Tumgik
lollowriter-blog · 5 years
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C era una volta un astronauta.
La sua piccola navicella, come un punto di vernice caduto da un pennello a riposo,​ macchiava timidamente la buia e costante notte dipinta con mano ferma sulla sconfinata tela del cosmo.
Intorno poche stelle. Conosciute, si, ma lontane, fredde, quasi spente. Se ne stava lì,​ a galleggiare, perché é questo che fanno gli astronauti, galleggiano, in un oceano senza fondo ne superficie.​ ​ ​
Legato in vita aveva un corto e grigio cavo metallico, che a sua volta incatenava la sua vita alla fredda lamiera della navicella. Era l'unica cosa che gli impediva di andare alla deriva, di perdersi in quel buio misterioso e sconosciuto, l'unica cosa che gli garantiva sicurezza. Già,​ perché la sicurezza viene prima di tutto,​ ogni bravo astronauta lo sa. Lo spazio è un posto pericoloso, a pochi chilometri da lui grandi buchi neri potevano inghiottire pianeti interi come fossero noccioline, velocissimi asteroidi sfrecciavano incandescenti scalfendo l'oscurità con luminose cicatrici infuocate. Lo spazio é un posto pericoloso, si, ma lui sapeva gestirlo, perché è questo che fanno gli astronauti, calmi e impavidi restano saldi alla loro navicella voltando le spalle alla notte se diventa troppo buia.
Una stella, incuriosita da quel lontano puntino bianco che così nettamente si distingueva e differiva da qualunque cosa avesse fino a quel momento conosciuto, si staccó dal suo sciame e si avvicinò per indagare. Girò intorno alla navicella e li lo vide, il solitario astronauta che ligio al dovere fluttuava, tenacemente attaccato al suo grigio cavo metallico. Lo investì con una luce così accecante ed improvvisa che lui si voltò, alzó lo sguardo celato dalla visiera a specchio del suo enorme casco ed eccola, proprio davanti ai suoi occhi, la stella più bella e luminosa che avesse mai visto in vita sua...e ne aveva viste tante, era un astronauta.
La stella, con il suo incantevole calore, riuscì ad oltrepassare la dura scorza di quella tuta spaziale e rimase ammaliata da quel suono, ritmico e costante, che come un tamburo sentiva rimbombargli all interno del petto. Con la sua luce candida arrivó a svelare uno sguardo triste, malinconico, da troppo occultato dietro una fredda visiera in fibra di carbonio. Lei non lo sapeva, ma é questo che fanno gli astronauti, intorpidiscono il loro cuore per navigare più leggeri attraverso quel mare fatto di galassie.
La notte, nello spazio, continuava ad essere buia e ghiacciata, ma adesso l'astronauta non aveva più freddo, perché la stella era con lui. I pianeti continuavano ad esplodere e gli asteroidi a rombare forte al loro passaggio, ma lui non aveva più bisogno di voltarsi dall'altra parte perché quella luce dava nuova vita al suo sguardo e faceva battere il suo cuore come non aveva mai battuto prima. Non esisteva più paura, non c'era più timore verso l'ignoto. L'astronauta e la stella, come una cosa sola, domavano quell'infinito caos fatto di gelo e fiamme vedendo nascere e morire intorno a loro galassie e sistemi solari.
Con il passare del tempo, però,​ l'astronauta notó che la stella iniziava a spegnersi. Il suo calore non era più forte come una volta e la sua luce si rifletteva fioca e debole sul ricordo di ciò che era prima. Capí che per troppo tempo era stata lontana dalla sua scia cosmica, per troppe lune si era concessa a lui per permettere al suo cuore di scaldarsi e ai suoi occhi di vedere, rinunciando così a​ tutta l'energia di cui una stella ha bisogno.
Non poteva permetterlo, si sentiva soffocare al pensiero di essere responsabile del declino di cotanta maestosa bellezza. Le chiese cosí, facendosi forza, di tornare al suo posto, dove le stelle splendono luminose e non conoscono il vuoto, il buio ed il freddo, dove la solitudine é soltanto un eco lontano che si smorza nel fragore di un frenetico incontrarsi.
