#viveva
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claudiocoianizcampus · 5 months ago
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Il giorno in cui divenni padre
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Il tremore dell'Orient Express cessò con il fischio della ciminiera. Eravamo a Parigi Garde de l'Est, la porta si aprì ed un uomo entrò e si sedette al mio fianco. Chi era quest'uomo? Forse #viveva a Parigi? Aveva un #bambino, forse suo? All'improvviso il treno si rimise in #viaggio. L'uomo, che sembrava agitato, si guardava in torno. Tutt'oggi mi chiedo che #sensazioni provasse in quel momento. Dei controllori passarono a verificare i biglietti. L'uomo ne era privo e ciò fu la #motivazione per cui venne cacciato dal treno. Notai che non aveva più il #bambino con se e mi misi a cercare impanicato. Lo trovai sotto i sedili, sembrava divertirsi nell' #esplorazione della cabina, ma poi realizzai che era stato abbandonato e decisi di prendermene cura finché non avessimo ritrovato suo padre.
Testo scritto e curato da Matteo Anichini e Claudio Coianiz.
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primepaginequotidiani · 7 months ago
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PRIMA PAGINA Eco Di Bergamo di Oggi giovedì, 01 agosto 2024
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posso dire che è stato più mare fuori un professore con mimmo che mare fuori stesso
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vadaviaaiciap · 6 months ago
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In sostanza, un cittadino ITALIANO (lo ribadiamo perchè tutti i giornali lo stanno precisando, quindi anche noi crediamo che sia importante dirlo) esce di casa con 4 coltelli, vede una donna sola che cammina per strada, gli prende UN RAPTUS e la accoltella. Ma non sa perchè.
Era un bravo ragazzo, viveva in una casa occupata come qualsiasi europarlamentare che si rispetti e ogni tanto minacciava i parenti con un coltello, ma solo come allenamento.
Open ci fa sapere che l'italiano ha ottime doti canore. Quindi cari giudici: vediamo di andarci piano e per questo piccolo incidente non tagliate le gambe al prossimo rappresentante italiano all'Eurovision Song Contest
Prossimamente sulle schede elettorali.
➡️ 🌐  t.me/ArsenaleKappa 🅰️ 💥💥
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angelap3 · 6 days ago
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𝑈𝑚𝑏𝑟𝑒 𝑑𝑒 𝑚𝑢𝑟𝑖, 𝑚𝑢𝑟𝑖 𝑑𝑒 𝑚𝑎𝑖𝑛𝑒́
𝐷𝑢𝑛𝑑𝑒 𝑛𝑒 𝑣𝑒𝑔𝑛𝑖̀, 𝑑𝑢𝑣𝑒 𝑙'𝑒̀ 𝑐ℎ'𝑎𝑛𝑒́...
«Certe volte mi sentivo inorgoglito, altre volte deluso. Ma sempre in ogni caso un po' vergognoso a vedermi quasi costretto a sfogliare le riviste specializzate, per scrutare con un occhio quasi da lumaca, fuori dalle orbite, quale posizione avesse ottenuto in classifica il mio ultimo, cosiddetto, prodotto discografico. Perché questo voleva dire che il disco in quanto funzione oggettiva di consumo, aveva assunto un'importanza superiore a quella delle canzoni per le quali viveva, e nelle quali sinceramente mi sentivo di avere vissuto. Mauro Pagani la pensava allo stesso modo, forse anche per questo motivo: la reciproca stima, il progetto comune, il tentativo di ricondurre la canzone alla sua funzione primaria. Il canto ha infatti ancora oggi, in alcune etnie cosiddette primitive, il compito fondamentale di liberare dalla sofferenza, di alleviare il dolore, di esorcizzare il male. Certo le canzoni le abbiamo comunque registrate, a noi sembra con buoni risultati tecnici. Però penso che mai, come nel caso di Creuza de mä, di questa "mulattiera di mare", traduzione volutamente approssimativa, per quanto desiderava essere descrittivamente precisa, mai come in questo caso – dicevo – il disco ha assunto una funzione molto ridotta rispetto alle canzoni di cui vive. Dicevo pure la funzione che può avere la stringa nei confronti di una scarpa, o addirittura nei confronti di un mocassino. Ci sono sicuramente altri motivi per cui si è deciso di fare canzoni di questo tipo. Motivi tutti ugualmente di rilievo e a cui sinceramente non riuscirei a dare un ordine di importanza. Ad esempio la scelta stilistica. Una volta individuati gli strumenti etnici che in quella che in qualcuno ha voluto chiamare una piccola "Odissea", volevano ricondurci all'atmosfera del bacino del Mediterraneo, dal Bosforo a Gibilterra, era necessario adattare ai suoni che tali strumenti riproducevano, una lingua che ci scivolasse sopra, che evocasse attraverso fonemi cantati, indipendentemente quindi dalla loro immediata comprensibilità, le stesse atmosfere che gli strumenti evocavano. A noi la lingua più adatta è sembrata fosse il genovese, con i suoi dittonghi, i suoi iati, la sua ricchezza di sostantivi ed aggettivi tronchi che li puoi accorciare o allungare quasi come il grido di un gabbiano ».
Fabrizio De André
Scritto con Mauro Pagani Crêuza de mä è pubblicato da Ricordi nel 1984
C'E' CHI VENDEVA PESCE E CHI VENDEVA PESCE IN RE.
Pagani racconta che a Genova si era sparsa la voce che al mercato del pesce sarebbe arrivato De Andrè a registrare qualcosa " Fabrizio aveva già avvisato dei suoi conoscenti. Succede che Caterina, la voce della donna che si sente nel disco, non vendeva più il pesce al mercato, aveva aperto un negozio da un' altra parte, ma era la voce storica del posto, così fu invitata. C' era un eco incredibile perché il mercato del pesce di Genova è una struttura enorme. Gli accordi erano che avrebbe dovuto parlare solo lei, ma poi anche le voci maschili hanno iniziato a fare casino, sai... verso la fine. Cosa interessante fu che Fabrizio non si svegliò quella mattina -racconta sempre Pagani - eravamo solo io e Alan Goldberg (alias Fabio Ricci), e facemmo un' ora e mezza di registrazione. Quando tornammo in studio la fortuna volle che Caterina vendeva il pesce in RE, non abbiamo toccato una virgola di quella registrazione, era perfetta per il pezzo".
