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PRIMA PAGINA Il Romanista di Oggi martedì, 03 settembre 2024
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Varcò la soglia di quel bar coi capelli legati e la mano sventolante vicino al viso: faceva caldo, troppo caldo, nonostante fossero appena le 8 di mattina. Le goccioline che le partivano dalla fronte scendevano giù lungo tutto il viso arrivando alla bocca rimpolpata da quel suo lipgloss appiccicoso che usava sempre. Il locale era pieno, le voci erano alte, tutti di fretta ma non troppo: va bene andare a lavoro, sì, ma con calma, ce n'è di tempo per lavorare, ma per esser felici e spensierati ce n'è troppo poco. Si avvicinò al bancone, a servirla c'era un bel giovane sorridente. «Non ti ho mai vista qui, sei nuova?» il sorriso si fece ancora più ampio, ma come risposta ricevette il sopracciglio inarcato e indispettito di lei. «Buongiorno, innanzitutto» rimbobò. Erano già due mesi che era lì, ma ancora non si era abituata a quella confidenza che chiunque si prendeva. Sapeva non fosse cattiveria, ma un po' l'infastidiva. Tutti conoscevano tutti e lei, a sentirsi dire sempre la stessa frase, si sentiva un po' un pesce fuor d'acqua. «Sì, sono nuova. Ma ricordate tutti coloro che passano o è proprio un vostro modo di approcciare?» continuò quindi lei. Il giovane si passò la mano tra i capelli lisci che gli cadevano sulla fronte «signorina, non mi permetterei mai di approcciarvi... O almeno, mi correggo, non così» rise, era bello. «Scusatemi se mi sono permesso o se vi ho dato fastidio... Diciamo che qui ci conosciamo tutti» botta secca «o comunque, più o meno mi ricordo chi passa, un viso così bello lo ricorderei». Le lusinghe erano tante, ma la pazienza la stava proprio perdendo. «Sì, capito, capito. Mi può portare un caffè, per favore?» «sì, certo, permettetemi di presentarmi almeno, io son-...» dei passi lenti dietro di lei la interruppero «Antò, e falla finita! Ti vuoi sbrigare? Non è cosa, non lo vedi? Portagli 'sto caffè e muoviti, glielo offro io alla signorina». La situazione stava degenerando, la ragazza in viso era ormai paonazza e non di certo per il caldo. «Scusatemi tutti, il caffè me lo pago da sola! Posso solo e solamente averlo?! Si sta facendo tardi, non pensavo che qui fosse un delirio anche prendere un caffè!» per un attimo calò il silenzio che non c'era mai stato, nella mente di lei passò un vento di leggerezza e sollievo, senza rendersi conto che, con quell'affermazione, si era di nuovo sentita come tutto ciò che non voleva sentirsi: un pesce fuor d'acqua. «Scusatemi» bofonchiò, poi di nuovo «potrei avere gentilmente un caffè? Grazie. Mi andrò a sedere al tavolo» il barista la guardò, un po' dispiaciuto «signorì, se permettete, cappuccino e cornetto, offre la casa. Sentitevi un po' a casa, vi farebbe bene» e si dileguò. Non disse nulla e si trascinò verso il tavolino, non poteva combatterli: erano tutti pieni di vita lì in quel posto. Che alla fine, un po' di gioia dopo anni di sofferenze, non sarebbe poi mica guastata.
Si sedette lì, ad un tavolino accanto ad un immenso finestrone: da lì si vedeva il mare, mozzafiato. Si guardò intorno. Il viavai di gente era irrefrenabile e la mole di lavoro assurda, ma la cosa più bella di quel posto è che nonostante le richieste più assurde dei clienti, venivano accolti tutti con il sorriso più caloroso del mondo.
