#viavai
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primepaginequotidiani · 19 days ago
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PRIMA PAGINA Corriere Adriatico di Oggi sabato, 18 gennaio 2025
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godisacutedemon2 · 1 year ago
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Varcò la soglia di quel bar coi capelli legati e la mano sventolante vicino al viso: faceva caldo, troppo caldo, nonostante fossero appena le 8 di mattina. Le goccioline che le partivano dalla fronte scendevano giù lungo tutto il viso arrivando alla bocca rimpolpata da quel suo lipgloss appiccicoso che usava sempre. Il locale era pieno, le voci erano alte, tutti di fretta ma non troppo: va bene andare a lavoro, sì, ma con calma, ce n'è di tempo per lavorare, ma per esser felici e spensierati ce n'è troppo poco. Si avvicinò al bancone, a servirla c'era un bel giovane sorridente. «Non ti ho mai vista qui, sei nuova?» il sorriso si fece ancora più ampio, ma come risposta ricevette il sopracciglio inarcato e indispettito di lei. «Buongiorno, innanzitutto�� rimbobò. Erano già due mesi che era lì, ma ancora non si era abituata a quella confidenza che chiunque si prendeva. Sapeva non fosse cattiveria, ma un po' l'infastidiva. Tutti conoscevano tutti e lei, a sentirsi dire sempre la stessa frase, si sentiva un po' un pesce fuor d'acqua. «Sì, sono nuova. Ma ricordate tutti coloro che passano o è proprio un vostro modo di approcciare?» continuò quindi lei. Il giovane si passò la mano tra i capelli lisci che gli cadevano sulla fronte «signorina, non mi permetterei mai di approcciarvi... O almeno, mi correggo, non così» rise, era bello. «Scusatemi se mi sono permesso o se vi ho dato fastidio... Diciamo che qui ci conosciamo tutti» botta secca «o comunque, più o meno mi ricordo chi passa, un viso così bello lo ricorderei». Le lusinghe erano tante, ma la pazienza la stava proprio perdendo. «Sì, capito, capito. Mi può portare un caffè, per favore?» «sì, certo, permettetemi di presentarmi almeno, io son-...» dei passi lenti dietro di lei la interruppero «Antò, e falla finita! Ti vuoi sbrigare? Non è cosa, non lo vedi? Portagli 'sto caffè e muoviti, glielo offro io alla signorina». La situazione stava degenerando, la ragazza in viso era ormai paonazza e non di certo per il caldo. «Scusatemi tutti, il caffè me lo pago da sola! Posso solo e solamente averlo?! Si sta facendo tardi, non pensavo che qui fosse un delirio anche prendere un caffè!» per un attimo calò il silenzio che non c'era mai stato, nella mente di lei passò un vento di leggerezza e sollievo, senza rendersi conto che, con quell'affermazione, si era di nuovo sentita come tutto ciò che non voleva sentirsi: un pesce fuor d'acqua. «Scusatemi» bofonchiò, poi di nuovo «potrei avere gentilmente un caffè? Grazie. Mi andrò a sedere al tavolo» il barista la guardò, un po' dispiaciuto «signorì, se permettete, cappuccino e cornetto, offre la casa. Sentitevi un po' a casa, vi farebbe bene» e si dileguò. Non disse nulla e si trascinò verso il tavolino, non poteva combatterli: erano tutti pieni di vita lì in quel posto. Che alla fine, un po' di gioia dopo anni di sofferenze, non sarebbe poi mica guastata.
Si sedette lì, ad un tavolino accanto ad un immenso finestrone: da lì si vedeva il mare, mozzafiato. Si guardò intorno. Il viavai di gente era irrefrenabile e la mole di lavoro assurda, ma la cosa più bella di quel posto è che nonostante le richieste più assurde dei clienti, venivano accolti tutti con il sorriso più caloroso del mondo.
