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primepaginequotidiani · 4 months ago
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PRIMA PAGINA Unita di Oggi martedì, 03 settembre 2024
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telodogratis · 2 years ago
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La badante che ruba il patrimonio di un'anziana e compra due case
La badante che ruba il patrimonio di un’anziana e compra due case
La donna e la figlia sono indagate per circonvenzione di persone incapaci e auto-riciclaggio Con scuse diverse, insieme alla figlia, nel tempo è riuscita a convincere l’anziana che assisteva a farle amministrare il suo patrimonio e aprire un conto cointestato. Poi, in fretta e furia, con quei soldi ha pagato i suoi debiti e&nbsp… Read MoreCronaca, CittàToday
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giancarlonicoli · 3 years ago
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27 set 2021 18:18
AVVOCATO DEL POPOLO O DEL SISTEMA? (SE QUESTO E' UN GRILLINO...) - “DOMANI” RICOSTRUISCE RELAZIONI, AMICIZIE E PRESUNTI CONFLITTI DI INTERESSE DI GIUSEPPE CONTE: AL VERTICE DELLA PIRAMIDE DELLA POCHETTE MAGICA C’È IL MENTORE GUIDO ALPA, MA ANCHE L'INSEPARABILE LUCA DI DONNA: INSIEME INCASSAMO MILIONI TRA ARBITRATI E CONSULENZE VARIE – I RAPPORTI CON CENTOFANTI E ALESSANDRO DI MAIO, LE RICCHE CONSULENZE PER L'ACQUA MARCIA DI BELLAVISTA CALTAGIRONE E RAFFAELE MINCIONE, L’AMICIZIA CON L’AVVOCATO CASSAZIONISTA FABRIZIO DI MARZIO E IL DUPLEX VECCHIONE-ARCURI
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Giovanni Tizian e Emiliano Fittipaldi per “Domani”
«Quando ho visto che Giuseppe Conte era stato scelto per fare il presidente del Consiglio, ho capito che il M5s come lo conoscevamo era morto: il sistema era riuscito a mettere alla leadership di un movimento antagonista un avvocato d’affari contiguo all’establishment, con l’obiettivo di normalizzarlo. Così è stato».
Ascoltare una fonte che lavora allo studio di Guido Alpa (vecchio mentore dell’ex premier), spulciare contratti riservati e documenti di concorsi universitari permette di analizzare meglio il fenomeno Conte.
E il percorso che ha permesso a un barone universitario semisconosciuto, con formazione democristiana e disponibile a chiudere fino al 2017 business milionari lavorando con professionisti condannati per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta, di diventare il capo assoluto di un partito giustizialista, nemico giurato dei poteri forti e difensore degli ultimi e dei dimenticati.
“L’avvocato del popolo”, fortunata invenzione di Rocco Casalino, è infatti un avvocato d’affari vecchia maniera, che spesso ha lambito conflitti di interessi plurimi (tanto invisi alla propaganda pentastellata) e frequentatore di salotti che appaiono lontani anni luce dagli ambienti del grillismo doc. Ancora oggi un pezzo dei Cinque stelle teme che la scelta di incoronare Conte nuovo leader sia stata un errore madornale, mentre molti s’interrogano su chi siano davvero i consiglieri dell’ex premier e quali i suoi referenti fuori dal partito.
Domanda che, in vista della riorganizzazione del M5s, si fanno sia i fedelissimi della sua corrente (tra loro ci sono, per ordine di influenza sul leader, Mario Turco e Rocco Casalino, subito dietro svettano Alfonso Bonafede, Vito Crimi, Paola Taverna e Stefano Patuanelli), sia i gruppi rimasti fedeli a Luigi Di Maio e a Beppe Grillo. Garante che solo tre mesi fa dava a Conte dell’assoluto incapace, perché privo di «visione politica e capacità manageriali», e che ha recentemente blindato il comitato di garanzia del M5s – in grado di sfiduciare lo stesso presidente – inserendo due antagonisti dell’ex premier come Virginia Raggi e Di Maio.
NEL REGNO DI ALPA
Partiamo dal vertice della piramide. Nel cerchio magico di Conte il più ascoltato resta Guido Alpa. I rapporti tra i due sono ottimi. La coppia si incontra a cena spesso e volentieri (spesso il mercoledì), dove discutono di alleanze (dal Senato raccontano che anche la presidente Maria Elisabetta Casellati qualche mese fa partecipò a un pranzo a tre) e prospettive politiche: Alpa non ci ha messo direttamente le mani, ma ha dato più di un consiglio anche nella stesura del nuovo statuto del M5s, pietra del rancore mai sopita tra il neopresidente e Grillo.
Quando Conte era a palazzo Chigi i rapporti erano diventati per motivi di opportunità meno frequenti, tanto che i due usavano come ufficiale di collegamento per messaggi e informazioni delicate lo sconosciuto Gabriele Cicerchia, da anni factotum dello studio Alpa, che Conte fece assumere nel suo staff di palazzo Chigi come «collaboratore del capo di gabinetto» Alessandro Goracci. Con uno stipendio da 75mila euro l’anno.
Durante il premierato, i legami hanno avuto anche dei bassi. A causa, dicono i maligni, del timore di Conte di essere associato ai gruppi di potere di cui il maestro è da sempre espressione. Nonostante il rapporto intimo sia stato per il giurista di Volturara Appula assai fecondo: diventato collaboratore preferito del numero uno di una grande scuola giuridica nazionale, ottenuto un ufficio personale nello studio di Alpa a piazza Cairoli, l’ex premier prima di entrare in politica ha accumulato incarichi accademici in progetti spesso curati da Alpa, che ne hanno propiziato la scalata all’università, le buone relazioni. E gli affari.
Tra i tanti, ricordiamo le consulenze da 400mila euro ottenute dal lobbista Fabrizio Centofanti e Francesco Gaetano Caltagirone per il concordato della società Acqua Marcia, finite al setaccio delle procura di Perugia e di Roma dopo le dichiarazioni di Piero Amara (Conte non è indagato, ma c’è un’inchiesta a piazzale Clodio per bancarotta fraudolenta ancora aperta).
Oltre la compravendita milionaria dell’hotel di Venezia Molino Stucky. Un affare dove l’integerrimo avvocato, di fronte a una ricca parcella, non disdegnò di lavorare fianco a fianco con un architetto già condannato per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta, il pregiudicato Arcangelo Taddeo, consulente con Conte del gruppo Marseglia che si accaparrò l’hotel a prezzi di saldo. Conte ha dato pareri anche al finanziere Raffaele Mincione – ex cliente di Alpa oggi imputato per corruzione in Vaticano – impegnato nella scalata Retelit.
Ma dissidi tra l’ex presidente del Consiglio e Alpa ci sono stati anche a settembre 2018, quando l’anziano docente sperava che il suo protegé prendesse la cattedra di diritto privato alla Sapienza di Roma che lui stava lasciando causa limiti d’età. Conte non ritirò la domanda nonostante fosse ormai diventato premier, ma fu costretto a sfilarsi dopo che la notizia del concorso, raccontata da chi vi scrive, fu rilanciata da alcuni media internazionali.
I conflitti di interesse erano tanti, e non riguardavano solo il nuovo status politico di Conte: presidente della commissione che avrebbe dovuto giudicarlo era stato infatti designato Enrico Del Prato, un ordinario che arrivò alla Sapienza grazie a una procedura selettiva vinta anni prima (presidente della commissione che lo premiò era Alpa), e che nel 2017 aveva indicato lo stesso Conte come presidente di un arbitrato milionario alla Camera arbitrale di Milano.
L’AMICO DI DONNA
Intrecci tipici del malcostume accademico italiano, da sempre stigmatizzati dai grillini ma, nel caso di Conte, giustificati o ignorati. Come il tema del merito: il nuovo capo politico non sembra intenzionato a ricorrere, nella struttura del partito che verrà, ai migliori e ai più capaci, ma ai fedelissimi dell’inner circle. Il Fatto Quotidiano ha ipotizzato che nel lancio della nuova scuola di formazione del M5s possa essere coinvolto l’avvocato Luca Di Donna, definito uomo «molto apprezzato dall’ex premier».
Non sappiamo se la nomina andrà in porto, ma certamente Di Donna – anche lui enfant prodige dello studio Alpa – è uno degli amici più cari del neopresidente grillino. «Conte, Di Donna e Guido formano una triade indissolubile», chiosano dallo studio del maestro, da dove Conte ha attinto anche per l’assunzione del 29enne Andrea Benvenuti, suo ex segretario particolare a palazzo Chigi.
Anche Di Donna entrò giovanissimo nelle grazie dell’anziano giurista, che prima lo volle come allievo, poi collaboratore di studio. Anche oggi i due sono inseparabili: il nuovo ufficio di Di Donna è a un piano di distanza da quello di Alpa, sempre a piazza Cairoli a Roma.
Un’amicizia che ha portato fortuna: Di Donna, come Conte, ha bruciato tutte le tappe accademiche ed è diventato a poco più di 40 anni ordinario di diritto privato europeo alla Sapienza. Un record, nonostante qualche invidioso creda che le sue pubblicazioni scientifiche non giustifichino una carriera così veloce e brillante.
Certamente non la pensava così l’ex sottosegretario Sandro Gozi, che lo volle come suo consigliere giuridico nel 2016-2018 nel dipartimento dove lavorava, come segretario di Gozi, anche Mario Benotti, il giornalista indagato per traffico di influenze per aver ottenuto una mega provvigione milionaria intermediando tra il commissariato straordinario per l’emergenza Covid guidato al tempo da Domenico Arcuri e alcune aziende cinesi di mascherine, che ottennero una commessa superiore al miliardo di euro. «Mai conosciuto Di Donna», dice Benotti a Domani.
L’amico di Conte ha rapporti amicali con Luigi Bisignani, e con un pezzo importante dei salotti che contano. La nuova rettrice della Sapienza, Antonella Polimeni, lo stima così tanto da avergli affidato la responsabilità degli Affari legali dell’ateneo. In attesa di possibili incarichi nel M5s (che lui smentisce ai suoi amici), a gennaio 2021 l’ex ministro Bonafede lo ha nominato presidente della commissione di esami di avvocato a Roma, su proposta dell’ordine degli avvocati di Roma.
Di Donna cura con grande attenzione anche il suo business: dal diritto societario ai contratti del settore delle scommesse, da arbitrati a consulenze varie, il suo conto in banca recentemente si è assai gonfiato. A Domani risulta che tempo fa la lussemburghese Pop 12 sarl di Mincione ha pagato a Di Donna una consulenza per Banca Carige circa 100mila euro, mentre altre 160mila euro sono arrivati da Condotte, una spa immobiliare finita in amministrazione straordinaria per cui il legale è consulente.
Soldi a palate sono arrivati anche da società finanziarie straniere (oltre 680mila dalla finanziaria bulgara BN Consulting) e da aziende specializzate in alimenti per neonati. Gli affari dell’amico del presidente vanno così a gonfie vele che in tre anni il secondo allievo prediletto di Alpa è riuscito, a leggere i documenti del catasto, a comprarsi tre meravigliosi appartamenti contigui nel centro di Roma di fronte a Castel Sant’Angelo: 374 metri quadri complessivi, per una spesa di oltre due milioni di euro.
Di Donna, sentito al telefono, spiega che per questioni di privacy non può parlare della sua clientela. Ma un’altra fonte a lui vicina dice che «i business di Luca sono tutti puliti e trasparenti, frutto solo del suo lavoro di avvocato. Conte? Non gli ha mai dato nulla, Di Donna s’è fatto da solo con lo studio e il sudore».
CERCHIO MAGICO
Gli amici che frequenta dell’avvocato del popolo, di certo, con il popolo inteso in senso grillino sembrano avere poco da spartire. Nell’entourage ristretto del presidente c’è un pezzo dell’establishment nazionale: l’ex capo dei servizi segreti Gennaro Vecchione, che ha perso il posto dopo i pasticci sul caso Mancini-Renzi ma resta fidato suggeritore del professore, l’ex commissario straordinario Arcuri, anche lui silurato dal governo Draghi dalle inchieste sulla struttura commissariale in seguito alla vicenda Benotti, l’ambasciatore Pietro Benassi ed Ermanno De Francisco.