L’album viene accolto dai discografici senza particolare entusiasmo, convinti che un disco in genovese non lo avrebbero capito neppure a Genova.
Crêuza de mä avrà invece un grande successo: votato dalla critica Miglior disco italiano degli anni ’80, segnalato da David Byrne tra i dieci dischi più importanti del decennio in tutto il mondo e al 4° posto della classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre secondo “Rolling Stone”. Crêuza viene inoltre premiato con la Targa Tenco nel 1984.
( Illustrazione Roby il pettirosso)
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raccontidialiantis · 3 months ago
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Impellenze di una moglie
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Non ne poteva più. Maria era sul punto di fare una vera pazzia e tradirlo, a rischio di combinare un macello. La frequentazione della sua amica Lorella, conosciuta da poco, pian piano l'aveva cambiata. Radicalmente. Quella ragazza, più giovane e molto ma mooolto più disinvolta di lei, le raccontava delle sue avventure piccanti con altri uomini all'insaputa del coniuge, di ben quindici anni più anziano di lei. Comunque fosse, Maria non voleva tradire Alfio: era più che altro una questione di carne che bolle. Aveva degli scrupoli morali. Anche se ci pensava sempre più spesso. E si macerava, si struggeva dalla voglia tutto il giorno; non pensava ad altro, ormai.
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Si vestiva, truccava e profumava in modo forse esagerato, per le semplici faccende quotidiane. E facendo la spesa al supermercato, cercava in modo sfacciato gli sguardi e i complimenti degli altri uomini. Di questo tormento Alfio non si rendeva conto. Ma una sera tornando dal lavoro la trovò sul letto nuda, culo alzato e ben aperto. Pronta a ricevere il maschio. E passarono una notte sorprendente: egli si dedicò con scrupolo a fotterla senza posa e a scoprire una donna completamente nuova, assai diversa da quella che aveva sposato. Iniziò quindi con lei un periodo di sesso sfrenato. Meravigliose ore.
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Maria però bramava con tutta l'anima essere conquistata e posseduta da un maschio che non fosse suo marito; possibilmente con foga. E voleva finalmente anche lei godere delle gioie del sesso segreto. Quello scorrettissimo, quello che inizia di contrabbando e che ti dà il brivido del rischio. Con tutto il suo essere, lei desiderava proprio tradire suo marito, farlo cornuto e se possibile fargli del male, farlo soffrire, sperimentare. Facendosi scopare da qualcun altro. Spesso, preferibilmente. Ogni volta che fosse stato possibile. Così, inevitabilmente ci fu il primo frettoloso tradimento, grazie anche alla perseveranza paziente e complice di Lorella.
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In centro infatti aveva casualmente incontrato un suo amico d'infanzia. Entrarono in un bar elegante, per un caffè e due chiacchiere. Dopo alcuni rapidi convenevoli, Maria andò in bagno e si consultò per telefono con l'amica, che la spinse a darsi una mossa. Perché le occasioni vanno colte al volo. Eccheccazzo: forza, datti da fare, puttana! Seppur inizialmente titubante, finì comunque per fargli soltanto una sega, ben nascosti nel separé più nascosto al secondo piano del locale. L'uomo viveva in un'altra città e si trovava nel quartiere nativo soltanto per le passate feste natalizie. Sarebbe ripartito la sera stessa. Quindi lei, rassicurata da queste cose, elettrizzata e felice di provare il brivido dello scorretto, gli regalò così un bellissimo e appassionato arrivederci.
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Nascosti opportunamente alla vista degli unici altri due tavoli occupati nel piano, vicinissima a lui alzò appena la gonna, lo masturbò e quando egli stava per venire, piegandogli il cazzo in maniera opportuna lo fece sborrare sulle sue calze. Poi, sempre fissandolo negli occhi, pian piano raccolse la sborra con le dita e se la gustò tutta, ingoiandola con voluttà. Infine, chinandosi rapida, gli prese il glande in bocca e lo ripulì con due colpi di lingua, sempre guardandolo fisso negli occhi. In pratica, gli fece un mezzo pompino rapido. Inghiottì golosa le ultime gocce di sborra residue nel cazzo dell'uomo. Lui intanto, completamente instupidito da quella femmina, se la guardava rapito. Era in completa ed estatica trance erotica.
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Maneggiare il cazzo di un altro uomo, sentirlo totalmente in suo potere e infine vedere il suo amato compagno di scuola sborrarle sulle calze però le aprì la mente e gli orizzonti. Realizzò che dopo l'episodio, a cui ripensava di continuo durante le sue giornate, malgrado i suoi complessi di colpa interiori non successe assolutamente nulla di spiacevole! Perché nessuno si lamentò, non scoppiò alcuno scandalo. Il sole sorgeva ancora tutte le mattine. Soprattutto, molto importante, suo marito continuava a scoparsela felice ogni sera, con gran gusto e ignaro di tutto. Maria cominciò allora la caccia alla prossima trasgressione. Quanto lo desiderava fare!
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Nella sua mente passava in rassegna tutti i possibili candidati, soppesandone qualità fisiche e gradevolezza generale. Voleva trovare la prima preda non appena se ne presentasse l'occasione. E poi nel tempo a seguire un'altra e un'altra ancora. Avvalendosi degli smaliziati ed esperti consigli di Lorella, ovviamente. Con lei comunque, se non avevano nessun maschio tra le cosce o nel mirino, dopo la spesa mattutina o comunque quando in mattinata erano sole per qualche ora, in casa dell'una o dell'altra avevano preso l'abitudine di accarezzarsi vicendevolmente in maniera ardita. Molto. Avanzavano ogni volta di più verso l'inevitabile intimità totale tra loro.
