ungiropercividale-blog
Un giro per Cividale*
12 posts
Riflessioni sulla vita a Cividale del Friuli
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ungiropercividale-blog · 8 years ago
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12. Un caro saluto*
Ricordo come se fosse ieri il mio primo giorno a Cividale. Estremamente stanca dopo un lungo viaggio dall’Australia (non meno, infatti, di 23 ore di volo), sono arrivata al Convitto la sera del 16 novembre 2016. Persa nel mezzo del rumore ed il caos di un edificio pieno di studenti, ho cercato di farmi strada attraverso le stanze. I corridoi avevano immense vetrate ed erano inondati da vari volti, luci accecanti che si illuminavano con gli occhi penetranti di sconosciuti diversi. Da ogni angolo si sentivano voci gioiose ed alcuni sussurri; tutto mi sembrava strano, ma per qualche motivo, accogliente e familiare. Erano le sette in punto mentre tutti cenavano del Refettorio quando, ad un tratto, sentii una voce dietro di me che diceva: “Benvenuta a casa, Claudia.”
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Mandi amici! Benvenuti all’ultimo post del mio blog! Come state?
Sfortunatamente, è giunto il momento di concludere questo progetto. A tutti quelli che mi hanno accompagnato nel corso di questa breve traversata -tutti gli amici che, giorno dopo giorno, pagina dopo pagina e viaggio dopo viaggio mi hanno fatto compagnia- grazie mille. Inoltre, a tutti quelli che compaiono in questo spazio, che mi hanno aiutato paziente e generosamente a costruire il contenuto che oggi vi presento, grazie grazie di cuore!
...Ma non corriamo troppo; prima di salutarvi, vorrei dire qualche parola sulla mia esperienza al Convitto.
Dopo aver trascorso le ultime settimane a Cividale, mi sono trovata a pensare all’impatto di questo viaggio; pensare a quanto e come la mia vita e la mia visione del mondo siano realmente cambiate con la mia partecipazione nel Convitto. Allarme spoiler: la verità è che è cambiato tutto.
Sono uscita di casa senza avere nessuna esperienza lavorando con bambini. Prima della mia partenza, infatti, l’unica volta in cui sono stata circondata da loro è stata quando facevo da baby-sitter al mio nipote, alcuni anni fa in Ecuador. A parte quella, la mia conoscenza della pedagogia e della “mente infantile” era piuttosto limitata.
Quindi immaginate la mia sorpresa appena ho visto i miei studenti per la prima volta, in un’aula che non molto tempo fa mi sembrava immensa ed intimidatoria!
“Cosa devo fare? Cosa dico ai bambini allora?”, ho chiesto alla maestra. 
“Quello che vuoi!”, mi rispose.
“Non ho idea; magari dovrei preparare qualcosa...”, dissi, un po’ nervosa. 
“Figurati! Stai al gioco, sono solo bambini...”
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“Solo bambini” che, nonostante la loro semplicità, mi hanno insegnato molte lezioni sull’educazione, la vita lavorativa e, soprattutto, su me stessa.
Ricordo, ad esempio, una delle prime lezioni con uno dei gruppi più difficili, almeno per me, della Scuola Primaria: la 5A. Seduti, all'interno di una stanza che a quel tempo mi sembrava immensa, c’erano almeno trenta bimbi che non smettevano di litigare e giocare con i loro compagni di classe; bimbi che chiacchieravano e non ascoltavano le istruzioni della maestra; bimbi che erano stanchi e non riuscivano a rimanere seduti per lunghi periodi. Confusa e perplessa senza sapere cosa fare o proporre, nella mia mente avevo una singola parola: Disastro. Come sarebbe stato possibile controllare tutto quello? Lungi dall’essere un lavoro facile, quello infatti è stato un viaggio lungo ed impegnativo. Devo ammettere che in più di un’occasione avevo molti dubbi ed una grande difficoltà a seguire il loro ragionamento; qualche volta, anzi, avevo voglia di correre fuori dalla classe, scappando dal rumore (“ciao ciao, ragazziiiiiii...!). È, dopotutto, la cosa più normale del mondo in una professione come questa; un settore per il quale è necessario avere pazienza e vocazione.
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Con il passare del tempo, però, e man mano che ci avvicinavamo, ho sentito che diventavamo una piccola famiglia. Pian piano, condividendo sempre più, ho iniziato a notare che il lavoro stava diventando più facile, che i bimbi si sentivano più comode a parlare con me permettendomi di participare e proporre idee in classe mentre il loro comportamento e lo svolgimento delle attività migliorava notoriamente.
Alla fine, al mio ultimo giorno a Cividale, sono stati proprio loro gli autori ed i responsabili di una delle più gradite sorprese della mia vita. Correndo verso di me, con abbracci, piccoli regali e le lacrime agli occhi, uno ad uno mi ha salutato mentre mi ringraziava.
“Grazie per avermi insegnato tante cose. Grazie per essere stata così paziente e gentile con me.”
Sì amici, quel giorno ho dovuto ritoccare il mio trucco almeno 3 volte, dopo aver pianto e salutato ogni classe. Senza intenzione di esagerare oppure usare un linguaggio teatrale, confesso che questa esperienza mi ha davvero cambiato la vita (no, veramente). Circondata da così tanto amore, ora so che quello è stato uno dei giorni più belli e tristi della mia vita. Poche volte, a dire la verità, ho sentito un affetto così grande ed autentico.
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E questo è, precisamente, il bello dei bambini: loro non mentono né fingono di essere qualcosa che non sono. Anzi, i bimbi sono liberi, spontanei e vivaci; sono anime pure che hanno una forte capacità di sorprendersi e percepire ciò che succede intorno a loro.
Riflettendo sul mio lavoro come assistente di lingua, penso che ci sia molto da imparare qui. Quest’esperienza, ad esempio, mi ha insegnato un’importante lezione riguardo il modo in cui affrontiamo la vita, cioè come consideriamo le situazioni e gli eventi che ci capitano quotidianamente. Così, sulla base della loro vivacità, in questi tre mesi ho imparato come sia possibile vedere il mondo con occhi umili; come convivere con gli altri senza giudicare, criticare, né disprezzare. In questi tre mesi ho imparato come sia possibile promuovere lo spirito audace; i bimbi, dopotutto, non nascono per stare seduti o per stare calmi, senza toccare niente. Al contrario, pieni di curiosità, i bambini hanno bisogno di esplorare e di cercare novità; di muoversi, di creare avventure e di mettere in dubbio le cose mentre scoprono il mondo che li circonda. Infine, come punto fondamentale, in questi tre mesi ho imparato a essere più forte e valorosa sapendo che tutto si può risolvere con allegria e ottimismo.
(Viene quasi da chiedersi cosa sia successo ai bambini che eravamo...!)
Con il cuore pieno di affetto e gratitudine, posso solo chiudere con un augurio.
Lo faccio a tutti coloro con i quali, negli ultimi tre mesi, ho avuto la fortuna di lavorare giorno dopo giorno; la dott.ssa Patrizia Pavatti, il Professore Vittorino Michelutti, la maestra Gabriella Grasso, la maestra Enza Bisignani, la maestra Maria Domenica Piscitelli e il maestro Carlo Calligaris.
Agli amici che ho trovato e che mi hanno aiutato a costruire questo spazio con tanto affetto e pazienzia; Natalie McMillan, Jake MacDougall, Lesleigh Kacin, Daniela Battaglia, Chiara Moreale, Julia Pniwchuk, Cornelia Koffler, Kiara Britto, Nico Guerra, Tea Hoxha, Marta Iacuzzi e Angelica Gori.
Ai miei bambini della Scuola Primaria, naturalmente; dalle prime alle quinte classi.
Alla mia carissima Professoressa Sara Visocnik, più di chiunque altro, per tutta la sua pazienza, i suoi consigli ed il suo sostengo durante questa esperienza davvero indimenticabile.
A voi, cari amici, per essere qui e per accompagnarmi in quest’avventura. 
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Arrivederci!
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ungiropercividale-blog · 8 years ago
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11. Fenomenologia*
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Sentimento dello spazio e fenomenologia: il Ponte del Diavolo*
Mandi! Come state, amici? Come vi trovate oggi? Benvenuti ancora una volta nel mio blog!
Avete già letto il mio ultimo post? Cosa ne pensate? Per coloro che sono a Cividale, avete provato a visitare alcuni dei luoghi che vi ho mostrato la settimana scorsa?
Nel caso non l’aveste ancora fatto, vi consiglio di esplorare alcune delle bellezze che questa cittadina ha da offrire. Ogni luogo, dopotutto, ha un suo fascino particolare e dipende da voi scoprirlo e creare così i vostri propri ricordi...
Poiché la mia permanenza a questa splendida cittadina sta per finire (questa è, infatti, la mia penultima pubblicazione “ufficiale”), vorrei parlarvi di un tema molto speciale per me, un argomento che ho iniziato a valutare durante le ultime settimane con grande interesse ed affetto: il sentimento spaziale e la geografia affettiva dei luoghi.
Come ho già detto e molti di voi sanno, sono affascinata dall’antropologia e tutto ciò che riguarda il comportamento umano in tutte le sue espressioni diverse. Con una passione per l’ambiente culturale globale e la condotta espressiva tipica dei gruppi che ospita, ho un grande interesse per la maggior parte, se non tutte, delle abitudini e dei rituali etnici attraverso la distanza ed il tempo.
In questa maniera, approfondendo delle tematiche ontologiche e culturale a Cividale, vi ho parlato un po’ delle dinamiche e dello sviluppo di un senso di identità sul piano culinario (la prima volta che ho provato il frico, oltre al generoso contributo e ricetta da parte delle cuoche del Convitto), linguistico (la storia e lo sviluppo della lingua friulana nell’intervista al Dottore Diego Navarria) e personale (il mio ultimo post sulla “geografia emotiva” ed i miei luoghi preferiti a Cividale).
Seguendo il filo del discorso, c’è un altro argomento che vorrei condividere e sottoporre alla vostra attenzione prima di partire: quello che appartiene alla fenomenologia e la storia di uno dei più importanti monumenti a Cividale del Friuli: il Ponte del Diavolo.
...Bella parola, ma cos’è la fenomenologia?
Fondata da Edmund Husserl (1859-1938), membro della Scuola di Brentano (collettivo di filosofi e psicologi essenzialmente influenzati da Franz Brentano nei primi anni del XX secolo), questa disciplina comprende lo studio delle strutture empiriche della coscienza e l’esperienza umana. Come il ramo della filosofia che indaga lo sviluppo della consapevolezza personale e collettiva, la fenomenologia consiste, detto semplicemente, nello studio che indaga i significati delle nostre esperienze, oltre al modo in cui percepiamo il mondo intorno a noi.
...Ma, perché la fenomenologia? Cosa c’entra questo con il mio blog e la mia permanenza a Cividale?
Parte del progetto di cui mi sto occupando attualmente consiste in un breve studio dello “spazio emotivo” a Cividale: un’analisi sul senso di appartenenza, d’identità e di nostalgia risultante dal rapporto tra gli individui ed un punto fisico in particolare. Valutando alcuni dei componenti culturali di questa cittadina ho avuto l’opportunità di testimoniare, sulla base di alcune testimonianze oltre alla mia esperienza diretta, l’importanza che l’ambiente fisico ha per gli individui.
È precisamente così che sono arrivata a questo pensiero, l’idea che suggerisce che la terra, più di un semplice spazio fisico, è un’entità viva che incarna le idee, le storie e gli ideali di non una, bensì varie generazioni attraverso il tempo.
Dunque, come un breve scorcio del mio analisi sull’ontologia geografica e la biunivoca interazione tra spazio e cultura, vi invito a leggere il seguente post oltre ad alcuni testimoni che un paio di amiche hanno deciso di condividere con me.
Buona lettura!
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L’antropologia dei luoghi; cos’è, precisamente, un “luogo”?
Lungi dall’essere un concetto semplice o generico, quello che caratterizza un “luogo” si tratta di una manifestazione culturale piuttosto popolare e discussa nella letteratura antropologica. L’idea di produrre o generare un “luogo” riguarda, infatti, l’esperienza affettiva e cognitiva della presenza umana “incarnata” all’interno del mondo materiale che ci circonda, la possibilità di assegnare una connotazione determinata ad una struttura fisica.
Detto semplicemente, un “luogo” è spazio impregnato di significato.
...Non ogni spazio, però, può considerarsi un “luogo”.