Quest’ultimo è un magistrato amministrativo che Conte conobbe anni fa a casa del potente avvocato Andrea Zoppini, e che con Conte è diventato capo del dipartimento affari giuridici e legislativi di palazzo Chigi. Per la cronaca, De Francisco la settimana scorsa ha denunciato per calunnia Pietro Amara, dopo che i media hanno pubblicato un verbale dove l’ex legale dell’Eni lo cita tra gli appartenenti della fantomatica Loggia Ungheria.
Ma referenti di Conte sono diventati pure Gerardo Capozza, attuale segretario generale dell’Aci che lavora con il grillino per creare reti relazionali al sud, il padre della fidanzata Olivia (cioè il ricco immobiliarista Cesare Palladino, proprietario dell’hotel a 5 stelle Plaza) e l’aristocratico Giovanni Caffarelli, figlio di un duca e console onorario delle isole di Samoa. Proprietario di palazzi e negozi in via Condotti a Roma, Caffarelli è finito sui giornali per aver organizzato – con il suo comitato R3R Roma Tridente – proteste contro la sindaca Raggi per il degrado del centro storico della capitale.
Un affezionato di Conte è anche Alessandro di Majo, che lo scorso luglio Giuseppe ha imposto come membro del cda della Rai nonostante i mugugni di un pezzo rilevante dei parlamentari pentastellati che volevano eleggere, dopo una serie di colloqui interni, il professore Antonio Palma. Di Majo, infatti, non lo conosceva nessuno.
È però certo che è il figlio di Adolfo, noto civilista, ex collega di Alpa alla Sapienza e influente avvocato romano. Alessandro ha lavorato quasi sempre nello studio del papà, fino al gennaio del 2018, quando la famosa terza commissione del Csm (quella finita nella scandalo Palamara) lo nominò consigliere di cassazione per «meriti insigni».
Un incarico importante che a sorpresa Di Majo lasciò dopo meno di un anno con dimissioni irrevocabili che oggi qualche maligno imputa a screzi con la presidente della sezione tributaria Camilla Di Iasi, considerata giudice severa e integerrima.
Di Majo junior, che non ha mai preso l’abilitazione all’insegnamento universitario, ha però cambiato idea un’altra volta poche settimane dopo, provando a revocare le sue stesse dimissioni irrevocabili. Dopo il niet del Csm e del ministero di Giustizia, l’avvocato non si è arreso e di recente ha fatto addirittura istanza al Tar per farsi reinsediare. Ma ha perso.
Anche il Consiglio di stato nel 2020, in appello, gli ha dato torto. Il mistero sul perché delle dimissioni resta insoluto, così come il motivo per cui Conte nonostante il pasticcio abbia voluto a tutti i costi piazzare l’amico (che secondo la Stampa ha incredibilmente rifatto domanda al Csm per rientrare in Cassazione) nello strategico board della televisione di stato.
GEMELLI DIVERSI
Ma il vero gemello diverso di Conte si chiama Fabrizio Di Marzio, un avvocato cassazionista che frequenta l’ex premier da vent’anni, con intrecci relazionali che disegnano una ragnatela di rapporti finora sconosciuti. Se è già noto che i due sono co-direttori della rivista Giustizia Civile edita da Giuffrè e che, come scoprì Domani, l’ex socia di Di Marzio, l’avvocato Giuseppina Ivone, fu assunta insieme a Guido Alpa e Conte dall’imprenditore Fabrizio Centofanti per alcune consulenze per il concordato Acqua Marcia, in pochi sanno che Di Marzio è diventato da poco professore ordinario all’Università di Chieti-Pescara.
Un sogno diventato realtà al fotofinish, dopo che l’abilitazione a professore di prima fascia presa nel 2013 stava per scadere. Nell’ottobre del 2019 l’amico di Conte ha infatti vinto una procedura selettiva sconfiggendo altri agguerriti concorrenti. Presidente della commissione giudicatrice è stato Claudio Scognamiglio, professore a Tor Vergata e direttore di una delle aree di Giustizia Civile, il giornale diretto da Conte.
Ciascun commissario, Scognamiglio compreso, ha dichiarato «la non sussistenza di collaborazioni (con i vari candidati, ndr) che presentino i caratteri della sistematicità, stabilità, continuità tali da dar luogo a un vero sodalizio professionale», come si legge nei verbali del concorso. Scognamiglio non ha dunque ritenuto rilevante il fatto che il candidato che doveva giudicare fosse il capo della rivista scientifica di cui lui è direttore d’area.
Di Marzio, sentito al telefono, dice: «Nessuna inopportunità: io e Claudio non abbiamo mai avuto nessun tipo di rapporto economico. Conosco centinaia di colleghi con cui ho lavorato o scritto libri e pubblicazioni: con questo ragionamento mi sarebbe impossibile partecipare a un concorso».
Il rischio di conflitti di interesse riguarda però anche altre evidenze: Renato Scognamiglio, papà di Claudio, è stato uno dei primi maestri di Conte, co-direttore (seppur autosospesosi tra giugno 2018 e febbraio 2021) con Di Marzio. Mentre qualche mese dopo la promozione di Di Marzio, risulta che Conte abbia piazzato Andreina Scognamiglio, sorella di Claudio, come membro della Commissione nazionale sulle grandi opere. Oltre a lei l’ex premier ha nominato nell’organismo il capo della protezione civile Fabrizio Curcio e Rosaria Giordano, una ex collaboratrice del suo staff a palazzo Chigi e, ça va sans dire, tra gli animatori della rivista.
Questioni di opportunità ed etica pubblica, nonché guerre alle baronie universitarie, sono state per anni alla base della propaganda grillina. Ma a Conte si perdona tutto. Amici comuni sostengono che l’ex premier avesse promesso a Di Marzio nientemeno che il posto di segretario generale a palazzo Chigi, e che il neoprofessore sia rimasto dispiaciuto per aver avuto nel 2020, su nomina diretta del solito Bonafede, solo una poltrona (comunque prestigiosa) nel comitato direttivo della scuola superiore della magistratura.
Una posizione per cui Di Marzio nel 2016 aveva già fatto domanda, ma che il Csm gli aveva negato. «Conte non mi ha mai promesso nulla. Certo, mi stima molto: sono certo che se avessi chiesto qualcosa, l’avrei ottenuta. Ma ho preferito fare il giudice e non entrare nell’amministrazione pubblica», ragiona il professore.
Tornando a Centofanti, l’Espresso pubblicò qualche mese fa un video dove era in compagnia di Conte e Di Marzio a un vernissage. Il lobbista, che ha da poco patteggiato 1,6 anni di carcere per corruzione nell’inchiesta su Palamara, conferma di conoscere assai bene il presidente del movimento.
«Ho frequentato Conte sia prima sia dopo avergli dato la consulenza in Acqua Marcia da 400mila euro. Per cinque anni lui e Di Marzio mi hanno fatto organizzare gli eventi della loro rivista. Loro non mettevano un euro: io guadagnavo solo se trovavo gli sponsor per i loro meeting. Una volta Conte mi ha anche chiesto di fare un convegno al Gran Hotel Plaza. All’inizio non capii perché. Solo dopo ho saputo che era l’albergo era del “suocero” di Conte».
In effetti, una fattura ottenuta da Domani evidenzia che la società Cosmec di Centofanti ha sborsato al Plaza dei Palladino circa 8mila euro per l’affitto di una sala per un convegno di Giustizia Civile intitolato “Concisione e sobrietà negli atti giudiziari”. Era il 5 maggio 2017: Conte non si privò dell’aiuto dell’imprenditore nonostante il nome dello stesso fosse uscito un mese prima su tutti i giornali perché indagato e perquisito per corruzione nell’ambito dell’inchiesta che porterà i magistrati sulle tracce di Amara.
La presenza di Di Marzio e Conte al vernissage del 2021 non è casuale: oltre alle riviste giuridiche e alle relazioni, la coppia di amici ha in comune la medesima passione per l’arte. Di Marzio, soprattutto, ha un debole per la pittura: artista a tempo perso, da anni organizza mostre personali grazie all’amico Matteo Smolizza, un gallerista che ha curato anche la pubblicazione del catalogo delle opere dell’ex magistrato di Cassazione (ma Di Marzio fu pure giudice fallimentare a Roma). Titolo: “Paradise”.
Smolizza è titolare della casa d’aste Bonino, che – scopriamo – ha lavorato spesso insieme alla ex socia di studio di Di Marzio, la Ivone, anche lei nel comitato scientifico di Giustizia Civile. Come nel fallimento del gruppo Angelini. Ma anche nel concordato Acqua Marcia il mercante d’arte si è trovato consulente. Il suo compito è stato quello di mettere all’asta quadri e mobili degli hotel siciliani a cinque stelle un tempo gestiti da Bellavista Caltagirone e Centofanti.
Il lobbista dice di non conoscere Matteo. Ma certamente conosce assai bene il di lui padre Aldo Smolizza, che fu consulente al personale di Acqua Marcia prima del crac. Smolizza senior fu infatti dirigente della Croce rossa, l’ente di volontariato in cui Centofanti iniziò la sua carriera.
Domani ha scoperto che Aldo è stato condannato di recente dalla Corte dei Conti, insieme all’ex commissario della Croce Rossa Maurizio Scelli, a risarcire in solido un danno erariale da ben 900mila euro. Chi ha difeso in questi anni Smolizza nei vari procedimenti davanti ai magistrati contabili? Naturalmente Guido Alpa e Giuseppe Conte: per gli amici degli amici si fa questo e altro.
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gazzettadimodena · 5 years ago
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Il calciatore avrebbe pagato un uomo con 2 mila euro per la bravata che è diventata un video virale https://ift.tt/2YHbfAv
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giancarlonicoli · 4 years ago
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16 apr 2021 19:33
BUON COMPLEANNO N.80 AL GRANDE MUGHINI - “LA PORNOGRAFIA? VORREI BEN VEDERE CHE A UNO NON PIACESSE FAR SCORRAZZARE LA SUA IMMAGINAZIONE EROTICA” - “SE INCONTRASSI DOMANI ADRIANO SOFRI, GLI DIREI: ‘MI RIPETI GLI INSULTI CHE MI HAI RIVOLTO UN ANNO FA?’. DOPODICHÉ, OVE LUI LO FACESSE, GLI FAREI FARE IL GIRO DI PIAZZA NAVONA A CALCI IN CULO” - "ERRI DE LUCA È STATO LEALE PERCHÉ QUANDO LORO, A COMINCIARE DAL RETORE MASSIMO GAD LERNER, DICEVANO “CHE COSA C’ENTRIAMO NOI CON L’ASSASSINIO DI CALABRESI”, LUI HA INVECE DICHIARATO: “CHIUNQUE DI NOI AVREBBE VOLUTO AMMAZZARE CALABRESI”
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Gianmarco Aimi per www.rollingstone.it
Scrittore, giornalista, opinionista, conduttore tv. Nessuno di questi termini è in grado di esaurire quel che rappresenta Giampiero Mughini per il panorama culturale del nostro Paese. Ce n’è solo uno che si avvicina allo scopo.
E nonostante in pochi attualmente amino vederselo attribuire, lui ne va particolarmente fiero: «Sono un intellettuale dall’età di 19 anni». Oggi che di candeline ne spegne 80, lo è più che mai. Così come un amante insaziabile dell’arte. Nella sua casa romana, infatti, conserva gelosamente 25mila libri (moltissimi antichi), oltre all’oggettistica più svariata: dalle tavole originali di fumetti storici a vinili rarissimi, fino ai mobili simbolo del design made in Italy.
Come funziona una terapia psichedelica con l'Lsd oggi?
Per questo c’è chi considera la sua abitazione nel quartiere di Monteverde un museo (definizione che lui non ama), anche se sarebbe più corretto presentarla come un tempio. Al culto dell’arte in ogni sua forma ed espressione ha dedicato l’intera esistenza, così come tutti i soldi che ha guadagnato.