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Arrivò per lei quindi molto presto il culmine della trasgressione: iniziò perciò e senza ulteriori remore, a far l'amore dapprima con la stessa Lorella: fu bellissimo, eccitante e gustarono entrambe il frutto più proibito e immorale. Da quel momento, Maria perse ogni freno inibitore. Poi spinsero il pedale dell'acceleratore e in una stessa sessione lesbica introdussero un giovane stallone. Che spomparono letteralmente. Ripeterono la cosa altre volte insieme. Maria per conto suo però iniziò a fare pompini ai ragazzi e agli uomini che riusciva ad acchiappare in giro. Non le era difficile, vivendo in una grande città e usando i siti e le app di annunci erotici.
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Le piaceva moltissimo lavorare il cazzo e ingoiare la sborra: quando la vedeva schizzare fuori, sentiva in sé una specie di ebbrezza erotica che la gratificava moltissimo. Infine, senza più scrupoli, iniziò a fare l'amore con due uomini contemporaneamente. Le sensazioni che provava prendendo due cazzi in corpo nello stesso momento erano qualcosa di mai provato prima e totalmente appagante. Suo marito non lo seppe mai. Era molto accorta, nel gestire i suoi affari privatissimi. Anche perché aveva organizzato le cose in modo da scopare regolarmente proprio con i due amici più stretti di Alfio: due gemelli omozigoti, entrambi scapoli e non sposati!
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Li aveva circuiti con pazienza e scaltra malizia. Loro avevano qualche anno in meno di Alfio ed erano abituati da sempre a scambiarsi o condividere le cose. Dapprima scopò con uno; poi si decisero e si amarono in tre. Alfio a ogni modo era tranquillo, nel menage familiare, anche perché lei non gli faceva assolutamente mai mancare il lungo e appassionato pompino mattutino al risveglio e la torrida scopata serale prima di dormire. Spesso poi, di notte lo svegliava e si faceva inculare sedendoglisi sopra, a cavallo: con le pance e i bacini a contatto, come la dominatrice e padrona che era meritava. E lui allora quanto le sborrava dentro!
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Maria provava e perfezionava con Alfio ciò che avrebbe replicato in settimana con i suoi due amanti fissi segreti. Con ognuno di loro o entrambi, molto discretamente e nelle occasionali assenze protratta del marito per lavoro, amava fare l'amore proprio nel talamo coniugale. Per sentirsi femmina desiderata dal genere maschile ma traditrice e sporca al massimo. Godeva doppio, così. C'è da dire che i due coniugi in ogni caso ebbero tra loro un rapporto sereno, lungo e felice. Unione che fu benedetta dopo qualche anno dal matrimonio dalla nascita di ben tre figli. Lorella ovviamente fu la testimone di battesimo per la femmina, così come a turno per i fratellini vennero scelti i gemelli amici di Alfio.
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Che erano ormai già profondi conoscitori dell'anatomia di sua moglie, ognuno più generoso dell'altro, con lei. La amavano. Maria quindi continuò per tutto il tempo in cui fu sposata con Alfio a godere della dolce, adorata fregna di Lorella. E dei cazzi arrapati e prepotenti dei suoi amanti. Dei due gemelli amici di famiglia prima di tutto e poi, quando più raramente le capitava, anche di qualcun altro. Alcuni rapporti erano soltanto occasionali e certamente non avrebbe mai più rivisto l'amante del momento, altri invece se li organizzava più o meno regolarmente: aveva infatti in parallelo coi gemelli anche una mezza storia di passione proibita col suo capo.
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Un uomo di sessant'anni ben portati che comunque la soddisfaceva molto. La sfondava di dritto e di rovescio. Lui la adorava, perché con Maria ritrovava la sua gioventù, il vigore dei trent'anni. E poi lei aveva l'enorme attrattiva sessuale di una giovane donna, cosa che sua moglie ovviamente non poteva più offrirgli. Ma ciò che lei provava con i due gemelli amici di suo marito ovviamente era senza eguali. Loro man mano che la scopavano la conoscevano sempre meglio e le facevano raggiungere posti lontanissimi, pieni di genuini e soddisfacenti orgasmi. Mentre la riempivano di sborra: da soli o in coppia.
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Quella donna adorava mettere le corna al coniuge. Soprattutto con i suoi stessi amici intimi. Perché, pensava, con gli altri ormai lei godeva si, ma solo a metà. Però anche per il suo capo aveva una particolare affezione: soprattutto di carattere sentimentale. Con lui infatti non era solo sesso: si sentiva protetta, adorata e amata con vera passione. E di contro anche lei gli si era attaccata. Scopavano con vero e proprio amore. Comunque, tra le altre cose scoprì subito di riuscire con relativa facilità a prenderlo in culo anche a secco, con un'infilata rapida, poi a spompinare ingerendo il cazzo fino alla radice e infine a prendere due uccelli in figa contemporaneamente.
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E un po' per sentimento, un po' per le sue specialità da vera troia, veniva cercata spesso, dal suo capo. Ma l'ultima raffinatezza era una cosa che ovviamente riservava solo ai suoi due fedelissimi. Successe quasi per sbaglio: uno dei due, volendo entrare in lei in preda alla foga, non si rese conto di star puntando anche lui allo stesso orifizio in cui già era suo fratello, che era partito come un treno nella scopata. E quando lei urlò di dolore ormai era troppo tardi: aveva due uomini dentro la fregna. Era andata. Continuarono così tutti e tre, fino a un orgasmo sorprendente: caratterizzato da una cospicua eiaculazione maschile e una dolcissima, lunga, soddisfacente estasi d'amore per la donna.