Sorseggiava il suo cappuccino, lasciando vagare il suo sguardo di tanto in tanto, fin quando non si fermarono inchiodati su quello di un altro. Nell'angolo, in fondo, c'era un ragazzo. Gli occhi scuri tempesta bloccati nei suoi ciel sereno. I capelli un po' arricciati gli scappavano qua e là dalla capigliatura indefinita che portava. Un ricordo è come un sogno lucido, che però puoi toccare, sentire, annusare, vivere ad occhi aperti, vivere senza dormire. In quell'angolo di stanza, c'era lui. I battiti partirono all'impazzata all'unisono, nel bar non c'era più nessuno, solo loro. So potevano quasi toccare co mano, nonostante la distanza a separarli, le loro mani accarezzavano i rispettivi visi come a gridare “sei vera? Sei vero?”. Un impeto di emozioni, un vulcano in eruzione, la pioggia sul viso, il vento che porta il treno che sfreccia, il pianto di un bambino, la risata di un ragazzo. «Signorì, tutto apposto?» il tempo di sbattere le palpebre: lui non c'era più «sì, sì... Pensavo di aver visto qualcuno di mia conoscenza».
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Un bacio al sole
Eccomi di nuovo in camera ad aspettarlo, sperando che non tardi ad arrivare perché la mia vescica mi implora di farla svuotare ma lui era stato chiaro: "Dalle 07.30 ti è vietato pisciare, voglio il tuo piscio addosso". Le mie preghiere sono ascoltate e dopo poco arriva. Iniziamo a baciarci mentre mi prodigo a dare il benvenuto al mio cazzo. Stavolta però il saluto iniziale avviene all' aperto. Il mio adorato D. mi porta in balcone e lì mi fa inginocchiare: godo pensando che la sua riservatezza è andata finalmente a farsi benedire e lui si fa spompinare al sole. In strada il viavai delle macchine fa da sottofondo ai nostri gemiti di piacere. Rientrati in camera è chiara la sua voglia di impossessarsi della mia fica ma io devo svuotarmi...Andiamo in bagno, si siede in doccia e attende la calda pioggia dorata che, da lì a poco, lo investe. Gode e io con lui mentre mi accerto che il getto lo ricopra per bene. Mi infila la mano in fica, la riempie, spinge. Tornati in camera ci devastiamo: affonda il suo cazzo ovunque: bocca e fica sono occupati con forza...A tratti il suo cazzo in bocca mi fa mancare il respiro e i conati si fanno sempre più rumorosi, la fica troia quando lo accoglie inizia a colare e a rumoreggiare chiedendo così colpi sempre più forti...Non ho il tempo di chiedere nulla, lui mi prevede e precede scatenandosi su di me. La sento la sua voglia mentre mi dice che sono bellissima, la cerco la sua forza provocandolo perché, lo sa, quando siamo insieme ho bisogno di essere completamente sottomessa, io che, fuori dal letto, sono,a tratti, una stronza e arrogante allo stadio avanzato.
Del mio amabile carattere si ricorda puntualmente e mi punisce. Mentre mi colpisce penso che, forse, alcune mie "reazioni esagerate" le provochi proprio per garantirsi una solenne quantità di colpi da darmi. Anche oggi mi metto in posizione: è il turno del flogger che usa con spietatezza sul culo. Rimango perfettamente in posizione anche quando la pelle inizia a bruciare e mi emoziono tantissimo quando lui, finalmente, mi concede il tanto desiderato colpo sulla schiena... La firma del mio Padrone mi rende fiera, sono la sua Troia sottomessa e segnata e non vedo l'ora di vederla immortalata in uno dei tanti scatti fotografici. La sborra completa il lavoro: inculata duramente in bagno, la accolgo ripromettendomi di usarla una volta giunta a casa: adoro sentirla colare negli slip mentre rientro, la sento già tra le dita che metterò prontamente in bocca appena varcherò l' ingresso. Siamo sfiniti sul letto e ci concediamo quindi le meritate coccole: ci guardiamo e baciamo, soddisfatti, mentre pensiamo già alla prossima volta😉
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sottileincanto · 2 months ago
