#vignettisti
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Peter van Straaten, vignettista e illustratore olandese (1935-2016)
[*] "Penso che sarà una cosa a tre"
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[*] "Immagino che ancora una volta non sei venuta?"
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https://www.lambiek.net/artists/s/straaten_van_p.htm
https://www.groene.nl/artikel/hij-was-een-zondagskind
https://www.kunstveiling.nl/en/items/peter-van-straaten-daar-zijn-we-weer/340354
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mi piace chi riesce a dire una cosa importante con poche parole o nessuna parola. Come possono fare solo i filosofi o i vignettisti.
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Femmina matura e rigogliosa, la Machiche. Donna di candida pelle, grandi seni molli, fianchi poderosi e grosse natiche, occhi neri e uno di quei volti dalla mascella forte, gli zigomi grandi e la bocca avida, quali erano soliti disegnare i vignettisti della Parigi galante del secolo scorso. Femmina terribile e mansueta, la machiche doveva il suo soprannome a certe pratiche erotiche, non si seppe mai quali, che aveva intensamente esercitato nel fiore degli anni. Abitava in fondo alla casa e la sua folta chioma corvina, in cui brillava già qualche filo bianco, annunciava la sua presenza nei ballatoi prima ancora che vi irrompesse l'esibita opulenza delle sue carni.
Álvaro Mutis, da "La casa di Araucaíma", 1978 - La Machiche
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ESTATE: ARRIVANO I “NO CREAM”!
ESTATE: ARRIVANO I “NO CREAM”! “No Vacs”, “No Mask”, “No Tax”, “No Gasp”, “No Pròtt”… C’è poco da dire: laddove fan capolino LORO i “Negazionisti”, per noi vignettisti cattivi è sempre tanta, tanta Manna! —— Ricordo che, qualche tempo fa, mi divertii a compilarne un immaginario “Bestiarium” dal titolo “Complottisti per tutti i gusti”: lo trovate QUA Potete consultarlo a vostro piacere e diletto e…
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Serata-festa per vignettista Forattini alla Triennale di Milano
Il mondo della cultura, dell’arte, del teatro, della tv e dell’imprenditoria ha reso omaggio, in un incontro definito una festa questa sera alla Triennale di Milano, a Giorgio Forattini principe dei vignettisti definito, tra i tanti affettuosi giudizi, “poeta, irriverente, monello, intransigente sui principi, senza paura” e perfino “stronzo”. L’occasione è stata la donazione del suo…
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Muore Sergio Staino, il vignettista della satira sociale
È morto oggi all'età di 83 anni Sergio Staino, uno dei più importanti vignettisti italiani. Staino era ricoverato da qualche giorno all'ospedale San Giovanni di Dio di Firenze. La vita di Sergio Staino Nato a Firenze nel 1940, Staino ha iniziato la sua carriera come vignettista nel 1965, collaborando con diverse testate, tra cui "L'Unità", "Il Manifesto" e "Cuore". Nel 1977 ha fondato la rivista "Cannibale", che ha rappresentato una svolta nella storia della satira italiana. Staino è stato il creatore di alcuni dei personaggi più iconici della vignetta italiana, tra cui Bobo, il suo alter ego, e Cipputi, un operaio fiorentino. Le sue vignette, spesso satiriche e irriverenti, hanno commentato con ironia e acume la società italiana, dai grandi eventi politici e sociali alle piccole contraddizioni quotidiane. Staino ha ricevuto numerosi premi per il suo lavoro, tra cui il Premio Saint-Vincent per il giornalismo nel 1983, il Premio Penna d'Oro nel 1994 e il Premio Satira Forte dei Marmi nel 2005. La sua morte è un lutto per la cultura italiana e per tutti coloro che hanno apprezzato il suo talento e la sua visione critica della realtà. Un maestro della satira sociale Sergio Staino è stato un maestro della satira sociale. Le sue vignette, spesso irriverenti e provocatrici, hanno saputo cogliere con acume le contraddizioni