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NON FATEVI INGANNARE DAL TITOLO...

Appena ho letto questo titolo, vi confesso che ho provato un forte senso di fastidio.
Ma come? La mamma?!
Io che non so cosa avrei fatto per custodire la vita della mia vecchia nel migliore dei modi, come si permette questo Lucio Scarpone di scrivere un libricino dal titolo così ignobile?
La chiave di tutto sta nel finale, che per ovvi motivi non vi svelo.
Il breve romanzo, ironico, sarcastico, a volte grottesco, fa anche riflettere però.
Va letto pensando di ridere. Ricordandoci a ogni riga che la mamma è sempre la mamma. Le vogliamo bene anche quando non ci sembra. E' più forte di noi.
E' disponibile su iBookstore, Amazon e le altre librerie online e costa 2.99 "euri".
Eccovi qualche riga dedicata alle nostre belle vecchie, oramai splendide novantenni, centenarie...
“Perché una volta, quando il ritmo della natura era normale, le mamme diventavano vecchiotte, arrivando, arrancando, raggiungendo la soglia dei 75 anni e flebili nelle loro innocue esistenze si spegnevano lasciando dietro una scia di rimpianto mista ad amorevole commiserazione e nostalgia.
E anche noi, un tempo, a nostra volta, proseguivamo nel cammino d’invecchiamento replicando il sistema che natura “normale” crea.
Ragazzi, non è più così, no no no no no no no no! È accaduto qualcosa di straordinario. La natura ha rovesciato completamente le carte in tavola, ha modificato il DNA delle mamme vecchie interrompendo un’armonia naturale.
Ora queste mamme vecchie sono presenti e, come dei fornitori non pagati, sono lì che bussano alla nostra porta chiedendo il saldo del nostro debito. E i debiti devono essere pagati. Il toc-toc alla porta del nostro esattore ci rimbomba come una tortura cinese nelle orecchie, senza pietà, con effetti su di noi molteplici, ma mai belli. E noi abbiamo debiti, più di quanti ne possiamo immaginare nei confronti di lei, la mamma vecchia!
Eh sì, perché tutti quei bagnetti, quei pranzetti, quelle notti insonni, tutte le cure, i panni lavati, gli stiraggi serali non erano gratis cari miei. No, no, no, no, no, no! Non erano affatto gesta solo materne incondizionate e senza richiesta o alcuna pretesa, ma erano dei BOT, BPT, CCT, Buoni Postali, Buoni Poliennali del Tesoro che saggiamente le mamme investivano, sapendo che sarebbe arrivato il tempo della riscossione! E che avrebbero incassato con gli interessi, e che interessi, il loro credito. Interessi che lascerebbero attonite anche le più potenti banche dei più potenti paesi del mondo: interessi a tasso infinito e con che spread!
Fondamentalmente, ammettiamolo, non avremmo dovuto essere tanto sciocchi, sprovveduti, ma avremmo dovuto iniziare a chiederci per quale motivo, in ogni singolo passo della nostra esistenza, queste mamme non ci abbandonavano mai.
Vista con il senno di poi, dovremmo dire non ci “mollavano” mai. E ora lo sappiamo: tagliare il cordone ombelicale, il filo di Arianna, sarebbe stato come darci libero accesso al labirinto dell’esistenza autogestita che, come tale, forse non ci avrebbe ricondotto a loro, alle mamme!
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La vita continua miei cari, e non va neanche tanto male.

E' passato poco più di un anno da quando la mia bella vecchia se n'è andata.
Confesso di avere avuto molta paura. Prima, durante e dopo. Prima perché intuivo che cosa stava accadendo, durante perchè, nonostante l'intuizione, il crollo della mamma mi ha colta impreparata, e dopo perché pensavo di non reggere al dolore per la sua perdita. Trascorso circa una mese dalla sua dipartita, mi stupii: stavo reggendo.
Ricordo che ne parlai anche con la mia dottoressa, la quale, tanto per tirarmi su di morale, mi disse:
“E' ancora presto per sentire la botta, fra tre mesi il dolore sarà tremendo.”
Uscii dallo studio pensierosa e impaurita aspettando i 90 giorni.
Ne sono passati quasi 400, e io sono ancora in attesa della famosa “botta” diagnosticatami, ma ormai credo di essere fuori pericolo.
Sia ben chiaro che la mia vecchia mi manca, ripensando a certe cose ancora mi commuovo, ma la devastazione dell'anima, quella non c'è stata.
Invece, dopo qualche giorno dalla scomparsa della mamma, mi venne un'infiammazione sotto a un'ascella, alle ghiandole sudoripare. Sarà stato il deodorante, la depilazione con lametta da barba, il sudore... non so. Non ho mai sofferto di quel tipo di problemi.
Sentii il dottor Secondo Giacobbi, ve lo ricordate? (Per chi non l'avesse ancora letto, lo cerchi tra i post o nella sezione del blog “La voce dei professionisti” è un illuminato) e parlando del più e del meno gli raccontai di queste mie tribolazioni. Dopo qualche giorno, ricevetti una bella mail che copio e incollo qua sotto.
“Le sue vicissitudini fisiche fanno davvero pensare anche ad un coinvolgimento psicogeno legato al lutto, che lei ha vissuto serenamente, ma anche con naturali sentimenti di perdita e mancanza. Quello del lutto è un vero e proprio " lavoro ", che impegna la mente e il corpo anche su di un piano profondo e inconscio; e, a livello dell'inconscio, mente e corpo interagiscono. Ma va bene così. Concluso il lavoro ed elaborato il lutto ... si "eredita" dal defunto, che, non dimentichi, rimane dentro di noi e non come memoria d'archivio, ma come "oggetto" vivo, da non idealizzare ( diventerebbe un santino di gesso ), ma con il quale interagire caldamente e dialetticamente.”
Ed è esattamente quello io che faccio ogni giorno. Con la mia mamma parlo del più e del meno, e mai come adesso siamo andate così d'accordo. Ciao mammetta. Ti mando un bacio.
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"Basta un poco di zucchero e la pillola va giù..." ricordando Mary Poppins
Questa è bella! Si sta cercando di trovare una cura contro l'Alzheimer prima che i danni al cervello siano evidenti. Molto bene. Come ben sappiano con i farmaci che sono attualmente in circolazione non si ottengono grandi effetti: quando si arriva alla demenza i guasti sono irreperabili. Come si dice “sarebbe meglio prevenire piuttosto che curare”. E fin qui il discorso non fa una piega.
L'unico neo, se vogliamo chiamarlo così, è che questo ipotetico farmaco, dovrebbe essere “testato” su persone che stanno ancora bene, ma per vedere un risultato si dovrebbe aspettare decenni a meno che non si disponga di indicatori indiretti ma attendibili dei danni al cervello, che però non sono ancora stati messi a punto.
A questo punto la Food and Drug Administration, l'organismo federale che autorizza le novità farmaceutiche, ha una trovata geniale: “abbassare l'asticella” delle prove necessarie per approvare un nuovo rimedio contro l'Alzheimer accontentandosi di verificare i miglioramenti (o non peggioramenti) anche molto sfumati nella soluzione dei test cognitivi senza pretendere di dimostrare che le cose vadano davvero meglio nella funzioni della vita quotidiana.
Ovviamente piovono critiche da tantissime parti, perché di questo passo c'è il rischio che in questo modo si arrivi ad approvare nuovi farmaci che in realtà producono ancora meno vantaggi di quelli già in commercio, a fronte di effetti collaterali disastrosi.
Questa incredibile notizia l'ho presa dal Corriere della Sera del 7 aprile. L'articolo è firmato da Roberto Satolli, dal titolo eloquente “Cure frettolose per l'Alzheimer”, e conclude con una constatazione inquietante ma decisamente ironica.
Scrive Satolli “...le cure precoci, una volta approvate, dovrebbero essere usate da poveri diavoli come me, che magari dimenticano i nomi di persone che conoscono e devono annotarsi tutti i pin, le password e le cose da fare, ma che per il resto stanno e funzionano benissimo.
Per fortuna, incrociando le dita, non tutti i miei simili sono destinati ad avere prima o poi l'Alzheimer, anzi la maggior parte non ne mostrerà mai traccia. Siccome non c'è modo di saperlo prima, si rischia il danno e la beffa: prendere per anni medicine che forse non fanno nulla, e quasi sicuramente fanno male, e di cui la maggioranza non ha alcun bisogno.”