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C'era una volta una casetta di mattoni. Era molto graziosa, con i suoi mattoncini rossi in mezzo alla campagna, si godeva il silenzio e il paesaggio e riparava con amore i suoi proprietari. Poi un giorno venne la strada, la via Appia nuova, perché la nobile via Appia Antica non bastava più per gestire traffico e merci e poi, dopo tutti quegli anni, era stanca e aveva bisogno di un po' d' aiuto dalla nuova generazione. Così la casetta di mattoni si trovò d'improvviso ad avere compagnia: calessi, carri, cavalli, viaggiatori... Tutto quel viavai la rallegrava anche se a volte le dava un po' di capogiro. Con la Via Appia Nuova arrivarono anche le case nuove... E che case! Con stucchi eleganti, portoni grandi e scuri come la bocca d'un orco, si davano tutte arie da gran signore. Ma la casetta di mattoni rossi restava umile e gentile, serena e bella nella sua semplicità. Passarono gli anni e della campagna e del silenzio che una volta avvolgevano la piccola casetta non rimase più traccia: arrivò l' asfalto e con lui macchine e camion che sostituirono il profumo dei fiori con odore di smog e il cinguettio dei passerotti con il rombo dei motori. Arrivarono anche i palazzi, quelli sì che facevano girare la testa alla casetta! Non se ne vedeva mai la fine e con tutti quegli occhi che la guardavano la mettevano in imbarazzo. Finché un giorno venne anche il pittore e da rossa che era la casetta divenne bianca e grigia. Le dissero che quei colori le stavano meglio, la rendevano moderna e signorile. All' inizio la casetta si vergognava un po', ma pian piano fece l' abitudine al suo nuovo vestito. Gli anni passavano e la vita scorreva, finché una mattina la casetta sentì un gran trambusto: camion, betoniere, operai... Un viavai da diventare matti. Grandi travi di ferro vennero posate alle sue spalle e pian piano l'avvolsero quasi del tutto. Era arrivato fin lì il grande Centro Commerciale. Quante luci, quanti colori! E che festa l'inaugurazione! Vetrine scintillanti, buste e pacchetti, signore affaccendate, ragazze innamorate, bambini capricciosi... La casetta all' inizio si sentì un po' sconcertata: sembrava un po' fuori luogo in quella struttura così moderna. Ma giorno dopo giorno si lasciò avvolgere dall' abbraccio del Grande Centro, dai suoi suoni e colori e si sentiva bellissima ogni volta che i passanti guardandola esclamavano: "Ma che bella casetta, sembra una bomboniera!"
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mancino · 6 months ago
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La vita è un
viavai
di giorni che passano...
di persone che
fortunatamente
incontriamo...il tempo vola si...
ma
le parole..
i sorrisi..
tutto il bello
dell'emozioni
rimane ..
nella vita...
nel nostro
semplice
Buongiorno!! 🌹❤️
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ypsilonzeta1 · 4 months ago
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Ti ringrazio, cuore mio:
non ciondoli, ti dai da fare
senza lusinghe, senza premio,
per innata diligenza.
Hai settanta meriti al minuto.
Ogni tua sistole
è come spingere una barca
in mare aperto
per un viaggio intorno al mondo.
Ti ringrazio, cuore mio:
volta per volta
mi estrai dal tutto,
separata anche nel sonno.
Badi che sognando non trapassi in quel volo,
nel volo
per cui non occorrono le ali.
Ti ringrazio, cuore mio:
mi sono svegliata di nuovo
e benché sia domenica,
giorno di riposo,
sotto le costole
continua il solito viavai prefestivo.
Wislawa Szymborska, "Al mio cuore, di domenica"
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poesiablog60 · 1 year ago
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Sembrava che stessero per cadere, ma no; quando lei iciampava lui la sosteneva, quando lui si dondolava lo sosteneva lei.
A due andavano, bene aggrappati l'uno all'altro, incollati l'un l'altro, nei viavai del  mondo.
Edoardo Galeano
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canesenzafissadimora · 8 months ago
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E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
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Kostantino Kavafis
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fabianocolucci · 3 months ago
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La città respirava piano, sospesa in un’illusoria quiete. Vana camminava lentamente lungo il lastricato di pietra, i passi appena udibili contro il brusio lontano delle vie principali. Il sole, che scivolava obliquo tra le sagome degli edifici, accarezzava i suoi capelli rossi, facendoli brillare come fiamme vive in mezzo alla monotonia di pietra e ombre. Un sorriso le sfiorava appena le labbra, tenue ma presente, un’eco del calore che ancora le vibrava nel petto.
Aveva rivisto Clodoveo. In mezzo a quel viaggio, nel cuore della missione, il suo volto le era apparso di nuovo, ed era stato come ritrovare un pezzo mancante del proprio spirito. La sua voce, profonda e sicura, l’aveva chiamata per nome, e in quel suono c’era stata una promessa: una promessa di sostegno, di appartenenza. Ora sapeva di non essere più sola.