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Quindi, ai primi e un po' esitanti tentativi di doppia penetrazione in figa ne seguirono prestissimo molti altri. Ovviamente, seguì la doppia penetrazione anale. Che, seppur con cautela, avvenne con successo e poi ripetutamente. Adorava sentirsi una vera puttana. E usare attrezzi sadomaso, per incrementare la sua sensazione di totalmente sottomessa alle urgenze del maschio. Sperimentarono fino al perfezionamento di tutte le possibili posizioni dell'amplesso a tre. Il sesso le si era piazzato in testa e non poteva far altro che arrendersi ogni volta alla passione urgente. Che era insieme proibita e bellissima. E gli eventuali scrupoli morali venivano coperti agevolmente ormai dal callo dell'intenso godimento provato. Il sesso forte e scorretto, fuori dal matrimonio era divenuto ormai la sua vera, unica e adorata dipendenza. Dolcissima. Irrinunciabile.
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RDA
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elperegrinodedios · 1 month ago
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La preghiera di Jim
Un prete era infastidito dal fatto che ogni giorno un vecchio, vestito in modo trasandato, entrava nella sua chiesa verso mezzogiorno e ne usciva dopo pochi minuti. Cosa entrava a fare? Informò il sagrestano a cui chiese di fermare l'uomo, per chiedergli cosa faceva. Dopo tutto, nella chiesa vi si custodivano quadri e arredi molto costosi.
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"Entro a pregare", rispose l'uomo alle domande del sagrestano. "Ma dai", insistette l'altro, "non stai mai in chiesa il tempo sufficiente a pregare". "Beh, vedi", disse il vecchio "io non so fare delle preghiere lunghe, ma ogni giorno alle dodici, io entro quì, e dico "Gesù, sono Jim", e aspetto un attimo poi vengo via. Anche se è solo preghiera corta, credo che lui mi senta".
Qualche tempo dopo, Jim ebbe gravi problemi di salute e lo portarono all'ospedale dove il suo buon influsso, si fece sentire in tutto il reparto.
Pure i pazienti più brontoloni divenirono allegri e spesso il reparto risuonava di risate.
Un giorno un'infermiera gli disse, "Allora, Jim, tutti dicono, che il cambiamento qui dentro è tutto merito tuo, dicono che sei sempre felice, che sei contento".
"Certo che lo sono. Non posso fare a meno di essere contento. È merito di una persona, che viene a trovarmi tutti i giorni, è lui che mi rende felice".
"Qualcuno viene a trovarti qui?", l'infermiera si incuriosì. Aveva notato che la sedia accanto al letto di Jim era sempre vuota durante le ore di visita, perchè era un uomo solo, senza parenti. "Ma quand'è che viene a trovarti?".
"Ogni giorno", replicò Jim. "Si, ogni giorno alle dodici entra e si ferma ai piedi del mio letto. Lo guardo, Lui mi sorride e dice, Jim, sono Gesù".
Fine prima parte
Conoscendo la storia, un missionario di nome Michael in Tailandia finisce poi la storia...
Recentemente in Tailandia, abbiamo incontrato un signore scozzese di nome Jimmy per questo abbiamo iniziato a raccontargli la storia di "Gesù sono Jim!", di quel vecchio che andava in chiesa tutti i giorni a pregare. Ci ha subito interrotto, lui conosceva bene la storia anzi era successa dove viveva lui in Scozia. L'uomo, si chiamava Jimmy Meekan, il quale ci raccontò la conclusione della storia.
Segue...
lan ✍️
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anchesetuttinoino · 5 months ago
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"Manifestazioni che elogiano a un massacro di donne, di bambini e di anziani dentro le loro case sono assurde. Cosa posso dire? Se gli italiani che vivono in un Paese liberale e democratico possono essere così imbecilli da manifestare in favore di un massacro. Sono ignoranti se pensano che manifestare per Hamas voglia dire manifestare per i palestinesi. Chi grida 'dal fiume al mare' non sa neppure di quale fiume e di quale mare si tratti. Sono persone che non sanno che Hamas butta gli omosessuali dai tetti dei palazzi e che le donne non possono fare nulla, sono proprietà dei loro mariti.
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arcobalengo · 3 months ago
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Ancora allarme POLIO, facciamo chiarezza
Il servizio del GR1 delle 8 di oggi 16.12.2024 annuncia il ritrovamento di virus polio nelle fognature. Il GR approfitta dell’occasione per dire una serie di fesserie anzi menzogne costruite a tavolino e tace la cosa principale, con la collaborazione di Fabrizio Pregliasco che ovviamente raccomandava il vaccino.
Ritengo che la notizia faccia parte da una parte del meccanismo per tenere in allerta la popolazione, far credere che le autorità (e i massmedia) vigilino, dall’altra per tener vivo l’interesse agli intrugli lorenziniani iniettati col ricatto scolastico ai più piccoli, non si sa mai che a qualcuno venga in mente di protestare. Proprio per questo alcune precisazioni sono utili. By the way, faccio notare, modestamente, che di vaccini lorenziniani sono molto più esperto io di Pregliasco, se non altro perché ho pubblicato molti articoli e libri sull’argomento, mentre Pregliasco ha scritto qualcosa su Influenza e Covid.
Numero 1. La notizia del ritrovamento del virus nelle fognature di grandi città è vecchia di anni e anni, torna fuori ogni tanto. Il virus si trova lì perché è stato emesso dalle feci di persone infettate o vaccinate col virus vivo. Sono ritrovamenti sporadici e non vi è prova che abbia provocato qualche caso polio in Italia, né vi è il minimo rischio di una epidemia. Quindi ALLARMI INFONDATI. L’Italia è stata dichiarata polio-free nel 2002, così come tutta la Regione europea dell’OMS.
Numero 2. La cosa principale che non dicono. Qualche caso di polio da virus “selvaggio” si trova ancora in Pakistan, ma in Africa quasi tutti i casi (qualche centinaio) sono derivati dal vaccino orale tipo “Sabin” che in teoria doveva essere attenuato, ma in realtà ha subito delle mutazioni (cVDVP) e si diffonde provocando paralisi flaccida. Nel 2024 a Gaza si sono registrati 17 casi di paralisi da cVDPV, il contagio essendo venuto dall’Egitto.
