positivo sviluppo, mentre è inutile e controproducente inseguire le sirene di una linea ferroviaria che, eventualmente, promette solo il trasporto di merci prodotte altrove per andare altrove: non sono i “corridoi di traffico” che possono produrre i posti di lavoro di cui ha necessità il nord ovest e in particolare la Città Metropolitana.
G.V.
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Știri: ”Bran”, expoziție de peisaje fotografice semnată de Dinu Mendrea, la Tel Aviv Până la data de 31 martie 2017, Institutul Cultural Român de la Tel Aviv găzduiește expoziția de peisaje fotografice…
#arta fotografiei#Bran#Brigitte"#Corriere della Sera"#cultură#Diaspora#Die ZEIT"#Dinu Mendrea#ELLE"#eveniment#FAZ#fotografii bran dinu mendrea#Institutul Cultural Român#Institutul Cultural Român de la Tel Aviv#Io Donna"#Jerusalem Report"#Journal du Dimanche"#Kotel – the Wailing Wall#L&039;express"#La Stampa"#Le Monde Diplomatique"#Libération"#Marie Claire"#Neue Züricher Zeitung"#știri#Süddeutsche"#Tel Aviv#The Scotsman"#Trying To Be Twenty in Jerusalem#Vogue"
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Aires-Amazon: è polemica sul dettaglio del giro d'affari in Italia
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Aires-Amazon: è polemica sul dettaglio del giro d'affari in Italia
Tra Aires e Amazon la battaglia non si placa. Qualche giorno fa, dalla Dataroom di Milena Gabanelli (Corriere della Sera), ospite Davide Rossi, direttore generale di Aires Confcommercio, si è levato (di nuovo) il grido d’allarme contro il colosso delle vendite online.
Rossi, in rappresentanza dei retailer di elettrodomestici specializzati, ha posto l’accento su alcuni punti chiave. “Non è una concorrenza sleale, quella con Amazon, perché rispetta le regole, ma è una concorrenza asimmetrica, perché da un lato i negozi e i loro siti di ecommerce sono assoggettati alla tassazione Iva e ad altre imposizioni, mentre Amazon ha le mani libere. E, soprattutto, Amazon, può sempre vendere ‘a saldo’, riuscendo a lavorare indistintamente in tutto il mondo sottostando alle regole di ogni paese”.
Davide Rossi, direttore generale Aires durante la Dataroom di Milena Gabanelli
La quota di mercato di Amazon è elevata e crescerà ancora, specie in questo periodo di lockdown dove, in generale, l’e-commerce ha visto un boom. In Italia, dove il canale e-commerce non ha raggiunto ancora i livelli di altri paesi europei, potrebbe favorire una crescita di quota di mercato di Amazon ancora più poderosa, hanno sostenuto Gabanelli e Fabio Savelli, firma del Corriere. Rossi, nell’intervento in Dataroom ha sottolineato: “Amazon ha una doppia veste: è un normale rivenditore che acquista e vende prodotti per un 40% del suo fatturato in Italia mentre il restante 60% arriva dall’essere una piattaforma, un intermediario tra domanda e offerta. Se consideriamo poi che la regolamentazione sulle piattaforme risale a 25 anni fa, è spontaneo notare come siano messi nello stesso calderone le piattaforme di intermediazione, i server e le telecom. Quindi, oggi, chi vende prodotti e chi mette cavi ha la stessa non responsabilità per il loro traffico”.
Gabanelli, per sintetizzare il messaggio di Rossi ha posto un tassello, confermato da Rossi: quelle delle aziende che si appoggiano ad Amazon, vendono attraverso la piattaforma e dopo un anno falliscono senza versare l’Iva.
Dopo questo incontro, la situazione è proseguita non senza che da Amazon si siano fatti sentire. A seguito della pubblicazione di un articolo su Il Corriere della Sera a firma di Milena Gabanelli e Fabio Savelli, dal titolo “Strategia Amazon: ecco come si elimina la concorrenza”, seguito da un intervento al Tgla7 e da una intervista con il Direttore Generale dell’associazione Davide Rossi su Dataroom, Mariangela Marseglia, Country Manager di Amazon, ha inviato una piccata lettera di precisazioni.
In essa si contestano vari punti dell’articolo e, in particolare, la veridicità dei dati comunicati sulla incidenza delle vendite operate da Amazon nel canale online in Italia.
Nella sua replica, Gabanelli ha precisato correttamente che tali dati sono stati forniti dalla Aires; per questo motivo l’Associazione ha confermato che i dati relativi al mercato dell’elettronica di consumo enunciati nell’articolo sono corretti in quanto tratti da una ricerca curata dal Professor Marco Gambaro, docente di Economia della Comunicazione all’Università degli Studi di Milano. Insomma, tra Aires e Amazon scoppia la polemica sul dettaglio del giro d’affari in Italia.
Lo studio “Evoluzione del mercato dell’elettronica di consumo in Italia: analisi sulle asimmetrie concorrenziali e sui rischi per la sostenibilità del settore” è stato presentato, alla presenza della stampa e di rappresentanti delle istituzioni, lo scorso 21 Novembre a Roma in occasione del convegno dal titolo “Oltre la Web Tax”, organizzato da Aires, Ancra Confcommercio ed EuCER Council.
Va peraltro sottolineato che la necessità di stimare le quote di mercato riferite ad Amazon nei vari settori dipende unicamente dal perdurante e ostinato rifiuto dell’azienda a rilasciare informazioni precise in merito al proprio giro d’affari in Italia, limitandosi – come nella lettera odierna – ad asserzioni riportanti dati aggregati e del tutto generici, sottolinea una nota Aires.
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M5S, Governo ombra alla Farnesina?