Non a caso, nella lunga chiacchierata che ci ha concesso, a un certo punto ammette: «In questo momento sul conto corrente ho diecimila euro. Ma solo in vista del prossimo acquisto». Ricordando che ha incassato tanto perché «ritengo di valere molto e quindi chiedo di essere pagato al meglio possibile», la stima in qualche milione di euro dedicato al collezionismo è presto fatta.
Ma non c’è nessun rimpianto nei suoi ricordi. Neppure quando ripercorre le conseguenze dell’abiura al comunismo con il libro Compagni, addio: lettera aperta alla sinistra, che lo portò ad essere etichettato come «un intellettuale borghese» – quindi allontanato da certi salotti – oppure le critiche durissime ricevute per le numerose apparizioni televisive, dal Maurizio Costanzo Show a Controcampo.
E persino sull’omicidio del commissario Calabresi, nonostante in molti preferiscano ancora tacere, rimane uno dei pochi ad aver cercato di comprendere meglio una delle pagine più nere della storia italiana.
E se oggi incontrasse Adriano Sofri, di certo sarebbero ancora scintille: «Lo ritengo uno dei talenti della mia generazione, ma dopo averlo scritto mi ha insultato. Per cui lo prenderei a calci in culo facendogli fare il giro di Piazza Navona».
Qual è il suo primo ricordo d’infanzia?
Quello di un bambino molto timido. Figlio di genitori separati quando avevo 6-7 anni, in un’epoca in cui non era usuale come oggi. Un bimbo che ha vissuto nella famiglia dei nonni, con mia madre.
Una famiglia di una borghesia fortemente impoverita. I miei cuginetti avevano un apparato di benessere che noi avevamo perso. In più, ero anche fisicamente esile, quindi con tutte le stimmate di uno che non se la passava granché bene.
Che cosa ha poi formato il suo carattere?
Lo sport, che ho iniziato a praticare verso i 13 anni. Sport agonistico in un campo duro come la ginnastica attrezzistica.
È stato il momento formativo essenziale della mia vita. Mi ha fatto comprendere che ti devi far valere, che le sfide si affrontano lealmente, che stringi la mano all’avversario prima e dopo la gara e che talvolta vinci ma talvolta puoi anche perdere. Tutto quello che so l’ho imparato lì. A scuola invece un bel niente.
Come mai?
Ho frequentato un “liceo bene” della mia città, visto che i miei genitori pensavano ne valesse la pena. Era gestito da sacerdoti e l’ho definito in seguito l’Auschwitz della mia gioventù.
Suo padre era originario di Marradi, il paese toscano di Dino Campana. Per caso c’è qualche relazione con il poeta?
La casa di mio padre distava 60 metri da quella della famiglia di Dino Campana. Un giorno uno studioso mi ha chiamato per dirmi che, da un certo documento che lui aveva in mano, risultava che Dino Campana avesse dettato i versi del suo poema a un certo Mughini che batteva a macchina.
Quel Mughini, a quanto pare, ogni tanto sbagliava e Campana si infuriava terribilmente. Tenendo conto che i Canti Orfici sono del ’14, mio padre avrebbe avuto 15 anni.
Lui diceva di aver sostenuto il poeta nel pubblicare il libro, ma io non penso affatto che sia andata così. A casa di papà i Canti Orfici non c’erano, e a me pare improbabile che a quell’età mio padre avesse del denaro da donare per realizzare quell’opera.
Che uomo è stato suo padre?
Era un sovrano nel suo lavoro. Quando è morto a Catania, un’intera pagina del quotidiano La Sicilia venne dedicata ai necrologi in sua memoria. Lui era stato fascista, e a casa ricordo i libri dell’edizione completa Hoepli delle opere di Mussolini.
Quindi dai 15 ai 17 anni il mio panorama librario era: zero libri dai miei nonni materni e a casa di mio padre solo quelli su Mussolini. Mio nonno, che era stato un ardente comunista, aveva relegato in soffitta quattro-cinque libri che ho poi recuperato, fra i quali le conversazioni di Palmiro Togliatti con Maurizio e Marcella Ferrara. Molti anni dopo, io scriverò un libro-intervista con Maurizio Ferrara, il padre di Giuliano, che si intitola Da Ferrara con furore.
Quindi lei venne influenzato più dal nonno che dal papà, almeno inizialmente, nelle convinzioni politiche?
Niente affatto, io sono stato influenzato solo da me stesso. Il nonno era un comunista retorico, carducciano. Non era un intellettuale, gli piacevano le donne.
Dietro al suo tavolo da lavoro aveva dei ritratti in rame di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Gramsci. Dopo il XX Congresso del Pcus tolse il ritratto di Stalin e sulla parete restò una macchia incancellabile.
Lei si è detto spesso molto lontano dalle sue origini siciliane.
Io sono italiano, non siciliano. Vivo da cinquant’anni a Roma, tifo per una squadra di Torino e il 90% del mio lavoro ha avuto a che fare con giornali, case editrici e reti televisive di Milano. E non c’è altro da dire.
Forse si sente più parigino, avendo partecipato in quella città alle manifestazioni studentesche del ’68?
Esatto, è la terza città della mia vita, o forse la seconda dopo Roma. Ci ho vissuto due anni da laureando in Lingue e letterature straniere con specializzazione in francese. È stata la città che ho amato fin da quando, a vent’anni, ho cominciato a leggere libri. I libri sono stati il perno decisivo della mia vita.
Come si spiega che oggi in molti rifiutino di definirsi intellettuali?
Uno che è idraulico rifiuta la parola idraulico? Non credo. Uso la qualifica di intellettuale esattamente come userei quella di idraulico. Ma non che sia meglio essere intellettuale che idraulico, per carità.
Mentre invece non mi sono mai sentito giornalista, pur avendo lavorato e collaborato a metà dei giornali italiani. Alcuni attribuiscono valenze negative all’essere intellettuale: uno che ha la testa fra le nuvole, vede tutto in modo astratto o attacca pippe all’umanità su qualsiasi argomento. Io apro bocca solo quando mi pagano per sapere come la penso.
L’immagine che le rimane impressa di quel ’68 parigino?
Era la notte delle barricate, c’era un ragazzo che distribuiva le bottiglie molotov e mentre lo faceva mi passò davanti e mi sorrise. Eravamo tutti e due attori di una pièce teatrale. Io non le presi quelle bottiglie perché non le sapevo usare, utilizzai invece dei sassi da lanciare, per i quali chiedo ancora scusa alla polizia francese.
Va ricordato che, dopo quella notte, duecento poliziotti francesi colpiti dai pavés che piovevano dal quarto o quinto piano di rue Gay-Lussac non furono in grado di tornare mai più al lavoro. Lo dico perché sono un intellettuale e dunque devo tener conto di tutto.
Poi è arrivato a Roma con poche lire in tasca.
Da Parigi sono tornato a Catania nel dicembre del ’68 e ho contato i giorni per fuggirne via. La sera del 5 gennaio 1970 sono sbarcato alla stazione di Roma con cinquemila lire in tasca.
E poco dopo diventa direttore responsabile di Lotta Continua.
Non so perché lei sottolinei un fatto talmente marginale della mia vita. Ho offerto la mia firma di direttore responsabile di alcune loro pubblicazioni perché era giusto che uscissero e andassero in edicola.
Per avere offerto quella firma ho sofferto 26 processi e tre condanne, e mi sono anche pagato le spese processuali. Detto questo, dovessi rifarlo domattina lo rifarei senz’altro.
Su questo si è già espresso molto, ma se oggi incontrasse Adriano Sofri di persona in giro per Roma, che cosa gli direbbe?
Premetto che non credo che lui sia stato uno degli organizzatori dell’assassinio, perché lui in quel momento stava a Napoli. Beninteso, sapeva benissimo quel che i suoi “compagni” stavano architettando.
E quando, la mattina del 17 maggio 1972, la notizia del riuscito agguato arrivò alla redazione romana del quotidiano a via Dandolo, è come se ce l’avessi innanzi agli occhi la discussione che ne seguì, se rivendicare le due pallottole alla testa e alla schiena del commissario trentatreenne o farne un elogio più soft.
Prevalse la seconda ipotesi, e Sofri venne incaricato di scrivere quella porcata in prima pagina, che la classe operaia si sarebbe rallegrata di quelle due pallottole. Detto questo, reputo Sofri uno dei talenti intellettuali della mia generazione, assieme a Paolo Mieli, Ernesto Galli della Loggia e Massimo Cacciari.
Questo giudizio l’ho scritto un anno fa sul Foglio, e all’indomani Sofri mi riempì di insulti tra i più beceri su quello stesso quotidiano. E dunque, se lo incontrassi domani, gli direi: “Mi ripeti gli insulti che mi hai rivolto un anno fa?”. Dopodiché, ove lui lo facesse, gli farei fare il giro di Piazza Navona a calci in culo.
Perché dopo tanti anni c’è ancora questo risentimento?
Lui mi vive male perché sa che, a differenza di altri, a me non la può raccontare. Lo so a puntino quel che eravamo e quel che erano loro. Da Lotta Continua venne Prima Linea, un’organizzazione criminale del terrorismo rosso non inferiore alle Br.
Lui la racconta costantemente ai 25-30mila adoranti ex militanti di Lotta continua tuttora impegnati nel rammemorare quelli che ritengono essere stati gli anni memorabili della loro vita, A loro sì, a me no: perché c’ero.
Lo scrittore Erri De Luca era a capo del servizio d’ordine di Lotta Continua. Secondo lei come mai non ha ancora deciso di fare i nomi?
Eppure, De Luca è stato leale perché quando loro, a cominciare dal retore massimo Gad Lerner, dicevano “che cosa c’entriamo noi con l’assassinio di Calabresi”, lui ha invece dichiarato: “Chiunque di noi avrebbe voluto ammazzare Calabresi”.
Come ha ricordato, lei ha scritto per moltissime testate giornalistiche. Poi, però, ha rotto con tutti. Perché a un certo punto sbatte la porta?
Il giornalismo è un lavoro in cui è coinvolta la tua anima. Beninteso, può succedere di scrivere su un giornale di cui non condividi la linea: una cosa è quello che tu scrivi, un’altra quelli che ti scrivono accanto. Per dirne una, una quindicina di anni fa mi telefonò Vittorio Feltri per chiedermi di collaborare al suo Libero.
Gli risposi che la mia posizione era diversa da quella del suo quotidiano. Al che lui mi disse: “Ma che c’entra, scriverai quello che vuoi, punto e basta”.
E difatti collaborai a lungo a Libero, peraltro pagato benissimo. A un certo punto pensai che fosse impossibile continuare a scrivere su un giornale i cui lettori si aspettavano tutt’altro da quello che io pensavo e scrivevo.
Mi sembra una costante quella degli ottimi pagamenti…
Penso di valere molto nel mio campo, e quindi chiedo di essere pagato al meglio possibile. C’è qualcosa di strano? Detto questo, tutte le volte che mi sono congedato da un giornale ho rinunziato a un reddito certo senza avere un’alternativa e senza pensarci un attimo.
Per esempio?
Ho cominciato a fare il giornalista professionista a Paese Sera, che era un giornale comunista. Ma io comunista non lo sono mai stato un istante della mia vita, e questo rendeva le cose difficili. Io ero adibito alla curatela della terza pagina e un giorno arriva un pezzo del corrispondente del giornale di Parigi che aveva fatto un’intervista a François Mitterrand e voleva che venisse titolata più o meno così: “Mitterrand sì che è marxista a differenza di Craxi”.
Ora, di Mitterrand si può dire che sia stato di tutto, ma marxista non un solo giorno della sua vita. E dunque ho cominciato a gridare che non era possibile mettere un titolo così idiota oltre che falso, e questo finché il direttore, che era un mio amico, non mi ha chiesto di mettere quel titolo come un favore personale nei suoi confronti.
Solo che la tensione tra lui e me continuava, e a un certo punto ci ho messo due minuti a scrivere la mia lettera di dimissioni dal giornale. Era il settembre del 1978, non ero più un ragazzo e non sapevo come avrei pagato le bollette di casa il mese venturo.
Poco dopo arriva la tv. Qui il rapporto è ben diverso rispetto ai giornali. Come mai?