Numero 3. Si sente ripetere che la polio esiste ancora perché ci sono troppo poche persone vaccinate. NO: La vaccinazione “Sabin” è diffusa capillarmente in tutti i Paesi del mondo “grazie” alle campagne di Bill Gates e OMS. Da noi è stata sostituita con il vaccino iniettivo IPV (presente nella esavalente) dopo che si accorsero che il vaccino Sabin fa più malattie della polio stessa. Al Condav ne sanno qualcosa. Secondo UNICEF, l’85% dei bambini colpiti dalla polio nel 2023 viveva in paesi fragili e colpiti da conflitto. Vedi Africa e anche Gaza. Sono quelli i veri motivi delle malattie infettive, non la carenza di vaccini.
Numero 4. Si sente ripetere che bisogna vaccinare di più perché non si è ancora raggiunta l’immunità di gregge, o addirittura per arrivare alla “eradicazione” della malattia, come ha detto Pregliasco. Questa è probabilmente la balla più grande, benché anche le precedenti non siano da poco. La vaccinazione che si fa in Italia NON PUO’ IN ALCUN MODO far raggiungere l’immunità di gregge, per il semplice motivo che non impedisce l’attecchimento del virus nell’intestino e la sua eventuale trasmissione per via orofecale. Anzi, possiamo dire di più: non vi è alcuna prova valida persino che la IPV sia efficace nel proteggere dalla malattia. Quanto alla “eradicazione”, nemmeno la Sabin può ottenerla, come dimostra in pratica l’aumento dei casi cVDVP nel mondo, nonostante la capillare diffusione del vaccino.
Quindi: BASTA BUGIE per favore! BASTA ALLARMISMI provax! Oppure dovremo chiedere a qualche autorità sanitaria e giudiziaria onesta (se esiste) di indagare seriamente se qualcuno paga la propaganda ingannevole.
P. Bellavite
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odioilvento · 5 months ago
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Che bella questa frase.
Oggi è la festa dei nonni, santi nonni, come dico sempre io dei nonni di mio figlio.
E questa frase mi ricorda tanto gli occhi delle mie due nonne. Entrambi occhi azzurri, che mio figlio ha ereditato. Occhi che in effetti non puoi dimenticare.
Mia nonna di qui era una donna forte, alta, decisa, dalla quale andavo ogni giorno dopo scuola, quando ancora era raro il tempo pieno, in attesa dei miei genitori che erano al lavoro. E quando mia mamma arrivava a prendermi era sempre di corsa e mi ricordo benissimo la voce di mia nonna che, dalla lobbia, con me di fianco, le diceva: "Sei di fretta, te la butto giù così non sali". Cucinava delle frittelle a carnevale che non ho mai più mangiato. Io ero la nipote più grande di otto, andavamo in montagna a luglio solo io e lei e via via arrivavano tutti i nipoti. E lei teneva praticamente tutti. Quando eravamo sole facevamo delle camminate nei boschi, con un bastone ogni volta trovato al momento, con le sue gambe che erano già un po' storte. Arriva da lei il mio amore per la montagna. Era una donna precisa, ma avanti. Una delle cose che mi ricordo per ultime, prima che la sua testolina perdesse il contatto con le realtà, è come rispose a mia mamma quando le dicemmo che io e il mio allora moroso, ora marito, volevamo andare a vivere insieme. Mia mamma non era convinta e mi disse di andare a chiedere a mia nonna, e lei semplicemente disse sì, non vedo il problema. Mia mamma non ha potuto dire più niente.
L'altra mia nonna viveva invece in Sardegna e quindi la vedevo una volta l'anno in agosto. Stessi occhi azzurri, ma una donnina minuta, magra anche con tutti gli strati di vestiti che indossava, di un riserbo enorme. Che viveva in simbiosi con mio nonno. Con due nomi fatti uno per l'altra: Bonaria e Felice. Di lei ho ricordi più rari per il poco tempo insieme. Però non posso dimenticare le tavolate a casa sua con tutti gli zii ed i cugini e lei che cucinava ravioli di magro per tutta la via. Quanti pomodori abbiamo tagliato per fare la conserva. Le uova delle galline che ogni giorno andava a prendere nel piccolo pollaio in cortile. E mi ricordo benissimo, tipo una foto stampata nella memoria, lei, che aveva sempre freddo essendo magrolina, seduta su questa mini seggiolina di legno, davanti al camino acceso anche in agosto, con un pentolino con il gelato che si scioglieva un po', se no era troppo freddo. E poi le frasi che diceva sempre e che uso ancora: "cottu o non cottu su fogu dda biu", "la casa non ruba nasconde" e quello che era il suo saluto ogni volta che sapeva che dovevamo andare via "venite quando volete", come dire, torna il prima possibile, ma fai quello che devi fare.
Le mie nonne, e la loro luce negli occhi, non le dimenticherò mai.
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armandoandrea2 · 15 days ago
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Il postino dei messaggi in bottiglia viveva solo in cima ad un’altura con un albero soltanto a fargli ombra. Tutto il tempo teneva gli occhi fissi sulle onde, in cerca di un luccichio di vetro». Quello del postino è un lavoro che conduce nell’intimità delle persone, bisogna saperlo fare con discrezione e rispetto: si entra nelle vite degli altri ed è necessario farlo in punta di piedi, a maggior ragione se il messaggio è contenuto in una delicata bottiglia di vetro. Grazie ad un retino il postino raccoglie messaggi che sembrano venirgli incontro e poi parte, affinché ogni parola giunga a destinazione. Perché, sapete, chi manda un messaggio in bottiglia spesso sa che il destinatario è molto lontano: «A volte doveva viaggiare finché la bussola non arrugginiva e la solitudine diventava tagliente come una squama di pesce». Ma la fatica è tutta ripagata perché i messaggi che consegnava («il più delle volte») «rendevano le persone piuttosto felici». Che raro e meraviglioso lavoro il suo!
Quotidianamente assisteva a piccole schegge di luminosa felicità: era lui a portarle nella sua tracolla, lui le aveva delicatamente raccolte tra i flutti, lui le affidava gratuitamente a colui al quale erano destinate.