Ho letto da qualche parte che la curcuma fa bene a un'infinità di cose, tra cui anche alla prevenzione dell'Alzheimer. Da un po' di tempo la metto dovunque, anche nel caffellatte. E' imbevibile, ma magari...

Queste opere d'arte dovrebbero essere di Francamaria Ricco, pittrice barese colpita negli ultimi anni dall'Alzheimer
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Essere o non essere... questo è il dilemma.
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La conoscete la Casa Verdi? Musicisti, ballerini, coreografi, cantanti, direttori d'orchestra, arrivati a una certa età, hanno la possibilità di vivere in questa splendida residenza che si trova a Milano.
Una mia carissima amica, Tata (è lei nella foto) moglie di Chuck Wider, straordinario ballerino di tip tap, e non solo, qualche anno fa fu costretta ad accettare l'alternativa della casa di riposo.
Tata e Chuck era stati i miei insegnanti di tip-tap, erano i più bravi di Milano, io credo anche d'Italia, lui vantava importanti collaborazioni con i grandi ballerini americani.
Se qualche loro allievo aveva problemi di soldi, ma si impegnava seriamente, loro gli insegnavano gratis. Quanti ballerini diventati famosi nel mondo del musical, sono andati da Tata e Chuck senza pagare...
Nel 1991, Tata improvvisamente rimase sola, fu un colpo terribile. Se n'era andato il grande e unico amore della sua vita.
Lei non aveva figli, vedova, pensione misera sebbene avesse lavorato una vita. Purtroppo all'epoca un sacco di impresari non marcavano i contributi, ricordo ancora la reversibilità che percepiva dal marito: 50 euro mensili.
Sotto l'angoscia dello sfratto, abitava dietro Corso Genova, l'aiutai a fare una richiesta per entrare alla Casa Verdi. Ci vollero circa due anni, stavano ristrutturando una parte della Casa e i lavori andavano per le lunghe, non so le volte che andai a parlare con l'assistente sociale perchè la situazione di Tata era sempre più disperata.
Finalmente la chiamarono. Quando l'accompagnai, appoggiata al mio braccio perché già faticava a camminare, entrammo nella stanza che le avevano riservato: grande, luminosa, con un bellissimo terrazzo e il bagno nuovo.
Poi visitammo gli ampi saloni con i pianoforti, la stanza della ricrezione, la palestra, la cappella, la sala ristorante, i salotti... Ma tutto questo splendore a Tata non fece un grande effetto.
Avrebbe preferito stare a casa sua, poter andare al suo bar, sedersi al solito tavolino, prendersi un caffè e scambiare due parole con i baristi e i clienti che ormai conosceva da anni. L'ho accompagnata spesso al bar che lei frequentava da anni insieme a Chuck, anche quando oramai era ospite della Casa Verdi. La portavo a mangiare a pranzo e poi la riaccompagnavo. Gli addii erano sempre molto tristi. “Quando vieni a trovarmi Gianna?” “Presto Tata. Presto”.
Dopo pochi giorni che entrò alla Verdi, Tata chiese di cambiare la sua bella stanza singola perché dormire senza nessuno accanto le metteva paura. Non le era mai capitato in tutta la sua vita di stare da sola, dopo che morì il marito, ospitava delle ragazze in casa e nell'ultimo periodo visse con una signora anche lei di una certa età e un pò malandata.
Tata scelse di stare nel reparto più difficile, quello delle persone non più autosufficienti, perchè così avrebbe diviso la sua stanza con qualche altra donna seppure inadatta alla conversazione.
In breve tempo non camminò più, incominciò ad avere seri problemi anche con la testa.
La disperazione per trovarsi in un luogo che non aveva mai amato aumentò più che mai, perse la speranza e si lasciò andare.
Io non l'abbandonai mai, nonostante il lavoro e mia madre.
Tata ha vissuto gli ultimi due anni, grazie a un tubicino che le portava la giusta alimentazione nello stomaco. Nutrizione che prende il nome di PEG.
Non parlava più, le braccia piegate, le mani completamente rattrappite. Ultimamente l'aspiravano in continuazione per il tanto catarro, e quando la lavavano o la cambiavano dovevano essere molto delicati altrimenti le causavano grande dolore.
Tata ti guardava soltanto e tu non sapevi cosa volesse... o forse lo sapevi fin troppo bene.
Nella sua vita è stata una donna forte, grintosa, vulcanica. Capace di liti furibonde, e di slanci generosi... un po' come mia madre.
Ecco qui il dilemma. Ma è giusto far vivere una persona in quelle condizioni? E' dignitoso?
Mi si può obiettare che magari il suo cervello pensava cose meravigliose. Del resto come fare?
Non darle da mangiare significava farla morire in un modo poco piacevole.
Se capitasse a me vorrei che qualcuno dal cuore grande mi aiutasse ad andarmene dolcemente.
Se disgraziatamente uno ha la tempra forte passa anni aspettando di morire, mentre gli altri fanno di tutto per tenerlo in vita. E la pietà dov'è?
L'altro ieri c'è stato il funerale, ieri la tumulazione. C'eravamo solo io e Lorenzo, mio marito.
Ma Tata finalmente avrà altro da fare. Starà danzando con il suo Chuck la loro canzone: “...Night an day you are the one...” canta Frank Sinatra, il loro idolo.
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Che coppia! E dopo 71 anni di vita insieme... ancora ridono!

Non so se sarà per via dell'età ma un certo tipo di vecchi mi emoziona. Mi è accaduto anche con IRWIN & FRAN. Marito e moglie, stanno insieme da più di 70 anni, e ancora si divertono tra loro nonostante la pesantezza dell'età. Sicuramente una coppia rara.
Più li guardavo più mi sembravano belli. Li ho visti l'altro ieri sera, ma non di persona. Erano lì in tutto il loro splendore sullo schermo del Cinema Mexico di Milano, gestito dal mitico Antonio Sancassani che ha ancora la voglia e il coraggio di proiettare un certo tipo di film e di documentari come quello dell'altro ieri, che forse non ha trovato una distribuzione più ampia e duratura. Ma si sa... quando si parla di vecchi è sempre difficile ottenere spazi, a meno che non ci siano attori o registi famosi.
La vecchiaia fa paura è inutile raccontarci palle, si tenta in tutti i modi di evitarla o magari guardare ai centenari paticolarmente in gamba. Irwin lo è, e anche sua moglie ultranovantenne tabagista accanita. Parla poco, è sempre presente e fuma, fuma e ascolta con grande interesse il marito che è un fiume di parole, di ricordi infiniti per una carriera interessante e tortuosa.
Fran ogni tanto interviene per rimproverarlo, come quando gli dice di non far rumore con la tosse perché stanno registrando, o per aiutarlo a ricordare qualche aneddoto e poi (quanto mi è piaciuto) ridono tra loro. Basta una parola, un'occhiata e scatta la complicità. Dio come li ho amati!
Lui, nonostante i 97 anni, ha ancora tanti interessi, sarà anche per questo che il suo animo, il suo sguardo sebbene un po' acciaccato, sono ancora così vivi. In gioventù il professor Irvin è stato un attore, un comico, un satirista politico e un attivista per i diritti civili e di conseguenza schedato nella “lista nera”, in quanto comunista in un America - lui viveva e vive attualmente al Greenwich Village di New York - che negli anni 50, grazie al “maccartismo” distrusse carriere di artisti solo perché comunisti o simpatizzanti della sinistra. Irwin fu uno di quelli, per parecchi anni gli fu impedito di lavorare.
Sto parlando di lui, o di loro due, perchè vorrei parlare di noi, delle donne che fanno vite faticosissime, tra il lavoro i figli e i genitori anziani da accudire, cosa che negli anni passati non accadeva così spesso come ora per via dell'età che si è allungata. Se avremo la fortuna di invecchiare dobbiamo, già da ora, costruirci dei “giochi” con i quali potremo giocare nel futuro. Mi mettono una gran tristezza gli anziani che una volta in pensione non sanno più cosa fare, si intristiscono, finiscono i loro anni depressi e rimbambiti prima del tempo.