Stefania Craxi, senatrice di Forza Italia: “L'edificio costruito per essere la sede del Partito nazionale fascista non può diventare la sede di altri partiti ne la dependance di aspiranti ducetti”. (di Massimiliano D'Elia) A quanto pare c’è una nuova sede del governo ombra, la Farnesina. Non poco imbarazzo ha creato a Palazzo Chigi la foto di Luigi Di Maio con tutti i suoi ministri al tavolo della Farnesina. I grillini dell’entourage di Luigi Di Maio cercano di sdrammatizzare ma confermano che il Consiglio dei ministri «ombra», scrive anche il Corriere della Sera, tornerà a riunirsi a cadenza settimanale. Luigi Di Maio con questa mossa cerca di depotenziare il premier Giuseppe Conte che in molti già lo indicano quale prossimo leader politico del Movimento. Emblematica la notte prima che Giuseppe Conte salisse al Quirinale per sciogliere la riserva per l’incarico di formare il nuovo governo: una lite furibonda avrebbe interessato Di Maio e Conte sul nome del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Giuseppe Conte avrebbe voluto un nominativo neutro, Di Maio ha imposto, invece, il fedelissimo Riccardo Fraccaro. “O così oppure salta tutto”, la minaccia di Di Maio a Giuseppe Conte. Luigi Di Maio vuole riprendersi la scena e a quanto pare ci sta riuscendo. Ad aiutarlo anche le dichiarazioni alla Stampa della pd Paola De Micheli (Trasporti), che ha messo, subito in difficoltà gli alleati su questioni identitarie come Tav, Gronda e Autostrade. Nicola Zingaretti, temendo un ritorno ai litigi estenuanti del governo giallo-verde, ha chiesto ai dirigenti del Pd di non raccogliere le provocazioni, perché il governo ha tre giorni di vita e le tensioni sono già potenzialmente esplosive. Una pentola bollente In pentola ora le trattative per i posti di sottosegretari e viceministri e la fiducia alle due Camere con una maggioranza ballerina al Senato. Gianluigi Paragone negherà la fiducia a Conte. Mario Giarrusso sta valutando. Leilo Ciampolillo accusa la ministra dem Teresa Bellanova di essere «al servizio di Coldiretti e lobby». Al Nazareno è già allarme rosso e Goffredo Bettini, tra i primi a sostenere l'intesa con i 5Stelle, fiuta il pericolo di replicare lo schema della rissa perpetua, che ha ucciso il governo gialloverde: “Guai se inizia il ping pong delle dichiarazioni..”. Le chat su WhatsApp di deputati, senatori e aspiranti sottosegretari 5 Stelle sono in fermento: “Siamo diventati una specie di sezione giovanile del Pd». Lamentano, scrive il Corriere della Sera , che la neo ministra Fabiana Dadone sia stata «miracolata» dalle quote rosa, azzardano che «Zingaretti e Franceschini ci fanno giocare dove non possiamo far danni», cioè su temi come ambiente e innovazione. Parlano di «rapporti di forza sballati» e di un M5S «in ritirata», «svenduto al nemico», che ha «lasciato al Pd i ministeri chiave per paura di perdere il posto in Parlamento». Luigi Di Maio, nel frattempo, attua un’altra strategia. Ha promesso che i sottosegretari della Farnesina «saranno valorizzati» e dunque voleranno spesso all'estero al posto del capo della diplomazia. Con questa mossa, in molti vedono l’intenzione di aprire la strada ad un incarico di governo al “fratello del Movimento” Alessandro Di Battista. Lunga vita al Governo Non è confortante assistere a questi tatticismi politici prima ancora che il Governo riceva la fiducia parlamentare. Si stanno creando le condizioni per ripetere il penoso ed estenuante film già visto con la precedente esperienza di governo. E' chiaro che al centro del dibattito non ci sono gli italiani e l'Italia ma solo l'ambizione di ricoprire posizioni di potere. In mezzo ai politici di professione ci sono i 5Stelle che rappresentano i cittadini "comuni" che hanno avuto un'occasione unica, inimmaginabile nel passato, quella di ricoprire incarichi di governo e sedere dove le Leggi si fanno. Purtroppo è difficile non cedere alle lusinghe del mondo "ovattato" di quei piani alti a Roma ed è difficile tornare indietro al mondo reale. I 5 Stelle per costituire una forza politica di lunga vita devono avere il coraggio di non dimenticare la loro provenienza e di non scendere a compromessi pericolosi come quello fatto con il Pd, pena l'estinzione. Una speranza c'è ed è al Senato Martedì. Read the full article
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"Natale con i tuoi", dice il proverbio. Si tratta infatti di una festa per la famiglia, ma cosa accade quando il rapporto coniugale subisce qualche contraccolpo? È una delle domande che si stanno ponendo in queste ore, sui social network, i fan di Anna Tatangelo e Gigi D'Alessio.È infatti un vero e proprio mistero quello che circonda le feste dei due cantanti, i quali la scorsa estate avevano annunciato una crisi coniugale, chiedendo alla stampa di rispettare la loro privacy. Ma, nonostante le due star della musica siano ormai ben lontani dalle cronache rosa, i fan non smettono di sperare che lo strappo sia ricucito. E il Natale è apparso a molti ammiratori la chiave di volta.Tanto più che D'Alessio, alla vigilia delle festività, aveva annunciato un Natale in famiglia. "Passerò le feste con Anna, con i figli – ha raccontato, come riporta Sussidiario – ci facciamo il Natale a Roma, torno nella mia Napoli per tre bagni di folla, e riscappo a casa per la fine dell'anno". Tuttavia i follower non hanno potuto fare a meno di notare che il cantante partenopeo – impegnato a Napoli fino a domani sera – manca del tutto sulle Storie di Instagram della moglie. Non è dato sapere, di conseguenza, se la reunion natalizia sia davvero avvenuta.C'è chi ipotizza si tratti semplicemente di un escamotage per evitare occhi indiscreti e tutelare ulteriormente la loro privacy. D'altra parte, solo un mese fa, D'Alessio ha affermato come lui e la compagna non si siano mai lasciati. Non resta che attendere, perciò, un'eventuale comunicazione dai diretti interessati.[gallery 1477692]
Anna Tatangelo e Gigi D’Alessio: separati a Natale? "Natale con i tuoi", dice il proverbio. Si tratta infatti di una festa per la famiglia, ma cosa accade quando il rapporto coniugale subisce qualche contraccolpo?
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27 apr 2021 16:27
"MI VORREBBERO RAMINGO COI CAMPANELLI COME I LEBBROSI DEL MEDIO EVO" - LA LETTERA DEL 1973 CON CUI MONTANELLI RACCONTO' A SPADOLINI LA SUA CACCIATA DAL "CORRIERE" - PARLANDO DI PIERO OTTONE CHE LO SILURO' IN TANDEM CON GIULIA MARIA CRESPI SCRISSE: "QUANDO MI VOLTO È GIÀ SPROFONDATO IN UNA POLTRONA COL VISO INONDATO DI LACRIME (VERE!) MI DICE: 'SE AVESSI SAPUTO DI DOVER AFFRONTARE UN GIORNO COME QUESTO, NON AVREI ACCETTATO LA DIREZIONE DEL CORRIERE'" - LA TELEFONATA DI GIANNI AGNELLI, L'APPRODO A "LA STAMPA" E IL DESIDERIO DI VENDETTA CHE PORTO' ALLA FONDAZIONE DE "IL GIORNALE"
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Francesco Specchia per "Libero quotidiano"
«Soltanto un giornalista». Quando mio figlio Gregorio Indro (sì l'ho chiamato così, e appena ha cominciato a leggere, gli ho fornito la mia copia autografata de «Il generale Della Rovere») mi chiese per la prima volta chi fosse Indro Montanelli risposi con l'incisione che il Maestro invocava, vezzosamente, sopra la sua lapide. Soltanto un giornalista.
Credo sia un dovere morale richiamare, a intervalli regolari, come un mantra, il Vecchio Cilindro. Il suo ricordo dev'essere un fuoco in grado di ardere in ogni occasione, un memento professionale, una botta etica che arriva quando l'abisso italiano di questo mestiere cerca d'ingoiarti. Diciamo che per me è un rito.
Ogni volta che esce un libro sul vecchio Cilindro occorre porgerlo alle generazioni future, anche se non si è Shakespeare, Foscolo o E.L. Master, pensando al fatto che qualcosa resterà. Mio figlio, di anni nove, mi odia. Perché ora ci sono due scuse per perpetuare la liturgia. Una lettera e un libro.
La prima è una missiva inedita di Montanelli datata 30 ottobre 1973, indirizzata all'amico Giovanni Spadolini e pubblicata ora dal Giorno (ripresa a sua volta dalla rivista Nuova Antologia, diretta dallo storico Cosimo Ceccuti). Si tratta di un foglio in cui il giornalista ricostruisce in maniera minuziosa gli eventi e i passaggi dell'interruzione del suo lungo rapporto, avvenuto il 17 dello stesso mese, con il Corriere della Sera, protrattosi per quarant' anni.
«Caro Giovanni, mi vorrebbero ramingo coi campanelli come i lebbrosi del Medio Evo», scrive Montanelli (1909-2001) citando il suo direttore Piero Ottone in procinto di licenziarlo. «Quando mi volto è già sprofondato in una poltrona col viso inondato di lacrime (vere!) mi dice: "Se avessi saputo di dover affrontare un giorno come questo, non avrei accettato la direzione del Corriere, è il giorno più amaro della mia vita"».
VERITÀ AMARA
Poi Indro scoprirà che era stato proprio Ottone, in accordo con Giulia Maria Crespi, proprietaria del Corrierone, dai salotti della sinistra radical chic vicina agli ambienti eversivi, a volerlo metaforicamente morto. Infatti, non gli concesse nemmeno l'onore delle armi dell'articolo di commiato ai lettori. Il giorno dopo - resoconta sempre Montanelli a Spadolini - chiama Arrigo Levi, direttore de La Stampa, per invitare Indro a collaborare al quotidiano torinese.