Sarà stato forse contagiato da quelle schegge, perché «tutte le volte che apriva una bottiglia, sperava di vedere il proprio nome campeggiare in cima al foglio», ma puzzava di pesce lui, di sali, «di sogni di marinaio». «Nessuno gli avrebbe mai scritto un messaggio. Però gli sarebbe piaciuto». Finché un giorno nel retino rimane impigliata una bottiglia un con messaggio, ma senza destinatario: «Questo invito potrebbe non arrivare in tempo, ma sto organizzando una festa. Domani alla marea della sera in riva al mare. Per piacere, verrai?».Il postino percorre in lungo e in largo la sua città, interroga i destinatari abituali delle missive, tutti esprimono rammarico e stupore di fronte una lettera così compita, ma nessuno riconosce il mittente. Il postino è addolorato: è la prima volta che non riesce a svolgere il suo lavoro e forse gli pare di aver sbriciolato quella scheggia di felicità che qualcuno gli aveva affidato. Così la sera dopo, stringendo tra i guanti rossi una manciata di conchiglie, si presenta all’invito, per scusarsi. E quando arriva «Eccoti!». L’abbraccio degli amici a cui il postino tante volte aveva regalato la felicità sono tutti lì: erano loro i mittenti della lettera? Hanno solo colto l’occasione? Non lo sappiamo. Sappiamo però che la felicità è contagiosa e non si può fare a meno di chiedere che riaccada:«alla fine quando sorsero le prime stelle e poi la luna, il postino raccolse la bottiglia che non era riuscito a consegnare. “Forse” si disse con la bocca piena di torta, “sì, forse riproverò a consegnarla domani”
Michelle Cuevas
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crazy-so-na-sega · 6 months ago
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recitare slogan è indice di basso QI
1) Tutta l'Africa nel 1600 o 1800 era popolata solo da 60 o 80 milioni di persone massimo, cioè era spopolata (oggi che ci sono 900 milioni è ancora in gran parte vuota perché è ENORME).
In Sudafrica sulla costa non ci viveva nessuno perché non pescavano e non avevano navi, per cui quando olandesi e poi inglesi sono arrivati hanno fondato Città del Capo ad esempio senza mandare via nessuno, perché gli Zulu e Xosa stavano tutti nell'interno a cacciare
2) Una volta però che gli europei hanno creato attività economiche di vario genere, da tutto il Sudafrica, che è grande come l'Europa occidentale, sono affluiti gli africani. Gli olandesi e gli inglesi non hanno trovato milioni di africani che hanno schiavizzato, era mezzo vuoto e gli Zulu tra parentesi massacravano le altre tribù tutto il tempo
3) Le miniere di oro, diamanti e altro gli europei le hanno trovare loro, a differenza degli aztechi, gli africani non scavavano e trovavano oro e non avevano oro, non sono arrivati gli olandesi e hanno trovato oro in giro. Se non fossero arrivati loro anche oggi gli africani non ne avrebbero tirato fuori. Idem per l'agricoltura perché Zulu e Xosa e altre tribù cacciavano e non coltivavano quasi niente Man mano però che la ricchezza del Sudafrica cresceva, milioni di africani ci sono migrati e oggi hanno preso possesso delle miniere, aziende e agricoltura nonchè ospedali, scuole, trasporti, università, aereoporti ecc.. creati dagli europei.
Che però ora vengono esclusi da tutto quello che non sia strettamente tecnico. Ad es i piloti delle South Africa Airlines sono sempre bianchi, perché sono 30 anni che provano ad addestrare piloti africani, ma i risultati sono pessimi per cui i piloti i bianchi li possono fare (ma managers sono tutti africani) E' anche offensivo dell'intelligenza continuare a sentire le cazzate politicamente corrette come le tue ☝
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sai come risponde il comunista?
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diceriadelluntore · 7 months ago
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Storia Di Musica #336 - Neil Young, On the Beach, 1974
I dischi di Agosto avranno come caratteristica che li accumuna la presenza di una spiaggia. Un po' perché è argomento decisivo del periodo agostano, e un po' per l'autoironia che io la spiaggia ad Agosto la vedrò solo di passaggio perché, fortunatamente, è un periodo di grande impegno professionale. La piccola antologia inizia con un disco capolavoro, che è perfetto anche per il titolo ad entrare a far parte di questo piccolo gruppo. Neil Young nel 1974 è ormai un artista pienamente affermato: arrivato dal Canada in California quasi dieci anni prima, nel 1966, attraversa da protagonista la grande stagione del rock californiano, quello legato alla tradizione del folk, che si riafferma dopo la spettacolare, e breve, stagione psichedelica a cavallo tra i due decenni,'60 e '70. Young è protagonista con i Buffalo Springfield, con il più famoso supergruppo degli anni '70, Crosby, Stills, Nash & Young e con la sua parallela attività da solista, che ha inizio nel 1969 quando pubblica il suo prima album a suo nome, Neil Young. È stato anche il fondatore di due gruppi, i Crazy Horse, dall'animo più rock ed elettrico, e gli Stray Gators, più country folk. alternando i due gruppi. Dopo l'uscita dal quartello con David Crosby, Stephen Stills e Graham Nash, con cui rimane in bellissimi rapporti, nel 1972 pubblica il disco più famoso della stagione folk rock: Harvest (1972) che con le sue canzoni famose ancora oggi ( tra le altre, perle come Heart Of Gold, Old Man, Alabama) diviene un successo mondiale che gli apre definitivamente le porte della fama. Che tra l'altro è un concetto abbastanza distante dallo "Young-pensiero", che ha sempre ritagliato per sé la massima libertà espressiva e creativa. A questo fastidio, si aggiunte un periodo di grandi dolori: le morti per droga di Danny Whitten, il chitarrista dei Crazy Horse, quella del suo roadie più fidato, Bruce Berry, per lo stesso motivo, è un dramma più privato. La sua relazione privata con l'attrice Carrie Snodgress sta giungendo al termine, al figlioletto della coppia, Zeke, viene diagnosticata una forma di paralisi cerebrale. È con questo animo tormento e addolorato che Young scrive in due anni tre dischi che formano la non ufficiale "ditch trilogy", la trilogia del dolore: Time Fades Away (1973), che è il primo allontanamento dalle gioiose armonie folk per un rock più duro, sfilacciato, nervoso e impregnato di cupezza. Il successo è decisamente minore dei precedenti, ma Young non cambia linea e sforna un album ancora più cupo, Tonight's The Night, che in un primo momento la sua casa discografica gli rifiuta: registrato in presa diretta, senza post produzione, è il suono grezzo e cupo di un uomo che sta cercando di trasformare il suo dolore in musica. Verrà pubblicato nel 1975, in mezzo Young registra il disco di oggi, che esce il 16 luglio 1974.