Sicuramente Irwin è stato fortunato, primo perchè ha vissuto una grande storia d'amore con sua moglie Fran, mancata durante la lavorazione del documentario, e comunque con tutte le tonnellate di sigarette che si è fumata è arrivata a 95 anni. Secondo perchè nonostante il grande dolore, la perdita immensa, - è struggente la poesia che lui le dedica - Irwin è riuscito a sopravvivere e ad andare avanti grazie al suo lavoro, al suo “gioco” meraviglioso. Capisco che in questo gli attori sono fortunati, il recitare, come dicono gli inglesi “to play” giocare, aiuta a vivere, mantiene la mente sveglia, ma credo che trovarsi un interesse, una passione, un “gioco” per l'appunto, lo possano far tutti. Il 29 luglio il professor Irwin compirà 100 anni – all'epoca del documentario ne aveva 97 – e va ancora in giro a fare serate, film, e a vendere giornali. Lo fa da circa vent'anni. Irwin tutte le mattine si alza e con il suo carrellino gira per il quartiere dove ormai lo conoscono in molti e probabilmente grazie a questa ginnastica quotidiana ha ancora una forma smagliante. Bravo Irwin e un abbraccio a Fran.
Il regista di questo bel documentario è Jordan Stone.
Se avete qualche minuto buttate un occhio al trailer. E' in inglese, ma le immagini parlano da sole.
https://www.youtube.com/watch?v=mroZMWqorvc
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"La lettera di Enzo"
Ciao Gianna, non vedo l'ora di vedere il tuo film, anche se per vederlo dovrò allontanarmi dalla mia mamma-figlia 88-enne.
Eh sì, ci sono anche i figli maschi che diventano papà delle loro mamme. Ora mia mamma è a letto, sono le 3 di notte e come al solito non dorme ma io la guardo da un'altra casa con la telecamera a infrarossi su questo stesso computer.
E ascolto anche quello che dice, i suoi versetti, i piccoli movimenti sul materasso. Ogni tanto dice "uffa", a volte mi chiama, dice che ha caldo o che ha freddo, poi si addormenta. Poi di giorno vado a trovarla e lei dorme, si sveglia e la coccolo, parla pochissimo e a volte mi dice "bello della tua mamma".
Da 8 mesi non cammina più, si è rotta il femore ed è stata operata, in ospedale ha preso anche la polmonite, ma ce l'ha fatta e dopo 4 mesi è tornata a casa.
Purtroppo ogni tanto se ne rende conto di non poter più muoversi, così con gran fatica cerco di sollevarla dalla sedia a rotelle per farla stare un attimo sulle sue gambe. Poi le dico che per lei sarebbe faticoso e che però volendo ci riuscirebbe, e allora lei, si rasserena un po'.
Ciao da Enzo e da mia mamma Licia.
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Casa mia casa mia per piccina che tu sia...

Domanda: “Secondo lei faccio bene a mettere la mamma in una casa di riposo?”
Risposta: “Se proprio proprio non ne può fare a meno...”
Io non ho mai preso in considerazione questa possibilità per la mia vecchia. Non ho nulla contro le case di riposo sia ben chiaro, ma per mia madre non sarebbe stata la soluzione ideale. Era troppo... esuberante, diciamo così.
Amava essere intrattenuta, o comunque voleva essere al centro delle attenzioni. E poi con il passar degli anni aveva sviluppato verso i suoi coetanei un certo disprezzo. A onor del vero li detestava proprio. Non ci voleva avere nulla a che fare: “Sono già vecchia io...” diceva.
Mia madre odiava profondamente la vecchiaia.
Una volta, facendo carte false, riuscii a trovarle un posto in una struttura molto ambita a Milano, per tre settimane avrebbe avuto la possibilità di fare un po' di riabilitazione. Covavo ancora l'illusione che potesse tornare a camminare. Appena entrò io e i due badanti incominciammo i soliti turni per non lasciarla mai sola, verso le nove di sera, con una certa apprensione, la salutavamo perché il regolamento interno non permetteva a nessuno di fermarsi durante la notte. Alle sette del mattino Pedro o Morena arrivavano per darle la colazione, più tardi li raggiungevo io. Vedevo che la mamma era stranamente intontita, parlai con la dottoressa del reparto, la quale mi tranquillizzò dicendomi che stava mettendo a punto la giusta somministrazione per sedarla al meglio.
Lorenzo, il mio “maritozzo” (vi confesso che ho una certa difficoltà a chiamarlo “marito”, sarà per via dei venticinque anni di fidanzamento, e i quattro mesi di matrimonio non hanno fino ad ora portato nessun tipo di sconvolgimento nella nostra vita) insomma Lorenzo insisteva che mi avrebbe fatto bene staccare un po'. Con mille angosce e innumerevoli sensi di colpa salutai la mamma e partimmo per Trieste, abbiamo un piccolo appartamento che è un po' il nostro rifugio.
La faccio breve: il giorno dopo, alle sette e dieci del mattino squilla il cellulare di Lorenzo. Era Pedro, il badante della mamma. Capìì subito che era successo qualcosa. Ricaricammo la macchina e con la gatta al seguito, (avevamo anche la gatta! ) ci precipitammo al Pronto Soccorso del San Paolo di Milano. Viaggio interminabile, non solo per i 460 chilometri, ma anche perché la graziosa micetta, vecchia pure lei, aveva mille problemi. Non entro nei particolari, ma non so più quante volte ci fermammo in autostrada.
Arrivammo finalmente all'ospedale, vidi mia madre su un lettino. Morta, o quasi. Lacrime, pianti, disperazione infinita. Il dottore mi disse che era questione di ore e poi se ne sarebbe andata. Io non mi potevo capacitare di quello che stava accadendo... un giorno che mi ero assentata e succedeva quello che mai e poi mai avrei immaginato.
Solo Lorenzo manteneva la calma: “A Gia', nun te preoccupa'. Tu' madre nun more, sta solo a dormi'!” L'avrei strozzato per quella sua totale mancanza di sensibilità.
Le ore passavano ma la mamma non se ne andava. Trascorse la notte e la mia vecchia era sempre lì, passò anche il giorno seguente, e quello dopo, e pian piano... incominciò a svegliarsi. Lorenzo, in barba ai dottori, aveva visto giusto: mia madre dormiva. Profondamente ma dormiva.
Nella tanto agognata struttura di riabilitazione per vecchi, l'avevano talmente rimpinzata di neurolettici, ansiolitici, sonniferi, che le avevano mandato il cervello in tilt, rischiando di farla crepare sul serio. E sapete perché? Perché durante la notte “disturbava” chiamandomi a voce alta.
Potete immaginare come l'ipotesi di mettere la mia mamma in una casa di riposo non mi passò neanche lontanamente per la testa.
Però capisco che per alcune persone sia una necessità, o magari è proprio una scelta personale: qualche anziano piuttosto che star da solo preferisce andare in un luogo dove magari sta in compagnia e si sente anche più protetto.
Certo il fatto che non ci fosse un dottore che quotidianamente visitasse la mamma è stato un problema, ma noi ce la siamo cavata abbastanza bene, seppure più di una volta, ammetto, qualche guaio l'abbiamo combinato. Fortunatamente ogni due settimane veniva un infermiere molto preparato e di grande umanità, mandato dalla ASL, veniva a cambiarle il catetere, e qualche prezioso consiglio ce lo ha dispensato.
Concludendo: tenere la mia mammetta a casa sua è stato senz'altro un grande sacrificio sotto tutti i punti di vista... angosce, sbattimenti, anche per pagare gli stipendi, però meno sensi di colpa, e il fatto che lei si potesse sentire ancora a casa “sua”, anche se non la vedeva essendo cieca, per me è stata... una soddisfazione.
Ve la ricordate qualche anno fa quella serie TV molto carina dal titolo “Villa Arzilla”? Regia di Gigi Proietti con straordinari interpreti... Ernesto Calindri, Giustino Durano, Caterina Boratto, Marisa Merlini, Elio Crovetto...
Quella sì che era una splendida Casa di Riposo, soprattutto molto divertente. Vivere lì magari non sarebbe stato neanche tanto male. Peccato però... si trattava solo di una fiction!
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Auguri a tutti voi, ma soprattutto ai vostri vecchi...

Appena la mamma sentiva un botto saltava per aria dallo spavento: “Spares in del cu! Pirla!”(la u si pronuncia chiusa alla francese) tradotto sarebbe:“Sparati nel culo”. "Pirla" non necessita di traduzione.