Mentre i suoi passi la conducevano verso un vicolo più appartato, rifletteva sul delicato equilibrio che la sua vita era diventata. Per troppo tempo aveva giocato nell’ombra, intrecciando inganni con la precisione di un ragno che tesse la sua tela. Ora, con Clodoveo accanto, c’era spazio per un altro pensiero: forse, dopotutto, poteva vincere questa partita. Ma il mondo di Vana era costruito su bugie e mezze verità, e anche un cuore ritrovato non poteva cancellare l’oscurità che l’aveva avvolta per anni.
Guardò oltre l’angolo del vicolo, verso la fontana abbandonata che da tempo considerava un rifugio sicuro. Qualcosa nel vento le fece rabbrividire, un sentore sottile di magia, come un avvertimento. La sua mano sfiorò l’interno del mantello, dove un piccolo pugnale era nascosto tra le pieghe del tessuto. Non era il momento di abbassare la guardia.
Dall’altra parte della città, in una stanza chiusa, Lynn sedeva su uno sgabello basso, con la testa tra le mani. I capelli d’argento le ricadevano sul viso, morbidi come seta, ma ora sembravano quasi appesantiti dalla tensione. Aveva commesso un errore. Un errore che non si poteva permettere.
La magia che aveva evocato la notte precedente era stata troppo audace, troppo visibile. Non aveva calcolato le conseguenze, e ora sentiva sulla pelle il peso dello sguardo delle Figlie Oscure. L’aria intorno a lei sembrava più pesante, come se il mondo stesso la stesse avvolgendo in una morsa invisibile.
Si alzò di scatto, stringendo i pugni. Non poteva permettere che il disastro si compisse. Le Figlie Oscure non erano entità con cui si poteva trattare, non erano avversarie da fronteggiare. Erano giudici, carnefici, e la loro sentenza era definitiva. Lynn alzò lo sguardo verso il piccolo specchio incrinato sulla parete. I suoi occhi rossi brillarono con una determinazione feroce. Aveva una sola opzione: doveva sistemare le cose prima che fosse troppo tardi.
Con un movimento deciso, afferrò il mantello e lo indossò, lasciando che la stoffa si posasse sulle sue spalle con un fruscio sommesso. La città era vasta, ma Lynn sapeva esattamente dove andare. Vana. Era lì che tutto iniziava e dove tutto poteva finire.
La luce del pomeriggio si insinuava tra i tetti alti e affollati della città, dipingendo lunghe ombre sul selciato consumato e sulle facciate scrostate degli edifici. Un sottile velo di polvere, sollevato dal viavai della folla distante, si mescolava ai riverberi dorati, creando un’atmosfera sospesa, quasi irreale, nel vicolo silenzioso.
Qui, lontano dal brusio incessante delle strade principali, due figure stavano immobili, separate solo da pochi passi e dall’aria pregna di un’attesa carica di tensione.
Vana si era fermata accanto a un’antica fontana abbandonata, il cui bacino ormai asciutto era decorato da intagli consunti che un tempo dovevano rappresentare volti di divinità dimenticate. I suoi capelli rosso fuoco, sciolti sulle spalle, risplendevano sotto la luce del giorno, e ogni ciocca sembrava ardere con una vividezza che contrastava con la quiete opprimente del vicolo. Indossava un lungo abito scuro che avvolgeva la sua figura come un’ombra, facendo risaltare la sua pelle chiara e il taglio preciso del suo viso. I suoi occhi, acuti e penetranti, erano puntati sulla donna che le stava di fronte, uno sguardo misto di sospetto e un’impercettibile curiosità.
Lynn si trovava poco più avanti, a pochi passi dalla luce che filtrava nel vicolo, con il mantello che ricadeva morbido sulle sue spalle e lambiva il terreno in un mormorio di stoffa. I capelli d’argento scintillavano sotto il sole, creando un contrasto surreale con gli occhi rossi che brillavano come due gemme insanguinate. Il suo sguardo era calmo, controllato, e le sue labbra si incurvavano in un accenno di sorriso, enigmatico quanto lei stessa.
Per qualche istante, rimasero in silenzio, osservandosi come se ogni minimo movimento potesse rivelare qualcosa di fondamentale, qualcosa che l’altra doveva assolutamente conoscere. Poi, con una voce morbida ma intrisa di sfumature sottili, Lynn parlò.
«Vana, suppongo.»
Il tono era calcolato, una miscela di cortesia e familiarità appena accennata, come se il nome della donna le fosse già noto ma non troppo.