Perché la tv non ti chiede l’anima, e forse è giusto così. All’inizio ho fatto delle cose fra le più belle della mia vita. Su Rai 2 in prima serata sono molto fiero del documentario Nero è bello: ecco, lì l’anima ce l’ho messa, eccome.
È stata la prima volta che in tv i ragazzi appartenenti alla destra missina e rautiana venivano trattati in modo non offensivo, come tipi che avevano tre narici. Pino Rauti, prima che andasse in onda il documentario, mi fece mandare una lettera di diffida dall’avvocato.
Ma, dopo che fu trasmesso, mi spedì una lettera personale dicendo: “La stimo, lei è un avversario, ma leale”. Tanto che sono rimasto amico della sua famiglia pur dopo la sua morte.
La critica, però, non le ha mai perdonato di partecipare a trasmissioni popolari, come il Maurizio Costanzo Show o Controcampo.
Le trasmissioni televisive che amo frequentare sono esattamente le trasmissioni popolari, quelle che dietro la telecamera hanno l’Italia reale e non quelle delle conventicole o dei clan.
Le trasmissioni dove vai incontro all’attesa e al giudizio al minimo di 500-600mila persone, al massimo di 4-5 milioni di persone. Fa differenza rispetto ai libri del tenore saggistico che è il mio, libri che quando arrivi a venderne cinquemila copie è un gran risultato.
Cosa ha imparato nel frequentare così tanta televisione?
Mi sono divertito come raramente altre volte nel Controcampo condotto da Sandro Piccinini, la più bella trasmissione televisiva italiana mai dedicata al calcio. Il calcio è il più gran romanzo popolare italiano.
“Ma volete paragonare il calcio al teatro?”, diceva Carmelo Bene, e voleva dire che il calcio è cento volte più teatrale dello stesso teatro. Quanto al Costanzo Show, ci sono stato in tutto novanta volte, e ogni volta era una gran commedia umana di volti e di personaggi, con Maurizio che bastava mi lanciasse un’occhiata e io capivo che quello era il momento di mettere becco. Tra parentesi, io non scrivo mai di tv perché non sarebbe elegante parlare di gente con cui ho lavorato, di quelli che sono stati i miei compagni sul palco televisivo.
Perché la criticavano, secondo lei?
Perlopiù chi scriveva di televisione lo faceva per insultarmi. Dapprima Beniamino Placido, che pure era stato un mio amico, e per tanti anni Aldo Grasso, lui non più adesso.
Grasso non ho mai capito perché, dato che quello che lui scrive di tv e del mondo io lo condivido al 99%, tranne quell’un per cento residuo, essendo costituito dagli insulti che un tempo mi rivolgeva. Una spiegazione alla sua domanda però c’è….
Quale?
I rapporti correnti fra i giornalisti e gli intellettuali sono rapporti al confronto dei quali i cannibali sono dei vegani. Siccome conosco tutti per il diritto e per il rovescio, so bene quali miserie di invidia e di rivalità ci sono dietro certe apparenti schermaglie intellettuali. Roba talvolta da fogna.
Se è per questo, io non scrivo mai un articolo contro qualcuno. Se un libro non mi piace non lo leggo, se un film non mi piace non lo vado a vedere, se una trasmissione televisiva non mi interessa non la guardo. Di tanti film italiani odierni ambientati in un condominio popolare non scriverei mai una riga, dei film di Clint Eastwood cento e cento volte.
Oggi d’altronde i giornali non pagano più come un tempo. Sarà per quello che il clima si è ancor più incattivito?
Un giorno mi chiamano da un quotidiano per dirmi che avevano piacere a che io collaborassi al loro giornale. Viene a casa mia il vicedirettore, al quale rispondo che mi farà molto piacere scrivere sul loro giornale, al quale avevo già collaborato in passato.
Quanto alla retribuzione, gli faccio presente che c’è il precedente costituito da quella collaborazione, pagata 1000 euro a pezzo. Non s’è mai più fatto sentire. Con i budget dei giornali di oggi, era grasso che cola se mi avesse offerto 150 euro a pezzo. Mai più sentito, mai più una sua parola, mai più una sua spiegazione.
Ormai mancano anche le buone maniere?
Solo che le buone maniere sono l’essenza del vivere civile, altrimenti che cosa ti differenzia dai selvaggi? Dell’ideologia puoi fare a meno tranquillamente, delle buone maniere no.
Un po’ come l’arte, che lei colleziona in ogni sua forma. Però recentemente ha venduto la sua amata collezione sui Futuristi, come mai?
È stato un lutto. Era trent’anni che li collezionavo e li leggevo, però il rapporto con quel mondo si era esaurito. I libri futuristi erano inerti sugli scaffali e mi sono detto: vendo la collezione e nel farlo gli do una nuova identità. Infatti gli amici della libreria Pontremoli hanno realizzato un catalogo che è uno dei più bei libri che portino la mia firma.
Un volume palpitante di storia della cultura e dell’avanguardia italiana. I soldi che ho ricavato li ho usati quasi tutti in una nuova passione collezionistica, il libro d’artista. Detto questo, il lutto rimane.
Riesce a quantificare quanto ha speso per l’arte nella sua vita?
Ho speso tutto quello che ho guadagnato, tutto. Sul conto corrente in questo momento ho diecimila euro, ci sono momenti in cui ne ho tremila.
Ho speso tutto per le mie varie collezioni. I libri rari del Novecento, le tavole originali degli illustratori a fumetti, i vinili del progressive-rock, i mobili del design italiano anni Cinquanta. Avendo lavorato molto ed essendo stato pagato molto bene il più delle volte, ho speso cifre importanti. Milioni e milioni di euro negli anni. Beninteso, dopo aver pagato al fisco ogni volta la metà del mio reddito imponibile, tanto che figuro come uno dei migliori centomila contribuenti italiani.
E quando lei non ci sarà più, che ne sarà di tutte queste collezioni?
Ho pregato Michela, che l’anno scorso è divenuta mia moglie, di vendere tutto ciò che mi appartiene nelle ventiquattr’ore successive alla mia dipartita. E con i soldi ricavati di farsi tanti di quei viaggi per il mondo che lei ama tanto.
Non aspira a lasciare in eredità un museo?
Ma che dice? I collezionisti ricchi lasciano di che fare delle Fondazioni, ma io non sono ricco nemmeno un po’. Detto questo, preferisco che i miei libri rari vadano a un privato che li ami quanto li ho amati io anziché andare a marcire nello scantinato di una qualche biblioteca pubblica.
Quando ho venduto i miei libri futuristi, ho voluto che la libreria Pontremoli vendesse a quattromila euro e non uno di meno la mia copia con dedica de La cucina futurista di Marinetti e Fillia.
Il pomeriggio che nella libreria Pontremoli venne presentato il catalogo della mia collezione, ho conosciuto il ragazzo che aveva comprato quel libro e non aveva affatto l’aria di essere un gran riccone. Ricordo disegnata sul suo volto la gioia dell’avere quel libro che probabilmente aveva acquisito non senza un qualche sacrificio. Ecco, spero che quella stessa gioia sia sul volto di tutti quelli che un giorno compreranno il ben di dio che io ho raccolto in tanti anni. E che sarà l’oggetto del mio prossimo libro che si intitola: Quel che resta di una vita.
Come mai ha deciso di sposarsi soltanto adesso?
Perché altrimenti Michela avrebbe dovuto pagare un fottio di tasse su tutto quello che è mio e che andrà a lei. Detto questo, il matrimonio non ha cambiato di una virgola il nostro rapporto, le nostre giornate. È solo una forma di tutela contro le angherie della burocrazia. Perché se sei moglie erediti e paghi poche tasse, se sei solo compagna invece no. A proposito di burocrazia le racconto un aneddoto…
Volentieri.
Quando dovevo sposarmi, ho chiesto un certificato di nascita al Comune della città dove sono nato, Catania. Solo che su questo certificato c’era scritto “Gianpiero” anziché il “Giampiero” che io sono. Perché correggessero la “n” in una “m” c’è voluto un anno intero. Delinquenti. Altro che i mafiosi, quelli almeno rischiano la vita per essere i delinquenti che sono.
Com’è stato il suo rapporto con le donne?
Altalenante, talvolta drammatico, in altre quanto di più sollecitante. È un discorso complicato. Ho imparato tanto dallo sport, tutto il resto dalle donne. Con un’ambivalenza costante fra inferno e paradiso. Con Michela, no. Inferno non ce n’è stato mai, o forse sì: una volta, e per colpa mia.
È fedele nei rapporti di coppia?
No, non è che in trent’anni io sia stato monogamo al cento per cento, se è questo cui lei allude. Sì, ci sono state altre avvisaglie femminili, tentatrici la loro parte. È umano che sia così.
Però lei è forse uno dei pochi intellettuali che candidamente ammettono di apprezzare e di usufruire della pornografia.
Vorrei ben vedere che a uno non piacesse fare scorrazzare la sua immaginazione erotica. Le ricordo che gli utenti della pornografia sono al 50 per cento uomini e al 50 per cento donne. Su questo terreno è bravissima Barbara Costa, una delle ragazze più intelligenti che abbia mai conosciuto, la quale ne scrive intelligentemente su Dagospia.
Fra non molto conosceremo anche il nuovo Premio Strega. Lei segue il dibattito che ogni volta si accende intorno a questa manifestazione?
Assolutamente no. I premi letterari, ma come si fa a parlarne? Come parlare del Nobel quando non è mai stato dato a Philip Roth. Come parlare del Goncourt che un certo anno non venne dato a Céline. Le persone serie non parlano di premi letterari e non li commentano. Beninteso, faccio i miei migliori auguri a quelli che li vincono. Quando ero giovane ho vinto parecchi premi, vuole sapere perché?
Sono curioso di saperlo…
C’è stato un momento in cui ero vicino intellettualmente al partito socialista craxiano. Partecipavo alla realizzazione di Mondo Operaio, la più bella rivista politica degli ultimi anni ’70 e dei primi ’80. Così, una volta mi hanno dato il premio Saint-Vincent per il giornalismo, ma solo perché in giuria c’era il socialista Vittorio Emiliani, che era amico mio.
Un’altra volta ricevetti un premio letterario per Compagni addio, e questo perché lo sponsor era un socialista. Da allora, non ho mai più vinto un premio. E dire che, in fatto di libri, non c’è alcun dubbio che il mio ultimo, Nuovo dizionario sentimentale, sia uno dei più belli tra quelli scaturiti dalla mia generazione.
Qual è la classifica personale dei suoi libri migliori?
Nuovo dizionario sentimentale, l’ho detto. Poi A via della Mercede c’era un razzista. Lo strano caso di Telesio Interlandi, che ho ripubblicato tale e quale un paio d’anni fa. E ancora Che belle le ragazze di via Margutta del 2004, così come In una città atta agli eroi e ai suicidi: Trieste e il “caso Svevo” del 2011, ma anche La collezione, che ho pubblicato da Einaudi nel 2009 e che è stato il primo dei tre o quattro miei libri centrati sulla bibliofilia. Se è per questo, so anche qual è il più brutto dei 33 che ho pubblicato…
A questo punto ce lo potrebbe confessare.
Un romanzo scritto quando la Rizzoli mi aveva sollecitato a farlo. Ho scritto una gran cazzata. Non tutti i miei amici sono di questo parere, ma io sì. Ogni tanto mi è tornata la voglia di dimostrare che sarei in grado di scriverne uno migliore di quello, però non ne vale la pena.
La mia vena è quella della saggistica narrativa, i libri in cui le idee e i fatti assumono la valenza di un romanzo pur essendo fatti assolutamente reali e accaduti esattamente in quel modo. Come avviene ad esempio nel capitolo del Nuovo dizionario sentimentale dedicato ai gruppi terroristi dalle cui imprese nacque lo Stato di Israele.
So che della politica non parla volentieri, o sbaglio?
Per carità… ma vuole chiedermi se preferirei andare a cena con Matteo Renzi o con Giuseppe Conte?