Registrato in moltissimi studi di registrazione, con una caterva di musicisti ad aiutarlo (e ne parleremo tra poco), On The Beach insiste sul dolore e la disperazione ma lascia trasparire una tregua, una speranza. È un disco blues, il canto della tristezza e del dolore per eccellenza, ma che Young puntella di sprazzi di luce, rendendo più distesa e godibile la musica. Eppure è un disco potentissimo, soprattutto per i temi delle canzoni. Walk On ritrova spirito e brio, e See The Sky About To Rain, che risale addirittura come embrione ai tempi di Harvest, solo voce e pionoforte Wurlitzer, quasi sembrano una riappacificazione, ma il resto è ancora rabbioso e dolente. Revolution Blues è la prova: un atto esplicito di accusa contro la società del tempo, con Young che sembra volersi identificare nello psicopatico Charles Manson, con versi rabbiosi quali: «ho sentito che Laurel Canyon è piena di famose star / Ma io le odio peggio dei lebbrosi / e le ucciderò nelle loro auto». I due si conobbero quando Young viveva in una piccola villetta a Topanga Canyon, il Laurel canyon, che una volta era il territorio delle tribù native americane, negli anni '60 era uno dei luoghi della Controcultura losangelina, dove vivevano moltissimi musicsti. Eppure, pur se controversa, la metafora non vuole celebrare la figura di Manson, ma, esorcizzarla attraverso un'identificazione nel senso di colpa collettivo di una società malata. Young diventa nostalgico dell'America rurale in For The Turnstiles, dove compaiono il banjo e il dobro, Vampire Blues è un blues ecologista, tema che sarà sempre al centro delle tematiche di Young, e che ha una curiosità niente male: Tim Drummond "suona" la carta di credito sfregandosela sulla barba di una settimana creando un curioso effetto fruscio. On The Beach, la meravigliosa e dolente ballata da 7 minuti, è una dichiarazione di difficoltà nell'essere una rockstar, esplicitata nel famoso verso «I need a crowd of people, but I can't face them day to day». Motion Pictures (For Carrie) è probabilmente un'amara riflessione sulla sua storia d'amore che sta andando a rotoli e il disco si conclude con i 9, angoscianti e febbrili, minuti di Ambulance Blues, che è una summa del pensiero di Young sulla politica (con i riferimenti alle bugie del presidente Nixon), sulla musica e il suo mondo, persino sui suoi amici Crosby, Stills e Nash, in un periodo dove c'erano insistenti voci di un ritorno a 4. Suonano con lui David Crosby (che suona in Revolution Blues, e si dice impallidì letteralmente nell'ascoltare la famosa e incendiaria strofa, tanto che cercò di persuadere Young a cambiare testo ed iniziò a girare armato per paura che qualche squilibrato facesse come cantato da Young), Graham Nash, e due grandi musicsti della The Band, Rick Danko e Levon Helm, più i Crazy Horse.
Young prese il titolo dell'album da un film, On The Beach di Stanley Kramer del 1959, basato sull'omonimo romanzo di Nevil Shute. Sia il romanzo che il film erano di tipo apocalittico. E in questo senso è da intendere la copertina, leggendaria, che vede Young vestito di giallo di spalle, un ombrellone, le sdraio, la coda di una Cadillac insabbiata e sotto l'ombrellone una copia di un giornale che si riferisce allo scandalo Watergate di Nixon. La scritta del titolo, in pieno eco psichedelico, è di Rick Griffin, il disegnatore ufficiale dei Grateful Dead.
Il disco, pur vendendo meglio del precedente, non ebbe un grande successo, anche perchè la critica lo definì subito un disco "depresso", a cui si aggiungeva la natura quasi anti-commerciale di musica e testi. Tra l'altro, per decenni, il disco fu messo fuori catalogo, e per certi versi fu introvabile, tanto che i vinili degli anni '70 originali valgono oggi una settantina di euro. Questo fece salire l'interesse per il disco fino alle ristampe degli anni '90, ampiamente rivalutato con gli altri due lavori della trilogia del dolore come uno dei momenti più interessanti della ultra decennale carriera di Young. Un disco dolente ma potentissimo. Che non penso sia il migliore da ascoltare in spiaggia.
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vadaviaaiciap · 4 months ago
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Per gli amici animalisti di sinistra:
Ad attirare con l’inganno, uccidere, spennare, arrostire e poi mangiare, il cigno a Ostia, è stato:
✨ rullo di tamburi ✨
Un rom.
Il testimone:
«il cigno viveva tranquillamente qui da tempo con la sua compagna e i due figli, i pescatori erano abituati alla presenza della famigliola e i cigni alla nostra. Si fidavano dell’uomo, perché noi davamo del cibo senza mai fargli del male».
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abatelunare · 2 months ago
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La vita le sembrava semplice e buona, senza complicazioni: non ne aveva mai cercato il significato e il perché: viveva, dormiva, si vestiva con gusto, rideva, era contenta. Che avrebbe potuto chiedere di più? (Guy de Maupassant, Mont-Oriol).