Montanelli dubita che la proprietà de La Stampa (Agnelli, appunto) veda con favore l'offerta del direttore: «Gli dico che fa un passo falso perché ho tutti i motivi di ritenere che il suo padrone non approverà. Mi risponde che, come direttore, è lui che assume e licenzia, ma che comunque accerterà».
Dopo solo mezz' ora arriva da Levi la conferma: l'Avvocato è ben lieto dell'invito e pochi minuti dopo egli stesso chiama al telefono Montanelli per dargli il benvenuto a La Stampa. Aggiunge Indro: «Ci fu un diverbio fra Ottone e Levi». Il primo si lamentò che l'assunzione «fosse un atto sleale. Levi rispose: non ve l'ho portato via, siete voi che l'avete buttato sul lastrico. Dovevo lasciarcelo un giornalista come Montanelli?».
Nella lettera - conservata nelle carte personali di Spadolini- trapela per la prima volta il retroscena dettagliato di una storia nota; Montanelli con la sua «insolente capacità di scrittura» descrive gli sguardi dei colleghi che lo tengono vilmente a distanza di sicurezza; cita la coraggiosa solidarietà del caporedattore Di Bella, che poi diverrà anch'egli direttore dopo Ottone; fotografa il suo arrivo alla Stampa, sul tappetino rosso.
E fu proprio in quest' interregno da esiliato che Indro progettò la sua vendetta: la fondazione del Giornale Nuovo. E qui subentra il secondo atto della liturgia. Ossia l'uscita di Montanelli e il suo Giornale (Albatros, pp 233, euro 14,90 con prefazioni di Barbara Alberti e Francesco Giubilei) saggio a firma di Federico Bini che ripercorre una straordinaria stagione italiana iniziata il 25 giugno 1974, quella del Giornale. Partendo, quindi, sempre dalla figura di Montanelli, Bini ricostruisce la storia del quotidiano nato dalla vendetta attraverso le vite dei protagonisti.
Dalle pagine emergono testimonianze di grandi giornalisti ognuno interprete di un montanellismo di ritorno. Tra di essi Livio Caputo, Pasolini Zanelli, Tiziana Abate, Giancarlo Mazzuca, Roberto Crespi, Fedele Confalonieri, Roberto Gervaso, Vittorio Feltri, Maurizio Belpietro, Paolo Guzzanti, Giancarlo Perna, Pietrangelo Buttafuoco, Marcello Veneziani, Alessandro Sallusti.
Bini è giovane ma possiede un gusto per i talenti antichi. Ed è in grado di far riemergere ricordi leggendari per noi lettori della prim' ora. Gian Galeazzo Biazzi Vergani che ricorda Indro correggere i pezzi di Guido Piovene; Enzo Bettiza che faceva fuoriuscire diversi intellettuali da via Solferino per riversali nel nuovo giornale; Egisto Corradi che parlava il parmigiano per non farsi intercettare dai tedeschi in guerra. Dice Feltri: «Ho sempre cercato di leggere quelli bravi per tentare di rubare qualcosa. Montanelli è il numero uno. Mentre quella che ho stimato più di tutti è stata Oriana Fallaci». Soltanto un giornalista.
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TEHRAN — European governments are protesting Iran’s treatment of an Iranian-born scientist, now a resident of Sweden, who was arrested last year in Iran and who could now face the death penalty.
The scientist, Ahmadreza Djalali, a physician who specializes in disaster medicine and has taught at universities in Belgium, Italy and Sweden, was arrested in April while driving to his family’s house after arriving in Iran for a conference, an Italian newspaper has quoted his wife as saying.
The wife, Vida Mehrannia, who lives in Stockholm with the couple’s two children, told the newspaper, Corriere della Sera, that her husband had been charged with the “death penalty for collaboration with enemy states.”
Amnesty International said in a statement last week that Dr. Djalali had been detained at Tehran’s notorious Evin Prison since his arrest on April 25 and that he had been threatened with the death penalty.
The statement said that he was taken on Jan. 31, without a lawyer present, to a branch of the Revolutionary Court in Tehran and told that he was accused of espionage. His defense lawyer told Amnesty that the authorities had not yet issued an indictment or scheduled a trial.
Amnesty also said Dr. Djalali had been on a hunger strike since Dec. 26, after he refused to sign a confession. Several Iranian prisoners who face political charges are currently refusing to eat in protest of their sentences.
Dr. Djalali, 45, had been “invited to attend workshops about disaster medicine at universities in Tehran and Shiraz, when he was arrested without a warrant by Ministry of Intelligence officials,” Amnesty said. At Evin Prison, “he was subjected to intense interrogations and was forced under great emotional and psychological pressure to sign statements,” and he was not allowed visits from his lawyers.
The Italian government said in a statement that it had “activated its channels of communication with the Iranian authorities to highlight its extreme concern.”
The Swedish Embassy in Tehran has asked for “consular access” to the researcher, but when the newspaper Expressen asked Prime Minister Stefan Lofven about the matter, he said that the embassy still had not gotten word about Dr. Djalali and pledged to bring up the issue with the Iranian government.
Mr. Lofven has begun facing pressure from critics who say the Swedish government should tie Dr. Djalali’s case to discussions over sanctions.
United Against Nuclear Iran, an organization founded by the American diplomat Richard C. Holbrooke, who died in 2010, took out a full-page ad in the newspaper Dagens Nyheter, demanding the cessation of business contacts between Swedish companies and the Iranian government.
Belgium’s foreign minister has also expressed his worries over Dr. Djalali’s case.
Caroline Pauwels, rector of the Vrije Universiteit Brussel, a university in Belgium where Dr. Djalali was teaching, said he had been doing important research. “This scientist has been convicted without a public trial, and now faces the death penalty,” she told the Belgian newspaper De Morgen.
Dr. Djalali’s colleagues learned of his arrest months after it happened because his wife had decided to remain silent, hoping he would be freed. Instead, she told them he had been involved in a car accident and was hospitalized, she told the Italian newspaper La Stampa.
Iranian judicial authorities have remained silent. Iranian law does not recognize dual citizenship, and Dr. Djalali is not eligible for consular assistance from the Swedish Embassy in Tehran. Currently, Iran has imprisoned dozens of foreign citizens, among them six Americans and a Briton. Most of them are accused of spying.
In 2011, Iran’s judiciary hanged a Dutch-Iranian citizen, Zahra Bahrami, after she had been convicted of smuggling drugs. Dr. Djalali’s arrest comes at a time when the Iranian government is seeking to restore business ties with the European Union.
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14 mar 2021 11:00
"IO PER LA MIA LIBERTÀ MI FAREI IMPICCARE" - GIORGIO FORATTINI, 90 ANNI: "SPADOLINI LO DISEGNAVO SEMPRE NUDO, NON PROTESTÒ MA MANDÒ AVANTI SUNI AGNELLI. CHE MI DISSE ‘PERCHÉ GLI FAI IL PISELLINO MIGNON? LO HAI VISTO NUDO?’. E IO: ‘NO, MA SONO CERTO, LO HA COSÌ. È UN PUTTO’. RIMASE INTERDETTA”. CHE STORIE CON SCALFARI E L'AVVOCATO AGNELLI. SE RIUSCISSI AD ARRIVARE VIVO AL SEGGIO OGGI VOTEREI BERLUSCONI…" - IL FLIRT CON SOPHIA LOREN: "IO LO RICORDO, LEI EVIDENTEMENTE NO..."
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Luca Telese per www.tpi.it
Negli ultimi giorni si è riaperto il dibattito sulla libertà di stampa in Italia, dopo che Matteo Renzi, senatore e leader di Italia Viva, ha annunciato azione civile contro La Stampa e TPI per due articoli nei quali si riferiva del suo recente viaggio a Dubai per motivi sconosciuti. Ne abbiamo parlato con Giorgio Forattini, maestro di vignette e di satira, in occasione del suo 90esimo compleanno.