Glielo volevo appunto chiedere…
Con Matteo Renzi tutta la vita. A parlare, per esempio, di quel suo recente viaggio negli Emirati Arabi. Renzi rimane l’ultimo politico che cattura il mio interesse. Poco tempo fa sono stato al Costanzo Show e c’era “la ducetta”, Giorgia Meloni, e devo dire che è molto brava. È lontanissima da me, però se la cava bene. Sono molto interessato da chi è diverso da me, sennò morirei di noia.
Però Giuseppe Conte non l’ha incuriosita, a quanto pare.
Quando sono stato ospite un paio di settimane fa della tv del Fatto, ho constatato che lì sono ancora a lutto per la caduta politica di Conte. Marco Travaglio, che è un ragazzo intelligente, porta proprio il lutto al braccio. Mi aspettavo che si mettesse a piangere. Parla uno che sa cos’è il lutto, il lutto per la morte di Leonardo Sciascia o per i miei libri futuristi che non sono più a casa mia.
Giampiero Mughini crede in Dio?
No, assolutamente no. Sono stato a scuola dai preti e probabilmente questo ha influito ha influito negativamente. È una favola che non mi ha mai detto nulla. Purtroppo, polvere siamo e polvere ritorneremo.
E ci ha mai pensato a come vorrebbe morire?
Nel sonno, tranquillamente. Me ne vado e tolgo il disturbo. E, beninteso, Michela deve dare la notizia un mese dopo, altrimenti, e nella sciagurata ipotesi che lassù ci fosse il paradiso, mi troverei nella sconcertante situazione di leggere uno di quegli articoli in morte dei giornalisti che sono scritti tutti con lo stampino, tutti eguali, tutti animati da una falsa commozione.
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giancarlonicoli · 4 years ago
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29 mar 2021 09:38
CHE HA SCRITTO RENZI NELL’AUTOCERTIFICAZIONE? - CI SONO MOLTE COSE NON CHIARE DELLA GITA DEL SENATORE SEMPLICE DI FIRENZE IN BAHREIN PER IL GRAN PREMIO DI FORMULA UNO: CI SONO STATI ANCHE INCONTRI POLITICI? HA PAGATO DI TASCA SUA O (PIÙ PROBABILE) È STATO INVITATO E OSPITATO? E DA CHI? - DI CERTO C’È CHE PER LUI NON CI SARÀ L’OBBLIGO DI QUARANTENA AL RIENTRO. I PARLAMENTARI SONO ESENTATI PER IL SOLO FATTO DI ESSERE TALI…
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1 – “È ANDATO PER TIFARE FERRARI. DEVE AVER EQUIVOCATO IL SENSO DI ZONA ROSSA” – MATTEO RENZI AVVISTATO AI PADDOCK DEL GRAN PREMIO DEL BAHREIN A PARLARE AMABILMENTE CON IL PRINCIPE SALMAN BEN HAMAD AL KHALIFA E CON JEAN TODT
https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/ldquo-nbsp-andato-tifare-ferrari-deve-aver-equivocato-265235.htm
2 – RENZI AL GP DEL BAHREIN SCOPPIA LA POLEMICA IL SENATORE: "I MIEI VIAGGI NON COSTANO AGLI ITALIANI"
Niccolò Carratelli per “La Stampa”
Il richiamo del deserto è troppo forte per Matteo Renzi. In pochi giorni è passato dalla sabbia di Dakar, in Senegal, a quella del Bahrein. Esattamente tre settimane dopo il weekend "segreto" a Dubai con l' amico Marco Carrai, svelato da La Stampa e ancora senza una spiegazione ufficiale, l' ex premier è tornato a trovare gli amici del Golfo.
Questa volta per assistere dal vivo al Gran Premio che ha inaugurato la nuova stagione della Formula 1. Trasferta inevitabilmente meno riservata, visto che è stato immortalato dalle telecamere della diretta tv, mentre passeggiava nel paddock, e dal presidente della Federazione di automobilismo, Jean Todt, in una foto pubblicata su Twitter.
Con loro anche il principe ereditario e primo ministro del Barhein, Salman ben Hamad Al Khalifa. Immediate le polemiche sui social, tra chi ha sottolineato l' inopportunità di volare in Bahrein per la Formula 1 "mentre c' è un intero Paese in zona rossa" e chi ha ironizzato sul fatto che la trasferta sia dovuta a "motivi di lavoro".
Se, accanto allo svago dei motori, ci siano stati anche incontri politici non è dato sapere. Come non è chiaro se Renzi abbia pagato di tasca sua il viaggio o, più probabilmente, sia stato invitato e ospitato. Dall' ufficio stampa di Italia Viva hanno solo precisato che «i viaggi di Renzi riguardano Renzi e non costano un centesimo al contribuente». Inoltre, «il senatore fa sapere che è abituato alle polemiche, ma che come sempre ha rispettato tutte le norme e domani sarà in aula a fare il suo lavoro».
Per lui, infatti, niente quarantena al rientro: come abbiamo già raccontato, i parlamentari sono esentati per il solo fatto di essere tali, a prescindere dal motivo del viaggio. Del resto, il Gran Premio non può essere considerato una missione istituzionale. E sul sito della Farnesina continua a esserci la raccomandazione, visto il quadro pandemico, a evitare viaggi all' estero «se non per ragioni strettamente necessarie».
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giancarlonicoli · 4 years ago
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8 feb 2021 09:48
BECCIU NON C'ENTRA - "LIBERO": "LA POLIZIA NON HA IDENTIFICATO CONDOTTE CRIMINALI NEI PAGAMENTI ARRIVATI IN AUSTRALIA DAL VATICANO. SBUGIARDATA LA CALUNNIA CHE HA ASSASSINATO LA REPUTAZIONE DEL PORPORATO SARDO, ACCUSATO DI AVER DIROTTATO L'OBOLO DI SAN PIETRO NELLE SUE TASCHE E DI AVER PAGATO UN EX CHIERICHETTO PER FAR FUORI IL CARDINALE PELL CON L'ACCUSA DI MOLESTIE"
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Renato Farina per “Libero quotidiano”
In tono basso ma limpido, il sito ufficiale Vatican News comunica i risultati dell'indagine della polizia australiana. Si palpa sollievo nelle seguenti scarne parole: «L'Australia Federal Police non ha identificato alcuna condotta criminale nei pagamenti arrivati in Australia dal Vaticano. Lo dichiara un brevissimo comunicato pubblicato sul sito della Polizia federale». Si aggiunge che l'entità dei trasferimenti era stata per errore «enormemente sovrastimata» dall'ente di controllo finanziario di Canberra. Insomma, il Vaticano è a posto.
Noi aggiungiamo alcuni particolari taciuti ma di evidenza clamorosa. Questo proscioglimento da parte di un autorevole organo terzo dovrebbe indurre qualcuno proprio dentro le sacre mura a battersi vigorosamente il petto. Il risultato dell'inchiesta della polizia australiana infatti sbugiarda la calunnia che più di ogni altra ha assassinato la reputazione del cardinale Angelo Becciu.
Gli inquirenti del Novissimo Continente si sono dati da fare ad analizzare i flussi di denaro provenienti dal piccolo Stato del Papa per una notizia di reato fatta arrivare per vie di edicola e di web agli antipodi. Essa scintillava lugubre in un articolo intitolato «Bonifici, dossier e ricatti: la guerra tra alti prelati. Una pista porta in Australia», uscito il 2 ottobre 2020 sul Corriere della Sera a pagina 9 (e ripreso anche sul Corriere.it), firmato da Fiorenza Sarzanini, capo della redazione romana, in questi giorni promossa per meriti sul campo vicedirettore del quotidiano di via Solferino.
Pochi giorni prima, il 24 settembre, il porporato sardo, 72 anni, in quel momento prefetto della Congregazione per le cause dei santi e in precedenza numero tre della gerarchia cattolica come Sostituto alla Segreteria di Stato, era stato fatto fuori grazie a un servizio dell'Espresso accreditato come veritiero davanti al Papa da chi glielo aveva posato sulla scrivania.
Sarebbe stato uno scandalo che avrebbe infangato la bianca sottana di Francesco se il Pontefice non fosse intervenuto subito a punire l'uomo che, abusando della porpora, aveva dirottato l'obolo di San Pietro dalle tasche dei poveri a quella della sua famiglia sarda.
IL FANGO
Come ha svelato una serie di articoli scritti da Vittorio Feltri su Libero, le accuse erano ridicole, ma soprattutto c'era la pistola fumante della congiura. Infatti L'Espresso aveva anticipato su internet la notizia, per la fregola di vantarsi dello scoop, quando Becciu ancora non era stato costretto alle dimissioni. Sette ore e quarantotto minuti prima del fatto esso era descritto per filo e per segno.
Ma eccoci al 2 ottobre. Ed ecco lo scoop, che sintetizziamo copiando il titolo web di corriere.it: «Vaticano, "bonifici di Becciu agli accusatori nel processo per pedofilia a Pell". I 700 mila euro inviati in Australia potrebbero essere stati utilizzati per "comprare" gli accusatori del rivale».
La notizia è una bomba-carta micidiale, irrimediabile. Tanto più che la Sarzanini è accreditata per le sue fonti di oro colato e zampillante. In questo caso la cronista principe di giudiziaria italo-vaticana, sicura di non essere smentita, e non lo sarà, le rende pure note: a cantare sono stati «gli inquirenti vaticani». Specifica: «Le verifiche riguardano le movimentazioni disposte da monsignor Angelo Becciu».
Ecco, la verifica è stata fatta dalla polizia federale australiana. Il Papa ha più volte sostenuto che la calunnia è il peggiore dei mali, e non ha rimedi umani. Bisogna cospargersi il capo di cenere. Invece? Invece non è accaduto nulla. Il Corriere della Sera ha taciuto. Il Messaggero ha riportato poche righe. Repubblica rivela il comunicato australiano, ma evita con cura di constatare lo sfaldamento del castello d'accuse, privato della sua pietra angolare. Ma non bisognerebbe indagare o almeno porre domande su chi e perché ha sparso veleno inquinando la buona fede se non altro del Papa?
IL SILENZIO
Si rifletta sull'enormità della calunnia. Qui non si tratta di familismo amorale (peraltro smontato da Feltri) ma di un atto paragonabile a quello dell'Iscariota. Becciu - secondo quella tesi agghiacciante - avrebbe pagato un ex chierichetto per far fuori il cardinale rivale con l'accusa di cui peggio non esiste: l'abuso di bambinetti nella sacrestia con indosso ancora i paramenti della messa.
Imputazione totalmente inverosimile, come sostenuto da Libero quando il prelato di Melbourne fu condannato a sei anni di carcere, a differenza di Repubblica ed Espresso. È su questo settimanale che Massimiliano Coccia prende a braccetto la Sarzanini e il 10 ottobre accusa Becciu e «i suoi uomini» di aver utilizzato un meccanismo parallelo «per costruire il dossier e le accuse contro il cardinale australiano».
E perciò l'avvocato del cardinale Pell avrebbe domandato l'apertura di un indagine internazionale. Il risultato eccolo qua: zero. L'articolo del Corriere fu allora ripreso - secondo il motore Google - da 3.100 siti nel mondo. È uscito qualcosa sul Corriere? I magnifici moralisti dei peccati altrui che hanno la penna sempre caricata ad eleganti pallettoni, non hanno niente da dire? E magari - forse - gli stessi organi vaticani? Un «pardon cardinale» sarebbe gradito. Non laverebbe l'onta, ma sarebbe qualcosa persino di cristiano
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giancarlonicoli · 4 years ago
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29 gen 2021 12:24
L’ARABIA SENZA L’ORGOGLIO – TRA LE FRASI PIÙ INCREDIBILI DETTE DA RENZI NELLA SUA CONVERSAZIONE CON BIN SALMAN C’È QUELLA SUL BASSO COSTO DEL LAVORO: “COME ITALIANO SONO MOLTO INVIDIOSO”. CIOÈ VORREBBE INTRODURRE LA KAFALA, LA SERVITÙ DELLA GLEBA? CHE DICE L’EX BRACCIANTE TERESA BELLANOVA? È NORMALE CHE UN SENATORE DELLA COMMISSIONE DIFESA SI FACCIA PAGARE 80MILA EURO PER STARE IN UN BOARD PAGATO DA UN REGIME CHE SPEZZETTA GIORNALISTI?