Come ho già detto più di una volta, la mia vecchia non solo parlava uno splendido milanese, ma soprattutto non usava mezzi termini, specialmente quando qualcosa le usciva dal profondo dell'anima.
In più, sentiva che gli animali, cani e gatti che facevano parte della famiglia, si spaventavano da morire e se avesse potuto avere tra le mani gli autori degli scoppi, sarebbe stata felice de “tiragh el coll” di “tirargli il collo”. Come darle torto? Anch'io non ho amo i botti.
Vado spesso a casa della mamma, e mi fa piacere ritrovare i badanti. Rosa per la verità è stata con una signora fino a pochi giorni fa, ma si sa...le cose cambiano, era anche il titolo di un delizioso film di David Mamet.
In casa ritrovo anche Dodo, il gatto pseudo-certosino di mia madre. L'altro giorno mi è venuto in mano il suo libretto sanitario, è nato nel 2008, pensavo fosse più giovane. Lasciatemelo dire: Dio come passa il tempo!
Quando sarò un po' più tranquilla, a proposito da questo martedì 7 gennaio sino al 10, ricomincerò al Teatro Litta di Milano con “Sinceramente bugiardi” di A. Ayckbourn, splendido testo comico inglese, uno dei più rappresentati nel mondo, protagonisti due coppie che tra mille equivoci... mi fermo qui, comunque se qualcuno volesse venire me lo faccia sapere, riesco ad avere i biglietti ad un buonissimo prezzo.
Dicevo, quando sarò un po' più tranquilla, voglio darmi da fare per Rosa e Merlin, sono stati due anni vicino alla mamma ma in questo periodo non stanno lavorando molto. Eppure sono proprio bravi, non mi hanno mai dato problemi, e hanno accudito la mia vecchia con capacità, pazienza e amore.
Mia madre riusciva a tirar fuori dai gangheri anche un santo, ma Merlin per esempio non ha mai “sbroccato”, sicuramente per carattere ma anche perchè la mia vecchia gli ricordava un po' sua madre, me l'ha detto lui. Merlin è peruviano come Rosa, l'ultimo di una dozzina di figli,e la sua mamma è molto anziana. Come vorrei che riuscissero a trovare ancora un buon lavoro!
Pensavo di andare nei vari centri d'ascolto delle parrocchie con loro e lasciare delle referenze, se ci vanno da soli non vengono presi molto in considerazione. Se qualcuno sentisse qualcosa in giro o avesse bisogno me lo fa sapere? Il Merlin fa bene anche i mestieri di casa, è pignolo e attento, nel senso che non rompe mai nulla, e in più, ha anche un passato glorioso da imbianchino... se qualcuno dovesse dipingere l'appartamento, d'inverno è un po' dura, ma non si sa mai.
Ovviamente sia Rosa che Merlin sono in regola con il permesso di soggiorno.
E così quest'anno ricomincio senza la mia mamma... è da un po' di tempo che non la sogno. Eppure il rapporto è sempre vivo, bello, intenso... francamente speravo mi desse i numeri del lotto, per il momento tutto tace, comunque per non farmi cogliere impreparata, dormo con la matita e un pezzo di carta sul comodino.
“Mammetta, io son qui che t'aspetto...vedi tu...se ti venisse in mente almeno dammeli giusti!”
Un caro abbraccio a tutti e speriamo in tanta serenità. Per lo meno sforziamoci di cercarla.
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Mantenersi perennemente giovani... vana speranza. O no?
Da qualche tempo sono entrata nel tunnel della papaya per allontanare la decadenza, ma siccome mi pare una ben misera trovata, da qualche giorno ingerisco bacche di Goji, (pare siano un vero e proprio elisir di lungavita) e da domani credo che farò grande uso anche di cumino, sebbene il solo sentirlo mi causa una profonda nausea. Non importa. Sono disposta a tirar giù qualsiasi cosa pur di allontanare la vecchiaia, e quando dico “vecchiaia”, non mi riferisco a rughe, capelli bianchi, o muscoli non proprio turgidi. Di tutto ciò me ne frego!
Penso piuttosto a quella macchina meravigliosa che è l'interno del nostro corpo, del nostro cervello e sarebbe stupendo se riuscissimo a mantenerli nel migliore dei modi, e per cercare di mettere in atto il buon proposito in alcuni periodi dell'anno mi imbottisco di cibi o integratori anti-invecchiamento.
Ogni tanto mi capitano sotto gli occhi articoli sul benessere fisico, li leggo con grande interesse per scoprire tutte le volte con un immenso dolore che il formaggio fa malissimo, la carne rossa pure, i fritti sono da evitare e i dolci producono effetti devastanti.
Penso a mia madre, quando stava bene, e cioè fino ai novant'anni...
La rimproveravo perchè a colazione si sgargarozzava sei o sette fette di pane in cassetta con un sacco di marmellata e un bel mezzo litro di latte gelato, lei imperterrita mi rispondeva: “Se gli affari van male, il corpo non deve soffrire”
Non potevo capacitarmi di questa sua fame già di primo mattino, e di questa sciocca risposta, così la rimproveravo: “Ma il corpo in questo modo soffre tantissimo, e poi cosa c'entrano gli affari?”
“Giannina, se non mangio lo sai che non sto in piedi, e poi fai una bella roba: rumpum no i ball!”
Quando qualcuno ti dice che non gli devi rompere le palle, il discorso è inesorabilmente chiuso.
Delle volte penso che se lei avesse vissuto in un certo modo, come avrei voluto io, sarebbe stata ancora qui... ma con che diritto potevo imporre una mia visione comportamentale alla mia bella vecchia?
A dir la verità ho tentato per tantissimo tempo, oserei dire anni, ma è stato impossibile, aveva un carattere troppo forte.
Forse è tutto destino, non so, forse il nostro andarsene è già scritto da qualche parte a prescindere dai nostri comportamenti... mah!
In tutto questo il grande regista portoghese Manoel de Oliveira ha compiuto qualche giorno fa 105 anni, e pare stia già preparando il prossimo film.
Sarà anche destino, però mi piacerebbe tanto sapere cosa mangia.
Beato lui che ha ancora dei progetti. Quelli sì che aiutano a vivere specialmente se si riescono a portare a termine, che è poi la cosa più difficile anche perchè spesse volte non dipende da noi: e questo sicuramente non fa bene alla nostra longevità. Sento che l'umore, dopo questa amara constatazione, sta precipitando.
Sapete cosa faccio? Mi mangio un bel pezzo di torrone. Probabilmente la curva glicemica ne soffrirà, ma in questo momento di leggero scoramento poco me ne importa.
Tanto domani ricomincio con la papaya, bacche di Goji, cumino, alghe, quinoa, curcuma, kamut, thè matcha... e infine per spezzare questa valanga di salutismo, mi farò un bel tocco di cioccolato con nocciole, che tra l'altro fanno benissimo perchè contengono molti minerali.
Aveva ragione la mia mamma. “Se gli affari van male, il corpo non deve soffrire”.
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"La lettera di Nadia"
"ARRIVEDERCI E…..GRAZIE!”
Cara Gianna, ecco le parole che la mia mamma usava per salutare mio marito Enrico dopo che si era recato da lei per aiutare la badante a sollevarla. E le ha pronunciate ancora una ultima volta con un fil di voce, prima di lasciarci.
E' la prima domenica, dopo 15 anni, che pranzo a casa con mio marito.
E’ una sensazione strana di calma, senza dover correre….
Per 15 anni tutte le domeniche erano organizzate per stare con Lei perché non c’era la badante e il momento che Lei apprezzava di più era il pranzo perché ci raggiungeva anche mio marito.
Era un momento di condivisione dove Lei si sentiva ancora in famiglia poiché non aveva mai accettato di dover vivere con una badante e forse anche nessuno di noi vorrebbe mai che accadesse…ma la vita è anche questo.
Ebbene, mi manca tantissimo, anche a me piaceva questo momento che riusciva a portarle un po’ di serenità.
Dopo pranzo si era soliti accendere la tv e seguire un programma sulla storia dell’arte condotto da Philippe Daverio.
A lei in realtà non interessava il programma, ma vedeva che a noi piaceva ed ormai era diventata una consuetudine e puntualmente dopo pranzo chiedeva: “ma oggi non c’è Valerio? “ Nonostante le facessimo notare che il suo nome era Daverio, per Lei era ed è sempre stato Valerio!