e i difetti della società italiana. Staino era un artista impegnato, che ha utilizzato la sua arte per denunciare le ingiustizie e le discriminazioni. Le sue vignette hanno contribuito a sensibilizzare l'opinione pubblica su importanti temi sociali, come la guerra, la povertà e la discriminazione razziale. Un'eredità importante La morte di Sergio Staino lascia un vuoto incolmabile nella cultura italiana. Il suo lavoro ha lasciato un'eredità importante, che continuerà ad ispirare generazioni di artisti e intellettuali. Le sue vignette saranno sempre un ricordo vivo della sua straordinaria capacità di osservare la realtà con lucidità e ironia. In omaggio al grande maestro pubblichiamo il link dell'intervista che ci ha concesso qualche tempo fa e di cui ci sentiamo molto onorati: https://www.cinquecolonne.it/sommessamente-18-il-dono-del-dubbio-sergio-staino.html Ciao, Sergio Read the full article
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Ci sono i vignettisti talmente incazzati che persino i militari stanno facendo vignette e io a scriverci sopra il testo. Farebbero bene a lavorare nelle fogne secondo me sono troppo stupidi per fare i militari
#literature#love#art#nature#spiritual development#books & libraries#light academia#feelings#yoga#reading
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Gli artisti giapponesi chiedono una regolamentazione dell'IA per proteggere il copyright Un gruppo di illustratori e vignettisti giapponesi chiede una legislazione che protegga le loro opere. Info:--> https://www.gonagaiworld.com/gli-artisti-giapponesi-chiedono-una-regolamentazione-dellia-per-proteggere-il-copyright/?feed_id=364467&_unique_id=644e11ecc3c80 #Giappone #Intelligenzaartificiale
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Ennio Flaiano, lo specchio e l'enigma
ENNIO FLAIANO,
LO SPECCHIO E L' ENIGMA
L’ attenzione posta dal libro di Minore e Pansa sulla più intima personalità di Ennio Flaiano richiama il rapporto complesso con Pescara, città dove è nato tanto Gabriele D’Annunzio, la cui retorica apre il ‘900 letterario italiano, quanto uno scrittore come lui, la cui anti-retorica giunge a chiusura di quello stesso secolo.
Ne emerge così l’ arguto profilo di uno “straniero in patria”, come indica il documentario di Corallo e Parisi, e rilancia domande sullo scrittore la cui fama non può essere ridotta alla “flaianite”, cioè al gusto del pettegolezzo mondano, termine opportunamente coniato dall’amico Giovanni Russo.
Ripercorrere la vicenda umana dello “straniero in patria” ha qualcosa per me di molto familiare, per avere assistito fin dai primi anni ’50 al battibecco acceso e incessante che opponeva in fatto d’ arte e libertà della cultura un tipo come mio padre Antonello agli accenti ben più liberali di mio nonno Francesco, il pittore, amico stretto di Maccari e Bartoli, vignettisti emeriti del “Mondo” di Pannunzio, e frequentatore anche lui della fiaschetteria di Cesaretto, punto di riferimento di artisti, letterati, uomini di cinema nella Roma del secondo dopoguerra. Lì era di casa Flaiano, che all’epoca dava il meglio di sé con un giornalismo colto e bene informato, di un liberalismo senza partito, coraggioso e radicale, ostile a tutti i poteri contrastanti il principio dell’ intelligenza critica e dell’autonomia artistica.
Quel “battibecco” tra padre e nonno, nella distanza di cultura e vita morale, vissuto tra le mura di famiglia stemperava la eco di sinceri e appassionati scontri nella Roma intellettuale e dei caffè letterari, che investivano i rapporti tra politica, ideologia e cultura, mediante schermaglie e ironiche punzecchiature in cui Flaiano era maestro (“Non ho letto Marx, ma sono amico di Trombadori”).
La polemica non faceva tuttavia velo alle amicizie, come quella tra Flaiano e mio padre Antonello che venne stringendosi via via per la comune intesa e dimestichezza con l’uomo e l’opera di Federico Fellini.