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VIDEO-FLASH! – SLURP, BECAUSE...  L'AMABILE CONVERSAZIONE DI RENZI CON MBS, CHE LO PAGA 80MILA DOLLARI L'ANNO PER ESSERE SUL BOARD DELLO "FII INSTITUTE": "È UN GRANDE PIACERE E UN GRANDE ONORE ESSERE QUI CON IL GRANDE PRINCIPE MOHAMMAD BIN SALMAN. CREDO CHE L'ARABIA POSSA ESSERE IL LUOGO PER UN NUOVO RINASCIMENTO. GRAZIE VOSTRA ALTEZZA" (CHISSÀ CHE NE PENSANO I FAMILIARI DI KHASHOGGI...)          
https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/video-flash-ndash-slurp-because-nbsp-39-amabile-conversazione-259448.htm
MANCO RENZI CREDEVA CHE CONTE SI SAREBBE DIMESSO: INFATTI SABATO È VOLATO IN ARABIA SAUDITA PER UNA CONFERENZA!
https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/manco-renzi-credeva-che-conte-si-sarebbe-dimesso-infatti-sabato-259231.htm
1 - MATTEO D'ARABIA
Francesca Paci per “La Stampa”
Chissà cosa gli ha detto dietro le quinte. Mica a Conte o Mattarella. Quello si sa.
Chissà cos' ha detto Renzi senza macchia e senza paura al principe ereditario bin Salman prima d' intervistarlo per la Future Investment Initiative nella Riad aspirante capitale della finanza mondiale.
Sì perché on record Renzi ha incensato la petrol-monarchia, cui l' Italia dovrebbe passare il testimone del «Rinascimento» e «invidiare il costo del lavoro». Off record però, deve aver picchiato duro sul blasonato saudita che, al netto della fama di riformista, è associato allo spezzettamento di Kashoggi e alla suffraggetta Loujain al Hathloul, condannata a 5 anni per l' ardire di guidare. Renzi sarà stato spietato.
Sennò vai a parlare di costo del lavoro alla ex bracciante Bellanova nell' Arabia della kafala, la servitù della gleba. No, no, Renzi e MbS hanno certamente parlato di «contenuti».
2 - "L'ARABIA È IL RINASCIMENTO" L'EX PREMIER SOTTO ATTACCO
Giuliano Foschini per “la Repubblica”
In questa crisi di governo è intervenuta una variante non prevista che, però, sta spostando non pochi tasselli in questo delicato momento politico: "La variante saudita", scherza, ma non troppo, un influente membro del Copasir, il Comitato di controllo sulla sicurezza nazionale.
Che, al momento, nonostante alcune sollecitazioni, non ha compiuto alcun passo sulla vicenda, essendo in stand by per via delle consultazioni. La storia parte dal racconto fatto nei giorni scorsi dal Domani: nel mezzo della crisi il premier Matteo Renzi, nella sua veste di conferenziere, ha partecipato a Riad, in Arabia Saudita, al panel "Il futuro di Riad".
Si trattava di un incontro che si è tenuto nell' ambito di una manifestazione - "La Davos del deserto", laddove Davos è la città svizzera dove si tiene il forum economico mondiale - organizzata dalla Future Investment Initiative (Fii), fondazione saudita nel cui board Renzi siede da quasi un anno. Fin qui nessun problema.
A creare qualche imbarazzo politico sono state però due circostanze emerse in queste ore: la prima, che Renzi viene pagato (80mila euro l' anno) per sedere in quel board. La seconda che la fondazione sia stata creata con un decreto del re Saudita, Salman bin Abd al-Aziz Al Sau. E che fa capo in qualche modo a suo figlio, Mohammad bin Salman. Ora, Renzi è capo di un partito di un altro Stato.
E in Italia è senatore, membro della commissione Difesa oggi ed Esteri fino a qualche mese fa. Può incassare denaro, lecitamente, per la sua attività di conferenziere da una fondazione che fa capo a un altro Stato? «Non c' è nessun conflitto di interessi, è tutto regolare perché si tratta di una no profit, e la legge lo consente» ha fatto sapere in queste ore il leader di Italia Viva.
Mentre dall' Arabia pubblicavano il video della sua performance. Renzi intervista proprio il principe Mohammed bin Salman lasciandosi andare a considerazioni e giudizi di vario tipo. «Ci sono le condizioni perché l' Arabia Saudita sia la culla di un neo risarcimento» ha detto. «A Firenze è nato proprio dalla peste, una pandemia», sottolineando anche il ruolo «delle città», sulla scia proprio del piano che ha per Riad Mohammed bin Salman.
Renzi ha parlato dell' Italia e del trilione di dollari di investimenti previsti in Arabia Saudita come «incredibili se paragonati al debito pubblico del nostro paese: la sfida della politica oggi è mettere insieme tradizione e innovazione, passato e futuro».
«Penso che con la tua leadership e quella di re Salman il regno possa svolgere un ruolo cruciale e per me come ex sindaco è molto bello comprendere il ruolo delle città in questo progetto». Subito dopo la conferenza Renzi è rientrato in Italia per le consultazioni, a bordo di un aereo privato messo a disposizione dalla fondazione. Si tratta di un benefit previsto per tutti i membri del board. Come Matteo Renzi, per l' appunto.
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giancarlonicoli · 4 years ago
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28 set 2020 16:15
LA PANDEMIA GLOBALE È COLPA DELLA DITTATURA CINESE - MILENA GABANELLI: “LA CINA TACE O NEGA DA SEMPRE QUANDO LE SI CHIEDE CONTO DI COME RISPETTA I DIRITTI UMANI, IN QUESTO CASO LA LIBERTÀ DI INFORMAZIONE. STAVOLTA PERÒ IL SILENZIO VIENE PAGATO ANCHE DA MOLTI ALTRI PAESI” - IL TIBET, HONG KONG, IL GENOCIDIO DEGLI UIGURI: I LATI OSCURI DELLA DITTATURA COMUNISTA, CHE HA NASCOSTO INFORMAZIONI SUL CORONAVIRUS METTENDO A RISCHIO IL MONDO…
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Milena Gabanelli e Luigi Offeddu per il “Corriere della Sera - Dataroom”
È accaduto anche con la pandemia da coronavirus: la Cina, membro permanente del Consiglio di sicurezza dell' Onu con diritto di veto, tace o nega da sempre quando le si chiede conto di come rispetta i diritti umani, in questo caso la libertà di informazione. Stavolta però il suo silenzio viene pagato anche da molti altri Paesi.
Il South China Morning Post riporta più volte informazioni da fonti governative: il primo contagio da Covid-19 è stato registrato in Cina il 17 novembre 2019. L' informazione all' Oms dovrebbe essere immediata, ma le autorità cinesi attendono fino al 31 dicembre prima di comunicare al corrispondente ufficio di Pechino di una «strana polmonite» sviluppatasi a Wuhan nel mercato di animali vivi, e solo il 9 gennaio parlano di «nuovo coronavirus» simile al precedente Sars del 2002. Il 30 gennaio l' Oms dichiara l' emergenza internazionale.
Nel frattempo il business e il turismo mondiale va e viene dalla Cina come se nulla fosse: 5.523 voli solo in Europa nel mese di dicembre. Il 13 gennaio, mentre Pechino sta preparando il lockdown di Wuhan, firma con l' Italia (ignara) un memorandum d' intesa per un aumento fino a 164 voli settimanali per parte, di cui 108 con decorrenza immediata. Il prezzo di quel mese e mezzo di silenzio è incalcolabile.
La Cina nega ogni responsabilità e reagisce alla perdita di credibilità aumentando la repressione.
La nuova «legge sulla sicurezza» che punisce il dissenso con condanne fino all' ergastolo è stata votata in gran segreto la notte del 30 giugno. Rinviate così di un anno le elezioni previste per metà settembre (i sondaggi davano già al 60% l' opposizione liberal); fuggiti in esilio i principali leader democratici, centinaia di arresti solo nei primi giorni, in manette anche l' editore liberal Jimmy Lai. Londra ha offerto «una nuova via di immigrazione» ai 3 milioni di cittadini residenti a Hong Kong che nel 1997 scelsero, con l' accordo di Pechino, di conservare il loro passaporto inglese. La risposta di Pechino:«Non consideriamo validi quei passaporti».
Dal gennaio 2021, Taiwan avrà un nuovo passaporto. In copertina, la parola «Repubblica di Cina» non si legge quasi più, al suo posto «Taiwan». Pechino ha sempre ammonito: «Se dichiareranno l' indipendenza, attaccheremo militarmente». Taiwan, indipendente di fatto dal 1949, non siede - per volontà di Pechino - nelle organizzazioni internazionali, e solo 14 Stati la riconoscono diplomaticamente. Pechino ha impedito che l' Oms invitasse al suo vertice annuale 2020 Taiwan come esempio di buona gestione sanitaria.
La questione è geostrategica, perché il Mar cinese meridionale, ricco di petrolio e gas naturale, è al centro dei suoi piani di espansione. Taiwan si è armata fino ai denti, e la Cina pure, con tecnologia in grado di distruggere e uccidere senza intervento umano.
Secondo Amnesty International la Cina ha il primato mondiale delle esecuzioni capitali, previste per 46 diversi reati, inclusa la sovversione. Sarebbero «migliaia all' anno», ma Pechino dice che non esistono «statistiche separate», le considera un segreto di Stato e le raccomandazioni Onu non sono vincolanti.
Senza risposta anche le proteste del Consiglio Onu per i diritti umani: anzi, nell' aprile 2020, proprio in quel Consiglio, la Cina ha ottenuto un suo seggio fino al 2021.
Il Tibet è una regione autonoma, i suoi 3,1 milioni di abitanti sono quasi tutti buddisti, con una loro lingua e una identità nazionale risalenti al 127 a.C. Hanno sempre rivendicato l' indipendenza da Pechino, e hanno pagato un prezzo: templi distrutti e repressione sanguinosa. Il Dalai Lama, premio Nobel per la Pace, vive in esilio nell' India del Nord, ha rinunciato alla linea indipendentista, ma chiede «compassione» e il rispetto dei diritti umani.
Nella regione autonoma occidentale dello Xinjiang vivono 23 milioni di abitanti, il 47% sono musulmani uiguri. Inaccettabile per Pechino la loro richiesta di libertà religiosa. Alla repressione violenta, si alterna la «rieducazione politica» attraverso il lavoro forzato. Lo scorso 1° settembre il World Uyghur Congress, in occasione della visita a Berlino del ministero degli Esteri cinese Wang Yi, chiede aiuto al governo tedesco: da 1 a 3 milioni di uiguri sono detenuti senza accuse nei campi di «rieducazione», dove avvengono torture e sterilizzazioni forzate.
La Germania ha protestato più volte, anche se nello Xinjiang si trovano fabbriche tedesche come la Volkswagen, la Siemens, la Basf. Pechino nega, ma non autorizza l' accesso agli ispettori Onu chiesto nel 2019 da 22 Stati. Intanto gli uiguri emigrati in Europa, e ormai cittadini di Olanda o Finlandia, quando denunciano il dramma dello Xinjiang vengono minacciati da agenti cinesi: «Pensa alla tua famiglia».
Oggi in Cina ci sono 10 milioni di cristiani, 101 vescovi, 1iocesi, 4.000 preti, circa 4.500 suore. E' in scadenza l' accordo provvisorio con il Vaticano. Dovrebbe confermare che l' ultima parola nell' ordinazione dei vescovi spetta al Papa e non al regime. Intanto fonti cattoliche sostengono che sulle chiese sbarrate sventola la bandiera del partito. I missionari italiani vengono mandati a casa, e chi aspira a essere assunto in un ufficio governativo deve prima rinunciare a ogni fede religiosa, considerata incompatibile con l' iscrizione al partito, indispensabile per accedere agli impieghi pubblici.