Vana inclinò appena la testa, il sorriso che le attraversò le labbra era quasi impercettibile, ma sufficiente a suggerire che il suo interesse era stato catturato. «Strano sentirlo da chi non ho mai incontrato.» Le sue parole, lente e ben dosate, si incresparono nell’aria come il sussurro di un pugnale sguainato.
Lynn non si mosse, lasciando che il silenzio facesse il suo corso prima di rispondere, la sua voce tranquilla e senza fretta. «Oh, ma io conosco molte cose su di te, Vana. Non è forse così che inizia ogni buon incontro?»
Il sorriso di Vana si allargò appena, e per un attimo i suoi occhi sembrarono valutare la figura di Lynn con maggiore attenzione, come se cercassero un indizio, una crepa nel suo comportamento perfettamente misurato. Ma, non trovando nulla di esplicito, decise di rilanciare.
«Eppure, non posso dire lo stesso di te.» Fece un passo avanti, lenta, il suono dei suoi tacchi che rimbalzava contro le pareti strette del vicolo. «Non è un volto che si dimentica facilmente, il tuo... eppure.»
Lynn lasciò che la frase si dissolvesse nell’aria, alzando appena un sopracciglio come se la cosa la divertisse. Poi, con un’espressione che non tradiva nulla, fece un cenno distratto verso la fontana alle spalle di Vana. «Curioso ritrovarci qui. Messer Loprieno mi parlava spesso di questo luogo... e del suo legame con il passato.»
Vana si irrigidì appena, le spalle che si alzarono impercettibilmente prima di abbassarsi di nuovo. Per un istante, il suo sorriso si incrinò, ma fu solo un battito di ciglia, poi tornò a ricomporsi, una maschera di compostezza. «Messer Loprieno, dici?» La sua voce aveva perso un po’ della precedente morbidezza, acquisendo un tono più cauto, quasi inquisitorio. «Un nome... interessante. Non lo sentivo pronunciare da molto tempo.»
«Non dubito che sia così.» Lynn fece un passo avanti, la nebbia sottile che si sollevava dal selciato sembrava seguirla, scivolando attorno ai suoi stivali come un manto vivo. I suoi occhi rossi brillavano di un’intensità che non si attenuava sotto la luce del giorno, e il sorriso che ora le curvava le labbra era un’ombra che nascondeva più di quanto rivelasse. «Ma sono sicura che ti ricorda qualcosa. O qualcuno.»
Vana restò immobile, i suoi occhi che si stringevano appena mentre osservava Lynn con uno sguardo che cercava di perforare quella calma quasi sovrumana. Poi, quasi come se avesse deciso che non valesse la pena insistere, scosse la testa, i capelli rossi che ondeggiavano come una fiamma sotto la luce.
«Tu sei molto abile con le parole,» disse, la sua voce che si era fatta più bassa, quasi un sussurro, mentre il suo sguardo vagava per un istante verso l’uscita del vicolo, prima di tornare su Lynn. «Ma quello che mi chiedo è: cosa vuoi da me?»
Lynn lasciò che una breve risata, leggera come una piuma, sfuggisse dalle sue labbra. «Voglio solo parlare, per ora.» Fece un altro passo avanti, ora a pochi passi da Vana, e il suo tono si fece più morbido, quasi intimo. «Non c’è niente di sbagliato nel conoscersi meglio, no?»
Le due rimasero di nuovo in silenzio per un momento, un gioco sottile di sguardi e di tensioni che scivolavano tra loro come il filo di una lama. Alla fine, Vana sorrise, ma nei suoi occhi ardeva ancora un’ombra di sospetto, mentre un lieve cenno del capo accennava alla possibilità di continuare quella conversazione, almeno per ora.
«Parliamo allora, Lynn.» Il suo tono era misurato, ma il modo in cui pronunciava quel nome lasciava intendere che non fosse del tutto convinta della sua autenticità. «Vediamo quanto di te sia reale, e quanto sia solo fumo.»
Lynn non rispose subito, ma nei suoi occhi brillò un lampo, un’intuizione che non espresse a parole. Poi, con un sorriso appena accennato, fece un lieve inchino, la nebbia che sembrava inchinarsi con lei.
«Come desideri, Vana.»
E così, sotto il sole pomeridiano che illuminava quel vicolo nascosto, due figure si fronteggiavano, entrambe avvolte in un gioco di ombre e luce, segreti e parole che sussurravano di verità nascoste.