Come poteva lei, però, abbandonare così il suo astronauta? Come spezzare un legame così  forte da riuscire a legare due anime tanto diverse quanto distanti, come districare quel filo che li aveva uniti srotolandosi imperturbabile per migliaia di anni luce?
Con la sua ultima scintilla di voce la stella chiese all'astronauta di andare con lei, lo supplicó di strapparsi da  quel freddo e irsuto gancio coperto di brina cosmica per volteggiare insieme attraverso la via lattea, e ancora più in là.​ Ma ricordate?​ Ogni astronauta lo sa: la sicurezza é importante, e per quanto ci provó con tutte le sue forze, con tutte le sue lacrime, non riuscì a divellere quella serrata morsa che affondava i denti nel vuoto metallo della sua navicella.
La stella non poteva più aspettare. L'astronauta la  vide allontanarsi, inesorabile,​ e le voltó le spalle per impedire al suo cuore di andarsene con lei, per arrestare quel fiume di lacrime che impetuoso cercava di stralipare dai suoi occhi. Si giró solo un attimo per vederla, all'ultimo istante, sfrecciare a milioni di chilometri al secondo lasciandosi dietro nient'altro che una fugace virgola luminosa.  Lo spazio non era mai stato così buio e freddo, i secondi sembravano congelati e tutti uguali e pungevano, pungevano come aghi di ghiaccio conficcati in un gomitolo ormai scarno.
Nonostante tutto, peró, lo si poteva vedere ancora lì,​ che fluttuava, perché é questo che fanno gli astronauti, incassano, sopportano, non possono abbandonarsi, non possono cedere, sono addestrati, sono astronauti. Fu proprio masticando nella sua testa queste parole, ancora e ancora, per vomitarle poi al suo cuore affamato sperando le prendesse per vere, che lo vide: un grande asteroide infuocato che come un proiettile si dirigeva verso la sua navicella, riducendo in briciole luminose tutto ciò che incontrava sul suo furente cammino. Doveva fare in fretta, doveva iniziare subito le manovre per spostarsi da li prima di essere investito, c era tutto il tempo, l'asteroide era ancora lontano ma doveva sbrigarsi, perché è questo che fanno gli astronauti, mantengono il sangue freddo in situazioni estreme dove il pericolo più micidiale è in agguato dietro ogni angolo. Ma più l'asteroide si avvicinava più smetteva di vederlo come un pericolo. Quel masso incandescente avrebbe mandato in mille pezzi la sua navicella, la sua missione...la sola cosa che lo teneva inchiodato li e gli impediva di volare via con la sua stella.
I pochi secondi che precedettero l'impatto furono i più lunghi. Secondi fatti di speranza, di paura, felicità e terrore che danzavano insieme in un valzer impazzito scandito dal tempo veloce di un cuore che si improvvisava metronomo. Se i suoi calcoli erano corretti, il bolide avrebbe fatto esplodere la navicella e l'avrebbe scaraventato via in balia delle onde di un orbita sconosciuta, senza ganci, senza ancore e timoni, senza venti da seguire o fari da consultare, soltanto con la consapevolezza che, se la sua stella l'aveva trovato una volta, poteva farlo di nuovo.
Un forte lampo, una luce rossa, un boato soffocato dalla totale impotenza di un suono che non può disperdersi. Quando riaprí gli occhi il fumo era già lontano, i detriti come farfalle gli danzavano intorno rimbalzando sulla sua tuta annerita. Era libero, vivo, come un naufrago stellare inizió la sua deriva tra universi sconfinati e orizzonti inarrivabili, con l ardente speranza che, prima o poi, la sua stella l'avrebbe ritrovato e scaldato per sempre. Non c'era paura nel suo cuore né tristezza nei suoi occhi, grazie alla stella aveva imparato a vedere di nuovo, vivere di nuovo.... amare di nuovo, perché é questo...É questo che fanno gli astronauti.
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