Sorseggiava il suo cappuccino, lasciando vagare il suo sguardo di tanto in tanto, fin quando non si fermarono inchiodati su quello di un altro. Nell'angolo, in fondo, c'era un ragazzo. Gli occhi scuri tempesta bloccati nei suoi ciel sereno. I capelli un po' arricciati gli scappavano qua e là dalla capigliatura indefinita che portava. Un ricordo è come un sogno lucido, che però puoi toccare, sentire, annusare, vivere ad occhi aperti, vivere senza dormire. In quell'angolo di stanza, c'era lui. I battiti partirono all'impazzata all'unisono, nel bar non c'era più nessuno, solo loro. So potevano quasi toccare co mano, nonostante la distanza a separarli, le loro mani accarezzavano i rispettivi visi come a gridare “sei vera? Sei vero?”. Un impeto di emozioni, un vulcano in eruzione, la pioggia sul viso, il vento che porta il treno che sfreccia, il pianto di un bambino, la risata di un ragazzo. «Signorì, tutto apposto?» il tempo di sbattere le palpebre: lui non c'era più «sì, sì... Pensavo di aver visto qualcuno di mia conoscenza».
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E siccome Mastro Pasticciere si vuol fare odiare a tutti i costi fino alla fine, è da un paio di giorni che quando finisco la sera rimarca il fatto che sono io che perdo tempo nel fare questo o quest'altro perché li faccio in una maniera che mi fa perdere tempo o mi dice che in fondo la cosa è semplice e ci vuole poco a farla col sottinteso che dunque è una mancanza mia se ci impiegavo così tanto. Ora, non che mi aspettassi che ammettesse che lavorare nel suo laboratorio è difficile perché piccolo, organizzato male, pieno di gente che fa viavai bambini che giocano robe di vario genere in mezzo ai piedi, al primo piano con la scala a chiocciola; e nemmeno che ammettesse che è stata principalmente una sua mancanza se io ho lavorato male in questi tre mesi perché tace cose importanti, non si organizza lasciandomi in balia di me stessa a cercare di capire come organizzare il mio lavoro ed incastrarlo col loro; però ecco, sentirmi dire ora più volte che sono io che sono totalmente nel torto mi fa pensare 1) che si sta dando delle giustificazioni per il fatto che io me ne stia andando e ovviamente gli altri hanno sempre torto 2) è una grandissima testa di cazzo, femmina isterica del cazzo, un pezzo di merda porco e ignorante che non sa nemmeno lavorare assieme agli altri e 3) che sto facendo benissimo ad andarmene da un posto non solo così di merda, ma pure tossico che mi stava facendo letteralmente il lavaggio del cervello e ho dovuto farmi una forza immensa per puntare i piedi e dirgli senti pezzo di merda io ti mollo.
D'altronde lo ha ammesso lui stesso l'altro giorno: "ci vuole fegato a lavorare in questo posto" testuali parole pronunciate da quella fogna di bocca che ha.
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C'era una volta una casetta di mattoni. Era molto graziosa, con i suoi mattoncini rossi in mezzo alla campagna, si godeva il silenzio e il paesaggio e riparava con amore i suoi proprietari. Poi un giorno venne la strada, la via Appia nuova, perché la nobile via Appia Antica non bastava più per gestire traffico e merci e poi, dopo tutti quegli anni, era stanca e aveva bisogno di un po' d' aiuto dalla nuova generazione. Così la casetta di mattoni si trovò d'improvviso ad avere compagnia: calessi, carri, cavalli, viaggiatori... Tutto quel viavai la rallegrava anche se a volte le dava un po' di capogiro. Con la Via Appia Nuova arrivarono anche le case nuove... E che case! Con stucchi eleganti, portoni grandi e scuri come la bocca d'un orco, si davano tutte arie da gran signore. Ma la casetta di mattoni rossi restava umile e gentile, serena e bella nella sua semplicità. Passarono gli anni e della campagna e del silenzio che una volta avvolgevano la piccola casetta non rimase più traccia: arrivò l' asfalto e con lui macchine e camion che sostituirono il profumo dei fiori con odore di smog e il cinguettio dei passerotti con il rombo dei motori. Arrivarono anche i palazzi, quelli sì che facevano girare la testa alla casetta! Non se ne vedeva mai la fine e con tutti quegli occhi che la guardavano la mettevano in imbarazzo. Finché un giorno venne anche il pittore e da rossa che era la casetta divenne bianca e grigia. Le dissero che quei colori le stavano meglio, la rendevano moderna e signorile. All' inizio la casetta si vergognava un po', ma pian piano fece l' abitudine al suo nuovo vestito. Gli anni passavano e la vita scorreva, finché una mattina la casetta sentì un gran trambusto: camion, betoniere, operai... Un viavai da diventare matti. Grandi travi di ferro vennero posate alle sue spalle e pian piano l'avvolsero quasi del tutto. Era arrivato fin lì il grande Centro Commerciale. Quante luci, quanti colori! E che festa l'inaugurazione! Vetrine scintillanti, buste e pacchetti, signore affaccendate, ragazze innamorate, bambini capricciosi... La casetta all' inizio si sentì un po' sconcertata: sembrava un po' fuori luogo in quella struttura così moderna. Ma giorno dopo giorno si lasciò avvolgere dall' abbraccio del Grande Centro, dai suoi suoni e colori e si sentiva bellissima ogni volta che i passanti guardandola esclamavano: "Ma che bella casetta, sembra una bomboniera!"