In base alla teoria antropologica dei “luoghi” (spazi culturali), gli antropologi Paul Memmott & Stephen Long (2002:40) sostengono: “Un luogo può nascere dall’alterazione delle caratteristiche fisiche di uno spazio in particolare; un luogo può essere creato adottando particolari tipi di comportamento in uno spazio specifico; infine, un luogo può anche risultare dall’attribuzione cognitiva di idee, concetti, eventi passati, leggende, nomi, ideali, ricordi, ecc.”
Riunendo tutti questi elementi c’è, indubbiamente, il mitico Ponte del Diavolo.
Costruito in pietra nel 1442 da parte dell’architetto Iacopo Dugaro da Bissone, questo monumento rappresenta uno dei simboli più importanti di Cividale del Friuli.
Ma non è la storia ciò che mi interessa oggi. Cenni storici a parte, quello che voglio sono i ricordi e le testimonianze personali ispirati dal Ponte; gli aneddoti che lo rendono speciali; i modi in cui un terreno in particolare prende vita per diventare un paesaggio semantico.
Esemplificando questo punto, c’è il contributo di Pier Angelo Piai. Solo due anni fa, lo scrittore ed ex-insegnante friulano ha pubblicato un poemetto dedicato a Cividale. Raccogliendo la maggior parte dei suoi luoghi storici, compresi il Duomo, il Tempietto Longobardo e naturalmente il Ponte del Diavolo, l’autore esalta la città in modo piuttosto sentimentale. La sua visione romantica, infatti, si rifletta in uno dei suoi versi:
“In antiche pietre disseminate
Dove lo sguardo ovunque sorprende. 
E non v’è angolo che ricordate
Senza che lo stupor il cor vi prende...”
Piene di sentimento e persino nostalgia, queste parole provocano un profondo senso di affetto per un luogo speciale, un posto che si distingue dagli altri per il suo carattere personale.
A seguito di Piai, altre testimonianze includono quelle dei cittadini e turisti alla pari, persone che, dopo un episodio intimo relativo al Ponte, dichiarano un legame con questo monumento, come quello di Chiara: 
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Chiara: “Il Ponte del Diavolo è senza dubbio uno dei luoghi più conosciuti di Cividale, ammirato e amato da turisti e visitatori. Essendo stato costruito diversi secoli fa, è diventato un vero e proprio punto di riferimento anche per i Cividalesi, che non potrebbero immaginare la bella cittadina senza il suo caratteristico ponte.
Nonostante io sia abituata ad attraversare il Ponte del Diavolo anche più volte in un giorno, mi capita spesso di meravigliarmi di fronte agli splendidi scorci sul fiume Natisone e ai tramonti mozzafiato che si possono osservare dal ponte in qualsiasi stagione.
Ricordo con particolare affetto che, quando avevo poco più di cinque anni, mio nonno mi raccontò la "famosa" leggenda del Ponte. Secondo questa storia, i cittadini di Cividale, avendo incontrato molte difficoltà nella costruzione del ponte, si rivolsero al Diavolo affinché li aiutasse. Quest'ultimo costruí un ponte di pietra estremamente resistente ma, in cambio del suo lavoro, pretese l'anima del primo malcapitato che avesse attraversato il ponte. Nel bel mezzo delle discussioni per stabilire chi avrebbe dovuto sacrificarsi per la comunità e cedere la sua anima al diavolo, dei bambini iniziarono a rincorrere un cane per divertimento. Il povero cagnolino impaurito iniziò a correre e, non trovando altre vie, si lanciò sul ponte, dove trovò il diavolo ad attenderlo. Il diavolo venne così beffato e dovette accontentarsi dell'anima del cane.
È una leggenda molto semplice, ma per me ha un grandissimo valore affettivo, legato soprattutto al ricordo di mio nonno che raccontava questa storia mentre io e mio fratello lo ascoltavamo incuriositi. Il Ponte del Diavolo, pur essendo un luogo che attraverso abitualmente e senza farci troppa attenzione, è davvero un posto speciale, legato a ricordi meravigliosi!”
O quello di Julia che, benché una turista, esprime anche un grande affetto verso il Ponte:
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Julia: “Se in questo preciso istante potessi trovarmi in un luogo, in un qualsiasi luogo del pianeta, quello sarebbe sicuramente il Ponte del Diavolo, a Cividale. Questo posto, secondo me, è unico: l’ingresso di una cittadina mitica ed antica, oltre a uno dei luoghi più incantevoli di tutta l’Italia.
Questo monumento è il posto dove mi rifugio e quello in cui vado per sentirmi meglio nei ricordi più belli che ho degli ultimi mesi. Ogni volta che voglio staccarmi dal caos del lavoro e della vita in generale, penso all’inverno che ho trascorso a Cividale e penso anche a tutti gli amici che ho conosciuto, oltre a ogni persona che ho avuto la fortuna di incontrare. Il Ponte è, secondo me, un simbolo di Cividale, una città che mi ha dato molto. Così, come la rappresentazione di una cittadina importante, il Ponte mi trasmette pace, tranquillità e gioia.”
Come quelli delle mie amiche, il motivo che mi lega a questo punto è abbastanza arbitrario, persino intimo e speciale. Questo monumento è stato, infatti, uno dei primi simboli che ho incontrato prima e durante la mia permanenza in questa cittadina. Senza conoscere il posto che sarebbe stata la mia seconda casa durante i miei prossimi tre mesi, infatti, una delle prime cose che ho trovato nella mia breve ricerca su Cividale è stato questo monumento. Poi, giorno dopo giorno, in una piccola città in cui tutti i volti sembrano familiari nel giro di qualche settimana, ho visto il Ponte illuminarsi con gli amici ed i passanti che si fermano per contemplare il cielo su di loro. Con uno sguardo placido e sereno, queste persone iniziano un tacito dialogo con ciascuna delle strutture del ponte ed i suoi dintorni, così come dimostra il volto di questa donna che, contemplando il tramonto in pace, sorride mentre saluta la giornata... 
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Nello stesso modo in cui la Torre Eiffel rappresenta per molti l’amore ed il romanticismo universale, il Ponte del Diavolo è ora un simbolo dei ricordi più belli della mia vita. Oltre alla mia prima esperienza professionale e a tutti gli amici che ho trovato qui, questo luogo, data la sua notorietà, segna il nesso che ho con Italia e l’italiano. Il solo fatto che il Ponte abbia una storia lunga e, da conseguenza, che abbia visto passare varie generazioni nel tempo, mi fa pensare che molte storie siano avvenute qui, sotto le stesse stelle. Sospesi sulle acque del Natisone, questi ricordi sono come i miei: quelli caratterizzati dalle gioie e dai dolori; dagli amici che vanno e vengono; dai timori e dalle emozioni; dagli amori e dalle persone che lasciano un segno ma, più di tutto, dalle storie di come una persona, dopo una vita passata a cercare, ha trovato, finalmente, la sua casa a migliaia di chilometri dalla terra dove è nata (io!).
È strano come le persone sembrino sentirsi a casa propria in alcuni luoghi. Cosa rende questi spazi così speciali? Perché preferiamo certi punti e non tutti? Cosa scatena le nostre emozioni e perché l’emotività caratterizza il nostro rapporto con l’ambiente fisico e architettonico?
Approfondendo un po’ la questione fenomenologica e tutto quello che comprende lo studio delle strutture empiriche della coscienza umana, oltre ai significati delle nostre esperienze e i modi in cui percepiamo e interagiamo con il mondo intorno a noi, la finalità della mia ricerca è quella di illustrare le diverse modalità in cui ci relazioniamo con alcuni degli elementi più vicini e noti. Oltre al loro carattere funzionale e storico, sono più interessata agli aneddoti legati a queste costruzioni; l’altra parte dello spazio culturale, le altre voci che, diversi da quelli puramente fattuali, influenzano le funzioni comportamentali di un gruppo culturale. Più di un semplice pezzo di terra, dopotutto, la rilevanza di un luogo e quello che caratterizza il suo valore semantico risiede nel significato che attribuiamo ad un posto in particolare; cioè non è questione di un posto in sé, ma delle connotazioni ed i valori affettivi che ascriviamo, delle storie che raccontiamo di noi stessi rispetto a un luogo. Mi interessano, così, le testimonianze che, relative a questo sito in particolare, forniscono informazione su una persona o un gruppo e come, in qualità di individui che scrivono la propria storia usando elementi specifici, le nostre affinità per quanto riguarda “un’atmosfera affettiva” rivelano un po’ più del nostro passato e di chi siamo.
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Facendo luce sulle mie opinioni e quelli delle mie amiche, tocca a me chiedervi il vostro contributo. Che mi dite di voi? Come mai questi ricordi ed emozioni sono così importanti? Ha il Ponte, o magari un altro posto a Cividale o in qualsiasi altra parte del mondo, un significato personale per voi? Se sì, perché?
Come al solito, è stato un piacere. Grazie mille per essere arrivati fin a questo punto. Vi auguro una buona settimana e ci vedremo presto, amici!
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ungiropercividale-blog · 8 years ago
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10. Tour gastronomico e geografia emotiva a Cividale*
Piccola e serena con meno di 12 000 abitanti, Cividale del Friuli può sembrare una cittadina poco importante, un sito remoto nell’Italia settentrionale. È, invece stata fondata da Giulio Cesare in persona e riconosciuta come la capitale del primo ducato longobardo. Cividale è anche uno dei siti del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, uno dei tesori storici e culturali più importanti di Italia e di Europa.
Mandi! Come state amici? Come vi trovate oggi? Cosa ne pensate del mio ultimo post? Avete letto l’intervista al Dottore Diego Navarria, Sindaco del comune di Carlino? Cosa ne pensate della storia e dello sviluppo dell’idioma? Avendo conosciuto un po’ il Friuli e il friulano, state pensando di provare a impararlo in futuro?
Spero proprio di sì! A coloro che mi hanno accompagnato nel corso di questa visita nell’Italia del nord, un caloroso benvenuto; grazie mille per far parte di questo piccolo spazio e scoprire con me solo alcune delle meraviglie del Friuli.
Allora, cosa ho preparato per voi questa volta? Cosa vi dirò oggi? Cosa potrei dirvi che non vi abbia già detto? Parlando di meraviglie e grandi scoperte, vorrei mostrarvi qualcosa di veramente speciale per me: Cividale come non l’avete mai vista.
Poco fa, il regista e sceneggiatore sovietico Andrej Tarkovskij disse: “In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l’uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l’uomo deve poter viaggiare.”
Formalismi letterari da parte (chi ha detto che solo gli uomini devono viaggiare?), questa frase capta il concetto che voglio comunicarvi: l’idea che attraversare il mondo alla scoperta di posti nuovi apre la mente, ma soprattutto (almeno nel mio caso) il cuore.
Percorrendo così, Cividale, cominciai a costruire la mia propria “geografia emotiva”, una rete unica di percorsi personali nella cittadina. Ci sono, dopotutto, centinaia di guide turistiche e libri sull’Italia (e altrettante, certamente, su Cividale). Nessuna, però, è come la mia. Raccontandovi la mia propria esperienza oltre a “immortalare”, per così dire, le mie impronte su ogni angolo della città, il mio obiettivo oggi è quello di presentarvi un mappa personale dei miei luoghi preferiti a Cividale, posti in cui ho condiviso bei momenti con gli amici che ho trovato.
Impregnata così di ricordi e respirando un’aria di gratitudine e nostalgia, mi piacerebbe, prima di partire, portarvi a fare un giro di un posto che mi ha dato tanto, al punto di cambiare ciò che sono oggi.
Detto questo, vi invito a viaggiare con me e conoscere alcuni dei miei luoghi preferiti a Cividale. Andiamo!
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1. Pasticceria Cattarossi
Situata nel corso Paolino d’Aquileia 10, attraverso il Ponte del Diavolo (sul lato destro della via) e prossimo al Duomo di Santa Maria Assunta, c’è la famosa Pasticceria Cattarossi, locale tradizionale e, almeno per me, uno dei fiori all’occhiello dell’elaborazione dolciaria di Cividale. Con un’ampia varietà di prodotti tipici, come le gubane e gli strucchi (dolci tradizionali delle valli del Natisone fatti a base di pasta dolce con un ripieno di noci, uvetta, zucchero e grappa), questa pasticceria è, senza dubbio, uno dei posti da non perdere nel mio tour.
Uscendo dal Convitto un pomeriggio dopo pranzo, la prima volta che ho visitato questo locale è stata con Lesleigh.