“Io per la mia libertà mi farei impiccare”.
Anche oggi la libertà è a rischio?
“Scherzi? Vedo, a partire dalle querele di Renzi, una quantità infinita di persone, oggi, che usano la causa civile per infliggere bavagli”.
E cosa ne pensi?
“Sono tutti imitatori del D’Alema, che fece causa a me. Ma quando un politico invoca la censura per mettere un bavaglio alla stampa vuol dire che ha già perso”.
Parliamo di Forattini prima di Forattini.
(Sorriso ineffabile e forattiniano). “Sono diventato disegnatore satirico per puro caso. Grazie a Panorama. E a… una donna”.
Detta così, tutto diventa subito interessante.
“Avevo già 43 anni, lavoravo, come ti spiegherò tra breve, a Paese Sera”.
Come grafico. Ma disegnavi?
“Pubblicavo, ogni tanto, strisce di costume che apparivano, con qualche fatica, nelle pagine interne”.
E cosa succede?
“Mi fidanzo con una bellissima ragazza”.
Ah, bene.
“Lene, una danese affascinante che aveva occhi verdi, sangue blu e un nome da fotoromanzo: Lene De Fine Licht”.
È stata lei il contatto con Panorama?
(Sospirone). “È più complicato. Lene viveva a Trastevere, con sua sorella. E io ho avuto, come talvolta capita nella vita, una storia anche con la sorella”.
Ah. A me non è mai capitato.
“Lascia perdere e seguimi: questa sorella era amica della moglie danese di Luigi Melega, una delle principali firme del prestigioso Panorama di Lamberto Sechi”.
E cosa accadde?
“Iniziammo a frequentarci con i Melega, finché un giorno lui, vedendomi disegnare non mi disse: ‘Tu devi assolutamente disegnare delle vignette di satira politica per noi!'”.
E cosa gli hai risposto?
“’Ma io non ne ho mai fatta una!’, obiettai”.
E Melega?
“Fu incrollabile: ‘E che vuol dire? Studia, leggiti la satira dei giornali francesi, esercitati, prova’”.
Aveva avuto premonizione del tuo talento. Sembra incredibile.
“È vero. Ma per me suonò molto persuasivo”.
Al punto da metterti davvero a studiare?
“Sì. Iniziai a comprare, nelle edicole di via Veneto, dove arrivavano, Le Monde, Liberation, Le Canard Enchainè: scoprii un mondo!”.
E disegnasti la tua prima vignetta?
“Sì. Credo che fosse un Andreotti a cui qualcuno appendeva un pesce d’aprile sulla schiena”.
Fatalità. Lo stesso Andreotti che raccontava: “I miei figli mi chiedevano: ‘Perché non quereli Forattini?'”.
“E lui rispondeva: ‘Che posso dire di Forattini? Forattini mi ha inventato!'”.
Geniale, e vero. Il più bel complimento possibile.
“Senza dubbio: anche perché, a parte Andreotti, Spadolini e Berlinguer, tutti gli altri mi hanno querelato”.
Chi?
“Craxi, quattro volte. De Mita, per un miliardo, Orlando addirittura annunciò quattro miliardi, poi per fortuna non diede seguito. D’Alema, per la famosa vignetta del bianchetto. E fui condannato per i rubli…”.
Orlando, però, lo avevi rappresentato con la Coppola da mafioso!
“La satira è iperbole, sarcasmo feroce, libertà. Sai che mi sono pentito solo una volta di una vignetta che ho fatto? Sul suicidio di Gardini”.
Torniamo per un attimo al 1974. La vignetta su Panorama ha successo?
“Straordinario. Me ne chiedono una a settimana”.
Ottimo, dunque.
“Però si arrabbia Giorgio Cingoli, direttore di Paese Sera, che mi dice: “’Lavori qui e per noi queste vignette non le fai?’”.
Giusto.
“Così inizio a disegnare anche per Paese Sera, e nasce la serie dei fiaschi”.
Ogni insuccesso politico disegnavi Fanfani, che era un pittore amatoriale, mentre dipingeva i suoi fiaschi politici.
“Finché non arriva la sconfitta del divorzio e ribalto tutto: Fanfani espulso come un tappo dalla bottiglia del No”.
Geniale. E che accade?
“Prima pagina, apoteosi. La vignetta fa il giro del mondo, viene riprodotta ovunque, diventa icona, e io da quel giorno per tutti divento ‘Forattini'”.
Giorgio Forattini compie novant’anni. Avevo già avuto la fortuna di intervistare il Maestro della satira italiana nella sua bellissima casa di Milano (una delle tre, oltre a quella di Roma e Parigi).
Ed era stato come entrare nella pinacoteca di un museo. Giorgio Forattini quel giorno spiegava: “Ho comprato quadri dei pittori più svariati, uniti da un particolare: sono quasi tutti ritratti”. Era tre anni fa. Giorgio è sempre in forma splendida. Oggi ha una chioma ormai candida, e dice: “Ho combattuto tanto per difendere la mia libertà, ora devo farlo per conservare la mia memoria”.
Ogni tanto, quando meno te l’aspetti, Giorgio ti fulmina con una freddura o una battuta in simil-romanesco: “Ahó, m’hai già fatto due foto, devi pagà!”. Oppure, per contrario, con l’understatement: “Eri un Don Giovanni?”, chiedo. Sorriso: “A me non risulta”. Il filo conduttore nella sua biografia sono il viaggio del Talento a cavallo fra tre repubbliche e un frammento importante di storia italiana.
Oggi un video celebra la sua fantastica avventura, la sua lotta contro mille censure, più che mai attuale. Come la sua storia, perfetta per un romanzo. Quello di un uomo che dice: “Io per la mia libertà mi farei impiccare”.
Tua madre era nobile.
“Sì, si chiamava Matilde Merlino: piemontese di origina istriana. Sua madre era austriaca, suo padre Federico era stato ministro delle Finanze e poi presidente della Corte dei Conti”.
E tuo padre?
“Era emiliano, aveva partecipato alla marcia su Roma: industriale”.
Tu sei romano.
“Senza dubbio, in tutto e per tutto figlio di quella città eterna e scanzonata. Ho trascorso molti anni in collegio, al San Giuseppe de Merode, Piazza di Spagna. Ma ho passato l’infanzia a Milano e gli anni più belli della mia giovinezza a Napoli, dove ho fatto tirocinio di ironia nella più grande accademia del mondo”.
Quando cominci a disegnare?
“Da bambino, prima di iniziare a scrivere. A scuola facevo le caricature dei professori che poi protestavano con i miei”.
E ti creavano problemi?
“Papà era un uomo straordinario ma con un carattere fortemente autoritario. Forse mi sono autocensurato”.
Perché?
“Ho iniziato a lavorare con lui, e dai venti ai quarant’anni non ho mai impugnato la matita”.
Che lavori hai fatto?
“Di tutto. A diciotto anni esco di casa. Mi iscrivo all’Accademia di teatro, dove i tra miei compagni c’erano Lina Wertmuller e molti altri che diventeranno celebri”.
Ad esempio?
“Sofia Scicolone, non ancora Loren”.
Hai raccontato a D’Orrico di aver avuto un flirt con lei.
(Sorriso). “Io lo ricordo. Lei, a quanto pare no. E sai cosa accade, molti anni dopo?”.
La re-incontri?
“Sì, invitati entrambi in una cena da Armani. Io, contento, le dico: ‘Ricordi? Eravamo all’Accademia insieme!'”.
E Sofia?
“Mi fulmina con uno sguardo gelido: ‘Impossibile, io sono molto più giovane di lei'”.
Ah ah ah. Fai studi irregolari?