C’ era poi la comune passione per il cinema quale spettacolo dei tempi moderni e fonte di moderna pedagogia di massa, cui si dedicarono l’ intellettuale e l’organizzatore di cultura.
Non deve sfuggire infatti il nesso tra la qualità del giornalista Flaiano e l’ istintiva, brillante, quasi non ragionata disposizione all’ efficace narrazione cinematografica.
Si dice, e Flaiano diceva di sé, che l’ intellettuale prestato alla brechtiana “fabbrica dei sogni” (il cinema), sarebbe stato una sorta di ripiego esistenziale ( per il noto motivo secondo cui “carmina non dant panem”).
Ma non deve tuttavia sfuggire che la vera maestria di Flaiano era tutta nella capacità di fissare metaforicamente in parole il senso delle cose viste.
Aveva uno spirito formidabile di osservazione, capacità di classificare e far emergere verità “sconosciute” da situazioni solo apparentemente “note”.
E’ il segreto del “titolo” di giornale efficace, dell’ inquadratura cinematografica sorprendente, della figuratività dell’ immagine poetica.
Ennio era come uno “specchio”, rifrangente situazioni umane, sociali, eccetera, che leggeva come un riflesso del proprio male di vivere.
Ecco l’ enigma irrisolto e permanente, il tratto distintivo di una personalità che a stento si riconosceva nell’ albero frondoso costituito nel tempo dalla sua straordinaria prolificità espressiva.
Al contrario, si sa, che egli viveva nell’ intimo suo lo strazio di non avere mai attinto alla soddisfatta compiutezza dell’ opera (teatrale, cinematografica, e soprattutto letteraria).
L’ uomo coltivava piuttosto una immagine di sé che non accettava , per introspezione autocritica, il riconoscimento dei suoi meriti.
Per l’appunto Minore e Pansa ricordano, citando Maria Corti, il dilemma tra il mancato esito come regista diverso e trasgressivo (non riuscì mai a portare a termine un suo film) e il tempo perduto a sceneggiare film altrui, a scapito di una coerente attività di scrittore. È l’appunto fatto alla dispersività, al gusto del flaneur, del perdigiorno, che torna in ogni accurata riflessione sul diorama avventuroso dell’ uomo e della sua opera, polverizzata in lampi di intelligenza inventiva, suggerimenti e meditazioni effimere, che lasciano il lettore nel vago sentimento di un colpo di scena tutto ancora da venire, e sempre rinviato di puntata in puntata.
Intellettuale “roso dal dubbio”, come un giorno disse Leonardo Sciascia di sé a Renato Gutttuso, per converso uomo “roso dalle certezze”, ecco Ennio Flaiano col cuore messo a nudo, coll’ animo dell’ estroverso che fa il controcanto a se stesso, giudicandosi a futura memoria come “scrittore minore nell’ Italia del benessere”.
La lingua maestra dell’ ironia concentra e allude qui ad una pluralità di significati.
Il linguaggio di Flaiano risulta leggibile e interpretabile a strati, in profondità, come una registrazione obbiettiva, una accusa indiretta al mondo delle telecomunicazioni e del benessere, una velata nostalgia di chi cavalca la tigre del progresso nel momento in cui coltiva un’ intensa nostalgia del passato.
In questa ambiguità esistenziale la personalità del liberale e del radicale Ennio Flaiano bordeggia quella del mistico Pier Paolo Pasolini in rivolta contro il mondo moderno.
Ma resta in conclusione da smentire proprio la sua più intima convinzione, e cioè che Flaiano non ha affatto consumato e dissipato il suo tempo: il frammentismo, la fugace e icastica sentenziosità, le moralità leggendarie, sono il condimento principe di un protagonista del nostro giornalismo e della sceneggiatura, due esemplari forze propulsive della civiltà letteraria nel XX secolo.
Grande comunicatore, controcorrente sempre, si potrebbe dire di Ennio Flaiano.