Come vedi cominciano a riaffiorare i ricordi e penso che sia bello che ci possano accompagnare per il resto della nostra vita.
Un caro saluto.
Nadia
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Basta piangere! Please, smile!
Altro che relazione difficile, difficilissima! Sto parlando dei “figli disperati” che curano i genitori anziani. Io per esempio entrai subito nel panico quando la mamma ebbe il famoso crollo nell'estate del 2010. Ricordo che facevo di tutto per mostrarmi serena, ma bastava che un amico al telefono mi chiedesse "Come sta tua madre?", il che accadeva puntualmente perchè tutti erano al corrente della mia situazione, incomiciavo a piangere come un vitello. Non riuscivo a trattenermi, le lacrime mi scendevano mio malgrado.

Ricordo telefonate nelle quali l'interlocutore dopo avermi fatto la solita domanda di cortesia, non ottenendo nessuna risposta per via del pianto irrefrenabile, tentava di spiccicare qualche frase per riempire il vuoto imbarazzante... “Gianna... Gianna... su dai...non fare così!” Questa era una delle frasi peggiori che mi potessero dire: mi provocava veri e propri singhiozzi. La stessa scena avveniva anche per strada, sul tram, in qualsiasi posto: bastava che qualcuno mi chiedesse come stava mia madre.
Quello che voglio dire è che se avessi avuto la possibilità di condividere la mia storia con altra gente, seguita da persone che fossero state in grado di aiutarmi sul serio, sono sicura che non avrei sofferto così tanto.
E' per questo motivo che con grande gioia do la seguente notizia: dal mese di gennaio partiranno dei corsi per “figli disperati” tenuti dal Dottor Giacobbi e dalla Dottoressa Lo Vetere.
Molti di voi già conoscono il dottore, se qualcuno ancora non lo conoscesse, si legga l'ultimo intervento nella sezione “La voce dei professionisti”: illuminante!
FIGLI CHE CURANO GENITORI ANZIANI: una relazione difficile
Gruppo di supporto psicologico
Organizzato da Silvia Lo Vetere e Secondo Giacobbi
Psicoterapeuti Fondazione Minotauro
Premessa
Oggi si vive molto più a lungo. Una svolta epocale per il genere umano, ma certo non priva di aspetti problematici. Fra questi, la crescente necessità di prendersi cura di persone anziane che o per patologia o per l’avanzamento di età, perdono la propria autonomia.
Quasi sempre spetta alla famiglia di occuparsi della persona anziana. I figli, spesso cinquanta-sessantenni , ancora impegnati in molteplici ambiti di vita, si trovano sempre più nella necessità di fronteggiare situazioni gravose, su diversi piani: l’emergenza sanitaria, l’organizzazione assistenziale, le cure mediche, la propria riorganizzazione di vita.
Dolore, rabbia, impotenza, sfinimento, sensi di colpa, sconvolgimento di equilibri conquistati con fatica, sono solo alcuni degli affetti che possono sorgere nella relazione di cura che si svolge in un arco di tempo incerto e non breve.
L’assenza di ambiti di riflessione e di condivisione spesso acuisce sentimenti di disperazione o di rifiuto e con ciò rende ancora più complesse le scelte e le relazioni.
Obiettivi: il gruppo,condotto da uno psicologo, è un ambito di riflessione su questi aspetti affrontati attraverso la discussione e il confronto fra i partecipanti. E’ volto ad aiutare ad affrontare, nel modo più sereno ed efficace una situazione di vita difficile e stressante.
Partecipanti: Min. 6 persone
Tempi: 10 incontri, a cadenza quindicinale, da Gennaio a Maggio 2014, della durata di 1 ora e trentaciascuno, Il Mercoledì dalle 17 alle 18.30
Costi: €25 a partecipante per 10 incontri, per un totale di €250 ciascuno. Il pagamento dovrà essere effettuato all’atto di iscrizione per favorire la continuità e la stabilità della partecipazione, un elemento fondamentale per l’efficacia del lavoro.
Sede:Fondazione Minotauro, V. Omboni 4 Milano. MM P.Ta Venezia
Contatti: per fissare un appuntamento telefonare entro dicembre al n° 333 4201197 La dott.ssa Silvia Lo Vetere fisserà un colloquio preliminare gratuito.
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"La lettera di Loretta"
Buonasera Gianna, mi chiamo Loretta, classe 55, madre "naturale" di Giulia ('81) e madre "divenuta" di Elsa, la mia splendida mamma di 83 anni affetta da Alzheimer (fronto temporale) da oltre 8 anni. Ironia del destino, Elsa temeva questa malattia più di ogni cosa. Ricordo gli innumerevoli appuntamenti con gli specialisti che, ogni volta, all'insorgere delle prime "defaiances", mi costringeva a prendere. E per lungo tempo le risposte furono sempre più o meno le stesse:" demenza senile di lieve entità compatibile con l'età". Sino al giorno in cui la diagnosi si fece "feroce": demenza fronto-temporale, una forma di Alzheimer per la quale anche i farmaci di ultima generazione ( quelli che ne rallentano l'avanzamento) non funzionano. Da lì in poi iniziò la vorticosa discesa lungo un tunnel senza uscita. Io, lei e l'amore che ci lega. Quanti sentimenti mi hanno accompagnato lungo questo, ahimè, sconosciuto percorso.. ansia, paura, incredulità, impotenza, rabbia, dolore, sconforto, disperazione. Lei: bella e forte, la donna ammirata dagli uomini e invidiata dalle donne. Lei: la più affettuosa tra le mamme (e nello stesso tempo giustamente severa), la mia "amica" , il mio sostegno, la mia àncora, il mio mito. Pensavo di non farcela. Ma poi ad un certo punto, emergi dalla disperazione in cui ti sei rifugiata e, quasi per istinto di sopravvivenza, riaprì gli occhi e ti accorgi che altri, come te, sorreggono la stessa croce. E allora non ti senti più sola e ritrovi la forza di continuare, di tornare ogni giorno accanto a lei, di camminare ore e ore a lei abbracciata, di imboccarla teneramente asciugandole gli angoli della bocca, di accudirla nei suoi bisogni primari e perdendoti nuovamente, come facevi da bambina, in quei meravigliosi occhi verdi.
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"Allegri! E' il giorno dei morti!"
Il fatto di tenere la mia mammetta sulla credenza sotto la pianta del photos, come ho già scritto l'ultima volta, è una grande comodità non c'è dubbio, però oggi mi sarebbe tanto piaciuto andare a trovarla al cimitero con un bel mazzo di crisantemi.
Che bello festeggiare loro, i Morti... e altrettanto bello pensare che magari anche loro in questo giorno, festeggiano noi, i Vivi.
Alla mia mamma importava poco di quello che sarebbe accaduto a lei “dopo”, la funzione, il cimitero, la cremazione, i festeggiamenti... Mi ripeteva spesso: “Quando morirò, buttami nel Naviglio. Mi interessa no.”
Credo lo dicesse senza una vera convinzione, voleva solo essere un po' rassicurata in merito alla questione, e io puntualmente le snocciolavo una serie di frasi adatte alla circostanza tipo: “Perchè pensare alla morte che per il momento la cosa non ci riguarda? E poi come dici tu mamma “Pagà e murì gh'è semper temp”. Pagare e morire c'è sempre tempo. Noi non abbiamo fretta. Piuttosto pensiamo a cose più serie. Cosa vorresti mangiare stasera?”
“Pastasciutta”. La risposta era fulminea.
E così il pensiero della morte veniva abbandonato immediatamente.
Mia madre lo ha sempre rifiutato, anche se vecchia e malandata voleva vivere.
Me lo diceva sempre nell'ultimo periodo: “Giannina, vutum a sta chi”, vorrebbe dire: aiutami a stare qui. Qui, sulla terra.
Credo sia molto difficile pensare con serenità che un domani si debba scomparire anche se si è raggiunto una certa età, a meno che non si viva in uno stato di profonda depressione o con malattie molto dolorose.
Ho capito che dopo ti faranno festa... ma chi se ne frega? Oddio scusate, mi è scappato il pensiero materno. E comunque riguardo ai festeggiamenti, mia madre sarebbe stata per far baldoria in ogni caso e per qualsiasi motivo, magari non per la sua morte.