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angelap3 · 4 months ago
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Nausicaa
Una delle figure più affascinanti e tenere dell’Odissea è quella di Nausicaa, la giovane figlia del re dei Feaci Alcinoo e di sua moglie Areta. La ragazza, poco più che adolescente, avrà un’importanza determinante nella felice riuscita del ritorno di Ulisse a Itaca. L’eroe acheo infatti dopo l’ultimo naufragio causato dal vendicativo Poseidone, nel quale aveva perso tutto il suo equipaggio, solo e disperato aveva raggiunto stremato la spiaggia dell’isola di Ogigia. Qui tramortito sul bagnasciuga venne trovato dalla ninfa Calipso e confortato con cibo e bevande. Affascinata dall’aspetto e dalla personalità di Ulisse la bellissima divinità marina gli offrì il suo letto e promise, se fosse rimasto con lei, di donargli l’immortalità e l’eterna giovinezza. Ulisse rimase sull’isola sette anni ma il richiamo della sua patria e della moglie Penelope che lo attendeva a Itaca erano troppo forti.
Atena, da sempre sua protettrice, approfittando di una momentanea assenza di Poseidone, chiese al padre Zeus di esaudire il desiderio del suo assistito e questi mandò Ermes da Calipso per ordinarle di lasciare partire Ulisse. Dispiaciuta, ma consapevole del fatto che non si poteva disubbidire al re del cielo, la dea diede al suo ospite i mezzi e gli strumenti per costruirsi una zattera e cibo per nutrirsi durante il viaggio. Sospettoso come sempre Ulisse temeva un tranello, ma rinfrancato dai giuramenti di Calipso, le diede un ultimo bacio e prese il mare. Avvenne però che Poseidone, di ritorno dall’Etiopia, si trovò davanti quella zattera che arditamente solcava il mare. Riconosciuto il navigante la collera del dio esplose in tutta la sua rabbia. Era proprio Ulisse, il perfido acheo che aveva accecato suo figlio, il ciclope Polifemo, spegnendogli per sempre l’unico occhio di cui disponeva.
Subito in mare si scatenò una tempesta e la minuscola zattera venne sconquassata da onde gigantesche. Ulisse sbalzato in acqua, pur essendo un abile nuotatore, più volte rischiò di essere inghiottito dai flutti finché nudo e stremato riuscì a guadagnare la riva dell’isola di Scheria e lì, essendo calata la notte, si addormentò esausto fra le canne. Era l’isola dei Feaci dove il re Alcinoo governava con saggezza donando al suo popolo leggi giuste e vita prospera. La giovane figlia Nausicaa, dai lineamenti dolci e delicati, viveva un’adolescenza felice alla quale erano ancora sconosciute le ansie e le palpitazioni dell’amore. La dea Atena, per aiutare Ulisse, entrò nei sogni della fanciulla prendendo le sembianze di una sua compagna che la rimproverava per non avere ancora provveduto ad andare al fiume a lavare la biancheria di tutta la famiglia.
Il mattino dopo la giovane, ottenuto il permesso dei suoi genitori partì, con le sue ancelle e una mula, diretta verso il fiume. Giunta sul posto, una volta fatto il bucato, nell’attesa che si asciugasse la biancheria, la principessa dei Feaci si intrattenne con le sue compagne a giocare con la palla. Gli strilli gioiosi delle fanciulle risvegliarono Ulisse che, in cerca di aiuto, si coprì di canne il corpo nudo e sporco e si avvicinò alle giovani. Spaventate le ancelle scapparono lontano, solo Nausicaa con imprevedibile coraggio non si mosse. L’uomo si inginocchiò davanti alla giovane e pronunciò dolci parole fingendo di scambiare la ragazza per una dea dell’Olimpo, dichiarandosi un povero naufrago e chiedendo aiuto e protezione. Commossa Nausicaa, memore del dovere di ospitalità caro agli dei, indicò allo sconosciuto la strada per giungere a palazzo, chiedendogli però di mantenersi nel cammino a distanza da lei e dalle altre ragazze per evitare che il suo popolo potesse dubitare della loro onestà.
Giunto a palazzo Ulisse venne accolto con ospitalità dal re Alcinoo tanto che, dopo avere per prudenza inizialmente nascosto la sua identità, decise di rivelarsi e di raccontare alla corte dei Feaci tutte le sue avventure dalla caduta di Troia in poi. Nausicaa ascoltava affascinata le gesta degli eroi che avevano combattuto, il coraggio e la forza di tanti principi e l’astuta trovata del cavallo di legno. E in cuor suo nasceva un sentimento per quell’uomo che gli appariva come un gigante dall’alto della sua autorevole grandezza. Pian piano crebbe in lei il desiderio di divenire sua sposa e Alcinoo, che sapeva leggere nel cuore di sua figlia, arrivò a proporre a Ulisse di accettare la mano della giovane. Ma il re di Itaca sognava solo di fare ritorno nella sua patria e, benché riconoscente e grato, dichiarò al re dei Feaci di avere già una moglie e chiese solo di essere aiutato a riprendere il mare.
Per Nausicaa fu un grande amore: il primo; e una grande delusione, ma non negò la sua amicizia e il suo affetto all’eroe, che da parte sua ricambiò con un tenero sentimento di devozione e riconoscenza. Alcinoo donò a Ulisse una nave e una scorta per il suo viaggio e, nel momento dell’addio, Nausicaa lo lasciò dicendogli: “Non dimenticarmi, perché ti ho ridato la vita”. Accompagnato da un gruppo di Feaci, Ulisse partì e finalmente raggiunse Itaca, ma Poseidone, irato per l'amichevole trattamento riservatogli da Alcinoo, trasformò in pietra la nave che faceva ritorno a Scheria e sembrava addirittura deciso a distruggere anche il porto dei Feaci. Il padre di Nausicaa si vide costretto a sacrificare al dio del mare ben dodici buoi per rabbonirlo e poi sussurrò a sua moglie Areta con profonda amarezza: “Impareremo dunque a non essere più tanto ospitali in futuro”.
Fonti:
- “I miti greci” di Robert Graves;
- “Nausicaa” voce su Mitologia delle Garzantine Garzanti;
- “Nausicaa” voce su Wikipedia.
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