“Claudia, vuoi qualcosa da bere? Torniamo a casa, accendiamo il bollitore e ci facciamo una bella tazza di tè, che ne dici?”, mi chiese una volta.
“Ma prima, prendiamo dei biscotti!”, risposi.
(Amici, per chi non lo sapesse ancora, prendo seriamente il cibo. Dopotutto, cos’è meglio di un bel dolce in buona compagnia?)*
Giorno dopo giorno, un biscotto alla volta, visitare questo posto è diventato una specie di rituale per me, cosa che non può mancare nei miei pomeriggi a Cividale. Dopo la partenza di Lesleigh, ho avuto la fortuna non solo di condividere questo tempo con lei, ma anche mostrarlo ai nuovi amici e membri del Convitto, come la bella Julia Pniwchuk, assistente di lingua inglese ucraina.
La mia parte preferita? Prendere le solite cose: due biscotti al cioccolato mentre parlo con Pia (proprietaria del negozio e una mia cara amica) sugli avvenimenti a Cividale: 
“Questo potrebbe essere l’inverno più freddo che abbiamo vissuto qua!”, mi dissi.
“Sicuramente. L’unica cosa che mi manca dell’Australia è il sole...!”)
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2. Enoteca de Feo 
Ah, ricordi. Con un’ampia e straordinaria selezione di vini e prodotti tipici, il prossimo posto che vorrei mostrarvi è il ristorante Enoteca de Feo. Trovato in via Adelaide Ristori 29, davanti al l’omonimo Teatro Adelaide Ristori nel centro di Cividale, questo locale è uno dei miei preferiti. Si tratta, né più né meno che di un ristorante. Molto accogliente; un ambiente intimo curato nei minimi dettagli per il comfort dei suoi commensali e clienti. Oltre a un ottimo servizio ed un ambiente pittoresco, quest’enoteca rende onore alla tradizione gastronomica friulana con una selezione di prodotti regionali, come i salumi (gli affumicati D’Osvaldo [i prosciutti, lo speck e la pancetta], la Pitina della Val Tramontina [una polpetta di carne affumicata] e il prosciutto di San Daniele di Bagatto) ed una scelta di più di 45 formaggi nazionali ed esteri, come il Formadi Frant, il Montasio stravecchio, la latteria di Fagagna, il Blu al Ramandolo, eccetera. 
Ho trovato questo posto quasi per caso, una sera dopo la cerimonia di chiusura del CFMUNESCO 2016, il 6 dicembre, mentre Natalie, Jake ed io uscivamo del teatro. Affamati come al solito (a dir la verità, alcuni dei nostri momenti migliori assieme li abbiamo passati a tavola), cercavamo un posto dove cenare. Senza il minimo sforzo, davanti a noi, in luce soffusa con un sottofondo di musica jazz, trovammo il piccolo ristorante. 
Di una gentileza unica, la titolare ci ha accolto appena siamo entrati. “Volete qualcosa da bere?”, ci chiese. 
In modo tale, la prima cosa che abbiamo fatto è stata assaggiare la scelta di vini (ottima carta! Jake e Natalie hanno preso un bicchiere di prosecco mentre io ho bevuto un Refosco dal peduncolo rosso Jacùss [vino rosso friulano]). Poi, per antipasto, abbiamo preso il “Frico scomposto col porro”, una perfetta combinazione di croccantezza fuori e morbidezza dentro. Per primo, ho preso un piatto stellare, chiamato “Risotto con funghi di bosco e castagne all’arancio”. Natalie ha preso i “Ravioli ripieni alla zucca con intingolo d’anatra” mentre Jake ha preso la famosa “Carbonara 2.0”, spaghetti preparato con guanciale, uova, pecorino e abbondante pepe nero. 
Oltre al cibo squisito (come se non bastasse, abbiamo concluso la serata con una cheesecake ai frutti di bosco, torta al cioccolato e tiramisù [esatto, preparatevi a ingrassare a Cividale!]), il motivo per cui ho scelto questo ristorante è l’atmosfera accogliente che offre. Dopo quella volta, ho avuto il piacere di passare una serata piacevole e divertente con né più né meno che Sara (che come molti di voi sanno, è la più brava e buona professoressa al mondo!). 
In occasione di una breve visita a Cividale e al Convitto, Sara ed io abbiamo deciso di andare a cena fuori. Pensando ai miei posti preferiti, l’ho portata qua per un’altra serata in amicizia ed allegria, circondate naturalmente, da buon cibo. 
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3. Zuckerfee 
Il prossimo posto nella mia lista è Zuckerfee, una piccola pasticceria situata al 31 della Piazza Paolo Diacono, diagonale al altrettanto famoso Caffè Longobardo. Con un’ampia varietà di prodotti, questo locale offre ogni sorta di dolci: dai pasticcini, confetture e torte al caffè, succhi di frutta, infusi ed una cioccolata calda davvero eccezionale. Oltre ad un ambiente curato ed una grande attenzione ai più piccoli dettagli, il personale di Zuckerfee è molto gentile ed attento, sempre pronto a servire con un bel sorriso stampato in faccia.
Come con l’enoteca, ho trovato questa pasticceria per caso una sera in cui andavo in giro con Natalie. Chiacchierando sulla vita e gli ultimi avvenimenti a Cividale e al Convitto (in altre parole, spettegolando), Natalie ed io siamo entrate in questo locale mentre scappavamo dal freddo invernale delle strade. Avvicinandoci al bancone, è stato impossibile resistere ai piccoli biscotti davanti a noi, una vera gioia per gli occhi e per il palato. 
La seconda volta che ho visitato questo locale è stata con Sara e Chiara Moreale, una buona amica che frequenta il liceo linguistico annesso al Convitto. Condividendo aneddoti della nostra esperienza a Cividale e a Brisbane, ho conosciuto Chiara mediante Sara un giovedì pomeriggio dopo il lavoro. Camminando per le strade della cittadina, abbiamo deciso di fermarci a prendere un caffè. Poi, biscotto dopo biscotto (o, nel mio caso, biscotti dopo biscotti), mi resi conto che Chiara era molto brava e perspicace, motivo per cui siamo diventate buone amiche, oltre che a fedeli clienti della pasticceria. 
Ahhh, quanti bei ricordi in questo posto...!
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4. Al San Daniele
Situato nel cuore di Cividale (al 8 della Piazzetta Terme Romane, nel centro storico della cittadina) è il Bar Degustazione Al San Daniele. Con un’ottima scelta di vini e rinfreschi tipici del territorio, oltre ai stuzzichini a base di Prosciutto di San Daniele (prodotto dalle aziende nel comune di San Daniele del Friuli), questo locale è più che buono; certamente, un altro dei miei preferiti.
Di prima qualità, la specialità di questo posto è il Prosciutto di San Daniele DOP (Denominazione d’Origine Protetta), prodotto con caratteristiche inimitabili che dipendono esclusivamente dall’ambiente geografico in cui sono stati originati. Prodotto esclusivamente da allevamenti nati ed allevati in Italia, il Prosciutto di San Daniele DOP è, per molti, simbolo dell’orgoglio friulano.
Sono arrivata in questo locale con Dani una sera, dopo aver fatto un giro per Cividale. Affamate, cercavamo un posto dove mangiare un boccone per cena.
“Sei mai stata qui?”, mi chiese Daniela.
Arredato in stile rustico con pochi tavoli all’interno, il posto ci ha ricevuto con un delizioso profumo. “Mandi!”, ci dissero. 
Dolce e gustoso, il prosciutto si scioglieva dentro la mia bocca come una caramella. Abbiamo preso un paio di grissini con prosciutto arrotolato (fette di prosciutto arrotolate intorno ad ogni grissino) oltre ad un piatto di affettati e formaggi locali, compresa la Caciotta Caprina, la Fagagna e la Forma di Frant.
Poi, come se non bastasse, abbiamo proseguito il nostro tour gastronomico con un bicchiere di vin brûlé, bevanda calda tipica delle zone montane preparata con vino rosso e spezie aromatiche, “prodotto a chilometro zero” (prodotto venduto e consumato direttamente nella zona di produzione) ideale per degustare i sapori e gli aromi locali (sopratutto in un pomeriggio di pioggia). 
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5. Ristorante Trattoria ai Tre Re
L’ultimo nella mia lista è un posto molto speciale, il ristorante-trattoria ai Tre Re. Situato al 28 della Stretta San Valentino, questo locale si trova nel cuore della Cividale antica, in mezzo ad un piccolo giardino circondato da storiche mura cinquecentesche. Con un occhio attento alle preferenze e le esigenze di vari gruppi di consumatori, compresi i vegani e gli amanti della carne e del pesce, ai Tre Re offre una scelta dei migliori ingredienti locali per fare di ogni pasto un’esperienza unica, una scoperta davvero piacevole.
In occasione dell’ultimo saluto ad una persona speciale, sono arrivata in questo posto una sera di dicembre coi miei due amici e compagni di avventure, Natalie e Jake. Dopo tre mesi a Cividale, Jake tornava a casa, in Canada, il giorno seguente. Tristi, ma decisi a godere di un’ultima cena insieme, abbiamo deciso di andare in un posto carino e riservato. I nostri, dopotutto, erano rituali alimentari molto importanti!
Iniziamo il pasto con una “Torretta vegetariana con mozzarella di Bufala e Verdure” ed un “Carpaccio di filetto con colatura di alici”, piatti leggeri e saporiti che, nonostante la loro semplicità, riflettono la passione e l’originalità con cui lo chef completa ogni portata.
Dopo, passando al primo piatto, Jake ed io abbiamo preso il “Filetto ai funghi porcini con un tortino di carote e foglie di spinaci freschi saltati in padella”, un piatto davvero eccezionale. Natalie, invece, ha preso i “Ravioli fatti in casa ripieni di tartar di scampi e gamberi rossi, burrata ed emulsione di basilico su acqua di pomodoro”, un’ottima pietanza piena di colori e sapori.
Alla fine, per chiudere la splendida serata, noi tre abbiamo deciso di condividere un dolce, un delizioso e meraviglioso “Soffiato al cioccolato con cuore morbido al cioccolato e arancia e albicocche caramellate al pepe rosa”, una portata, nel caso non aveste già indovinato, piuttosto elaborata e complessa.
Cibo da parte (oltre a tanti bicchieri di Prosecco!), la particolarità di questo locale, come ho già detto, è il motivo che ci ha riunito. Come in molte altre occasioni, ci siamo divertiti un mondo quella serata. Scherzo dopo scherzo, le ore passarono senza rendercene conto.
Jake è, infatti, un bravo ragazzo. Oltre ad essere carino e generoso, lui è anche molto divertente. Come con Natalie, passare il tempo con lui implica ridere di gusto proprio mentre si perde il senso del tempo e dello spazio.
Peccato che la serata dovesse finire...!
Mostrandovi alcuni dei miei luoghi preferiti, oltre a condividere con voi la mia propria “geografia emotiva”, il mio obiettivo è stato quello di illustrarvi un mappa personale dei luoghi che ritengo speciali per il loro valoro affettivo e sentimentale. Più che un ristorante o una semplice pasticceria, questi siti fanno parte di una rete unica di percorsi personali a Cividale, cittadina che oggi considero come la mia seconda casa. Questo posto, dopotutto, mi ha dato molto; da un primo amore e grandi amici alla mia prima esperienza lavorativa.
Conseguentemente, percorrere questo luogo non si tratta di un viaggio solamente, l’idea di andare da un posto all’altro o fare una breve passeggiata. Lungi dall’essere solo un destino, oppure un semplice punto sulla cartina geografica, Cividale è, invece, diventata una terra incantevole per me; un posto dove ogni angolo e ogni pietra, anche la più piccola, ha una voce e una storia propria.
Se i muri potessero parlare, infatti, direbbero cose che non potreste mai immaginarvi; dalle pazzie e le risate di un bel gruppo di amici a qualche lacrima versata ogni volta che dovevo dire addio ad una persona speciale... La realtà è che dietro ad ogni cena, ogni biscotto ed ogni passeggiata, si nascondevano molte avventure e ricordi aspettando solo di essere scoperti e amati.
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Grazie mille per essere arrivati fin qui a leggere e condividere con me questo spazio creato con molto affetto. Spero che questo post vi abbia incentivato a scoprire Cividale, oltre a scrivere la vostra propria storia al momento del vostro arrivo!
Come al solito, un caro abbraccio!
