Tumgik
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Si riparte
riavvolgi questo nastro
riavvolgi le promesse
e dimentica,
scorda tutte le poesie
tutta la musica
Smarrisci i lineamenti,
le linee tratteggiate
di naso
Bocca
Occhi,
bevi caffè amaro
e tutto il mare che mi hai dato.
Dimentica le notti insonni
le risate convulse
le fossette sulle guance
la mia timidezza
la sabbia di questa stagione
e di quella precedente.
Siamo inciampati nell'irreale
ma non devi disperare
non devi
perché fa sempre più freddo
e la pioggia copre
dissolve
annacqua questo bicchiere
ma tu non piovere
non per me
che sono parentesi confusa.
Ricorda di un domani mai nato
credi nella magia di un incontro,
di un sorriso che non sarà il mio
e non sarà il tuo.
Ma tu
solo tu
Credi,
credi a questo Dio
che unisce
per dividere
ma ci lascia interpretare:
l'idea che ho di te,
un'idea
tradotta male.
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Dammi la mano
Se credi nel buio
e nell'oblio ti perdo.
Dammi il peso di un'incertezza
divenuta bandiera
cullata dal vento.
Asciugati le lacrime
è San Lorenzo,
ti ho visto nudo in una notte d'agosto,
scintilla che riga il buio,
sfreccia dritta
consuma nell'universo.
Ma alla fine di te,
mi rimangono le mani addosso,
I barattoli della bormioli
e quel tuo cappotto rotto,
la marmellata all'ananas
che preparavi tu,
e tutto quel
terribile
Inesprimibile
Blu.
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Miccia per errore
Per scelta ardo,
Mi accendi
mi spegni
Mi butti alcol.
Sei il piromane
delle speranze perse,
che poi sono mie,
solo mie.
Sempre mie.
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Siamo soli
ad albeggiare
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In un sorriso che non sei
In un profumo uguale
Rivedo
Un frammento di eternità
Destinata a ripetersi,
Nella smorfia arruffata
Saccente
Ci siamo noi
A casa tua,
Ci sono tutti gli anni
Che pesano
Ci sono quei "resta"
Che non restano.
C'è il bisogno irriverente
Di tornare,
Di ritornare.
Ma ritornare da chi?
Da te che, ormai, non esisti
Da me che ormai non ci sono
Dove devo tornare?
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“La solitudine non è l’essere soli.La solitudine è non avere accanto chi si vuole.”
— rm-vincent 
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Onde nere
gravide di schiume
smarrisco qualcosa
qualcosa ritrovo,
un lembo di pace
mi avvolge le spalle
mi faccio faro
mi tremano le gambe.
Ovunque tu sia
ti dedico
lo sciacquio del mio silenzio,
l'eterna pace di questo momento.
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Francesco Scarabicchi
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Mi hai detto
che aspettare non aveva più senso
che il cielo anche se lo stesso
pesava sul tuo capo
e non se ne trovava il filo:
Arianna l'ha smarrito
o ci ha legato le stelle,
ed ogni notte ti raggomitolavi
sulla soglia del niente.
Ma non ti accorgi
che il filo dorato
per uscire da me
te lo consegnai io
a mio malgrado,
a mio discapito,
ti diedi l'arma migliore per evadere
ma ebbi quella speranza banale
che in fondo
saresti tornato a casa
magari prima di cena.
Che saresti potuto essere
e invece non fosti mai.
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Linea continua
se l'orizzonte perdo
e questo cielo
di grigio pastello
tiene in grembo
scogli
fa fluttuare vele
e tutto si fonde
sull'equilibrio
precario
di una retta che non percepisco
di un confine non tracciato.
A me non so se affascina
o fa spavento,
ma se fossi stato lì
ti avrei detto:
"Così annego".
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Leggerezza è sofferenza
e me lo chiedi con gli occhi
stringendo le mani
la plastica scotta
sa di estate
il tavolo cigola
una musica lontana dichiara l'inizio della conclusione
ma noi sappiamo che alla fine la fine non esiste
sappiamo che di noi
tutte quelle sedie non avranno memoria
e che la musica è appena finita
e che settembre fa paura
ma dammi un giorno in più
per respirare ancora,
restituiscimi quel caleidoscopico momento
vetro screziato
che non sa accettare o compiacere una realtà all'infuori del sogno,
un luogo in cui non esisti.
Sorridi beffardo
col tempo di spalle
venere sulle guance
e giove negli occhi
leggerezza della fine
curiosità di confine,
il tatto è ruvido
la mano è pesante
tu prendi e dai
cedi e rifiuti:
Sei una camera iperbarica
di pensieri
cuciti su misura per non essere svelati,
ma quando tento
di sfiorarti le pareti
sento così tanta preghiera
che mi inviti a pregare
per questo Dio che non sappiamo chiamare.
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Siamo nati dalla concava coincidenza
di due mani
In una stagione che non promette pioggia,
ma vorresti del vino
mentre Io chiedo acqua
e non ti rendi conto
che alla fine
tutto quel di cui abbiamo bisogno
non è dell'annata
ma della bellezza
asimmetrica dello schianto
di una danza sul pavimento,
autostrade veloci
sulle guance
che portano al mare.
Amore,
io non so tramutare l'acqua in vino
ma se lasci che il cielo ci pianga addosso
so lasciarti bere.
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Quando a Londra rubarono tutti i suoi gioielli, Sophia Loren, affranta e disperata, si sedette sul suo letto, guardando il comò. Vittorio De Sica, che le era seduto accanto, le disse: «Donna Sofì! Ma non sprecare le tue lacrime che siamo due napoletani nati nella povertà. I soldi vanno e vengono. Pensa quanti ne perdo io al casinò…». Lei gli rispose: «Che dici, Vittò… Nun aje capito. Quei gioielli erano parte di me!». Allora lui, guardandola con tenerezza, le disse: «Sofì, stamm a sentì: non piangere mai per qualcosa che non possa piangere per te.»
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Quando penso alla verità
In fondo ai miei dubbi
Vedo i tuoi occhi
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Ti appoggi stanco
su una quercia secolare
e i tuoi anni corrono veloci
si danno il cambio
portando il conto dei tuoi affanni,
e mi pesano gli occhi
a guardarti
mi pesano i pensieri a sostenerti
tu
che sei leggero
ma non voli
che ti intrecci
ma non ti muovi
da dove ti ho lasciato:
Ti ho sepolto sotto strati,
centimetri di neve
levigati con le mani
nella casa senza vetri
ma con troppe porte che conducono fuori
e per noi
che non sappiamo restare
sono inviti sottili
che ci spingono a valicare
un confine sconfinato
per poi ritrovarsi stanchi
appoggiati ad una quercia
a contare gli anni.
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Vorrei avere la certezza
di una vita collaudata
che plana dolcemente
sul morbido di una tovaglia
anche se mi chiedono da bere
anche se non mi viene sete,
ma se guardo il mare
ricordo il pedalò che volevi affittare
con tutte quelle parole salate
e quelle risate:
Se non respiro vado in apnea.
Mi cullano onde diverse
ora
muovo passi in altri pensieri
smarrisco la ragione
ma non la stagione:
Le scarpe che ho rimesso
con la sabbia dentro
mi indicano la via
per questo deserto
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