“Mio fratello si laurea subito e diventa ambasciatore. Io frequento Architettura e poi Giurisprudenza. Per molti anni faccio il rappresentante di commercio”.
Nel settore petroli, con tuo padre.
“Aveva venti stazioni di servizio soprattutto al sud”.
E tu giravi. Migliaia di chilometri, in una Cinquecento ripagata con detrazioni dalla busta paga.
“Come ho fatto a sopravvivere non lo so. Ma fu un periodo felice”.
Il tuo romanzo di formazione?
“Ho potuto raccontare tutta l’Italia, poi, perché già la conoscevo, da prima”.
La Sicilia a forma di coccodrillo, e protestò l’Ars.
“Bellissima”.
La Sardegna a forma d’orecchio, dopo l’amputazione del sequestro Getty.
“Ricevetti minacce di morte, venne la Digos a casa, e io che amavo la Sardegna e ci sono andato in vacanza per 18 anni consecutivi”.
Tanti.
“Ne ho trascorsi metà a Li Capanni, con una camionetta dei carabinieri davanti all’albergo”.
La società di tuo padre era a Napoli e si chiamava – incorrendo in molte ironie partenopee – DIOm, con una emme minuscola.
(Risata). “Non era blasfemia, solo un acronimo. Stava per Deposito Industriale Olii minerali”.
Sede in via Mergellina.
“E deposito autobotti a Poggioreale, vicino al carcere. Ti faccio un esempio di napoletanità”.
Quale?
“Visto che papà era stato cacciato dal cane a sei zampe dell’Eni, scelse come simbolo un gatto nero”.
Che c’entra?
“I venditori della Campania dicevano: ‘I napoletani protestano!’. Mio padre fece diventare grigio il gatto e il fatturato aumentò”.
Primo stipendio della tua vita?
“Sei grandi banconote da mille: le stesi in terra davanti alla porta di casa per dire a papà, che si vantava di non sapere quanto mi davano i contabili: ‘Ora sono indipendente!'”.
Perché tuo padre non ti voleva in azienda.
“Mi pretendeva impiegato di banca! Non diventarlo è stato il primo grande successo della mia vita”.
E poi ti sposi contro il suo volere.
“In accademia mi ero innamorato di una compagna: Licia Casassa. Io avevo 22 anni, lei 28. Mi sono sposato di nascosto. Per punirmi lui mi spedisce a Cremona, in una raffineria, e mi degrada”.
Nientemeno. E cosa vai a fare?
“L’operaio specializzato: pensa, controllavo con la pala il grado di viscosità dell’olio”.
Finché?
“Nel 1956, con la crisi di Suez, l’azienda tracolla. Il deposito di Poggioreale viene svenduto a un certo Paul Getty”.
E tu?
“Mi salvo passando a vendere elettrodomestici Triplex. E poi con la pubblicità: serviva qualcuno che disegnasse gli storyboard e io lo facevo presso lo studio in Trastevere di Guido Vanzetti”.
E poi?
“Entriamo nei favolosi anni Sessanta e mi reinvento discografico: prima alla Bluebell Records e poi alla Ricordi”.
Ma come fai??
“Ehhh… Grazie al solito talento. Inizio disegnando etichette e finisco facendo il talent scout, il grafico e il produttore. Ero anche bravino”.
Investi su te stesso con l’Accademia di pittura.
“Segnale premonitore: iniziavo a copiare un ritratto classico e finivo facendone la caricatura senza volerlo, con il professore che – giustamente – mi rimproverava”.
La svolta è l’ingresso a Paese Sera?
Avevano indetto un concorso per illustratori, e mi invento un personaggio malinconico, Stradivarius, che suona il violino e però per vivere fa l’agente di commercio”.
Togligli il violino dalla mano, mettigli la matita…
(Sorriso). “Infatti: Stradivarius ero il me che stavo archiviando”.
Entri negli anni Settanta con la busta paga di Paese Sera.
“Siamo nel 1971: bei tempi, a chiudere il giornale in tipografia veniva Giampiero Mughini, e noi due – entrambi libertari – prendevano in giro gli ortodossi. Mio collega era Franco Bonvicini, che con lo pseudonimo di Bonvi, diventerà poi il geniale autore di ‘Sturmtruppen’. Guadagnavo 900mila lire al mese”.
Che raddoppiano quando Scalfari ti sceglie per fondare Repubblica.
“Anche lì mi presenta Melega. Passai a un milione e mezzo, ma la cosa più importante, è che partecipai al progetto grafico: le colonne di Repubblica sono ‘mie'”.
Il tuo rapporto con Scalfari è un romanzo: dimmi almeno i titoli dei capitoli.
“Ho persino un epistolario, bellissimo, tra noi. Scalfari è un genio, con me è sempre stato generoso e protettivo”.
Da chi?
“Dal popolo dei suoi ufficiali, burocrati, caporedattori e affini, perennemente incazzati con me”.
Addirittura?
“Pensa che io nei ristoranti mi metto sempre spalle al muro, ancora oggi, per un ‘trauma’: si affacciavano al mio box, dietro, per vedere che vignette disegnavo”.
Addirittura?
“Era pieno di aspiranti censori e spioni. Eugenio, che lo sapeva, un giorno affigge un foglio su quella parete: ‘Silent Genius at work'”.
Ah ah ah. Amava le tue vignette?
“Molto. Anche se non ha un grande senso della satira e soffriva quando colpivo i suoi amici. Non voglio sembrare immodesto, ma Repubblica l’abbiamo fatta noi. Lui l’ha fondata, io l’ho arredata!”.
Per sfotterlo disegni te stesso, carcerato, mentre sotto il tiro di Scalfari scolpisci un monumento a Berlinguer.
“Questo era nulla. Un giorno si incazzò via interfono: ‘Giorgio, io ho due amici in politica oggi: Natta e De Mita. Tu in questo mese hai fatto 28 vignette, e tutte contro loro due!!!!'”.
E tu?
“Gli dico: ‘Begli amici che hai!'”.
E poi non era vero, perché erano gli anni di Craxi in stivaloni: ti penti?
“Ma scherzi? Fosse vivo gli chiederei un vitalizio per l’immagine che gli ho regalato”.
Appeso stivalato a testa in giù, stile piazzale Loreto!!!!
“Questa è bella, senti. Mi manda Spadolini come ambasciatore: ‘Bettino non può sopportare l’accostamento al fascismo!'”.
E che hai risposto al presidente del Senato?
“’Presidente, lei è storico: è un Mussolini ma socialista’. Spadolini volle crederci, ma ovviamente era una balla. Durò poco, poi quattro querele. Repubblica uscì con un giochino, ‘Portfoglio'”.
E tu gli mettesti in bocca: “Da quando c’è il Portfoglio lo prendo tutti i giorni”.
“Craxi andò su tutte le furie: ‘Mi sta dando del ladro!'”.
Spadolini lo disegnavi sempre nudo, non protestò?
“Non sarebbe stato elegante. Lui mandò avanti Suni Agnelli”.
Per dire cosa?
“Ah ah ah: ‘Perché gli fai il pisellino mignon? Lo hai visto nudo?’. E io: ‘No, ma sono certo, lo ha così. È un putto’. Rimase interdetta”.
Sei stato fidanzato con Samaritana, nipote di Agnelli.
“Per sei anni, grande storia. E qui c’è una scena da film”.
Perché?
“Quando ci lasciamo l’Avvocato mi invita a pranzo e mi fa: ‘Forvattini lei per me è Il Talento, deve lavorare nel mio giornale. E per meritare la mia offerta principesca dovrà fare sette vignette a settimana, e tutte in prima!'”.
Non sapeva che era Scalfari a pubblicartene solo cinque, e quasi sempre dentro.
“Già! Ma io chiedo: ‘Principesca che significa?’. E lui: ‘Un miliavdo di lire'”.
Era come un milione di euro di oggi.