Altrove, tra i tetti della città, una figura osservava la scena. Aberfa sedeva con grazia sul cornicione di una torre alta, il volto rivolto verso il sole calante. I suoi capelli scuri, quasi neri, erano intrecciati con sottili fili d’argento che scintillavano alla luce del giorno. I suoi occhi, due pozze di un azzurro così profondo da sembrare innaturali, erano fissi sul vicolo dove Lynn e Vana si erano incontrate.
Un sorriso si disegnò lentamente sul suo viso, ampio e rilassato, come se stesse assistendo a qualcosa di tanto atteso. La sua mano, lunga e sottile, si mosse con lentezza verso il nulla, come a tracciare un simbolo invisibile nell’aria. Le sue dita scintillavano leggermente, e un bagliore pallido danzò brevemente sulla sua pelle prima di svanire.
«Perfetto,» sussurrò, la voce bassa e dolce, ma con un sottofondo che sembrava un canto distante. «Finalmente, le ombre si muovono come devono.»
Si alzò in piedi con una leggerezza che sfidava la gravità, il vento che sollevava appena il suo mantello scuro. Poi, con un ultimo sguardo al vicolo, Aberfa si voltò e si allontanò. Ogni suo passo sembrava dissolversi nell’aria, come se il suo corpo stesso fosse un’illusione appena percettibile.
La città continuava a pulsare sotto di lei, ignara dei fili che venivano tessuti nell’ombra, e del ruolo che Aberfa, osservatrice e burattinaia, stava giocando in quello schema.
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primepaginequotidiani · 5 months ago
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PRIMA PAGINA Il Romanista di Oggi martedì, 03 settembre 2024
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ma-pi-ma · 1 year ago
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Tra l’andarsene e il restare dubita il giorno, innamorato della sua trasparenza.
La sera circolare è già baia: nel suo quieto viavai oscilla il mondo.
Tutto è visibile e tutto è elusivo, tutto è vicino e tutto è intoccabile.
I fogli, il libro, il bicchiere, la matita riposano all’ombra dei loro nomi.
Palpitare del tempo che nelle mie tempie ripete la stessa ostinata sillaba di sangue.
La luce fa del muro indifferente uno spettrale teatro di riflessi.
Nel centro di un occhio mi scopro; non mi guarda, mi guardo nel suo sguardo.
Si dissipa l’istante. Senza muovermi, io resto e me ne vado: sono una pausa.
Octavio Paz, da Albero dentro,  1987 
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abatelunare · 1 year ago
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Non guardava fuori, non le interessava il viavai del mercato. Guardava me (Georges Simenon, Pioggia nera, Milano, Adelphi, 2002).
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nonsmetteredicercarmi · 2 years ago
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Se il viavai di pensieri delle persone sui mezzi pubblici potesse generare energia elettrica, si potrebbe alimentare una città intera
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mancino · 1 year ago
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Passano tante persone nella vita, è un viavai continuo ma tieni presente che saranno poche quelle che restano e saranno quelle su cui puoi contare.
Liana Masi
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gaiainthejourney · 10 months ago
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Dialogo cosmico
Il silenzio del mattino amplifica la voce del cielo, specchio ribaltato delle nostre vite terrestri, così distante e irraggiungibile all'apparenza, ma che comincia, in realtà, nel punto esatto in cui l'ultimo dei nostri capelli si incurva.
Un viavai di luci e suoni scorre come un fiume in piena fra le strade della città, mentre il sole, freddo e indifferente ai nostri frenetici movimenti, continua il suo eonico dialogo con le altre stelle.
C'è un concerto di impulsi luminosi molto simile, nel cuore umano. Un dialogo biologico iniziato milioni di anni fa, fra cellula e cellula e fra creatura e creatura, eco di un dialogo ancora più antico fra i minuscoli puntini ondosi che compongono tutti i corpi che esistono.
Ci chiediamo quando avrà fine questa cosmica conversazione, perché la fine di tutto è una di quelle cose che i nostri neuroni, in dialogo fra loro, non riescono a immaginare e ciò che non siamo capaci di immaginare, forse, ci spaventa più delle cose che siamo in grado di figurarci. Eppure, quando il silenzio infine calerà, non avremo neppure il tempo di sentirlo e zittirà anche la nostra paura.
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poesiablog60 · 1 year ago
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E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
Constantinos Kavafis
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