Il cinema, luogo ideale per catturare il morale del pubblico, arma privilegiata dei nascenti regimi di massa (vedi Mussolini: “il cinema è l’arma più forte”) diventava occasione per descrivere i tipi umani in chiave umoristica, castigando per l’ occasione i costumi con il sorriso, per ripiegare sui classici latini.
C’era sicuramente nel Flaiano libertario e individualista, anche molto dell’ uomo attento alla cosa pubblica, del testimone civile, secondo la scuola intellettuale e politica da cui discendeva per li rami (v. il sottaciuto azionismo, la parola poetica di Eugenio Montale) e gli imponeva l’adozione metaforica del linguaggio corrente, venato da una corrente vivida di ironia, assai distante dai modi dei poeti laureati ( come se il suo dirimpettaio d’ origine, l’ immaginifico Gabriele D’Annunzio, fosse lì apposta per fare da bersaglio e al tempo stesso da giudice della sua irresolutezza espressiva).
Fu scrittore di un solo romanzo? D’accordo. Ma ancora oggi a mezzo secolo dalla sua scomparsa, bisogna riconoscere che dello zibaldone di scritti lasciati all’ improvvisazione ben poco risulta caduco, inutile, superfluo e sorpassato.
La pagina frammentata di Flaiano è sempre una ricca fonte di pensiero, traccia di variabili interpretative che ci dicono fino a quale punto l’ aforisma, l’ epigramma, la battuta (sale del giornalismo, e anche del cinema come arte) vadano ben al di là di uno sguardo superficiale, e la cosiddetta dispersività dell’autore suggerisca il profilo di un dramma spirituale che si staglia come esperienza vissuta da una intera generazione.
Una generazione intellettuale, quella di Flaiano, come anche quella di mio padre Antonello, tormentata dai fragori e rumori di un formidabile passaggio d’epoca ( l’ epoca dei regimi e della cultura di massa :fascismo, comunismo, americanismo) che ha situato l’ intellettuale nella particolare condizione freischwebend ( libertà galleggiante nel vuoto) per aprire e rendersi permeabile a due opposte forme di isolamento e inquietudine, quella intima-individuale e quella estroversa-collettiva.
Laico e libertario, conservatore perché assai diffidente verso tutte le emergenti novità (“l’Italia di domani sarà fatta dalla televisione”) Ennio Flaiano visse la sua scelta disincantata di libertà individuale, cavalcando come “satiro solitario” le onde lunghe del costume contemporaneo e rifacendone il verso, non senza un distillato d’ interiore amarezza, che affiora in tutta la sua produzione scritta e filmata (proverbiale è la chiusa simbolica di Oceano Canada, con gli appunti di lavoro gettati in mare).
La modernità stilistica, il successo del comunicatore e dello scanzonato scettico riguardo ai miti e riti della civiltà di massa, confermano l’ omogeneità espressiva del moralista che potrebbe farlo apparire addirittura quale esempio di altezzosità aristocratica, mentre nulla era più lontano dal suo temperamento, fin troppo umano e civile.
Non a caso, d’altra parte, sapeva anche ironizzare sulla condizione solitaria dell’ intellettuale prendendo di mira l’ esemplare più rarefatto e raffinato: ”A Elèmire Zolla, preferisco la folla”, motteggiava. C’è da giurare che lo spiritaccio dell’ inseparabile Mino Maccari, sorridente anti-eroe della caricatura, nel sentire l’uscita dell’amico fosse lì accanto a lui nell’ atto di stropicciarsi le mani. E forse è proprio questa ennesima birichinata, rivelatrice del suo scanzonato spirito critico, che compendia il vero miracolo che in vita gli riuscì di compiere: “di essere riuscito a non diventare in questo Paese-disse bene Giovanni Russo-neppure da morto, un notabile della cultura ufficiale”.
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Ci aspettano due mesi di "allarme fascismo", "allarme razzismo" e "allarme medioevo".