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La vita è un
viavai
di giorni che passano...
di persone che
fortunatamente
incontriamo...il tempo vola si...
ma
le parole..
i sorrisi..
tutto il bello
dell'emozioni
rimane ..
nella vita...
nel nostro
semplice
Buongiorno!! 🌹❤️
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Un bacio al sole
Eccomi di nuovo in camera ad aspettarlo, sperando che non tardi ad arrivare perché la mia vescica mi implora di farla svuotare ma lui era stato chiaro: "Dalle 07.30 ti è vietato pisciare, voglio il tuo piscio addosso". Le mie preghiere sono ascoltate e dopo poco arriva. Iniziamo a baciarci mentre mi prodigo a dare il benvenuto al mio cazzo. Stavolta però il saluto iniziale avviene all' aperto. Il mio adorato D. mi porta in balcone e lì mi fa inginocchiare: godo pensando che la sua riservatezza è andata finalmente a farsi benedire e lui si fa spompinare al sole. In strada il viavai delle macchine fa da sottofondo ai nostri gemiti di piacere. Rientrati in camera è chiara la sua voglia di impossessarsi della mia fica ma io devo svuotarmi...Andiamo in bagno, si siede in doccia e attende la calda pioggia dorata che, da lì a poco, lo investe. Gode e io con lui mentre mi accerto che il getto lo ricopra per bene. Mi infila la mano in fica, la riempie, spinge. Tornati in camera ci devastiamo: affonda il suo cazzo ovunque: bocca e fica sono occupati con forza...A tratti il suo cazzo in bocca mi fa mancare il respiro e i conati si fanno sempre più rumorosi, la fica troia quando lo accoglie inizia a colare e a rumoreggiare chiedendo così colpi sempre più forti...Non ho il tempo di chiedere nulla, lui mi prevede e precede scatenandosi su di me. La sento la sua voglia mentre mi dice che sono bellissima, la cerco la sua forza provocandolo perché, lo sa, quando siamo insieme ho bisogno di essere completamente sottomessa, io che, fuori dal letto, sono,a tratti, una stronza e arrogante allo stadio avanzato.
Del mio amabile carattere si ricorda puntualmente e mi punisce. Mentre mi colpisce penso che, forse, alcune mie "reazioni esagerate" le provochi proprio per garantirsi una solenne quantità di colpi da darmi. Anche oggi mi metto in posizione: è il turno del flogger che usa con spietatezza sul culo. Rimango perfettamente in posizione anche quando la pelle inizia a bruciare e mi emoziono tantissimo quando lui, finalmente, mi concede il tanto desiderato colpo sulla schiena... La firma del mio Padrone mi rende fiera, sono la sua Troia sottomessa e segnata e non vedo l'ora di vederla immortalata in uno dei tanti scatti fotografici. La sborra completa il lavoro: inculata duramente in bagno, la accolgo ripromettendomi di usarla una volta giunta a casa: adoro sentirla colare negli slip mentre rientro, la sento già tra le dita che metterò prontamente in bocca appena varcherò l' ingresso. Siamo sfiniti sul letto e ci concediamo quindi le meritate coccole: ci guardiamo e baciamo, soddisfatti, mentre pensiamo già alla prossima volta😉
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Ti ringrazio, cuore mio:
non ciondoli, ti dai da fare
senza lusinghe, senza premio,
per innata diligenza.