-c
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ungiropercividale-blog · 8 years ago
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9. Rapporto tra lingua ed identità, una serata con Diego Navarria*
Mandi amîs! Çemût staiso!
Con questa frase vi saluto e vi do il benvenuto in questo spazio: un piccolo blog in cui condivido le mie ultime esperienze vivendo a Cividale del Friuli. Come state? Come vi trovate con l'ultimo blog? Avete riconosciuto questo messaggio? Siete riusciti ad identificare questa lingua?
Per chi non sapesse, non si ricorda oppure non ha ancora letto una delle mie ultime pubblicazioni, questo saluto, probabilmente il saluto friulano più conosciuto, in italiano vuol dire: Ciao amici! Come state?
Nello sforzo di scoprire ed esplorare alcuni degli aspetti per me più importanti in merito al Friuli, ho deciso di condividere con voi un’altra intervista (esatto, un’altra intervista!) a una delle autorità più rappresentative della regione, il Dottore Diego Navarria, Sindaco di Carlino.
In qualità, dopotutto, di studentessa del comportamento umano, ho un interesse particolare quando si tratta di quello che rende le persone uguali e diverse in confronto ad altri; questioni storiche, politiche, religiose, gastronomiche, artistiche, ecc. Appassionata, particolarmente, dell’intera questione ontologica e del punto dell'identità, mi occupo piuttosto del retaggio culturale di ogni gruppo; di tutto quello che rappresenta e costituisce la percezione di sé stessi e del mondo.
Poche cose, di fatto, rivelano “l’essenza” di un gruppo etnico quanto il linguaggio, la facoltà di esprimersi mediante una tradizione orale e scritta. Valutando il rapporto tra lingua e cultura, così come i modi in cui diversi popoli concepiscono tutto ciò che li circonda, l’etnolinguistica o antropologia linguistica, studia la percezione e la concettualizzazione verbale di molte società attraverso il loro uso della parola, il modo particolare in cui un gruppo o per- sona si appropria di una lingua per sviluppare un orientamento spazio-temporale.
Approfondendo così il tema etnolinguistico ed il ruolo particolare che la lingua friulana possiede nella vita di chi la parla (cioè, le origini, lo stato e il significato collettivo oppure personale dell’idioma), sono arrivata a casa del Dottore Diego Navarria con Dani (che, tra l’altro e per mia fortuna, è la figlioccia di Diego) per parlare un po’ riguardo il linguaggio e le politiche di identità.
Intervista a Diego Navarria, Sindaco di Carlino*
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Franco, conciso ed aperto; così si mostra il Dottore Diego Navarria, Sindaco di Carlino e friulano vero, impiegato municipale con una passione per la politica e la crescita umana del suo paese.
"Vi andrebbe un caffè o qualcos'altro da bere?", ci chiese prima di iniziare l'intervista.
"Volete anche della panna e dello zucchero?"
Seduti nel salotto, una piccola stanza accogliente piena di libri e quadri (emblemi friulani che mostrano la sua passione per la storia, la cultura e le tradizioni di Carlino, S. Gervasio e Maranutto [frazioni del comune di Carlino della provincia di Udine in Friuli-Venezia Giulia]), l’ex bibliotecario ci ospita per un'intervista.
1. Prima di tutto, vorrei ringraziarlo per quest’opportunità. Grazie di cuore per averci invitato nella sua casa.
D: (Risate) Figurati, il piacere è mio!
2. Allora, prima di tutto, cos’è il friulano?
D: Conosciuta da almeno 600.000 persone nelle provincie di Gorizia, Udine, Pordenone e in alcuni comuni veneti (come Portogruaro, Gruaro, Fossalta di Portogruaro e Concordia Sagittaria), il friulano è una lingua romanza di origine neolatina, facente parte della famiglia delle lingue retoromanze e ladine.
3. E dove nasce il friulano?
D: Sebbene le origini esatte del friulano siano sconosciute, si ritiene che l’idioma sia partito dall’anno Mille (benché alcune versioni storiche suggeriscano che le origini ufficiali risalgano a partire dall’inizio del II secolo a.C., dopo l’invasione romana nel territorio celta) come un’evoluzione del latino rustico aquileiese, l’idioma corrente parlato dai primi abitanti autoctoni della colonia di Aquileia, fondata dai Romani nel 181 a.C. Si suppone, infatti, che i Carnici (popolo celtico situato nella regione alpina orientale), una volta conquistati dall’impero romano, abbiano proseguito ad usare la loro lingua madre integrando elementi latini nel lessico e nella fonetica celta, sviluppando così un idioma proprio. Dopo, con l’arrivo dei numerosi gruppi culturali, compresi i germanici e gli slavi, la lingua friulana si è svolta nei secoli successivi come un “ibrido” linguistico tra le varietà neolatine, germaniche e slave, prodotto delle correnti politiche, militari, commerciali ed economiche della regione (come punto di transito culturale e linguistico nella storia, il Friuli, dopotutto, è stato un sito d’incontro tra vari popoli).
4. Molti ritengono che il friulano è appena un dialetto invece di un idioma. Secondo lei, il friulano è una lingua, anzi una variazione dell’italiano?
D: Sebbene il friulano abbia caratteri simili rispetto ai dialetti dell’Italia settentrionale, la “fisionomia” linguistica specifica dell’idioma conferisce un profilo autonomo a questa lingua, con propri termini, grammatica e fonetica. Nel 952, infatti, con l’arrivo dell’impero germanico in Friuli, la lingua appare appartata rispetto al resto dell’Italia a seguito del isolamento politico e sociale della regione che, per circa tre secoli, ha sviluppato caratteristiche diverse da quelle di altre parti del Paese, compresa la lingua.
Molti, però, considerano il friulano un dialetto, ma con la legge statale 482/1999 (“Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”), il friulano ha ottenuto, infatti, il riconoscimento di lingua minoritaria permettendo l’inserimento ufficiale dell’idioma, accanto all’italiano, nell’ambito dell’istruzione regionale (con l’insegnamento del friulano nelle scuole materne, primarie e secondarie, così come nell’università). Allo stesso modo, con la legge regionale della Regione Autonoma Friuli Venezia-Giulia 18 dicembre 2007, n. 29 (“Norme per la tutela, valorizzazione e promozione della lingua friulana”), il friulano, accanto alle sue diverse espressioni e varianti regionali (come il friulano carnico, il friulano centrale e il friulano occidentale), è stato promosso come “lingua propria del Friuli e parte del patrimonio storico, culturale e umano della comunità regionale.”*
5. Quando si usa il friulano? In quale contesto si parla il friulano? Dove si usa e con chi?
D: Sebbene il friulano sia attualmente parlato da circa 600.000 persone, l’uso di questa lingua è praticamente esclusivo ad un contesto domestico oppure personale, utilizzato principalmente nelle conversazioni con gli amici o con la famiglia. A causa, infatti, del suo stato di lingua minoritaria e di una propaganda linguistica negativa (quando in Friuli è arrivata l’Italia, il ruolo del friulano è diventato appena quello di un dialetto perché l’Italia, com’è nata, è uno stato che non accettava le minoranze; si doveva adottare un’identità nazionale e parlare la stessa lingua, l’italiano), il friulano è stato confinato in un piano secondario, con un calo allarmante di interlocutori negli ultimi anni.
Io, ad esempio, uso il friulano dappertutto, però è vero che anche io sono vittima della minorazione della lingua, prima di tutto perché mio padre non è friulano e mia madre è friulana ma non lo parlava. In un discorso ufficiale, come Sindaco, uso anche il friulano, ma più spesso l’italiano perché sono abituato che nel momento in cui “diventa ufficiale la cosa”, “devo” parlare in italiano. Questo è un retaggio dell’educazione passata dove l’italiano veniva assegnato per le questioni importanti mentre il friulano si usava a casa.
6. C’è, secondo lei, un nesso tra lingua e identità? Se si, come modifica l’idioma il senso di appartenenza e comunità di una persona, oppure di un gruppo culturale?
D: La lingua indubbiamente costituisce uno strumento fondamentale nel capitale umano, nell’evoluzione e nello sviluppo della nostra specie. Esprimendo le nostre idee e necessità elementari, la lingua ci consente di sopravvivere mediante uno scambio di conoscenza e di informazione, a livello generale. Inoltre, sul piano personale e culturale, la lingua fa parte di sé stessi, di tutto quello che integra il nostro mondo. A parte il modo attuale in cui vediamo e comprendiamo la vita e ciò che ci circonda, la lingua è memoria; le testimonianze, le parole, i ricordi e le immagini di una persona e di un intero popolo alla volta. Come una casa o un posto a cui apparteniamo, la lingua è, nelle parole del Direttore del Servizio Regionale Identità Linguistiche, Culturali e Corregionali all’Estero, Marco Stolfo, “una memoria viva, fatta di conoscenza, riconoscenza e riconoscimento, su cui può fondarsi il futuro di una comunità la quale così si conosce, si riconosce e si rinforza.”**
7. Alla fine, quali sono, secondo lei, i motivi per crescere le nuove gener- azioni con la lingua friulana?
D: L’insegnamento del friulano offre alle nuove generazioni vantaggi non solo cognitivi, ma anche culturali. Crescere i bambini con più di una lingua, in generale, offre ai ragazzi una visione più ampia del mondo che li circonda; così, una società con una sola lingua subirebbe una grave perdita intellettuale senza precedenti. A livello linguistico, ad esempio, imparare il friulano consente ai giovani la possibilità di potenziare le loro strategie metacognitive, cioè la loro capacità di poter riflettere sulle proprie abilità intellettive, l’opportunità di imparare altri idiomi con più facilità oltre a stimolare la loro intelligenza e il loro svolgimento scolastico. D’altronde, il plurilinguismo offre alle nuove generazioni l’opportunità di inserirsi in un contesto politico diverso fornendo una maggiore consapevolezza di altri punti di vista, della storia e le tradizioni del paese in cui la lingua è parlata.
...
Contento, appoggiato sul divano, Diego sorride.
“Grazie di cuore per la sua gentile collaborazione, è stato un piacere imparare nuove cose sul friulano,” dissi.
“Al contrario, il piacere è stato mio. Sono sempre felice di poter parlare della mia cultura e le mie origini”, mi rispose.
Poi, all’improvviso, passandomi un libro aperto su una pagina con una serie di foto in bianco e nero, mi sorrise.
“Prima di ripartire, vorrei darti questo segno, una collezione dei racconti e le testimonianze di migranti friulani in Australia, familiari ed amici del comune di Carlino che sono stati trasferiti in Australia. Sono certo che ti piacerà.”
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Come un anello al dito, questo libro è proprio quello che cercavo: le voci dei migranti che, come me, hanno dovuto lasciare la loro casa nella ricerca di un nuovo orizzonte in terre lontane, un porto straniero in cui si avrebbe scritto l’inizio di un nuovo capitolo preservando le tradizioni del posto che li ha visti nascere e crescere; frammenti di un popolo e di una cultura viva che, attraverso la memoria, rafforza e rinnova i legami tra l’idioma e tutto ciò che un individuo ed un gruppo etnico è.
Grazie amici, per essere arrivati fin qui a leggere! Vorrei ringraziare anche il Dottore Diego Navarria per la sua gentile ospitalità.
Spero che questa piccola intervista vi abbia incentivato a conoscere meglio una delle eredita culturali più grandi della regione che alcuni di voi scopriranno tra poco.
Come al solito, un caro abbraccio e tutta la mia gratitudine! 
-c
*La Legge regionale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia 18 dicembre 2007, n. 29, art. 1 - Norme per la tutela, valorizzazione e promozione della lingua friulana.
**Frase di Marco Stolfo, Direttore del Servizio Regionale Identità Linguistiche, Cultura- li e Corregionali all’Estero (2005). Cjarlins e Sarvâs: int ator pal mont, p. 19.
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ungiropercividale-blog · 8 years ago
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8. L’internazionalità in Convitto: un pomeriggio al liceo classico*
Ciao amici, benvenuti di nuovo nel mio blog! Come state? Com’è andata la vostra settimana? Grazie, come sempre, per essere tornati qui, per condividere con me questi bei momenti a Cividale e al Convitto, un posto che considero come seconda casa.
Come vi ricorderete vi ho parlato un po’ riguardo il mio ruolo in quanto assistente di lingua, lavoro che faccio con i bimbi della scuola primaria. C’è una parte, però, che non vi ho descritto ed è la dinamica del liceo del Convitto. Come saprete, il Convitto è formato dalla scuola primaria e da quattro licei (liceo classico, scientifico, linguistico e, alla fine, liceo delle scienze umane). Avendo dedicato una sezione alla primaria, mi piacerebbe illustrarvi successivamente i licei e cosa succede al suo interno.