Stavo pensando ai cimiteri messicani pullulanti di gente allegra che “el Dia de Muertos” si da appuntamento per festeggiare i propri defunti, i quali tra il 1° e il 2 novembre vengono a salutare i loro parenti, i loro cari sulla terra, e giustamente i Vivi, si preparano ad accoglierli con fiori, banchetti prelibati, gadgets, musica, offerte, ricordi, e tutto questo al cimitero.

Ovviamente non mancano le leccornie come “el Pan de Muerto”, un panino dolce ricoperto di zucchero con la forma del teschio magari decorato con il nome del defunto. Mi rendo conto che stiamo scivolando sul macabro-grottesco, ma pare che anche gli innamorati si facciano promesse d'amore con torte a forma di bara.
Se avessi letto queste notizie a mia mamma so già che avrebbe fatto le corna accompagnandole con un poderoso “TE'!”, come a voler scacciare qualsiasi evento luttuoso.
Mammetta cara, sappi che se questa sera venissi a trovarmi, non ho preparato una grande cena, però a parte i fiori, le piante, la musica e le candele profumate,posso stapparti una bella bottiglia di Asti Gancia, il tuo vino preferito insieme al Lambrusco Amabile, e offrirtelo con “el Pan di Mort”, non quello messicano, quello milanese, ti piaceva così tanto!
Io comunque t'aspetto, ceno più tardi. Non si sa mai.
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"LE POVERACCE" spettacolo tragicomico. Ovviamente partecipa anche mia madre.
Non c'è nente da fare, la mia vecchia me la porto anche in scena. L'altro ieri ho debuttato con un testo tragicomico “LE POVERACCE” scritto insieme a Gabriele Scotti, lo sceneggiatore del film “Tra cinque minuti in scena” di Laura Chiossone.

La foto che ho postato fa parte dello spettacolo che starà in scena sino al 27 ottobre allo SPAZIO TERTULLIANO a Milano.
In scena ci sono tre donne, ognuna con le sue illusioni... grandi, grandissime, tanto è vero che ci sprofondiamo dentro, ma con grande gioia. Vorrei citare anche le altre “poveracce”: Beatrice Schiros, e Vanessa Korn.
Il mio personaggio si chiama Fortunata Speranza. Giocatrice di...tutto: slot machine, superenalotto, bingo, gratta e vinci, lotto... e chi è la mia interlocutrice? La mia mamma.
In scena mi rivolgo a lei parecchie volte coinvolgendola nei miei progetti rovinosi, e anche lì c'è un botta e risposta che è molto simile a quello che faceva parte della nostra vita. Per esempio, parlando con il pubblico, (tutte noi ci rivolgiamo alla platea, non abbiamo rapporti tra di noi), racconto che mia madre, prima di morire, mi diceva sempre che mi avrebbe dato i numeri del lotto. Questo nella vita reale non è mai accaduto.
Mia madre non ha mai pensato a morire, e tanto meno a darmi i numeri, nello spettacolo invece mi sono inventata che una notte ho sognato mia madre che era venuta a trovarmi per darmi i numeri da giocare: "... e me li ha dati: 3 – 30 – 47 – 58. Li ho giocati su tutte le ruote ambo, terno, quaterna... ne fosse uscito uno! (rivolgendomi a lei alzando gli occhi al cielo) Mamma scusa, ma si può sapere che numeri mi hai dato? … non cominciare a dire che è colpa mia... ma se di notte dormo con la matita sul comodino per non farmi cogliere impreparata... non mettiamoci a litigare adesso che non è il momento, come vedi c'ho da fare” (mostrandole il pubblico) parliamone in un altro momento, va bene? Ciao mammetta.”
Questo parlarle è quello che mi capita normalmente durante il giorno, e devo dire che il rapporto è ulteriormente migliorato, anche perchè, a differenza dello spettacolo e della vita vissuta insieme, non entriamo mai in conflitto. Ogni tanto mi sfogo, oppure le racconto degli accadimenti, insomma le “comunico” delle cose.
Oggi per esempio ho ricevuto una notizia che mi aspettavo, ma è stata comunque una bella botta: è mancato Piero Mazzarella. Forse non tutti lo conoscono, ma Piero è stato quello che Eduardo De Filippo era per i napoletani. Per noi milanesi il più grande attore. Comico e drammatico.
Nel 1976 entrai nella sua compagnia, grazie a mia madre. Un giorno telefonò a teatro dove Piero stava facendo uno spettacolo, il San Babila, e mi fissò un appuntamento, a mia insaputa ovviamente. Ve ne ho già parlato della intraprendenza della mia vecchia, no? Feci un'audizione e da quel giorno incominciai a lavorare nella sua compagnia, sino al 1983 quando entrai nella Compagnia di Garinei e Giovannini, con Gino Bramieri.
Tutto quello che ho imparato lo devo a lui: Piero Mazzarella.
Io non ho mai fatto scuole di teatro, è con lui che ho iniziato la mia lunga gavetta teatrale; quando era in scena lo guardavo, lo ascoltavo... non era mai uguale, ogni sera cambiava qualcosa: un'intenzione, una pausa diversa, un'occhiata... eppure era sempre immenso. Piero non “recitava”, “parlava”, e credetemi, è la cosa più difficile da fare per un attore: parlare, essere vero.
Tornando al rapporto con mia madre... oggi per esempio le ho detto: “Ti ricordi mammetta quando il Mazzarella veniva a pranzo da noi, e tu gli preparavi la busecca cunt i fasoeu?” Che poi sarebbe la trippa con i fagioli, uno dei pochi piatti milanesi, che mia madre cucinava veramente bene.
Parlo spesso con lei, me la sento ancora così vicina la mia bella vecchia... ora è sulla credenza, sotto a una bel photos pieno di foglie, a lei piacevano così tanto le piante... ma non è per quello che la sento vicina, lì c'è soltanto un mucchietto di cenere.
Forse quando una persona cara non c'è più, vive lo stesso vicino a noi perché lei per prima non ci vuole abbandonare, o forse è solo il nostro amore che ci fa sentire strane cose. Mah! Misteri della vita...
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Stato civile: nubile. Poi un bel giorno...

La mia bella vecchia ha colpito ancora.
Ieri sera al Cinema Mexico a Milano, storica sala d'essai, è stato proiettato “Tra cinque minuti in scena” di Laura Chiossone. Il film ha vinto un importante premio della F.I.C.E.: miglior film d'essai indipendente, ma non voglio parlarvi del film, permettetemi solo due parole per far capire meglio il contesto di questa piccola vicenda.
L'anno scorso ho girato un film dove interpretavo me stessa: un' attrice che sta mettendo in scena uno spettacolo teatrale. E fin qui tutto normale. Senonché questa attrice, dopo aver fatto le prove saluta frettolosamente i colleghi e ritorna nella sua vera casa, con la sua vera madre.
Le scene con la mia vecchia sono un po' il cuore del film, non pensate però a visioni patetiche, dolorose, niente di tutto ciò. Il film riesce a far sorridere anche grazie a mia mamma che possedeva una comicità graffiante, e nello stesso tempo riesce anche a emozionare. Le scene con la mamma sono state girate in modo molto semplice, non c'era una troupe vera e propria, ma solo Laura. La mamma, nonostante l'avessimo avvertita, dopo pochi minuti si scordava totalmente della presenza della piccola cinepresa, d'altronde non vedendo e con la memloria un po' corta era normale, perciò tutto quello che si vede nel film, è uno spaccato “vero” della nostra vita, del nostro rapporto.
Un giorno mia madre mentre c'era Laura che girava, improvvisamente mi chiese: “Gianna, ma perché non sposi Lorenzo?” (il mio fidanzato).
Laura silenziosamente fece dei salti di gioia pensando che questa esternazione avrebbe potuto servire alla storia del film, e infatti il bravissimo Gianfelice Imparato, l'attore che interpreta il mio... spasimante, è stato chiamato proprio “Lorenzo”, in virtù di quella uscita materna.
Io invece, a differenza di Laura, fissai incredula la mia vecchia che per 24 anni non aveva mai dimostrato un minimo d'entusiasmo per la mia relazione.
Quando buttavo lì: “Mamma cosa diresti di un bel nipotino?”
“Trulli trulli, chi li fa se li trastulli”. Risposta che non lasciava ombra di dubbio.
Oppure cercavo di strapparle il suo consenso riguardo Lorenzo: “E dimmi un po' mammetta, cosa ne pensi del mio fidanzato?”