Hai settanta meriti al minuto.
Ogni tua sistole
è come spingere una barca
in mare aperto
per un viaggio intorno al mondo.
Ti ringrazio, cuore mio:
volta per volta
mi estrai dal tutto,
separata anche nel sonno.
Badi che sognando non trapassi in quel volo,
nel volo
per cui non occorrono le ali.
Ti ringrazio, cuore mio:
mi sono svegliata di nuovo
e benché sia domenica,
giorno di riposo,
sotto le costole
continua il solito viavai prefestivo.
Wislawa Szymborska, "Al mio cuore, di domenica"
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Sembrava che stessero per cadere, ma no; quando lei iciampava lui la sosteneva, quando lui si dondolava lo sosteneva lei.
A due andavano, bene aggrappati l'uno all'altro, incollati l'un l'altro, nei viavai del mondo.
Edoardo Galeano
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E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
Kostantino Kavafis
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Tra l’andarsene e il restare dubita il giorno, innamorato della sua trasparenza.
La sera circolare è già baia: nel suo quieto viavai oscilla il mondo.
Tutto è visibile e tutto è elusivo, tutto è vicino e tutto è intoccabile.
I fogli, il libro, il bicchiere, la matita riposano all’ombra dei loro nomi.
Palpitare del tempo che nelle mie tempie ripete la stessa ostinata sillaba di sangue.
La luce fa del muro indifferente uno spettrale teatro di riflessi.
Nel centro di un occhio mi scopro; non mi guarda, mi guardo nel suo sguardo.
Si dissipa l’istante. Senza muovermi, io resto e me ne vado: sono una pausa.
Octavio Paz, da Albero dentro, 1987
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PRIMA PAGINA Il Romanista di Oggi martedì, 03 settembre 2024
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Non guardava fuori, non le interessava il viavai del mercato. Guardava me (Georges Simenon, Pioggia nera, Milano, Adelphi, 2002).
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Se il viavai di pensieri delle persone sui mezzi pubblici potesse generare energia elettrica, si potrebbe alimentare una città intera
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Dialogo cosmico
Il silenzio del mattino amplifica la voce del cielo, specchio ribaltato delle nostre vite terrestri, così distante e irraggiungibile all'apparenza, ma che comincia, in realtà, nel punto esatto in cui l'ultimo dei nostri capelli si incurva.
Un viavai di luci e suoni scorre come un fiume in piena fra le strade della città, mentre il sole, freddo e indifferente ai nostri frenetici movimenti, continua il suo eonico dialogo con le altre stelle.
C'è un concerto di impulsi luminosi molto simile, nel cuore umano. Un dialogo biologico iniziato milioni di anni fa, fra cellula e cellula e fra creatura e creatura, eco di un dialogo ancora più antico fra i minuscoli puntini ondosi che compongono tutti i corpi che esistono.
Ci chiediamo quando avrà fine questa cosmica conversazione, perché la fine di tutto è una di quelle cose che i nostri neuroni, in dialogo fra loro, non riescono a immaginare e ciò che non siamo capaci di immaginare, forse, ci spaventa più delle cose che siamo in grado di figurarci. Eppure, quando il silenzio infine calerà, non avremo neppure il tempo di sentirlo e zittirà anche la nostra paura.
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Passano tante persone nella vita, è un viavai continuo ma tieni presente che saranno poche quelle che restano e saranno quelle su cui puoi contare.
Liana Masi
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E se non puoi la vita che desideri cerca almeno questo per quanto sta in te: non sciuparla nel troppo commercio con la gente con troppe parole in un viavai frenetico. Non sciuparla portandola in giro in balìa del quotidiano gioco balordo degli incontri e degli inviti, fino a farne una stucchevole estranea.
-Constantinos Kavafis
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