Le minacce si estendono anche agli Stati sovrani. «Con gli amici noi usiamo del buon vino, e i fucili con i nemici», ha ringhiato l' ambasciatore cinese a Stoccolma quando il governo svedese ha annunciato di voler premiare l' editore e scrittore, Gui Minhai, svedese nato in Cina, dove era stato condannato a 10 anni per presunto spionaggio. Durante il tour europeo, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi era passato il 31 agosto dalla Norvegia. Un giornalista gli aveva chiesto cosa pensasse della possibilità di estendere «ai ragazzi di Hong Kong» il Nobel per la Pace.
Risposta: «La Norvegia pensi piuttosto a coltivare relazioni "sane" che si sono finalmente realizzate dopo il "gelido inverno" seguito al Nobel conferito nel 2010 al dissidente incarcerato Liu Xiaobo». Il 3 settembre ha fatto tappa nella Repubblica Ceca, e rivolgendosi al presidente del Senato Vystrcil, che era appena stato in visita a Taiwan, ha dichiarato: «Pagherà caro il suo opportunismo politico».
Quanto conta la libertà di parola in un mondo sempre più interconnesso, che dovrà fare i conti con minacce sanitarie e riscaldamento globale, e dove la Cina ha un ruolo centrale? Il giurista dell' Università di Pechino He Weifang ha dichiarato: «L' assenza in Cina di libertà di parola e di espressione ha favorito il diffondersi del contagio», lo aveva ribadito un suo illustre collega Xu Zhangrun. Arrestato. Li Wenliang, l' oculista cinese che tra i primi individuò il virus è stato fermato e censurato.
Oggi nel mondo si contano un milione di morti, e una recessione globale. La Cina non si è scusata, ed esalta la superiorità del modello cinese, che avrebbe saputo gestire in modo straordinario la pandemia. Non c' è dubbio che alcuni Paesi abbiano sottovalutato, ma come sarebbero andate le cose se le autorità cinesi, consapevoli della gravità di ciò che stava succedendo, non avessero tardato così tanto a informare la comunità internazionale? Non lo sapremo mai, come non sapremo cosa sia realmente successo perché l' inchiesta internazionale indipendente chiesta da 194 Paesi, e votata all' unanimità dall' Oms a maggio, è ancora un pezzo di carta.
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giancarlonicoli · 4 years ago
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29 lug 2020 08:25 FONTANA, I CONTI NON TORNANO. ECCO I DOCUMENTI DELLE OPERAZIONI IN SVIZZERA. PERCHÉ IL GOVERNATORE SOSTIENE CHE IL CONTO DEI SUOI GENITORI NON ERA OPERATIVO ALMENO DALLA METÀ DEGLI ANNI '80, SE NEI DOCUMENTI UFFICIALI RISULTA L’APERTURA NEL 1997? - POSSIBILE CHE IL GOVERNATORE FOSSE ALL’OSCURO DELLE MOSSE FINANZIARIE DELLA MADRE NOVANTENNE? LE INDAGINI DEI PM SULL'ORIGINE DEL PATRIMONIO. NEL 2017 FONTANA ERA PROPRIETARIO DI 33 IMMOBILI.. - IL BLITZ DELLA FINANZA NELLA SOCIETÀ DEL COGNATO. SI CERCANO DOCUMENTI SULLA MANCATA CONSEGNA DEI 25MILA CAMICI...
FONTANA HA MENTITO: ECCO I MOVIMENTI DEL SUO CONTO SVIZZERO
Giovanni Tizian per “Oggiedomani” - la newsletter di “Domani”
“I miei hanno sempre pagato le tasse, mio padre era dipendente della mutua, mia madre una super fifona, figurarsi evadere. Non so davvero dirle perché portassero fuori i loro risparmi. Comunque era un conto non operativo da decine di anni. Penso almeno dalla metà degli anni Ottanta”. Il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, ha risposto così a Repubblica in una lunga intervista pubblicata oggi.
La versione del governatore lombardo, tuttavia, è contraddetta dai documenti bancari allegati al fascicolo della voluntary disclosure, lo scudo fiscale per il rientro dei capitali all’estero.
I documenti rivelano che nel 1997 la madre del governatore, Maria Giovanna Brunella, ha aperto il primo conto estero numero 247-683404 e ha affidato al figlio la procura, cioè la delega a operare su quel deposito.
La data è importante: nel 1997 il leghista era da due anni sindaco di Induno Olona, la madre una dentista di 74 anni. Perché, quindi, Fontana ha detto a Repubblica che il conto nei paradisi fiscali dei suoi genitori non era operativo almeno dalla metà degli anni Ottanta se nei documenti ufficiali risulta l’apertura del conto alle soglie del terzo millennio? Soltanto il presidente Fontana potrebbe spiegare questa contraddizione. Ma alle nostre domande inviate tramite l’ufficio stampa non ha risposto.
C’è di più. Nel 2005 il patrimonio presente sul conto aperto otto anni prima, è stato  trasferito in un secondo deposito collegato al trust Montmellon valley, con sede a Nassau, la capitale delle Bahamas. Di questo nuovo conto intestato sempre alla madre, Fontana era indicato come erede beneficiario. L’analisi dei flussi finanziari trasferiti da un conto estero all'altro dimostra il contrario di quello che ha dichiarato Fontana a Repubblica: “Non era operativo da almeno gli anni Ottanta”.
Tra il 2009 e il 2013, infatti, c’è vita sul conto che erediterà Fontana. Nel 2009 la cifra depositata è di 4.565.839 milioni, l’anno successivo cresce di 129mila euro. Nel 2011, invece, il deposito è di 4.162.911 milioni: decresce, quindi, di oltre mezzo milione di euro. L’anno successivo viene rimpolpato con 442mila euro. Alla fine del 2013 sul conto giacciono 4.734.478 milioni, quasi 200mila euro in più rispetto al 2009. Cifre comunque inferiori ai 5,3 milioni ereditati da Fontana e regolarizzati nel 2015 con la voluntary disclosure. Rispetto al 2013 mancano 600mila euro rispetto a quelli indicati nella relazione sull’adesione volontaria allo scudo fiscale. Un altro mistero che solo il governatore può chiarire.
Durante questa altalena di movimentazioni bancarie all’estero, Fontana era sindaco di Varese e sua madre, l’intestataria del trust, una ex dentista di novant’anni. Più che un conto morto, “non operativo”, come ha sostenuto Fontana nella sua difesa con Repubblica, sembra al contrario molto vitale. Possibile che l’allora primo cittadino di Varese fosse all’oscuro delle mosse finanziarie della madre novantenne. Oppure ne era a conoscenza? Anche su questa questione Fontana ha preferito non rispondere alle nostre domande.
I documenti bancari restituiscono anche altri dettagli coperti finora dalla riservatezza che avvolge le procedure di adesione volontaria allo scudo fiscale. Procedura che ripulisce i tesoretti dell’evasione fiscale accumulati nei trust, che funzionano da cassaforte finanziaria, sparsi nelle isole dei Caraibi.
Per quanto Fontana sostenga che non si tratta di profitti da evasione, l’Agenzia delle entrate nel fascicolo della procedura di voluntary avviata nel 2015, dopo la morte della madre, ha scritto: “Le violazioni oggetto di emersione sono state commesse nel 2009, 2010, 2011, 2012, 2013”. E aggiunge il motivo della violazione: “Mancato assolvimento degli obblighi di monitoraggio fiscale”.
Le carte ufficiali non mentono. Fontana, avvocato esperto, dovrebbe saperlo.
FONTANA, SOSPETTI SUI CONTI
VALentina Errante per il Messaggero
Alla ricerca dei camici non consegnati. Adesso i militari del nucleo di polizia valutaria vogliono capire che fine abbia fatto la merce che la Dama spa non ha mai consegnato alla Regione Lombardia. Quei 25mila capi che dovrebbero ancora trovarsi nei magazzini della società. Lunedì i finanzieri erano tornati in Regione, ieri si sono presentati nei depositi dell' azienda per fare chiarezza sul pasticcio della commessa affidata dalla Regione Lombardia, con trattativa privata in via d' urgenza, alla società del cognato (e per il 10 per cento della moglie) del governatore Attilio Fontana.
Obiettivo, stabilire se i 25mila camici mai arrivati, nonostante la necessità e l' urgenza di reperire il materiale sanitario avesse fatto saltare le ordinarie procedure di gara, siano ancora nella disponibilità della società o siano stati rivenduti. Ma c' è un altro fronte aperto nelle indagini dei pm milanesi ed è quello che riguarda il consistente patrimonio del governatore.
Con 5,3 milioni di euro custoditi in Svizzera e gestiti da due trust alle Bahamas fino al 2015. Il sospetto è che quel denaro non fosse solo il frutto dei risparmi dei suoi genitori, (mamma dentista e papà medico condotto) visto che il presidente della Regione Lombardia, dal 1980, prima di dedicarsi alla politica e alla Lega, esercitava la professione di avvocato e dagli anni Novanta ha avuto diversi incarichi pubblici. La pietra tombale dello scudo fiscale, quello utilizzato da Fontana nel 2015 per legalizzare gli oltre 5milioni detenuti in Svizzera, e gestiti dai due trust, cancella automaticamente solo i reati fiscali. La volontary disclosure omessa dal politico del Carroccio, all' epoca sindaco di Varese, gli è costata una multa di mille euro dell' Anticorruzione.
IL PATRIMONIO La procura di Milano, però, è decisa a chiarire quale sia l' origine del patrimonio del governatore e se, oltre ai reati fiscali, a monte, non ce ne fossero altri. Nel 2017 tra appartamenti, case, garage e magazzini, il presidente della Regione Lombardia possedeva 33 immobili (dichiarazione 2018). Oltre ai 5milioni e 300mila euro all' estero. Undici delle proprietà immobiliari sono state acquistate, o anche queste ereditate, nei tre anni precedenti. Perché nella dichiarazione dei redditi del 2015 (periodo d' imposta 2014) il governatore era proprietario solo di 22 immobili.
L' anomalia rispetto ai soldi all' estero riguarda anche le date.
L' ultimo di quei conti è stato acceso nel 2005, ossia quando la mamma di Fontana, la titolare, aveva già 82 anni. L' altro risale al 1997. Il governatore non era solo beneficiario, di uno dei due è sempre stato soggetto delegato.
I pm, attraverso la documentazione acquisita, stanno passando al setaccio le movimentazioni di quel conto collegato al trust «Montmellon Valley Inc.» sul quale nel 2013 c' erano 4.565.839 milioni, mentre due anni dopo quasi 200 mila euro. Dai dati della relazione allegata alla voluntary disclosure, e riportati dalla news letter di Domani, quotidiano in edicola a settembre, acquisita agli atti del fascicolo, nel 2009 la cifra depositata era di 4.565.839 milioni, l' anno dopo era cresciuta di 129 mila euro, mentre nel 2011 il saldo era di 4.162.911 milioni, con un calo di oltre mezzo milione di euro. Nel 2013 l' estratto raggiunge i 4.734.478 milioni, ma all' epoca la mamma di Fontana era già molto anziana.
In Svizzera, dove in un deposito Ubs, sono custoditi i 4,4 milioni rimasti dell' eredità, porta anche la Dama, la società del cognato del governatore finita al centro dell' inchiesta. L' azienda è controllata al dieci per cento, attraverso la Divadue srl, da Roberta Dini, moglie di Fontana, mentre il 90 per cento fa riferimento al cognato Andrea, ma attraverso una fiduciaria del Credit Suisse che la amministra: il Trust Diva.
LA DONAZIONE L' interruzione della consegna è costata a Fontana, che ha anche tentato di risarcire il cognato con 250mila euro, l' accusa di frode in pubbliche forniture. La fornitura trasformata in donazione, infatti, non è mai stata recepita dall' amministrazione. È stato l' ufficio legale di Aria, centrale acquisti della Regione, a bloccare la donazione di camici da parte della Dama. L' entità della fornitura era di «non modico valore», ma ha avuto un ruolo anche l' ostacolo del conflitto di interessi.