“Giannina, ricorda cosa dice tua madre che ti vuole bene: guardalo l'uomo, guardalo tutto, senza denari come l'è brutto”.
Premetto che Lorenzo non è né ricco, né povero, ha una condizione economica normale, facendo anche lui l'attore ci sono momenti più felici, altri meno.
Ricordo qualche anno fa, durante il pranzo di Natale, addentando la faraona ripiena, mia madre glielo disse proprio in faccia, Lorenzo si mise a ridere, conosceva bene le sue provocazioni, e per fare dello spirito o forse per stuzzicarla un po' le rispose:
“Ah signò', ma che probblema c'è? Se non c'abbiamo i soldi, se piamo la sua pensione...”
Non glielo avesse mai detto, mia madre saltò su infuriata: “Le belle balle! La mia pensione piuttosto che dartela a te, me la mangio tutta fino all'ultimo soldo!”
Sapete come succede in questi casi, una battuta tira l'altra, io nel mezzo che tentavo di smorzare i toni, conclusione: lite furibonda.
Bel pranzo di Natale! Povero Lorenzino... aveva preparato da mangiare un sacco di cose meravigliose.
Solo nell'ultimo anno la mamma si era stranamente affezionata a lui. Mi faceva ridere perchè lo chiamava anche lei come me: Lorenzino.
Prima però, quante arrabbiature mi sono presa...
Certo non è stato semplice abbandonare i vari conflitti che per decenni sono stati molto presenti nella nostra relazione, ma poi è venuto il tempo di accantonarli, anche se non li ho mai dimenticati, li ho solo posizionati in una parte della mente dove non nuocevano più. E' stata durissima, ma è stato l'unico modo per non naufragare nella rabbia e nel rancore.
E per tornare alla famosa domanda che mia madre pronunciò in presenza di Laura: “Gianna, ma perchè non sposi Lorenzo?”
Non potevo lasciarla cadere nel nulla, nascondeva una chiara volontà.
E così dopo 25 anni di fidanzamento il 7 ottobre sono convolata a nozze.
Son sicura che mia madre avrà pensato: “Che brava la mia tusa... la fa semper quell che disi mi.” (Che brava mia figlia... fa sempre quello che dico io).
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"La lettera di Stefania"
Buongiorno a tutti voi, ho deciso anche io di scrivere la mia..storia parlo del mio papà. Il mio babbo era del 1929 è venuto a mancare il 1 maggio scorso (strana coincidenza era un gran lavoratore), si è sempre spaccato la schiena per non farci mancare nulla. La vita gli ha riservato non poco dolore, la mia mamma è venuta a mancare molto giovane poi purtroppo un'altro lutto la perdita di un figlio, dolore contro natura cosa più brutta credo non ci sia del dover seppellire un figlio. Era il 2004 quando notai che qualcosa in lui stava cambiando, nello specifico la camminata (passi piccoli e svelti) la postura in avanti, un leggero tremolio alle mani e un sonno molto agitato durante la notte. Gli dissi di andare dal suo medico a fare una visita, alla sera quando tornai a casa gli chiesi cosa gli avesse detto la "diagnosi" tutti i vecchi tremano deve mettere i guanti di lana contro il freddo. Ricordo sono partita incavolata nera, chiedendogli di farg...li fare una richiesta da uno specialista un neurologo. Scusate apro una parentesi, prego tutti i medici di ascoltare e di non tralasciare nulla quando noi pazienti parliamo, purtroppo questo non sempre succede. Referto mio padre era affetto da morbo di Parkinson e demenza senile. E' stata molto dura, fortuna aver trovato un Centro diurno di eccellenza (se poi me lo permetterai pubblicherò il nome), anche perchè spesso si sente parlare male di strutture per anziani, ma non è il caso di questa (la usl-regione continuano a tagliare i fondi si trovano in difficoltà). Ricordo la prima mattina che lo accompagnai, ero un pò..titubante, siamo stati accolti da persone preparate e molto umane sono uscita da quella porta sentendo di averlo lasciato in buone mani. Poi ci fù la ricerca della badante è stata difficile ma alla fine abbiamo trovato il nostro angelo Mirella, una signora venuta da lontano (Ecuador) mi è stata di grande aiuto ho trovato una sorella. Come avete potuto notare la sintesi non fà parte di mè.
Il mio adorato babbo è sempre con mè come tutti i miei cari
Ho sentito sulla mia pelle le altre storie lette, un abbraccio a chi in questo momento stà passando questo, nel momento del bisogno noi ci siamo stati.
Ciao e grazie. Stefania
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L'arte, i ricordi, le emozioni... anche questo ci aiuta a vivere
L'emozione... ecco cosa serve per far vivere l'anima e perché no... anche un po' la mente.
Devo dire che la mia mamma di emozioni me ne ha regalate tante, nel bene e nel male, e io ne ho regalate a lei. Negli ultimi anni per esempio, quando eravamo in buona, nel senso che abbandonavamo le liti, mi piaceva farle ricordare cose carine del passato dove lei era la protagonista assoluta, le ascoltava con enorme interesse, a differenza di quando le leggevo le notizie di cronaca del giornale che una volta le piacevano tanto e che invece negli ultimi tempi l'annoiavano terribilmente. Dopo poche righe sbottava: “Giannina, a me di queste balle non mi interessa niente!”
E allora, per interessarla, andavo indietro nel tempo ricordandole, per esempio, quando da bambina mi insegnava a ballare. La mamma era convinta che per sfondare nel mondo dello spettacolo, il ballo, insieme al canto, alla chitarra e al pianoforte, fosse un elemento indispensabile, e così, almeno tre volte alla settimana mi impartiva delle lezioni. Da giovane era stata insegnante di ballo liscio, professione poi abbandonata per via del seno prominente. Pare che molti allievi, a suo dire, volessero piroettare con lei, non tanto per imparare a ballare, ma quanto per sentirle le tette, e questo l'aveva un po' stufata.
“Ti ricordi mammetta quando spostavi tutti i mobili, attaccavi il giradischi, e si aprivano le danze? Io avrò avuto sette, otto anni... Ballavamo sul “tango delle capinere”, oppure su quello della “Gelosia” e poi attaccavamo con i valzer...mi tenevi ben salda tra le tue braccia, e incominciavi a “portarmi”, e a farmi capire i passi...”
“Bei tempi Giannina. S'eri giuina!”
Eh sì, era giovane... non giovanissima però perchè la mamma mi ha avuto tardi.
“E quando t'arrabbiavi durante la lezione, mi dicevi: “Non fare come tuo padre, che quando balla ogni tant el fa la cursetta”, te lo ricordi o no?”
“Sì che me lo ricordo, l'è vera! Tuo padre cantava bene, ma l'era minga bun de balà”
Non so perchè ma mi sa che avesse ragione mia madre, papà non mi è mai sembrato un gran ballerino, sebbene avesse un bel portamento.
E così per darle la sensazione di danzare, facevo partire la musica di un tango che conosceva, o magari di un valzer, le prendevo le mani, e a tempo improvvisavamo un balletto, e la mia vecchia, anche se non si poteva muovere dalla sua poltrona telecomandata, si lasciava trasportare da chissà quale ricordo e dalla bellezza della musica. L'unica differenza rispetto ad allora, questa volta ero io che la “portavo”.
Far rivivere le emozioni...il passato... a proposito di questo, ho trovato un articolo molto interessante sul Corriere della Sera del 13 settembre: “L'arte aiuta a vivere chi ha perso la memoria” di Stefano Rodi.
A Milano è partito un progetto che aiuta i malati di Alzheimer... (copio dal giornale)
“Dove si ferma la medicina, può cominciare l'arte, in grado di toccare parti del cervello per ora inavvicinabili dalla scienza. Oltre a frequentare ambulatori e corsie ospedaliere questi malati, e i loro famigliari, adesso possono provare a percorrere nuove strade: per esempio i corridoi dei musei e delle gallerie dove sono esposte grandi opere d'arte. Dagli inizi di ottobre quelli delle Gallerie d'Italia in piazza della Scala, del Poldi Pezzoli e di Brera, a Milano. Diverse esperienze internazionali, al Moma di New York, alla Royal Academy di Londra, al Louvre di Parigi, insieme al lavoro svolto dalla Fondazione Manuli, che dal 1992 offre assistenza gratuita ai malati e ai loro famigliari, mostrano come l'arte visiva sia in grado di colpire nel profondo e risvegliare memorie ed emozioni che sembravano perdute per sempre nei malati di Alzheimer. Gli ultimi studi mostrano come colori e materiali sollecitino parti del cervello che rimangono intatte anche dopo l'insorgere della malattia.