“Molto di più. Infatti rimango senza fiato. Lui, che aveva standard economici diversi dai miei, pensò che avessi dei dubbi. E aggiunse: ‘Ma Fovattini! È quinquennale, quindi sono cinque!'”.
Lasci Repubblica e nasce la campagna contro Forattini: “miliardario”, “mercenario”, “rinnegato”, “venduto”. “Ha la casa a Parigi”!
“Non sono mai riuscito a difendermi da tutta questa cattiveria. Della casa a Parigi, poi sono orgoglioso”.
Come mai proprio lì?
“Me la fece prendere Renzo Piano, uno dei miei migliori amici: dove l’aveva lui, nel Marais”.
Cattiveria, dici?
Sono stato colpito da odio, invidia, menzogna: ho girato molti giornali perché inseguito da querele e veti”.
Hai rinnegato la sinistra?
“Io non sono mai stato comunista. E neanche di sinistra. Mi considero un borghese ribelle”.
A cosa?
“Alla mediocrità. In un mondo di conformisti sentirsi liberi significa essere ribelli”.
Perdi una causa contro D’Alema, 500 milioni di lire.
“Allora non lo dicemmo a nessuno, ma pagò tutto Panorama. La libertà di stampa è questo”.
Ti sei vendicato disegnando D’Alema, per anni, senza volto.
“I giudici mi hanno condannato spesso per diffamazione a mezzo stampa: Codice Rocco, codice fascista mai cancellato. In Francia, Inghilterra e nei paesi democratici la satira è libera, vola. In Italia se non sei schierato sei ‘fascista’, ‘qualunquista’…”.
La sinistra ama la satira.
“Se non viene colpita sì”.
Lerner raccolse 40 firme contro una tua vignetta in cui la morte aveva una falce con scritto: “1968”. E disse: “Forattini deve tutto al ‘68!”.
“Ridicolo: nel ’68 lui aveva 14 anni, io 37! Non dovevo nulla al ’68, che oltretutto considero, assieme ai sindacati, una disgrazia italiana, la tomba del merito”.
Però nel 1993 vai in tv e dici che la candidatura di Fini a sindaco di Roma, con il Msi, non ti scandalizza.
“Lo ripeterei paro-paro. Anche se pagai un prezzo umano enorme”.
Quale?
“Con ‘Satyricon’, un quartino che dirigevo a La Repubblica, scoprii tanti talenti: Staino, Ellekappa e uno di cui diventai amico: Emilio Giannelli”.
“Scoperto”?
“Era direttore l’ufficio legale del Monte dei Paschi di Siena. Mi invitava ogni anno a vedere il Palio”.
Ma che c’entra con Fini?
“Quando il Corriere mi fece un’offerta io declinai, e dissi: ‘Prendete lui’. È ancora lì”.
Non capisco il legame.
“Dopo quelle parole su Fini, Giannelli mi disegnò sul Corriere, in prima, vestito da balilla, il faccione di Berlusconi e la scritta ‘Sola che sorgi’. Fu un dolore”.
Però avevi trovato la donna della tua vita.
“Vero. Mi chiama una signora dell’ufficio stampa Mondadori per promuovere ‘Pagine gialle’. Mi dice: ‘Sono Ilaria’. Ci siamo visti a Venezia ed è stato subito amore: la fortuna della mia vita”.
Perché?
“È l’unica donna con cui condiviso tutto, satira compresa. Senza di lei non sarei diventato quel che sono”.
E i tuoi grandi amici?
“Oltre Renzo? Purtroppo uno è morto, Umberto Veronesi. E poi Giancarlo Giannini, ridiamo come matti. E in Francia Plantu, vignettista di Le Monde. Vivevamo tre o quattro giorni al mese a Roma, dieci a Parigi, il resto a Milano. Ma ora, da anziano, mi muovo meno”.
Che tipo sei?
"Allegro, ma con un fondo di tristezza. Ho vissuto troppo tempo da solo e in troppi posti”.
La satira risente dell’umore?
“La mia prima moglie mi ha portato via i figli quando erano piccoli. Stavano a Chiavari, e io ero disperato”.
E poi?
“Mio figlio Fabio è morto improvvisamente, di infarto. Dolore immenso. Da allora sono l’ultimo Forattini”.
Sei cambiato?
“Molto. Mi sono immerso nel lavoro, senza trovare sollievo. Le vignette si erano incattivite”.
Una delle tue raccolte si intitola: “Una idea al giorno”. È difficile?
“Ho avuto una fortuna: la vignetta arrivava sempre. Talvolta le sognavo di notte, e me le dimenticavo la mattina. Così giravo con taccuino e matita, anche sul comodino”.
Sei stato fortunato?
“Sono stato molto, molto censurato. Ma, se un direttore mi diceva no, io non disegnavo più: ‘Oggi mettici la tua foto'”.
Un altro tuo titolo choc: “Kualunquista”.
“Con la K: meglio che ragionare per partito preso! Io mi considero, con tutti i miei guai, un vincitore”.
Poi torni a La Repubblica.
“Scalfari e Caracciolo vengono a Milano. Andiamo a cena. All’Hotel Et de Milan”.
Un’altra offerta.
“Ottengo la prima pagina di Repubblica e l’Espresso. Caracciolo mi fa: ‘Costi tanto voglio anche gli originali'”.
E tu?
“’Sei matto? Quella è roba mia’”.
Nel 2002 disegni su La Stampa un carro armato con la stella di David che punta il cannone verso una mangiatoia. Un bambino impaurito, con l’aureola esclama: “Non vorrete mica farmi fuori un’altra volta?!”.
“Stupenda. L’avevo dimenticata”.
Possibile? Protestarono la comunità ebraica e Amos Luzzatto!
“Ah sì! Per la prima volta mi chiamo Agnelli: ‘Fovattini, questa mi mettevà in difficoltà’. Mi spiacque per lui, non per Luzzatto”.
L’ultimo che ti seduce è Berlusconi.
“Nel 2006, al Cipriani per il premio Campiello mi fa: ‘Devi vieni a Il Giornale. Se hai un sogno te lo realizzo'”.
E lo avevi?
“Sì! ‘Mi manca solo una cosa, la vignetta animata in tivù’. Mi guarda: ‘La avrai. Lo dico Mentana’”.
E così sei andato a Il Giornale.
“Proprio con Belpietro, Ma la vignetta animata, malgrado Mentana fosse d’accordo, non partì mai. Costava troppo all’epoca!”.
Ma nasce il merchandising forattiniano: non solo i libri, ma penne, carte, orologi, tazze…
(Sorride). “Sono arrivato a guadagnare anche 150mila euro a libro. Ne ho fatti sessanta, 3,5 milioni di copie!”
Vedi che un po’ avido sei?
(Serio). “I soldi erano solo uno strumento per essere libero. Potevo dire no a chiunque, in qualsiasi momento. E l’ho fatto”.
E lasci anche il Giornale.
“Un giorno, dopo le dimissioni di Maurizio, disegnai Berlusconi nudo con un mappamondo tra le gambe che faceva un gesto eloquente con le dita. Mi dissero di no. E io: ‘Addio'”.
Hai mai risentito il Cavaliere?
“Questa è bella. Mi chiama: ‘Mi spiace per il Giornale, non ne sapevo nulla, che brutto!’. E io, stupito: ‘Grazie!’. E Silvio: ‘Senti… ti chiamavo per un’altra cosa: puoi rifare la copertina del tuo prossimo libro Mondadori?’. E io: ‘Ma perché?’. E lui: ‘Mi disegni che bacio D’Alema e scrivi: inciucio!'”.
Ah ah ah.
“Non me lo ricordavo più. Ma non ritirai la vignetta”.
Hai lavorato anche al Qn.
“I Cdr pubblicavano comunicati di fuoco a mia insaputa, senza darmi possibilità di replica”.