Come in tutti i paesi, il sistema scolastico in Italia si articola in fasi distinte. Prima c’è la scuola dell’infanzia, istituto aperto ai bimbi con età compresa fra i tre e sei anni con una durata triennale. Dopo c’è il primo ciclo di istruzione, periodo articolato in due linee scolastiche consecutive: la scuola primaria o elementare (con una durata di cinque anni) e la scuola media o secondaria di primo grado (con una durata triennale). Poi, con una durata di cinque anni (dividendosi in un primo biennio ed un secondo triennio), c’è il secondo ciclo, caratterizzato dal secondo grado di istruzione secondaria e suddiviso in tre istituti: i licei, gli istituti tecnici e gli istituti professionali.
Col fine di fornire agli studenti un’ampia formazione culturale e teorica, i licei prevedono una preparazione nelle scienze di base, e gli studi scientifici orientati verso matematica, fisica, chimica, biologia, ecc. Ci sono, solitamente, sei tipi di licei: il liceo artistico (dedicato al disegno, la scultura, l’architettura, ecc.); il liceo classico (dedicato agli studi umanistici di latino, storia dell’arte, greco antico, filosofia, ecc.); il liceo linguistico (dedicato alla lingua moderna straniera e gli studi culturali dell’inglese, lo spagnolo, il tedesco, il russo, cinese, arabo, ecc.); il liceo musicale (connesso ad un conservatorio e dedicato alla musica, la danza e la storia della musica); il liceo scientifico (dedicato alla matematica, scienze della terra, chimica, ecc.); e, alla fine, il liceo delle scienze umane (orientato verso l’antropologia, la sociologia, la psicologia e la pedagogia).
Creato al fine di promuovere e fornire quell’amore per un’ampia conoscenza culturale che coniuga tradizione e innovazione (cioè, la conoscenza del passato con la consapevolezza civile dei problemi internazionale di attualità), il liceo classico, istituto che ho scelto per questo blog, è orientato verso lo studio delle radici greco- latine fra scienze umanistiche e scientifiche quali la traduzione dei testi antichi, l’italiano, la geografia, la storia, l’arte, l’inglese, il latino, il greco e la filosofia.
Una visita al Liceo Classico: la classe di filosofia del Prof. Domenico Pinto*
Seduti, davanti a me, ci sono gli studenti della 3A. Sono appena le 8 di mattino di un giorno invernale a Cividale. I ragazzi, comunque, attendono con ansia la lezione. “Oggi abbiamo una lezione davvero interessante impartita dal Prof. Domenico, un figo”, mi ha detto Tea, una studentessa del liceo classico. “Va bene se rimango qui?”, le ho chiesto. “Certo! Lui è fighissimo; sarà contento di averti in classe.”
Abituata a passare la giornata circondata da bimbi, ero curiosa di presenziare le dinamiche della scuola secondaria, un territorio finora sconosciuto nel Convitto.
“Buongiorno ragazzi!”, è stata sentita una voce. Vestito di giallo e jeans, un uomo con occhi franchi e sorriso gentile entrava in classe, salutando con entusiasmo i suoi studenti, il Prof. Domenico Pinto: 
“Come vi trovate oggi?”, chiese.
“Oggi abbiamo un’ospite dall’Australia”, disse una voce dietro di me. 
Veloce, mi sono avvicinata a presentarmi e stringergli la mano. Gli chiesi: “Buongiorno, mi chiamo Claudia Espinoza e sono assistente di lingua inglese al Convitto, nella scuola primaria. Sono arrivata da Brisbane e mi stavo chiedendo se avrei potuto presenziare alla sua classe.”
“Certamente, benvenuta!”, mi ha risposto senza pensarci due volte, indicando una sedia proprio nel mezzo della stanza.
“Parli italiano?”, mi ha chiesto, “riesci a capire tutto?”
“Parlo un po’ di italiano, sì,” risposi.
“Brava! Quindi inizio adesso. Oggi parleremo di Platone, hai studiato filosofia al liceo o l’università?”
“Certamente, mi piace molto.”
Trascinando una sedia per poi sedervisi sopra, il professore cominciò la sua lezione, gli alunni lo ascoltavano esterrefatti e con attenzione, gli occhi irrimediabilmente aperti come anche del resto la loro bocca.
“Dove sono?”, mi sono chiesta ad un tratto.
A differenza di quelli della primaria, questi ragazzi rimanevano immobili davanti al loro insegnante, indifferenti dinanzi alle possibili distrazioni che provenivano dall’esterno. In silenzio, senza far rumore o interrompere, gli studenti ascoltavano la lezione con vivo interesse ed entusiasmo.
“Se solo anche i miei alunni fossero così...!”, pensai per un istante.
Per tanto gratificante e dolce che possa essere, lavorare con bambini piccoli non è facile, specialmente in mezzo ad un gruppo di bimbi di 5 o 7 anni che cercano solo di sfogarsi, muoversi e saltare dalla loro piccola sedia. Incantata e soddisfatta, restai seduta durante un’ora che sembrò volare, persa tra questioni di dialettica, materia e cognizione.
Affascinata dalla facilità d’espressione che maneggiavano, oltre la perspicacia con la quale abbordavano questioni ontologiche, cominciai a riflettere riguardo la mia propria esperienza al Convitto in quanto straniera e studentessa di italiano.
Decisi, così, di avvicinarmi ad un gruppo di studenti per conversare un po’, studenti che alcuni di voi avranno la possibilità di conoscere tramite il Convitto quando visiterete Cividale nelle vesti di assistenti di lingua. Ripensando al mio arrivo e la influenza che la internazionalità avrà nelle vostre vite, vi ho realizzato un’intervista: la stessa la leggerete a seguito.
I viaggi sono l’opportunità di condividere con altre culture; momenti da vivere a contatto profondo con la gente di un posto in particolare. Cosa ne pensate riguardo il flusso di persone che visitano Cividale e arrivano da altre parte del mondo?
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Angelica: Per me, è una occasione per imparare nuove lingue, come lo spagnolo, perché ci sono, ad esempio, diversi argentini al Convitto. È anche un’opportunità di migliorare il nostro inglese dal momento in cui lo studiamo a suola. Entrare in contato con ragazzi australiani, di conseguenza, ci aiuta a praticarlo. La mobilità è, sopratutto, un modo per conoscere delle nuove culture e cercare, così, di aprire la nostra mente.
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Marta: Allora, la mobilità sicuramente aiuta per migliorare le lingue perché comunque possiamo praticare con i nuovi ragazzi (ho fatto un’esperienza di scambio culturale in Argentina, quindi posso continuare a praticare il mio spagnolo con gli argentini al Convitto). Conoscere nuove lingue e culture è inoltre una occasione di acquisire esperienza personale e aprire la nostra mente ad un numero infinito di possibilità a livello mondiale.
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Nico: Ma, cos’altro direi sino quello che hanno già detto coloro che mi hanno preceduto? (Risate) Beh, è davvero interessante; ti colpisce veramente vedere come le altre persone nel mondo vivono in una maniera totalmente diversa da te. Questo è uno shock per te perché, per dare un esempio, magari ti svegliano ad una certa ora e vai a scuola in una certa maniera; vivi proprio con un certo stile mentre le altre persone nel mondo ribaltano il tuo stile di vita...
Pensate che questa esposizione ad altre culture cambia i vostri punti di vista riguardo voi stessi ed il mondo che vi circonda? (Ecco il clip di Nico, studente della 4ta classe del liceo classico!)
Angelica: Certamente perché questo ti può fare cambiare un punto di vista scoprendo, ad esempio, che in Argentina si vive in un determinato ambiente dove c’e povertà, c’e marginalità, ecc. Di conseguenza, tu capisci di essere fortunato a vivere in Italia; certo, cambia tu punto di vista, anche la tua concezione e stili di vita.
Marta: Sì, meno male sì perché comunque ti fai magari delle idee su un certo paese o un popolo e poi quando vivi direttamente con queste persone o vai direttamente nel paese, capisce che forse le idee che ti sei fatto erano sbagliate.
Angelica: In generale, è una occasione per capire come vanno le cose in tutto il mondo, appunto per ampliare la propria realtà e cercare di non essere così sempre chiusi.
Marta: ...E di ritenersi, fortunati, considerando che si è nati in un paese benestante e purtroppo il fatto di venire in contatto con popoli meno abbienti non è usuale.
Nico: Io mi trovo adesso ad assecondare le idee che hanno proposto coloro che mi hanno preceduto. Infatti, secondo me, è veramente importante non limitarsi a leggere sui giornali per scoprire quello che succede intorno al mondo, ma veramente approfondire e “toccare con mano” anche culture, persone e luoghi diversi.
Che cos’è, per voi, il senso di internazionalità e mobilità?
Marta: Beh, internazionalità è viaggiare o venire a contatto con persone della tua diversa cultura. Mobilità, secondo me, e più spostarsi, proprio spostarsi fisicamente dalla tua regione. L’internazionalità e più un viaggio che vedo da parte degli studenti; c’e lo scambio internazionale proprio. Mobilità la vedo invece come “devo lasciare la mia casa per una causa specifica”, ad esempio: la guerra, problemi ambientali o politici, ecc.
Nico: Mah, secondo me, l’internazionalità è quasi una visione cosmopolita della società umana, cioè quello che si trova a mille km da me e sembra un essere umano; è poter viaggiare liberamente da quell’uomo che è lontano da me e andarlo a trovare, avere un rapporto con lui, avere un confronto anche della nostra cultura e di nostri stili di vita.
Angelica: Internazionalità, per me, scambio appunto e tra diverse nazioni, come dice la parola stessa; significa l’unione di culture, lingue e persone; è avere una nuova percezione del mondo, nuove conoscenze, l’opportunità di imparare un’altra lingua; un’esperienza dove si trovano incertezza, timore e curiosità che svolge, come ha detto Nico, una visione cosmopolita del mondo e la società.
Una riflessione...
Incertezza, timore e curiosità, infatti; emozioni proprie di colui che viaggia e rischia tutto per l’ideale di girare il mondo e, così, avere anche la possibilità di scoprire nuove realtà; un’avventura con cui si può capire cose diverse mentre tutti i concetti che avevamo di noi cambiano completamente.
Ma come, esattamente? Come ci influenzano i viaggi e come viviamo l’internazionalità?
La mobilità, senza dubbio, è un’esperienza meravigliosa; un evento fantastico che, come quello di trovare nuovi posti, arricchisce corpo ed anima; è la chiave di un cambiamento spazio-temporale che, nonostante tutto, costituisce anche una trasformazione ideologica ed interna, una vera e propria metamorfosi.
Basta sentire come batte il cuore ogni volta che l’aereo si stacca da terra e produce una sensazione di vuoto nello stomaco; la strana impressione di essere a casa ogni volta che sentiamo l’odore del caffè in un nuovo aeroporto, che troviamo nuovi paesaggi e sentiamo altri gruppi parlare lingue diverse entrando in contatto con tradizioni e valori diversi. Più che un “cambio di scena”, oppure la occasione di spostarsi o trovare “nuove terre”, un senso di internazionalità e mobilità ci consente di trovare nuovi occhi con cui possiamo vedere noi stessi e tutto il mondo che ci circonda.
E voi amici, cosa ne dite? Cosa ne pensate dei viaggi e delle opportunità che essi offrono? I viaggi, ad esempio, a cosa vi servono? Che mi dite riguardo il senso di mobilità ed internazionalità? Cosa significa per voi l’idea di “trovare nuove terre” attraverso “nuovi occhi”?
Come sempre, un caro e forte abbraccio! Grazie mille e alla prossima!
-c
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*Vorrei ringraziare il gentile Prof. Domenico Pinto, così come i ragazzi della 3A. Grazie inoltre a Nico Guerra, Angelica Gori e Marta Iacuzzi. Grazie mille ragazzi, per il vostro aiuto e tempo!
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ungiropercividale-blog · 8 years ago
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7. L’italiano: La storia di una passione*
"In questa città inquietante, quasi onirica, scopro un nuovo mondo per capire il mio rapporto con l'italiano. Questa topografia frammentata, disorientata, mi dà un'altra chiave. Si tratta del dialogo tra i ponti e i canali. Un dialogo tra l'acqua e la terraferma. Un dialogo che esprime uno stato sia di separazione sia di connessione..." (Lahiri, 2015:77). 
