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Il tempo consuma ogni cosa dentro di noi e brucia tutte le menzogne. Ciò che rimane è la realtà. Rimane il fatto che tu sei legata a me, e non conta nulla che tu sia fuggita, che io fossi e sia tuttora quello che sono...
Sándor Márai, L’eredità di Eszter (1939). Capitolo 18, pag. 122.
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Una donna non può essere per tutta la vita la balia asciutta della morale.
— Sándor Márai, L’eredità di Eszter (1939). Capitolo 17, pag. 112.
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«[...] e mentre intavolavo i miei discorsi piacevoli o incoraggianti sapevo già che non avrei tenuto fede alle mie parole. Per questo ho detto a Vilma che l'amavo.» «Perché l'hai detto?» domandai, e mi stupii di quanto fosse calma e indifferente la mia voce. «Perché era ciò che voleva sentirsi dire» rispose con disinvoltura. «Perché si sarebbe giocata tutto pur di sentirselo dire. E perché tu non mi hai impedito di dirglielo». «Io?» domandai senza fiato, smarrita, con uno strano turbamento che mi stringeva la gola. «Cosa avrei potuto fare io?». «Tutto, Eszter».
— Sándor Márai, L’eredità di Eszter (1939). Capitolo 16, pag. 108.
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La vita deve essere abbellita, altrimenti risulta intollerabile.
— Sándor Márai, L’eredità di Eszter (1939). Capitolo 16, pag. 108.
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Non si può vivere eternamente sotto accusa. Chi possiede una tale innocenza, un tale potere interiore (...) da arrogarsi il diritto di perseguitare qualcun altro per una vita intera?
— Sándor Márai, L’eredità di Eszter (1939). Capitolo 16, pag. 107.
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Le sue lacrime erano autentiche lacrime, che però dentro di lui non scioglievano né l'amarezza dei ricordi né i morsi del dolore; Lajos si rallegrava o si disperava sempre con il massimo impegno, ma in realtà non sentiva mai nulla.
— Sándor Márai, L’eredità di Eszter (1939). Capitolo 14, pag. 91.
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Tra noi due divampavano le fiamme di una specie di odio primordiale, di una strana, oscura passione senza nome il cui significato si era cancellato nel corso degli anni.
— Sándor Márai, L’eredità di Eszter (1939). Capitolo 14, pag. 88.
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Prima di quel giorno non mi ero mai accorta che esistessero delle persone così violentemente, così categoricamente estranee.
— Sándor Márai, L’eredità di Eszter (1939). Capitolo 12, pag. 77.
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Gli amori infelici non finiscono mai.
— Sándor Márai, L’eredità di Eszter (1939). Capitolo 5, pag. 33.
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C'era stato, è vero, un periodo, venti, ventidue anni prima, in cui ero stata infelice. Ma poi quel sentimento si era coagulato in me come il sangue si coagula sulla ferita. Non so quale forza ignota riuscì a tamponare lo stillicidio del dolore dentro di me. Esistono ferite per le quali il tempo non porta guarigione. Sapevo che neanch'io ero guarita.
— Sándor Márai, L’eredità di Eszter (1939). Capitolo 3, pag. 20.
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E me ne tornai a letto con le mie lettere, i miei ricordi e l'amara consapevolezza di una gioventù sprecata.
— Sándor Márai, L’eredità di Eszter (1939). Capitolo 3, pagg. 19-20.
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[...] no, ormai non temevo più Lajos. Si può temere qualcuno che amiamo oppure odiamo, qualcuno che si sia dimostrato estremamente buono o spietato o anche volutamente malvagio nei nostri confronti. Ma Lajos non era mai stato crudele con me; d'altra parte non si può certo dire che fosse buono nel senso stabilito dai manuali scolastici. Era malvagio? Non ho mai avuto questa sensazione. Mentiva, è vero, ma mentiva come urla il vento, con una specie di forza primordiale, con allegria indomabile. Riusciva a mentire in modo incredibilmente pittoresco. A me, per esempio, aveva mentito dicendo di amarmi, di amare soltanto me.
— Sándor Márai, L’eredità di Eszter (1939). Capitolo 3, pag. 16.
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La vita mi ha colmata di doni meravigliosi e mi ha privata di tutto.
— Sándor Márai, L’eredità di Eszter (1939). Capitolo 1, pag. 10.
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Ci fu un momento grande, fermo, senza nulla dentro.
— Clarice Lispector, Vicino al cuore selvaggio (1943). Il padre... Pag. 13.
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[...] come chi strofina le palpebre e le tempie contro il lenzuolo o il guanciale per ricacciare le lacrime chiamate da un pensiero notturno.
— Italo Calvino, Gli amori difficili (1970). Cap. III, L’avventura di una bagnante. Pag. 24.
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Ma quello sguardo aveva sorpassato lui, [...] forse non l'aveva neppur sfiorato, guardava, al di là di lui, qualcosa, o nulla, l'appiglio ad un pensiero, ma comunque sempre qualcosa più di lui importante.
— Italo Calvino, Gli amori difficili (1970). Cap. I, L’avventura di un soldato. Pag. 11.
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Era proprio la mia quell'immagine, intravista in un lampo? Sono proprio così, io, di fuori, quando - vivendo - non mi penso? Dunque per gli altri sono quell'estraneo sorpreso nello specchio: quello, e non già io quale mi conosco: quell'uno lì che io stesso in prima, scorgendolo, non ho riconosciuto. Sono quell'estraneo che non posso veder vivere se non così, in un attimo impensato. Un estraneo che possono vedere e conoscere solamente gli altri, e io no.
— Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila (1926). Libro primo: IV. Com’io volevo esser solo. Pag. 11.
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