Cosa unisce tutta la tua carriera?
“Bene o male ho sempre disegnato per la libertà: la mia libertà intellettuale intendo. E la libertà si paga”.
È vero che non disegni più cose nuove?
“Il forattinismo in sintesi è stato la dissacrazione della politica. Intuivo subito il tallone d’Achille dei leader, e li trafiggevo con la mia matita. Ora i casi sono due”.
Quali?
“O non c’è più sacralità, oppure io sono diventato molto vecchio e non la vedo. In ogni caso non mi ispira più satira”.
E Grillo?
“Per me è sempre e solo un comico”.
E Di Maio, Salvini, il populismo?
“Non mi piace il populismo: dentro di me sono un vignettista aristocratico”.
E chi voteresti?
(Occhi sgranati). “Se riesco ad arrivare vivo al seggio? Per Berlusconi”.
Davvero?
“Per lui mi resta simpatia. E la certezza che ha cambiato l’Italia”.
Ti piace perché è ri-ri-ri disceso in campo?
(Ultimo sorriso forattiniano, freddura romanesca). “Ma che stai addì? Mi ha aiutato molto: è il politico che ho disegnato più di tutti”.
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10 mar 2021 09:21 "FANCULO LE MANETTE" - PRESI I RAGAZZI CHE SACCHEGGIARONO TORINO NELLA NOTTE DI GUERRIGLIA DEL 26 OTTOBRE 2020 - SONO MEMBRI DELLE BANDE CHE CRESCONO IN PERIFERIA, GRAN PARTE FIGLI DI MIGRANTI MAROCCHINI O EGIZIANI. ALCUNI DI LORO NATI A TORINO. MOLTI DI LORO NON STUDIANO NÉ LAVORANO E VIVONO SUI SOCIAL - HANNO GIÀ COLLEZIONATO PICCOLI CRIMINI E IL PIU' GIOVANE HA SOLO 15 ANNI - QUELLA SERA FURONO DANNEGGIATI O DERUBATI UNA QUARANTINA I NEGOZI. LA BOUTIQUE GUCCI SUBI' UN FURTO DI 200 MILA EURO…
Irene Famà Massimiliano Peggio per "la Stampa"
«La fame dentro gli occhi di 'sti bravi raga... pericoli di strada... Metto tuta scendo in piazza f..lo le manette». La notte di guerriglia del 26 ottobre 2020 nel centro di Torino, con il lancio di bombe carta contro le forze dell'ordine, saccheggi di negozi e cassonetti in fiamme, è raccontata così, nel ritmo di un rap di periferia. Inno alla ribellione. Nulla da nascondere: furti, razzie, tutto in mostra su Instagram, Facebook, Youtube. Come lo zaino fotografato sul banco di scuola, preso da uno scaffale del negozio Gucci di via Roma. Altro che protesta anti lockdown, anti crisi, anti restrizioni.
«Si va in piazza per saccheggiare i negozi». Tutto qui. Per sfidare, per vedere chi fa più «casino» tra le gang delle periferie, dove si scimmiottano le banlieue francesi. La polizia non fa paura. «F..lo le manette».
Ecco lo spaccato che restituisce l'indagine degli investigatori della Squadra Mobile che pazientemente hanno ricostruito tre ore di guerriglia, esaminando centinaia di immagini, fotografie, video amatoriali, profili social per identificare gli autori dei furti seriali avvenuti quella sera nelle vie dello shopping. Il risultato è di 37 provvedimenti: 24 fermi firmati dai pm Paolo Scafi e Giuseppe Drammis, per gli indagati maggiorenni, e 13 ordini di custodia cautelare disposti dal tribunale per i Minorenni. Il più giovane ha 15 anni, il più grande 24. Sono accusati di devastazione e saccheggio, aggravati dal fatto di aver commesso le razzie nel corso di una manifestazione pubblica.
Reato di non frequente applicazione. «Quanto è accaduto rappresenta una pagina nera per Torino - da detto il questore Giuseppe De Matteis - Siamo di fronte a bande autonome del tutto scollegate con i manifestanti presenti quella sera in piazza. I reati contestati sono di particolare gravità, sarebbe un errore definirle ragazzate».
La sera del 26 ottobre scorso, sull' onda di altre manifestazione pubbliche, come a Napoli e a Roma, dove erano già avvenuti disordini, commercianti e piccoli imprenditori torinesi avevano indetto una protesta in due punti della città: uno in piazza Castello, sotto gli uffici della Regione, e l' altro in piazza Vittorio, in uno dei luoghi simbolo della movida, spenta dalla restrizioni. C' erano due presidi delle forze dell' ordine.
Al richiamo avevano risposto anime diverse, anche politicamente. Il clima era rovente. C'erano anche gruppetti ultrà. Poi, come oggi confermano le indagini svelate dalla polizia, dai tram della linea 4, la dorsale delle periferie che unisce la città da nord a sud, da Falchera, Barriera Milano, Porta Palazzo, fino a Mirafiori, erano arrivate alla spicciolata le gang. Un po' per sfidarsi, ma soprattutto per lasciare un segno. Per colpire quel centro che sa di ricchezza negata, luogo da espugnare.
Così la manifestazione è diventata un pretesto. L' occasione di un bottino. Come era successo nel 2017 nella sera della proiezione della finale di Champions League Juve-Real Madrid, in quella tragica piazza San Carlo, trasformata in un tappeto di feriti e poi due morti. A causare il panico a catena fu una rapina con lo spray urticante. Una banale razzia di collanine organizzata da un gruppo di adolescenti di origini magrebine.
Alcuni di loro stanno scontando il carcere. I due eventi, a distanza di tempo, si sfiorano: perché alcuni soggetti sospettati di essere presenti in piazza San Carlo quattro anni fa con altre «batterie di caccia», come Anass Chakir, 23 anni, sono stati arrestati la notte scorsa per i saccheggi di ottobre.
Chi sono gli indagati? Sono membri delle bande che crescono in periferia, gran parte sono figli di migranti marocchini o egiziani. Alcuni di loro nati a Torino. Hanno mamme che lavorano come badanti o cameriere. Molti di loro non studiano né lavorano. Vivono sui social. Hanno già collezionato piccoli crimini.
Una quarantina i negozi danneggiati o derubati. La boutique Gucci ha subito un furto di 200 mila euro. Parte della refurtiva era già stata recuperata quella sera, con i primi arresti in flagranza. «Altri oggetti - dice il capo della Mobile, Luigi Mitola - sono stati ritrovati nel corso delle perquisizioni domiciliari a seguito dei fermi». Gli indagati sono stati riconosciuti confrontando una miriade di immagini, confrontando scarpe, felpe, magliette.
Molte immagini preziose sono state ricavate dalle telecamere di sicurezza dei tram della linea 4. Chi è arrivato da Sud, chi da Nord. Altri sono stati riconosciuti per via del look eccentrico. Come i capelli biondi ossigenati di Riffle Egharebva, 21 anni, residente nella prima cintura di Torino.
Il giudice del tribunale dei Minori che ha firmato il provvedimento, ha descritto negli atti «una città in balia di giovani incattiviti, feroci, capaci di tutto, pur di dare sfogo alle pulsioni più basse». Ma il procuratore aggiunto Patrizia Caputo, che ha illustrato ieri l' inchiesta ha lanciato un messaggio che va oltre i tribunali: «È necessario riflettere perché qui all' istinto predatorio si affianca un disagio evidente. E la risposta giudiziaria, in questo caso, da sola non basta».