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giancarlonicoli · 4 years ago
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2 lug 2020 15:09
UN CLIC E LA TRUFFA È SERVITA – LA PROCURA DI MILANO HA APERTO UNO SQUARCIO SUL GIGANTESCO MERCATO DEI SERVIZI AGGIUNTIVI PER TELEFONINI: OROSCOPO, METEO, GIOCHINI E SUONERIE. TUTTE COSE FATTE PAGARE A CLIENTI IGNARI CHE SI SONO VISTI PROSCIUGARE IL CREDITO. SEQUESTRATI 12 MILIONI DI EURO. DAVVERO LE COMPAGNIE NON SANNO NIENTE? – PER ATTIVARLI BASTA UN DOPPIO CLICK SU UNA PAGINA WEB OPPURE..
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Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”
Improbabile che l'ascensore voglia sapere che tempo faccia, o che il frigorifero sia curioso dell'oroscopo. E 12 milioni di euro, sequestrati sinora in gran segreto dalla Procura di Milano, aprono uno squarcio sul gigantesco mercato (1 miliardo e 490 milioni di euro di volume nel 2018) dei servizi aggiuntivi sui telefoni cellulari: giochini, suonerie, meteo, oroscopi, gossip, streaming di video e musica, tutti servizi a sovrapprezzo attivati sulla scheda Sim dell'utente senza sua richiesta, talvolta con l'inganno di fraudolenti banner pubblicitari.
E fatti pagare (prosciugandone il credito telefonico) non solo al cliente delle compagnie telefoniche, ma persino a schede Sim «machine to machine», quelle che consentono il trasferimento automatico di dati tra due dispositivi.
Le aziende content service provider (csp) sono società che producono e commercializzano servizi a valore aggiunto (vas), in teoria richiesti dall'utente o attraverso un sms telefonico o con doppio click su una pagina internet, e addebitati dall'operatore di telefonia mobile che per gestirli si avvale di piattaforme tecnologiche di aziende specializzate (hub): la compagnia telefonica trattiene il 40-50% del prezzo pagato dal cliente per il servizio premium, l'hub tecnologico il 5-7%, il resto va ai produttori dei contenuti.
Un intreccio di contenziosi civili nel 2019 orienta l'interesse della Polizia postale su una società hub, la romana Pure Bros Mobile spa: la società di contenuti DigitApp, che si vede contestare da un operatore telefonico attivazioni indebite, contrattacca affermando (in una querela in Procura con l'avvocato Giampiero Biancolella) di stare in realtà subendo un'estorsione, sotto forma di calo forzato degli abbonamenti, per il fatto che rifiuta di usare le società di pubblicità pressantemente raccomandate dall'operatore telefonico; e con una perizia si dimostra vittima di un attacco informatico.
Pure Bros, replica l'avvocato Paolo Galdieri, «è del tutto estranea ai fatti sinora contestati, e comunque da subito si è adoperata per contribuire all'accertamento della verità». Il pool del procuratore aggiunto Eugenio Fusco - che indaga per l'ipotesi di «accesso abusivo a sistema informatico» Angelo Salvetti e Fabio Cresti di Pure Bros Mobile spa (e pure la società in base alla legge 231/2001) - ottiene dalla gip Stefania Nobile il sequestro preventivo di 4,2 milioni, di 3,9 milioni e di 4,1 milioni prima che questi soldi, profitto dell'ipotesi di reato di «frode informatica», in forza di un decreto ingiuntivo del Tribunale di Roma finiscano a Dubai a una società di contenuti che reclamava di essere retribuita da Pure Bros spa e Pure Content Mobile srl.
Ma soprattutto il fascicolo del pm Francesco Cajani disvela abbonamenti aggiuntivi «non compliant», cioè fraudolenti nell'indurre i consumatori ad attivarli sui cellulari senza avvedersene. Sino alla surrealtà di servizi a pagamento attivati sulle schede Sim «machine to machine»: le quali, diffuse nella domotica dove ad esempio fanno comunicare un termostato con una caldaia, per definizione non sono certo interessate ai servizi di volta in volta attivati.
Possibile sia tutta colpa soltanto del rissoso ma ricco ecosistema di aziende che stanno a valle delle grandi compagnie telefoniche? Forse no. Nelle pieghe dei sequestri, ordinati dalla gip Nobile su richiesta del pm Cajani, si coglie ad esempio che, come Pure Bros fa l'hub tecnologico per Wind, Pure Content Mobile srl fa l'hub tecnologico per Vodafone.
E approfondendo i rapporti tra Pure Bros Mobile srl e i fornitori esteri dubaiani, ora difesi dagli avvocati Giampaolo Del Sasso e Matteo Uslenghi, la gip indica che i pagamenti «si riferiscono a servizi aggiuntivi frutto di indebite attivazioni erogate a clienti degli operatori di telefonia mobile Wind, Tim e Vodafone» quantomeno fino al 30 ottobre 2019.
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giancarlonicoli · 5 years ago
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19 DIC 2019 15:40CHI TE LI PRESTA I SOLDI? – RENZI HA RESTITUITO IL PRESTITO PER LA VILLA FIORENTINA CON I GUADAGNI DEL DOCUMENTARIO PRODOTTO DA LUCIO PRESTA? LA BOMBA DELL'ESPRESSO: MATTEUCCIO HA DETTO CHE I 700 MILA EURO DI MUTUO FURONO RESTITUITI ALLA FAMIGLIA MAESTRELLI NON APPENA PERFEZIONATA LA VENDITA DELLA VECCHIA CASA, MA LE DATE NON TORNANO – L’ANTIRICICLAGGIO HA ANALIZZATO I BONIFICI TRA IL SENATORE E L’AGENTE TELEVISIVO, CHE HA PAGATO MEZZO MILIONE “FIRENZE SECONDO ME” – MA DISCOVERY LO HA COMPRATO PER MENO DI 20MILA EURO… – VIDEO
L’ho sempre detto, Renzi è una creatura di Berlusconi.
Emiliano Fittipaldi E Giovanni Tizian per http://espresso.repubblica.it/
Matteo Renzi ha restituito il prestito di 700 mila euro necessario all’acquisto della sua nuova villa a Firenze con i guadagni del documentario “Firenze secondo me”: quasi mezzo milione di euro pagato dalla società di Lucio Presta, l’agente delle star, che lo ha prodotto con la sua società Arcobaleno Tre.
Bonifici che coprono per due terzi il prestito offerto dall'imprenditore Riccardo Maestrelli, nominato dal governo Renzi in una controllata di Cassa depositi e prestiti e grande finanziatore della fondazione Open.
Il documentario, con l’ex premier che racconta la storia della città, è stato poi acquistato dal canale Discovery Italia che per metterlo in onda ha pagato meno di ventimila euro. Una somma, quindi, 22 volte inferiore a quella versata da Presta sui conti del senatore Matteo Renzi. Come mai la Arcobaleno Tre ha dato all’ex premier un compenso così alto?
L'Espresso, in edicola da domenica 22 dicembre, (già disponibile su Espresso+) ricostruisce con documenti inediti i flussi di denaro tra Renzi e Lucio Presta. E si scopre che sui conti correnti dell'Arcobaleno Tre nel 2018 sono arrivati oltre 13 milioni di euro. Profitti che Presta ha realizzato principalmente con una società controllata da Mediaset di Silvio Berlusconi.
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giancarlonicoli · 6 years ago
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15 MAG 2019 15:21
LARA CHE TIRA – L’EURODEPUTATA DI FORZA ITALIA LARA COMI È INDAGATA NELL’INCHIESTA SULLE TANGENTI IN LOMBARDIA – L’ISCRIZIONE NEL REGISTRO DEGLI INDAGATI È LEGATA A QUELLA DEL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA LOMBARDIA MARCO BONOMETTI: ALL’IMPRENDITORE VIENE CONTESTATA UNA FATTURA DA 31 MILA EURO CHE SAREBBERO SERVITI A FINANZIARE ILLECITAMENTE LA CAMPAGNA ELETTORALE DELLA FORZISTA
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Davide Milosa per www.ilfattoquotidiano.it
C’è un altro esponente di Forza Italia iscritto nel registro degli indagati della Procura di Milano nell’ambito dell’inchiesta della Dda che il 7 maggio scorso ha portato all’emissione di 43 misure cautelari e che hanno portato all’arresto tra gli altri del vicecoordinatore regionale di azzurro Pietro Tatarella e il sottosegretario all’area Expo della Regione Lombardia Fabio Altitonante . È Lara Comi, eurodeputata, il cui nome già nei giorni scorsi era emerso nelle carte dell’inchiesta per una intercettazione tra Nino Caianiello e Giuseppe Zingale, dg di Afol (leggi l’articolo di Davide Milosa). L’iscrizione della Comi è legata a quella di Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia e presidente dell’azienda Officine Meccaniche Rezzatesi (Omr) con sede nel Bresciano. Il reato contestato  è il finanziamento illecito.
Fattura da 31mila euro per “acquisto” di una tesi di laurea
All’imprenditore, che ieri per ore è stato sentito come persona informata sui fatti, viene contestato di aver pagato 31mila euro per una consulenza, sotto forma, in realtà, di acquisto di una tesi di laurea reperibile anche online, e quei soldi poi sarebbero andati a finanziare illecitamente la campagna elettorale della forzista, già coordinatrice del partito a Varese.
Si tratta di una fattura emessa nel gennaio 2019 da Omr holding ad una società Premium consulting srl, tra i cui soci figura la Comi, candidata alle prossime europee. Bonometti avrebbe finanziato due studi per l’espansione in Europa dei mercati: i soldi secondo gli inquirenti, sarebbero stati versati in due tranche da circa 15mila euro.
Ieri l’imprenditore – che a gennaio auspicava un ritorno alle urne – era entrato a Palazzo di Giustizia di Milano da testimone e sentito come altri convocati dai pm Silvia Bonardi, Adriano Scudieri e Luigi Furno e dall’aggiunto Alessandra Dolci. Altri due imprenditori, probabilmente sempre sentiti nelle ultime ore, sono stati iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di finanziamento illecito allo stesso candidato. Finanziamento che sarebbe avvenuto con un meccanismo simile.
I contratti di consulenza sotto la lente degli inquirenti
Nei giorni scorsi era emerso che gli inquirenti indagavano sui contratti di consulenza ottenuti da una società riconducibile all’europarlamentare. In particolare si cercavano riscontri su “contratti di consulenza da parte dell’ente Afol città metropolitana” per un “totale di 38.000 euro”. Il caso di quest’ultima consulenza, sarebbe indicativo – assieme a tanti altri e in base alle intercettazioni –come Caianiello, il “dominus” del sistema corruttivo (leggi l’articolo di Alessandro Madron) e anche di Forza Italia in Lombardia, sarebbe riuscito “con disinvoltura”, “grazie proprio alla collaborazione di alcuni suoi uomini di stretta fiducia, tra i quali l’avvocato Carmine Gorrasi” consigliere comunale a Busto Arsizio, Zingale e Loris Zaffra “ad estendere la sua influenza politica e, parallelamente, quella criminale ben oltre i confini della provincia di Varese”. Secondo gli inquirenti la cifra di 38mila euro sarebbe stata una cifra “preliminare” al “conferimento di un più ampio incarico che può arrivare alla totale cifra di 80.000 euro”. Incarico che avrebbe avuto come contropartita la “promessa di retrocessione di una quota parte agli stessi” Caianiello e Zingale. Per tutta la giornata di ieri, tra l’altro, sono stati ascoltati testimoni e indagati tra cui anche un’avvocatessa ligure citata proprio da Zingale come colei che, tramite l’eurodeputata avrebbe ricevuto consulenze dall’ente per un progetto. Come ha spiegato lo stesso dirigente interrogato dal gip Raffaella Mascarino che si proponeva di lanciare l’Agenzia per la Formazione, Orientamento e Lavoro in Europa.
L’inchiesta, formata da tre tranche, prosegue con gli approfondimenti su tutti i fronti. Uno dei quali è la nomina di Luca Marsico, l’ex socio di studio del Presidente della Lombardia Attilio Fontana, ed ex consigliere azzurro, finito con una delibera di giunta tra i componenti del Nucleo di valutazione degli investimenti della Regione e che è costata al governatore lombardo una informazione di garanzia per abuso di ufficio. Una nomina avvenuta “in quota Lega. Lui mica può rimanere in Forza Italia eh!” come diceva proprio Caianiello.
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