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Così comincia "In altre parole", il nuovo libro di Jhumpa Lahiri, un romanzo d'amore fra la scrittrice e l'incantevole italiano; il racconto sull'apprendimento di una lingua straniera che, per la scrittrice e per me, è stato una vera salvezza. Buonasera a tutti e benvenuti in questo blog! Come state? Come andiamo oggi? Vi trovate bene in questo piccolo spazio? Vi stiate divertendo con questo pezzettino di Italia? Mi auguro che sia così. Prima di cominciare, vorrei mandarvi un caro saluto dalla lontana e sempre bella Cividale. Grazie di cuore a tutti quelli che partecipano a quest'esperienza, quella che è, finora, una delle più belle della mia vita. 
Come sapete già, l'intenzione di questo spazio è quello di documentare ogni aspetto ed aneddoto della mia permanenza a Cividale. Settimana in settimana, il mio scopo è quello di condividere questa avventura con voi sia con l'arrivo di un vecchietto vestito di rosso (Babbo Natale) sia con la ricetta ed elaborazione di uno dei piatti più noti della regione e la cucina friulana, il frico. Da conseguenza, avendo scritto già riguardo il mio lavoro e arrivo in Italia, CFMUNESCO, le opinioni ed i pensieri di un'autentica friulana, così come alcune delle tradizioni natalizie e gastronomiche italiane, la ragione per cui oggi mi trovo tra voi è per parlarvi di un bel libro che ho appena iniziato a leggere, una raccolta di saggi che riguardano il nesso che mi lega all'Italia e la storia di un lungo corteggiamento fra una giovane neolaureata ed un secondo idioma; una ragazza che, tra le braccia di uno straniero, ha trovato, come io, la sua casa. 
Vi è mai capitata quella sensazione di trovarsi a casa anche se a casa no si è, anche se ci si trova dall'altra parte del mondo? Si arriva ad un certo punto a trovarsi a camminare per le vie di una città guidati solo dei vostri piedi, come se foste sempre vissuti in quel posto? Vi è mai successo di sentire di appartenere ad un altro idioma, come se riusciste ad esprimervi solo con esso in maniera totalitaria? 
Quello è esattamente ciò che la scrittrice statunitense Jhumpa Lahiri ha vissuto. Nata a Londra il 11 luglio 1967, Lahiri è una autrice di origine indiana. Da genitori provenienti di Calcutta, del Bengala Occidentale, l'autrice è cresciuta a Rhode Island, dove trascorre l'infanzia e la maggior parte della sua giovinezza. Qualche giorno prima di Natale nel 1994, Lahiri ha deciso di regalarsi un viaggio in Italia, un paese dove non è mai stata prima. Trovandosi in un luogo "intimo, sobrio, gioioso", con negozi addobbati e stradine stipate di gente, Lahiri, che a quei tempi aveva appena 25 anni, si è, inaspettatamente, innamorata. "Dall'inizio il mio rapporto con l'Italia è tanto uditivo quanto visuale", spiega, "Benché ci siano poche macchine, la città ronza. Mi rendo conto di un rumore che mi piace, delle conversazioni, delle frasi, delle role che sento ovunque vada. Come se tutta la città fosse un teatro che ospita un pubblico leggermente inquieto, che chiacchiera, prima dell'inizio di uno spettacolo... Ho sentito intorno a me questa lingua, l'italiano. Mi sono innamorata, a prima vista, come fosse stato un uomo” (Lahiri, 2015:22). 
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Nato da un'autrice di madrelingua bengalese, In altre parole è, infatti, una raccolta di saggi sull'avvicinamento della scrittrice Jhumpa Lahiri al incantevole italiano. È la testimonianza di una ragazza che scopre, nell'italiano, il posto che aveva sempre cercato. "L'italiano sembra già dentro di me e, al tempo stesso, del tutto esterno. Sembra una lingua con cui devo avere una relazione. Sembra una persona che incontro un giorno per caso, con cui sento subito un legame, un affetto. Come se la conoscessi da anni, anche se c'è ancora tutto da scoprire. So che sarei insoddisfatta, incompleta, se non la imparassi. Mi rendo conto che esiste uno spazio dentro di me per farla stare comoda” (Lahiri, 2015:23). 
Come quella di Lahiri, è stata una passione fortissima quella che ho sentito la prima volta che sono venuta in Italia. Anche per me, l'italiano è stato una vera salvezza, l'idioma che mi ha riportato in vita. Inaspettata, come il colpo di fulmine che nasce nell'istante in cui si incontra la persona ideale (oppure il vero amore), la mia storia è iniziata alla stessa maniera, il giorno che sono stata a Roma per la prima volta. Tutto cominciò con un viaggio per scoprire il Belpaese. In mezzo a una moltitudine che parlava con il corpo e rideva con i suoi occhi, mi sentii stranamente la benvenuta. Per qualche strana ragione, tutto mi è sembrato familiare. Sebbene fossi sempre stata abituata a parlare spagnolo, il quale è un idioma molto espressivo, dolce ed allegro con il quale ci si esprime anche il linguaggio del corpo, l'italiano mi ha incantata; c'era qualcosa, non si può spiegare ne far capire, che mi ha lasciato perplessa. Perché? Questo perché l'italiano, oltre ad avere una melodia incantevole, mi sembrava un rifugio; un paradiso dove mi nascondevo ogni volta che il cielo diventava grigio. Ho sentito, infatti, una connessione fortissima, una vicinanza quasi inspiegabile con l'italiano. Per qualche strano motivo, non avevo l'impressione di essere straniera, indifferente a tutto quello che c'era intorno a me. Ogni viso, ogni parola, ogni melodia, infatti, mi sembravano, per quanto possa apparire impossibile, familiari. 
"Scelgo Roma", spiega l'autrice, "una città che mi affascina fin da piccola, che mi conquista subito. La prima volta in cui sono stata, nel 2003, ho provato un senso di rapimento, un'affinità. Mi sembrava di conoscerla già. Sapevo, dopo solo un paio di giorni, di essere destinata a vivere lì. A Roma non ho ancora amici. Ma non ci vado per far visita a qualcuno. Vado per cambiare strada, e per raggiungere la lingua italiana” (Lahiri, 2015:37). Come un'ombra, ancora meglio, un amico che mi fa compagnia ogni giorno, ogni minuto, l'italiano era sempre presente. Non riuscendo a capire o riconoscere un nuovo mondo dove mi bastava fare appena pochi chilometri per scoprire uno dei posti più significativi nella storia umana, mi sono resa conto che ero, finalmente (dopo una vita intera cercando il posto ideale), a casa. 
A volte mi cruccia il fatto di non sapere perché abbia questa attrazione proprio con l'italiano e non con un'altra lingua. Sento, in qualche modo, che forse ognuno di noi sia stato diviso quando fu creato, in diverse parti nel mondo; che forse, come una particola che fu rota e ne furono distribuiti i pezzi, le nostre anime, oppure la manifestazione della nostra essenza, si persero in diversi angoli del pianeta. Crescendo e viaggiando, queste parti divise e perse nei meandri di diversi continenti vengono riscoperte, dando luce a lati di noi stessi che non sapevamo ne meno di aver. Ho sempre creduto che la vita sia un viaggio, una storia o, ancora meglio, un libro. Considerando, così, che chi non viaggia ne legge solo la prima pagina, vi raccomando di dare un'occhiata veloce a questo libro; più di un semplice romanzo, una riflessione profonda e intera sull'identità e tutto quello che ci rende ciò che siamo. 
Grazie mille ragazzi e alla prossima!
-c
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ungiropercividale-blog · 8 years ago
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6. Un'intervista a Daniela Battaglia, una friulana DOP*
MANDI AMÎS! ÇEMÛT STAISO? BINVIGNÛS IN FRIÛL!
Con questa frase vi saluta Daniela, la mia ospite di oggi. (Per chi non sapesse il significato di questa frase friulana, in italiano vuol dire: "Ciao amici! Come state? Benvenuti in Friuli!" [e, certamente, benvenuti in questo blog!]).
Ciao a tutti e bentornati in questo spazio! Come state amici? Come vi trovate con l'ultimo post? Come sono state le vostre vacanze? Siete felici di essere tornati?
Nello sforzo di mostrarvi Cividale, un paesino veramente meraviglioso oltre ad essere la mia nuova casa, ho deciso di condividere con voi una breve intervista a Daniela Battaglia, una studentessa al liceo agronomo. Come alcuni di voi sapete, il Convitto ospita ragazzi italiani e stranieri, studenti che vengono da quasi tutte le parti del mondo per fermarsi durante un periodo che va da sei mesi (oppure l'equivalente di un semestre scolastico) a all'intero anno.
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Nata il 20 ottobre 1999 a Palmanova, a sud della provincia di Udine, Daniela è cresciuta in un ambiente agreste a Carlino e allora frequenta le superiori per diventare agronomo a Cividale. Come me, lei abita al Convitto in una delle stanze del secondo piano dove divide la camera con una ragazza canadese che si chiama Kiara. L'ho conosciuta il mio terzo giorno al Convitto, la sera, dopo che lei ed altri amici (Kiara, Connie [un'amica austriaca] e Jake [un amico canadese]) bussarono alla mia porta per andare a cenare assieme. Avevamo, infatti, cominciato la conversazione a tavola in italiano, ma subito dopo esserci accorte che entrambe parlavamo bene lo spagnolo, io e Daniela proseguimmo la chiacchierata in quel idioma (che sorpresa!).
All'inizio mi chiesi come fosse possibile che lei parlase cosí bene lo spagnolo; lei, dopotutto non aveva un accento diverso, quindi presupposi che lei fosse argentina, oppure uruguaiana o paraguaiana. Ma, lontana da essere straniera, lei è una italiana vera e molto fiera.
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Daniela, infatti, è una friulana DOP (Denominazione Origine Protetta), una ragazza autentica e verace che si sente proprio orgogliosa delle sue origini. Oltre ad avere una storia interessante (ed essere molto intelligente e divertente), lei è anche mia amica proprio perché è stata una delle migliori compagne nell'esperienza che ho avuto in Convitto ed in Italia.
Ma qua comincia la sua storia: nel 2013 Daniela conobbe degli argentini al Convitto. Era la prima volta che si relazionava con dei ragazzi stranieri. Da subito le piacque la "buena onda" (la "bella maniera" di essere) della gente latina; la loro estroversione, i loro canti, le loro musiche, i loro balli... Tutte le caratteristiche di un popolo, secondo lei, affettuoso ed impulsivo. Dopo diversi anni in Convitto, e dopo aver fatto anche molti amici argentini, nel 2015 nacque la decisione di volere andarli a trovare, e cosí fù, ed è lì, in Argentina, che lei apprese lo spagnolo. Le piacque cosí tanto la lingua, che in meno di un mese lo apprese come se fosse una madrelingua.
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È fiera di parlare spagnolo tanto quanto lo è di parlare friulano. (Per chiarire ogni dubbio, il friulano non è un dialetto, bensì una lingua minoritaria tipica del nordest d'Italia nata da influenze nordiche [longobardi, austriaci ed unni]). Chiacchierando sull'identità ed il senso di appartenenza, fui interessata a conoscere com'è portare la bandiera del Friuli nel mondo.
Dani, hai un legame forte con il Friuli?
D: Sì, il Friuli è una patria per tutti i friulani e questo credo si sia dimostrato anche dai molteplici fogolârs Furlans (focolai friulani) nel mondo. Viaggiando ne ho incontrato molti ed ogni volta è come ritrovare un pezzo di casa in quasi ogni angolo del pianeta. Infatti, è strano pensare che dalla Francia all'Argentina si possa ancora parlare friulano dopo diverse generazioni passate dai nostri migranti, ma questo evidenzia il nostro patriottismo prima verso il nostro amato Friuli, e solo dopo, verso comunque la nostra bella Italia.
Che cos'è, per te, il senso di appartenenza?
D: Secondo me, un senso di appartenenza è la sensazione di essere attaccato ad una persona, oppure ad un oggetto in particolare; è l'impressione di essere connessi all'ambiente emotivo e tutto ciò che circonda una persona. Come la percezione di "fare parte" di un gruppo, il senso di appartenenza è la espressione de una persona che si trova in un punto specifico.
E cosa ne pensi per quanto riguarda Cividale? Sei attaccata a questa cittadina?