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25 feb 2021 14:15 1. "LIVE - NON E' LA D'URSO" E' MORTO E SEPOLTO: NON RIPARTIRÀ NEANCHE A SETTEMBRE 2. L'ORIGINE DELL'ODIO D'URSO-DE FILIPPI E' NASCOSTO IN UNA CLAUSOLA ANTI-BARBARELLA CHE MARIA "LA SANGUINARIA" HA PRETESO (E OTTENUTO) DA MEDIASET NEL SUO CONTRATTO 3. LA RIVALITA' PRESTA-DURANTE SPECCHIETTO PER LE ALLODOLE USATO PER NASCONDERE IL FLOP DI ASCOLTI DELLA D'URSO - I GUAI COMBINATI A SIGNORINI DALLE AMMUINE DI "BARBARIE" - LA RICHIESTA DI "SOCCORSO" A CUI ZINGARETTI HA ABBOCCATO E SALVINI NO...
DAGOREPORT
La chiusura per bassi ascolti di "Live - Non è la D'Urso", con due mesi di anticipo (stop a fine febbraio e non a maggio, come previsto), ha innescato il moto di solidarietà dei "tele-sorcini" della D'Urso e di quel merluzzone di Nicola Zingaretti, che ormai da segretario (uscente) del Pd non ne imbrocca più una.
Per i fan di "Barbarie", però, c'è un'altra brutta notizia: la trasmissione non ripartirà neanche a settembre. A dimostrazione che la decisione del Comitato esecutivo di Mediaset, in cui troneggia il "big boss" Pier Silvio Berlusconi, è ben ponderata e fa parte di una strategia più ampia che punta a rinfrescare la proposta editoriale, riducendo le ammuine da trash-pollaio.
"Barbarie" D'Urso, elevata da Zingaretti a nuova martire del tubo catodico, invece di guardarsi allo specchio e fare autocritica per certi tele-polpettoni rifilati al pubblico, si guarda intorno cercando sostegno.
E se il segretario del Pd si è prestato alla richiesta di aiuto, Matteo Salvini - altro prezzemolino degli show della D'Urso - si è ben guardato dall'abboccare. Ha lasciato che fosse il suo guru social, Luca Morisi, ad "applaudire" al tweet di Zingaretti in chiave pro-Barbarella.
Poca roba, in ogni caso. Nessun altro ha speso mezza dichiarazione o un post social per difendere la conduttrice (ma difendere poi da cosa? Se una trasmissione non funziona, si chiude e amen).
Tra i corridoi del "Biscione", la D'Urso non è amata. E se tra i suoi alleati non possono essere certo annoverati Lucio Presta e Paolo Bonolis (che potrebbe prendere il suo posto con una versione serale di "Avanti un altro"), non è vero - come scrive oggi "la Stampa" (che ha difficoltà a citare Dagospia per lo scoop) - che ci sia lo zampone dell'agente dei vip dietro la chiusura del programma. Certo, rimane la rivalità tra Presta e Marco Durante (che ha sfilato a "Brucio" la cura degli interessi di Belen, della stessa Barbarella e di Rita Dalla Chiesa).
La vera spina nel fianco di Barbara D'Urso in Mediaset si chiama Maria De Filippi. Ma da dove nasce la rivalità tra le due? Tutto è iniziato quando Maria "la Sanguinaria" ha chiesto e ottenuto dal "Biscione" una clausola nel suo contratto che proibisse alla D'Urso di trattare i temi dei suoi programmi e di sfruttare i personaggi delle sue trasmissioni. Una separazione netta. Per la serie: resta pure nel tuo trash-salotto ma non mettere le mani sulla mia "roba".
Questa clausola non è presente nel contratto di Alfonso Signorini e infatti "Barbarie" ha saccheggiato le storie legate al "Grande Fratello vip", come nel caso Zenga-Termali. A "Live - Non è la D'Urso" è andata ospite la prima moglie dell'ex portiere dell'Inter, Elvira Carfagna, che ha sparato a zero contro Roberta Termali.
E poi le ospitate polemiche al figlio e al fratello di Walter Zenga. Insomma un intreccio di veleni e retroscena al fiele che hanno fanno imbufalire la Termali che poi si "vendicata" evitando l'invito di Signorini al "GF Vip".
Dunque, Barbara impasta la polemica, Alfonsina la pazza ne paga il fio. E' facile capire perché Maria De Filippi abbia voluto impedire alla D'Urso di montare la panna sulle sue storie: prima o poi scoppia un papocchio che porta guai, musi lunghi, vendette incrociate...
Renato Franco per il "Corriere della Sera"
La base del Pd perplessa, molti elettori sorpresi, un fiume di battute. L' uscita social di Nicola Zingaretti ha tenuto acceso per tutto il giorno il faro sul segretario del Pd per la scelta - a sorpresa - di scendere in campo a favore di Barbara D' Urso il cui programma ( Live-Non è la D' Urso ) dovrebbe essere chiuso in anticipo (causa bassi ascolti).
«In un programma che tratta argomenti molto diversi tra loro hai portato la voce della politica vicino alle persone.
Ce n' è bisogno!», twitta Zingaretti pro domo Barbara. E i commenti, caustici e sconfortati, sotto il profilo del segretario non si contano. C' è l' italianista: «Questo tweet è peggio dei congiuntivi di Di Maio». C' è l' esorcista: «Salvini esci da questo corpo!». C' è l' informatico: «Ma ti hanno hackerato il profilo?». C' è l' ecologista: «Elogiare chi fa tv spazzatura. Ma non si vergogna?». C' è il nostalgico: «Immagina se Berlinguer avesse detto la tua stessa frase nei confronti di un personaggetto di quegli anni, che so un Alvaro Vitali qualsiasi. Immagini la reazione degli iscritti?».
E poi c' è chi come Luca Bizzarri fa il comico di mestiere e ne stende due in un colpo solo: «Alle volte, nell' uso dei social, rivaluto Carlo Calenda». Insomma sembra avverarsi la profezia di Nanni Moretti, alla disperata ricerca di un segretario che dicesse qualcosa di sinistra. O dicesse almeno qualcosa... Il tweet viene commentato per tutta la giornata, primo in tendenza per parecchie ore, compare anche una foto di Carlo Guarino, il social media manager di Zingaretti, sorridente al mare con un gruppo di persone in compagnia di Barbara D' Urso. Che sia lui l' ispiratore o meno, la faccia (persa) è quella di Zingaretti che firma il profilo.
L' intervento del segretario del Pd non è arrivato per caso, ma nasce dopo la notizia di Dagospia che aveva prefigurato la chiusura anticipata di Live-Non è la D' Urso , il programma della domenica sera di Canale 5: «La notizia non passerà di certo inosservata: il discusso talk show alle prese con i bassi ascolti, tra il 10-12% fino a notte fonda, dovrebbe salutare il pubblico di Canale 5 addirittura tra fine marzo e inizio aprile: dalle parti di Cologno Monzese il vento sembra essere molto cambiato da qualche tempo. Si starebbe studiando una soluzione per evitare di far passare la chiusura come una sonora bocciatura per Carmelita. Promoveatur ut amoveatur ?».
La scelta, insomma, sarebbe meramente numerica: da troppo tempo il talk è sempre sotto la media di rete (che è intorno al 15% in prima serata) e in molti addetti ai lavori si chiedevano da tempo piuttosto come mai continuasse ad andare in onda nonostante il basso riscontro Auditel.
Uscita la notizia della probabile chiusura, la stessa conduttrice ha voluto smentire in diretta a Pomeriggio 5 le ricostruzioni rimbalzate sui social: «I siti dicono e scrivono cose che non sono vere, delle stupidaggini, ma non raccontano la vera verità giusto per scrivere un po' di cattiveria». I numeri però sono quelli e il tweet di Zingaretti sembra essere la conferma che il programma chiuderà in anticipo.
A difendere la conduttrice scende in campo anche Imma Battaglia con argomenti però fuori strada parlando di «sessismo». Un tema (in generale sacrosanto) ma che in questo caso fa alzare gli occhi al cielo per una conduttrice in onda sei giorni su sette con tre programmi ormai da anni, ai primi posti tra le conduttrici che passano più tempo in tv.
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