Il percorso museale è stato chiamato “Due passi nei musei di Milano” (per informazioni e iscrizioni visitare il sito: www.fondazione-manuli.org).
“Il primo progetto si rivolge solo ai malati, ci si ferma 15 o 20 minuti di fronte a un'opera” spiega Ornella Mazza, coordinatrice del progetto, “e vengono fornite tutte le notizie sull'autore e sul quadro. Poi si va in un' aula didattica, un laboratorio, appositamente attrezzato, dove iniziano a lavorare con matite, pennelli e tutti gli altri materiali utili a ricreare l'opera, o una sua parte.”
Ci sono quadri che funzionano di più con alcuni soggetti, e altri meno.
“Sia l'arte figurativa che quella astratta sono importanti e utili. O meglio: sono complementari” spiega la dottoressa Galbiati, l'arteterapeuta che seguirà le visite guidate. “La prima, con paesaggi, ritratti, immagini particolari e precise, lavora di più sulla memoria emotiva e sui ricordi. La seconda, lasciando spazio alla fantasia soggettiva, stimola la creatività. Come quando si guardano i contorni delle nuvole in cielo: ognuno può leggerci immagini diverse”. Lo fanno anche i malati di Alzheimer.” E con questa bella considerazione si conclude l'articolo di Stefano Rodi.
La mia mamma non aveva l'Alzheimer, però negli ultimi anni la memoria aveva perso pian piano parecchi colpi. Non le ho mai potuto mostrare un quadro, perchè lei non vedeva ormai da molto tempo, però ho sempre cercato fino all'ultimo, di farle rivivere le cose belle della sua vita, dai ricordi alle canzoni che a lei piacevano, e ora lo posso dire con certezza: le emozioni che son riuscita a darle, hanno fatto bene anche a me.
Quasi quasi adesso le canto una canzoncina... magari mi viene dietro come faceva sempre...
“Allora mammetta.... sei pronta? Alla tua Milano che amavi così tanto... Oh mia bella Madunina... che te brillet de luntan...”
L'emozione... ecco cosa serve per far vivere l'anima e perché no... anche un po' la mente.
Devo dire che la mia mamma di emozioni me ne ha regalate tante, nel bene e nel male, e io ne ho regalate a lei. Negli ultimi anni per esempio, quando eravamo in buona, nel senso che abbandonavamo le liti, mi piaceva farle ricordare cose carine del passato dove lei era la protagonista assoluta, le ascoltava con enorme interesse, a differenza di quando le leggevo le notizie di cronaca del giornale che una volta le piacevano tanto e che invece negli ultimi tempi l'annoiavano terribilmente. Dopo poche righe sbottava: “Giannina, a me di queste balle non mi interessa niente!”
E allora, per interessarla, andavo indietro nel tempo ricordandole, per esempio, quando da bambina mi insegnava a ballare. La mamma era convinta che per sfondare nel mondo dello spettacolo, il ballo, insieme al canto, alla chitarra e al pianoforte, fosse un elemento indispensabile, e così, almeno tre volte alla settimana mi impartiva delle lezioni. Da giovane era stata insegnante di ballo liscio, professione poi abbandonata per via del seno prominente. Pare che molti allievi, a suo dire, volessero piroettare con lei, non tanto per imparare a ballare, ma quanto per sentirle le tette, e questo col tempo l'aveva un po' stufata.
“Ti ricordi mammetta quando spostavi tutti i mobili, attaccavi il giradischi, e si aprivano le danze? Io avrò avuto sette, otto anni... Ballavamo sul “Tango delle capinere”, oppure su quello della “Gelosia” e poi attaccavamo con i valzer...mi tenevi ben salda tra le tue braccia, e incominciavi a “portarmi”, e a farmi capire i passi...”
“Bei tempi Giannina. S'eri giuina!”
Eh sì, era giovane... non giovanissima però perchè la mamma mi ha avuto tardi.
“E quando t'arrabbiavi durante la lezione, mi dicevi: “Non fare come tuo padre, che quando balla ogni tant el fa la cursetta”, te lo ricordi o no?”
“Sì che me lo ricordo, l'è vera! Tuo padre cantava bene, ma l'era minga bun de balà”
Non so perchè ma mi sa che avesse ragione mia madre, papà non mi è mai sembrato un gran ballerino, sebbene avesse un bel portamento.
E così per darle la sensazione di danzare, facevo partire la musica di un tango che conosceva, o magari di un valzer, le prendevo le mani, e a tempo improvvisavamo un balletto, e la mia vecchia, anche se non si poteva muovere dalla sua poltrona telecomandata, si lasciava trasportare da chissà quale ricordo e dalla bellezza della musica. L'unica differenza rispetto ad allora, questa volta ero io che la “portavo”.
Far rivivere le emozioni...il passato... a proposito di questo, ho trovato un articolo molto interessante sul Corriere della Sera del 13 settembre: “L'arte aiuta a vivere chi ha perso la memoria” di Stefano Rodi.
A Milano è partito un progetto che aiuta i malati di Alzheimer... (copio dal giornale)
“Dove si ferma la medicina, può cominciare l'arte, in grado di toccare parti del cervello per ora inavvicinabili dalla scienza. Oltre a frequentare ambulatori e corsie ospedaliere questi malati, e i loro famigliari, adesso possono provare a percorrere nuove strade: per esempio i corridoi dei musei e delle gallerie dove sono esposte grandi opere d'arte. Dagli inizi di ottobre quelli delle Gallerie d'Italia in piazza della Scala, del Poldi Pezzoli e di Brera, a Milano. Diverse esperienze internazionali, al Moma di New York, alla Royal Academy di Londra, al Louvre di Parigi, insieme al lavoro svolto dalla Fondazione Manuli, che dal 1992 offre assistenza gratuita ai malati e ai loro famigliari, mostrano come l'arte visiva sia in grado di colpire nel profondo e risvegliare memorie ed emozioni che sembravano perdute per sempre nei malati di Alzheimer. Gli ultimi studi mostrano come colori e materiali sollecitino parti del cervello che rimangono intatte anche dopo l'insorgere della malattia.
Il percorso museale è stato chiamato “Due passi nei musei di Milano” (per informazioni e iscrizioni visitare il sito: www.fondazione-manuli.org).
“Il primo progetto si rivolge solo ai malati, ci si ferma 15 o 20 minuti di fronte a un'opera” spiega Ornella Mazza, coordinatrice del progetto, “e vengono fornite tutte le notizie sull'autore e sul quadro. Poi si va in un' aula didattica, un laboratorio, appositamente attrezzato, dove iniziano a lavorare con matite, pennelli e tutti gli altri materiali utili a ricreare l'opera, o una sua parte.”

Ci sono quadri che funzionano di più con alcuni soggetti, e altri meno.
“Sia l'arte figurativa che quella astratta sono importanti e utili. O meglio: sono complementari” spiega la dottoressa Galbiati, l'arteterapeuta che seguirà le visite guidate. “La prima, con paesaggi, ritratti, immagini particolari e precise, lavora di più sulla memoria emotiva e sui ricordi. La seconda, lasciando spazio alla fantasia soggettiva, stimola la creatività. Come quando si guardano i contorni delle nuvole in cielo: ognuno può leggerci immagini diverse”. Lo fanno anche i malati di Alzheimer.” E con questa bella considerazione si conclude l'articolo di Stefano Rodi.
La mia mamma non aveva l'Alzheimer, però negli ultimi anni la memoria aveva perso pian piano parecchi colpi. Non le ho mai potuto mostrare un quadro, perchè lei non vedeva ormai da molto tempo, però ho sempre cercato fino all'ultimo, di farle rivivere le cose belle della sua vita, dai ricordi alle canzoni che a lei piacevano, e ora lo posso dire con certezza: le emozioni che son riuscita a darle, hanno fatto bene anche a me.
Quasi quasi adesso le canto una canzoncina... magari mi viene dietro come faceva sempre...
“Allora mammetta.... sei pronta? Alla tua Milano che amavi così tanto... Oh mia bella Madunina... che te brillet de luntan...”
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