D: Sì, molto. Cividale è, innanzitutto, una casa ormai da quattro anni. Ho scelto, infatti, di venire perché mi ha sempre incantato il pensiero di vivere in una cittadina distinta rispetto alle altre, dove storia e modernità si incontrano per poter dare la miglior cultura possibile ai giovani d'oggi.
Solitamente ognuno di noi ha un legame emotivo con un posto che spesso rappresenta un aspetto importante della propria vita. Hai un luogo del cuore a Cividale? Qual è la cosa di Cividale che ti affascina di più?
D: Di questa città mi piace stesso spazio storia e modernità si possano trovare, coniugando gli aspetti più importanti di una cultura in costante evoluzione. Come sai (oppure sapete, rivolgendomi ai lettori), Cividale è conosciuta oggi come la capitale longobarda del Friuli, la capitale del primo ducato longobardo in Italia ed una tra le più antiche con molti tesori storici e culturali. Dal 25 giugno 2011, infatti, la storia; come ho già detto, mi piace l'idea che nello Cividale rientra nella lista dei siti Patrimonio Mondiale dell'UNESCO assieme ad altre città che conservano prestigiose simboli dell'eredità longobarda.
Quello che preferisco di Cividale è passeggiare per il centro storico, attraversando il Ponte del Diavolo fino ad arrivare al Convitto. Mi piace passare sul ponte per prendere il treno e andare a scuola ogni mattina. Se dovessi scegliere, infatti, un posto del cuore a Cividale, direi che il mio preferito è il Ponte, sopratutto per la sua leggenda (quella che dice che i primi cittadini di Cividale invocarono il Diavolo per costruire un ponte che unisse le due rive del Natisone). Ogni posto ha un'origine che lo rende speciale, quindi conoscere la storia di ciascuno, oltre ad approfondire le sue caratteristiche, fa sembrare un'esperienza quotidiana più reale, quasi magica.
Se dovessi descrivere Cividale a chi non c'è mai stato, come lo esporresti?
D: Accogliente, affascinante è ricca di storia. Cividale è tranquilla, ma ha uno strano fascino che solo le mura antiche (del ponte del Diavolo, delle case e delle chiese che si possono mirare attraversando la cittadina) sanno dare. È piccola (e pertanto può sembrare poco importante) ma, come una delle località più importanti nella regione friulana, è anche misteriosa ed emblematica; una cittadina medievale che testimonia la storia e l'arte dei gruppi come i Romani e i Longobardi.
Qual è il tuo piatto friulano preferito?
D: Se dovessi scegliere un piatto in particolare, direi che il mio preferito è il frico, una pietanza friulana originaria della Carnia. Chi si trova a Cividale, infatti, non si può perdere l'opportunità di provare uno dei piatti più noti della cucina friulana. Ci sono molti ristoranti famosi a Cividale, posti dove si può mangiare ogni sorta di cucina regionale. Al cento della cittadina c'è, infatti, un bel locale che si chiama "Al Campanile", in Via G.B. Candotti numero 4, accanto al Duomo; un ristorante rustico dove si trovano i piatti tipici del Friuli, come la brovada e il musetto, le trippe con polenta, il Salàm tal asêt (salame nell'aceto), il Salàm cu la civole (salame con la cipolla) e, naturalmente, il frico.
Alla fine, cosa consiglieresti a chi sta per venire a Cividale?
D: A livello tecnico, sopratutto adesso, vestiti caldi per l’inverno! Cividale è abbastanza piccola ma, come ho detto già, ricca di storia. Volete scoprire posti sconosciuti ma straordinari? Cividale è il posto perfetto. Con vari ristoranti e monumenti, ci sono molti gioiellini da scoprire, come il Tempietto Longobardo, l'Ipogeo Celtico, il Museo Archeologico Nazionale, la Casa di Paolo Diacono, il Duomo (la Parrocchia Santa Maria Assunta), il Palazzo Municipale, il Monastero di Santa Maria in Valle e, naturalmente, il Ponte del Diavolo.
Grazie, amici, per essere arrivati fin qui a leggere!
Spero che questo post vi abbia stimolato la vostra curiosità e, così, vi abbia anche invogliato a visitare una delle località più belle ed importanti in Italia; una cittadina da non perdere se venite in Friuli.
Buona Cividale e... Alla prossima!
-c
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ungiropercividale-blog · 8 years ago
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5. L’arrivo di Babbo Natale*
Buonasera a tutti e benvenuti nel mio blog! Come state amici? Come vi trovate con l'ultimo post? Avete provato di cucinare un po' di frico? Cosa ne pensi della tradizione culinaria friulana?
Volevo mandarvi un caro saluto da Madrid, regno dell'allegria e del divertimento (anche dei inverni caldi)! Come sapete (oppure non ancora), le porte del Convitto chiudono durante le vacanze di Natale, dal 22 dicembre 2016 fino al 9 gennaio 2017. Da conseguenza (e in cerca di casa per le prossime settimane), ho deciso di venire al Sud, lontano dal freddo dell'Europa (quasi) occidentale. Come vi trovate voi? Fa molto freddo lassù? Come vi state preparando per Natale?
Come in Italia, nella Spagna si respira un'aria natalizia piuttosto forte, tipica della maggior parte dei paesi della cultura occidentale. Intorno a me, nelle vie principali della città, un mucchio di bambini si raccoglie di fronte alle vetrine dei negozi di giocattoli. Forti e rumorosi, le loro voci si sentono dal centro di Madrid, nella piazza di Puerta del Sol. Dall'altro lato, gli amici si abbracciano mentre ridono e si facciano gli auguri di Buon Natale e felice Anno Nuovo. Nel cuore della piazza, sotto l'albero di Natale pieno di luci, la gente si ferma a guardare. Dappertutto si vedono i sorrisi sulle loro facce.
Felici e contenti così è come ricordo i bambini del Convitto, pieni di illusione per l'avvento delle feste e di Babbo Natale (oppure Santa Claus), personaggio famoso per i doni ed i regali che distribuisce ai bambini di tutto il mondo la sera della vigilia natalizia.
Babbo Natale*
Considerando che Natale si avvicina, infatti, la Direzione, lo staff e gli insegnanti del Convitto hanno deciso di preparare una sorpresa per gli studenti della scuola primaria: né più né meno che l'arrivo di Babbo Natale! Dopotutto, oltre ai regali, la musica ed un tavolo pieno di cibo, cos'altro può catturare l'essenza di Natale fra le culture dell'Occidente?
Ma, com'è iniziata questa tradizione e chi è esattamente Babbo Natale? Conoscete la storia dello spirito dell'allegria e bontà natalizie? Ecco, un po' di storia sull'origine di Babbo Natale; appena una delle tante storielle, raccontata dalla maestra Federica Marcoccio, insegnante della scuola primaria del Convitto:
C'è una leggenda che parla di un vecchietto buono, generoso e simpatico che aveva una lunga barba bianca, vestiva sempre di rosso e viveva sulla montagna Korvatunturi, al Circolo Polare Artico, a Rovaniem, in Finlandia. Lontano dal caos e dal rumore delle grandi città, questo vecchietto abitava in una piccola capanna nel bosco. Circondato da pace, animali ed abeti, il vecchietto cercava di aiutare tutti quelli intorno a lui.
Una sera, però, el vecchietto pensò che quello che faceva non era abbastanza e quindi, in cerca di un lavoro migliore, ha fatto un sogno. Nel sogno, subitamente, si è presentato un angioletto triste. Spiegando che, sfortunatamente, molti bambini poveri che desideravano dei giocattoli non potevano permettersi niente, questo angioletto ha chiesto al vecchietto di aiutarlo distribuendo dei regali a ciascun bambino del mondo la notte della nascita di Gesù.
Ma il vecchietto non sapeva come distribuire tutti i regali in una sola notte...! C'era, inoltre, un altro problema: Come sarei riuscito ad entrare in casa dei bimbi?
Immediatamente, il angioletto lo calmò mentre le diceva che Gesù Bambino l'avrebbe aiutato. All'improvviso, c'è stato un miracolo: Dandogli una slitta ed otto renne per girare il mondo in una notte, Gesù Bambino ha aiutato il vecchietto ad entrare in ogni casa calandosi dal caminetto, posando i regali sotto l'albero di Natale. In questo modo, tutti i bambini, anche i più poveri, hanno ricevuto un dono.
Nominando il vecchietto papà di tutti i bambini del mondo, Gesù Bambino lo battezzò come Babbo Natale e, da quel giorno, tutti i bimbi sorrisero ogni Natale grazie all'amore e grazie alla magia di Natale.
L'arrivo di Babbo Natale al Convitto*
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Fra le risate, i canti e l'aspettativa dei bimbi il pomeriggio del 19 dicembre 2016, gli studenti della scuola primaria del Convitto hanno dato il benvenuto ad un signore anziano barbuto e corpulento vestito di rosso e bianco, sapete di chi parlo?
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…Alla fine, perché una canzone in italiano non basta, condivido anche con voi il video pubblicato sul Facebook del Convitto, prova dell'entusiasmo e l'emozione (così come di tutte le volte in cui ho praticato la canzone con i miei studenti del primo, secondo, terzo, quarto e quinto anno) per l'avvento di questo personaggio famoso. Riuscite a sentire l'allegria dei bimbi?
Spero abbiate gradito questo piccolo racconto. Buone feste e alla prossima, cari amici!
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-c
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ungiropercividale-blog · 8 years ago
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4. *Frico, che ne dite di un po' di cibo friulano?
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Chi si trova in viaggio alla scoperta di un'area antica e piena di storia non pu perdere l'occasione di assaporare i piatti della cucina locale. Caratterizzata dalle tradizioni della gastronomia mezz'adra e carnica (cioè, della zona montana della Carnia, regione situata nelle Alpi Carniche nel territorio nord- occidentale della Regione Friuli-Venezia Giulia), la cucina friulana consiste, principalmente, in una selezione di latticini e carne, compreso formaggi, il prosciutto e il salame. Dal musetto (cotechino musetti, aglio e alloro), alla brovada (piatto tipico a base di rape fermentate, musetti, aglio e alloro) o le trippe con polenta (trippe soffritte con pancetta affumicata e farina bianca), la vasta tradizione della cucina friulana offre una serie di piatti locali che non possono passare inosservati se si vive in Friuli.
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Di tutti, per , il mio preferito è il frico (oppure fricô, in lingua friulana), preparazione a base di formaggio e patate riconosciuto come uno dei piatti più tipici e noti della cucina friulana. Servito come antipasto o primo piatto, il frico si presenta in due versioni: una morbida ed una friabile o croccante. Quella morbida è composta di patate (tagliate o grattugiate) e si prepara con il formaggio Montasio di media stagionatura (sei mesi) oppure il formaggio stagionato (dieci mesi). Assomigliando più ad una grossa frittata, il frico morbido (o frico di patate), può anche prepararsi con mele, zucca ed erbe aromatiche. Fatto solo di formaggio (generalmente Montasio o Latteria), il frico friabile (e il mio prediletto), al contrario, viene soffritto in olio ed è abbastanza sottile. Cotto fino a diventarsi croccante e dorato, questa versione si pu servire come antipasto o come decorazione nei piatti o nei buffet, prodotto ottenuto dalla creatività delle signore povere che volevano riutilizzare i ritagli di formaggio (le “strissulis”) che avanzavano nella lavorazione delle forme dei formaggi (come tante altre ricette locali, le origini di questa pietanza sono povere).
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Visto che il frico, accompagnato con la polenta, è diventato probabilmente uno dei piatti tipici più conosciuti nell'elenco della gastronomia friulana, ho deciso di condividere con voi (grazie al generoso apporto delle fantastiche chef del Convitto, la signora Erica, la signora Fabiana e la signora Miriam), la ricetta e preparazione di una delle specialità tipiche del territorio friulano, il frico (morbido) con patate e formaggio. Siete pronti?
Procedimento:
Prima, prepariamo gli ingredienti (questa ricetta è stata adattata per poche persone [ad esempio, quattro porzioni]. Solitamente, al Convitto, le chef cucinano in grandi quantità). Per questa ricetta, ci nonostante, abbiamo bisogno di:
-500 g di patate 
-500 g di formaggio Montasio (stagionato o semi stagionato) 
-1 cipolla 
-50 g di burro oppure d'olio extravergine d'oliva 
-Sale 
-Pepe
Preparazione:
Prima, dobbiamo sbucciare (con un coltello affilato o un pelaverdure) le patate (e la cipolla). Dopo, finemente, dobbiamo affettarle a rondelle (forse fettine di 2 mm di spessore) e grattugiare le patate e il formaggio con una grattugia a fori grossi.