Il PD chiamerà a raccolta tutto l'esercito di prezzolatissimi attori, cantanti, influencer, vignettisti e youtuber che dovranno martellare ininterrottamente su questo tasto: se non prevarrà il PD tornerà il fascio littorio, gli immigrati verranno portati nei campi di concentramento, gli omosessuali verranno bruciati sul rogo e mamma Europa ci prenderà a ceffoni.
Gente che poserebbe volentieri una corona sulla testa di Draghi e abolirebbe il suffragio universale che strilla per la "democrazia in pericolo". Gente che disprezza il concetto stesso di patria e prende fuoco davanti al tricolore che invoca "il bene per l'Italia". Gente che godeva nel veder imposti lockdown e Green Pass che piagnucola di "difesa dei diritti".
Il tutto condito con la solita retorica autorazzista dell'Italietta guardata con disgusto, sgomento e commiserazione dal resto del mondo civile ed evoluto.
Preparatevi perché la macchina propagandistica piddina è in grado di mobilitare migliaia di mani e lingue in un attimo.
Ora, il centrodestra italiano fa abbastanza schifo. Ma non per le ragioni che ripetono a pappagallo i globalioti, quelle che riguardano gli unicorni, gli arcobaleni e qualche boiata imparata su Disney+. Fa schifo perché non mette in discussione il vincolo esterno e non offre alcuna alternativa all'attuale paradigma economico e sociale. E d'altronde ha sostenuto per un anno e mezzo lo stesso Draghi.
Ai globalioti va benissimo che ci sia un uomo solo al comando, purché la pensi come loro. Se è un banchiere che massacra il popolaccio incolto fuori dalle ZTL va benissimo. Altrimenti è PERICOLO FASCISMO.
Due mesi così. Preparatevi.
Matteo Brandi
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Un concorso internazionale di vignettisti ci ricorda che in Europa la satira è ancora in pericolo
La vignetta satirica in Europa non è minacciata solamente dalla precarietà lavorativa e finanziaria, aggravata dal coronavirus. Cinque anni dopo la strage di Charlie Hebdo, chi fa satira nel nostro continente è ancora in pericolo. Ce lo ricorda una mostra che apre in Puglia questa settimana.
#Un concorso internazionale di vignettisti ci ricorda che in Europa la satira è ancora in pericolo N
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Un altro mondo è possibile!
Non serve essere Santi, non serve essere Supereroi, ma uomini.
Uomini nel senso più pieno e profondo.
E Gino Strada lo era.
Sarà difficile portare avanti questa lezione di umanità.
Il mio omaggio a Gino Strada insieme a quello degli altri vignettisti su SputnInk
#ginostrada #gino #emergency #Ginovive #sputnink #alagon
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A forza di una costante concentrazione della proprietà fondiaria immobiliare, l’Irlanda invia il suo surplus sul mercato del lavoro inglese e così spinge verso il basso i salari e deprime la posizione materiale e morale della classe operaia inglese. Ogni settore industriale e commerciale in Inghilterra registra oggi una classe operaia divisa in due campi ostili, proletari inglesi e proletari irlandesi. Questo antagonismo è alimentato artificialmente dalla stampa, dal clero, dai vignettisti, insomma da tutti i mezzi a disposizione della classe dirigente. Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe lavoratrice inglese ed è il segreto grazie al quale i capitalisti mantengono il loro potere…. E impediscono l’indipendenza dell’Irlanda…
Karl Marx, lettera a Sigfried Meyer, 1870
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MOISE COMICS' MYSTERO
MOISE COMICS’ MYSTERO ———– Ciao a todos! E’ da qualche tempo che mi arrivano richieste di amicizia VERE, non da Procaci Pulzelle Poppute o da Scosciate Signorine dalla minigonna fatale, bensì da Fumettisti, Vignettisti, appasionati Comics’Nerds ecc. che hanno tutti amicizie in comune con altri fumettofili che conosco… e questo basta a tacitare la mia sospettosità! Quel che mi chiedo è: PERCHE’…
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