Poi, a fuoco dolce, dobbiamo versare l'olio e gli anelli di cipolla in un tegame spazioso, facendoli soffriggere qualche minuto mentre mescoliamo spesso per evitare che la cipolla si bruci. Dopo dobbiamo versare le patate grattugiate e fare cuocere per circa 7 o 10 minuti, fino a doratura.
A questo punto, versiamo anche il formaggio grattugiato aggiungendo un po’ di sale e pepe a piacere. Dopo, a fuoco medio, facciamo cuocere il frico per 20 minuti, mescolando spesso per far sciogliere tutto il formaggio.
Avendo ottenuto un impasto omogeneo, spegniamo il fuoco e versiamo, in una padella antiaderente, un filo d'olio. A questo punto, lo facciamo scaldare un po’ e poi aggiungiamo la massa di patate, cipolla e formaggio.
Alla fine facciamo cuocere il frico a fuoco vivace senza mescolare, a mo’ di frittata. Appena vediamo che si forma una crosticina dorata, giriamo il frico dall'altro lato. Muovendo la padella e controllando che il frico non si attacchi al fondo, adesso asciughiamo l’eccesso di grasso e serviamo su un piatto da portata; tagliamo il frico in porzioni e lo accompagniamo, se vogliamo, con la polenta.
*Dato che stasera non abbiamo mangiato il frico al Convitto, ho deciso di andare all’Osteria alla Terrazza, a due isolati dal Convitto; un vicolo dove si può trovare vari prodotti tipici, come salumi, formaggio, polenta, prosciutto e l'immancabile frico friulano di cui vi ho parlato.
Allora, che ne dite di questo? Volete adesso provare a cucinare un po’ di frico, e forse, trasportarsi in Friuli con me?
Alla prossima amici! Ci vediamo presto per un prossimo incontro a Cividale!
-c
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ungiropercividale-blog · 8 years ago
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3. Assistente di Lingua*
Ciao a tutti! Benvenuti ad un nuovo post! Come state? Come vi trovate con l'ultimo post? Cosa avete pensato del CFMUNESCO e della partecipazione dei delegati da tutto il mondo? È un piacere avervi di nuovo qui, in una nuova trasmissione dei recenti eventi a Cividale ed al Convitto!
Allora, avendo iniziato parlandovi del mio ruolo come Consulente del Pannello di Controllo e Sicurezza al MUN, non ho ancora scritto sul mio lavoro come assistente di lingua nella scuola primaria del Convitto. Quindi, vi parlerò adesso di alcune delle mie responsabilità ed attività insegnando inglese ai bambini.
Per chi non lo sapesse, il Convitto Nazionale "Paolo Diacono" (CNPD) (un'istituzione educativa dello Stato), ha sei scuole annesse: la scuola primaria, la scuola secondaria o media di I grado, e quattro licei (il liceo scientifico, classico, linguistico e quello delle scienze umane). Come indica il nome (convitto), questa struttura pubblica accoglie gli studenti sette giorni su sette, offrendo la possibilità di studiare e vivere come convittori o semi-convittori (cioè, coniugando l'istruzione e la residenzialità, i ragazzi possono pernottare al Convitto mentre realizzano i loro compiti).
Solitamente lavoro al mattino fino al pomeriggio, verso le tre o quattro. Come assistente di lingua straniera, devo lavorare durante 20 ore alla settimana, dal lunedì al venerdì. Delle sei scuole annesse al Convitto, lavoro nella primaria, con i bimbi di età compresa tra i 7 e i 11 anni. Insieme a le maestre Enza e Gabriella, insegno a gli studenti della terza (A e B), quarta (A e B) e quinta (A e B). Aiutando i bambini con la pronuncia, l'accentuazione, il ritmo e l'intonazione delle parole, così come l'ortografia e le regole grammaticali dell'inglese, il mio lavoro, essenzialmente, consiste nell'assistere le maestre con i giochi ed i diversi esercizi scolastici che promuovono il processo di apprendimento degli studenti. Così, il mio programma, dipendendo dal giorno e dalla classe, è quello di insegnare e cantare canzoni in inglese (ho perso, infatti, il conto di quante volte ho cantato Santa Claus is Coming to Town con i bambini...!) fino a ripassare lezioni più complesse (per i bambini più grandi), come quelle di lettura e comprensione scritta, la sintassi e la redazioni di testi brevi.
Ad essere onesta, però, la parte migliore comincia fuori dall'aula, all'inizio di ogni mattina, quando i bimbi arrivano al Convitto con i loro genitori. Incontrandoci per il corridoio e la mensa, una delle prime cose che ascolto è: "Hi, Teacher Claudia!", seguita da un bel sorriso ed un abbraccio :) (A questo punto dovete sapere che le dinamiche sociali in Italia sono molto diversi da quelli in Australia ed altre parti del mondo. Al Convitto, almeno, è piuttosto comune che uno studente (sopratutto un/a bambino/a) abbracci le sue maestre).
Comunque, sebbene questo è stato appena il comincio della mia avventura come assistente di lingua, tutto sembra indicare che ho fatto la scelta giusta a venire al Convitto e a Cividale, un posto piccolo, ma carino; pieno di amici e momenti piacevoli. 
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Grazie mille ragazzi, alla prossima!
-c
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ungiropercividale-blog · 8 years ago
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2. CFMUNESCO 2016*
Salve a tutti! Come va? Come vi trovate con questo blog? Vi prego di scusarmi per il ritardo e per non aver scritto più spesso, oppure prima; avendo appena arrivato in mezzo a tanta gente, posti ed attività nuove, ho completamente dimenticato di scrivere e condividere con voi la mia esperienza a Cividale. Scusatemi ragazzi, è stato un po' frenetico qui negli ultimi giorni!
In tutta onestà, la vita al Convitto è fantastica ed agitata (sopratutto nel corso delle ultime settimane), sempre piena di novità e sorprese. Accogliendo, ad esempio, un gruppo di circa 300 studenti degli istituti superiori in Italia ed all'estero (composto da 15 nazioni rappresentative di 5 continenti), il Convitto Nazionale Paolo Diacono ha organizzato la terza edizione del progetto CFMUNESCO (Cividale del Friuli Model United Nations UNESCO) dal 3 al 6 dicembre 2016, una simulazione dei dibattiti delle Nazioni Unite svolta completamente in inglese con il proposito di favorire la comprensione dei giovani delle difficoltà e le preoccupazioni della politica del mondo contemporaneo. Simulando per quattro giorni il lavoro dei delegati dell'ONU, gli studenti si sono confrontati sui problemi socio politici di attualità, come la carenza di acqua potabile e l'inquinamento ambientale; la migrazione internazionale e la protezione dei rifugiati; l'educazione e la tutela dei diritti linguistici, storici e culturali delle minoranze etniche; il traffico illecito di droga e la prevenzione del crimine; la violenza contro le donne ed i diritti umani; la salute e l'acceso a istruzione per le spose bambine (ragazze costrette a matrimoni forzati in età minorile nella maggior parte dei paesi africani); la mutilazione genitale femminile, ecc.
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Al MUN di Cividale (diventata Patrimonio Mondiale dell'Umanità dell'Unesco nel 2011), gli studenti assumono i ruoli dei delegati delle Nazioni Unite rappresentando la posizione di un Paese o di un'organizzazione membro dell'ONU (ad esempio, UNESCO e la Croce Rossa e Mezzaluna Rossa), scrivendo e dibattendo risoluzioni con gli altri integranti per cercare e proporre soluzioni plausibili ai problemi attuali della politica internazionale. Simulando assemblee dell'ONU, la finalità di queste conferenze è quella di promuovere il dialogo di culture, storie, lingue e le posizioni diversi degli Stati Membri delle Nazioni Unite, così come stimolare la comprensione dei giovani delle problematiche a livello internazionale.
Aiutando gli studenti a scrivere ed avanzare proposte e risoluzioni nuove, il mio ruolo è stato quello di consigliare nel Pannello di Controllo e Sicurezza come Consulente ed Assistente di Lingua. Insieme ad altri persone madrelingua (tutto il progetto si è svolto in inglese), dovevo verificare i contenuti dei documenti (le risoluzioni) per controllare errori di grammatica e scoprire se alcuni degli articoli sono stati copiati da internet (tra parentesi, non è stato un lavoro facile; la maggior parte delle risoluzioni era proprio complessa ed articolata. Sono rimasta, infatti, molto colpita dal lavoro degli studenti!).
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La parte migliore? Vedere ed ascoltare gli studenti dibattere con passione su temi di rilevanza locale ed internazionale. Durante un piccolo intervallo (una delle tante pause caffè in Italia!), sono entrata nel pannello del Consiglio di Sicurezza dove i ragazzi discutevano sulla migrazione ed i diritti dei rifugiati ed i richiedenti asilo. In un acceso e vivace dibattito, ho avuto l'opportunità di sentire diversi punti di vista; da un lato, quelli che erano contrari al movimento di persone e dall'altro, i delegati che erano favorevoli e lottavano per i diritti e la sicurezza umana. Ad essere sincera, molte delle proposte e risoluzioni esaminate mi hanno sconvolto. C'era, ad esempio, una ragazza rappresentando lo Stato francese. Argomentando contro l'ingresso dei immigranti, la delegata sosteneva che tutti gli stranieri minacciano la vita e la sicurezza dei cittadini francesi (apparentemente, tutti i migranti ed i richiedenti asilo sono terroristi...), quindi l'accesso degli immigranti dovrebbe essere assolutamente vietato.
Personalmente, non capisco proprio perché alcuni gruppi culturali possono entrare in un Paese mentre altri sono perseguitati e detenuti nei campi profughi. Inoltre, non capisco perché la priorità di alcuni Stati non è quella di proteggere la vita di tutte le persone, a prescindere dalle culture diverse. Causando rabbia tra alcuni degli altri delegati (c'erano alcuni che, analogamente, erano contrari all'ingresso dei rifugiati), si è formato un disastro all'interno del pannello. Fra le grida degli studenti, i membri del consiglio e la direttiva hanno dovuto richiamare l'attenzione del pannello più di una volta (molto, molto divertente, a proposito...!).
Questa è stata appena la prima volta in cui ho fatto parte di questo tipo di delegazione ed esperienza. D'accordo o no con alcune opinioni, aver assistito a uno spazio dove si promuove lo sviluppo del linguaggio e l'attenzione dei giovani per le questioni globali di attualità è stata, veramente, una esperienza interessante, piena di idee ed argomenti perspicaci. Complementi a tutti i delegati e a tutti quelli che hanno partecipato al CFMUNESCO 2016, è stato un piacere lavorare con voi!
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Alla prossima!
-c
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ungiropercividale-blog · 8 years ago
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*1. Appena arrivando...
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Arrivando ai terminal di Udine, fra la confusione ed il tumulto dei viaggiatori internazionali nella stazione di treno, si sentivano già i saluti e le conversazioni dei passeggeri che si riunivano attorno al bar per chiacchierare e bere qualcosa. (“Scusi, mi porta ancora po’ di pane e poi un caffè?”). Piano, attraversando il mare di gente e tempo intorno a me (avendo una distanzia di 15, 613 km tra l’Australia e l’Italia, sono arrivata dopo 23 ore), ho appena cominciato a capire il significato di questa avventura: ero finalmente a casa, ero finalmente in Italia…!
Salve a tutti e benvenuti a Cividale del Friuli, provincia di Udine in Friuli-Venezia Giulia. Mi chiamo Claudia Emilia Espinoza Granja e questa sarà la raccolta delle mie esperienze in Italia durante i prossimi tre mesi come assistente di lingua inglese al Convitto Nazionale Paolo Diacono. Includendo le mie opinioni sulla vita a Cividale, in questo blog troverete alcune delle mie riflessioni su questo scambio accademico e sugli argomenti linguoculturali che ritengo importanti. Pian piano scoprirete alcune delle abitudini locali riguardo al cibo, il linguaggio, i riti sociali, la storia, la cultura, persino il sistema scolastico al Convitto. Qui metterò tutte le mie novità durante la mia permanenza al Convitto, così come le mie percezioni e rappresentazioni antropologiche sulla vita a Cividale e l’Italia in generale.
Detto questo, spero che questo spazio non sia solo interessante ed informativo ma anche divertente persino speciale per voi. Grazie per essere qua, a presto e benvignût!
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