#veraõ quente
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Una rivoluzione può iniziare con una canzone. Il 25 aprile 1974, venti minuti dopo la mezzanotte, Teodomiro Leite de Vasconcelos trasmette su Radio Renascença Grândola Vila Morena di José Alfonso. Il Movimento delle forze armate, costituito da militari progressisti, s’impadronisce dei punti strategici, chiede ai portoghesi di rimanere a casa e ripete per ben dieci volte l’invito. Il popolo, tuttavia, non ne vuol sapere: quello che doveva essere un semplice colpo di stato per metter fine a una guerra coloniale dispendiosa (40% delle spese statali) e priva di speranze di vittoria, diventa una rivoluzione travolgente.
La più longeva dittatura fascista durò 48 anni. Nei tredici anni di conflitto nelle colonie non risparmiò torture e bombardamenti con il napalm sulle popolazioni locali. Infine crollò miseramente, senza resistenza, mentre il popolo si riversava nelle strade: la gente si abbracciava, si baciava, piangeva di gioia, ricopriva di garofani rossi e bianchi i soldati offrendogli pane e zuppa calda. I prigionieri politici vennero liberati, i lavoratori delle banche si organizzarono per evitare le fughe di capitale. A Lisbona, nella prima settimana dopo il 25 aprile sono occupate tra le 1.500 e le 2.000 case popolari e il 1° maggio è festeggiato con un’imponente manifestazione di mezzo milione di persone. Nelle fabbriche si creano le commissioni dei lavoratori che epurano gli elementi fascisti, organizzano scioperi rivendicativi e presidiano gli impianti affinché non vengano asportati i macchinari. Più in là cominciarono a esercitare perfino forme di controllo operaio sulla produzione. Nei quartieri nascono le commissioni degli abitanti che gestiscono occupazioni, asili nido e centri polifunzionali in cui vengono erogati mutualisticamente servizi di ogni tipo. In molti casi si riuniscono tribunali popolari garanti dell’equità delle azioni di esproprio. Infine sorgono le commissioni dei soldati con cariche elettive e revocabili, come in tutti gli altri casi. Si tratta di una ramificata trama sociale di organismi autonomi dai partiti e dal Sindacato che ricordano i soviet russi del 1905 e del 1917, i consigli italiani del 1919-20 e quelli cileni del 1972-73. È un potere parallelo che pratica la democrazia di base e compete con quello dello stato per 19 mesi, cioè fino al colpo di stato del 25 novembre 1975 in seguito al quale la situazione politica portoghese è ricondotta sui binari della democrazia parlamentare.
«Nonostante ci fossero le navi statunitensi davanti alla costa, nessuno aveva paura» ricorda Rigel Polani che arrivò a Lisbona con una Citroën Mehari e quattro amici durante il veraõ quente, l’estate calda del 1975, cioè il periodo di massima conflittualità sociale. «Le manifestazioni spesso non avevano un palco per gli interventi. Si sfilava e si gridavano slogan come in uno spettacolo in cui si era attori e spettatori al tempo stesso. Non ricordo di aver mai visto la polizia. Erano tutti felici, tutti partecipi, tutti impegnati a costruire un mondo migliore. La società autogestita che sognavo si era materializzata di fronte ai miei occhi». Per le strade di Lisbona si sentiva parlare molto spesso italiano. Migliaia e migliaia di giovani militanti della sinistra rivoluzionaria partirono dall’Italia. Attraversarono la Francia e la Spagna in auto, in moto o in treno per raggiungere i confini occidentali dell’Europa: «Eravamo andati in Portogallo per veder sorgere un mondo nuovo» scrive Sandro Moiso in Riti di passaggio, ricordando il clima di gioiosa ubriacatura collettiva: «In quei giorni e in quegli anni non ci sentimmo mai stanchi.» Rigel fa una pausa, non è sicuro che io possa capire quell’esperienza senza averla vissuta: «Ti faccio un esempio. Una volta per strada incontriamo dei giovani come noi. Erano operai e ci invitano a partecipare a un’assemblea nella loro fabbrica. Si discusse di come gestire e sviluppare la produzione. Malgrado le difficoltà linguistiche non abbiamo mancato di percepire il loro spiccato senso di competenza e di praticità. Il popolo si era impossessato della propria vita. Decideva il proprio destino.»
In verità nella rivoluzione c’era anche un lato oscuro, o forse «imbarazzante»: il dramma delle decine di migliaia di retornados che affluivano dalle colonie con le varie dichiarazioni d’indipendenza. «I pieds noirs portoghesi – ricorda Moiso – scesero sul sentiero di guerra. Come figlioli prodighi infuriati tornavano a una terra che era loro estranea, non essendovi spesso neppure nati. Si temevano disordini come quelli già avvenuti al Nord. Davanti al palazzo di São Bento, sede del parlamento, ci ritrovammo in pochi con un reparto di soldati da una parte e centinaia di manifestanti ostili dall’altra. L’imbarazzo era per noi doppio, perché dall’altra parte vi era una folla di poveracci.» Erika Dellacasa al tempo aveva ventun anni. Nei mesi di aprile e maggio 1974 era stata inviata in Portogallo per conto del quotidiano genovese “Il Lavoro”: «C’era un’atmosfera di grande euforia che non si fermava mai. Le strade erano sempre affollate. C’erano grandi aspettative per il futuro, grande speranza di giustizia e grandissima voglia di libertà. Era una cosa così tangibile che era commovente. Non è che si parlasse molto, ci si abbracciava e ci si scambiavano grandi strette di mano. Non era raro che qualche uomo piangesse. La prima notte a Lisbona rimasi molto colpita da un gruppo di travestiti visibilmente ubriachi che cantavano e ballavano. Uno cadde per terra e fu aiutato a rialzarsi da un militare con grande gentilezza. Era una scena un po’ incongrua per come era conosciuto il Portogallo in quegli anni: represso e repressivo. Si sentiva aria di libertà, libertà di fare cose proibite o impensabili fino a pochi giorni prima.» Nel Portogallo fascista il 68% delle donne tra i 20 e i 54 anni erano casalinghe e non avevano il permesso di espatriare senza il consenso del marito che aveva anche diritto ad aprire la loro corrispondenza. Come avviene spesso durante le rivoluzioni, il crollo dei vecchi assetti di potere comportò l’esplosione del protagonismo femminile. Dopo il 25 aprile vennero fondate varie organizzazioni femministe e le donne si trovarono in prima file nelle occupazioni, nei picchetti e nelle lotte contro il carovita.
Con il colpo di stato del 25 aprile, Azione nazional-popolare, il partito unico al potere, fu sciolto; Marcelo Caetano, ultimo presidente del consiglio dell’Estado Novo fascista è arrestato ed esiliato in Brasile; la polizia segreta Pide/Dgs si smembra non prima di aver lasciato a terra quattro persone che manifestavano davanti alla sua sede in rua de António Maria Cardoso 22. Nel fronte degli oppositori, il Partito socialista fino al 1974 era stato poco più che un circolo di esuli intellettuali e lo stesso dicasi per i liberali del Partito popolare democratico che si faceva passare per socialdemocratico (denominazione che assumerà nel 1976 nonostante la collocazione di centrodestra). Diversa era la situazione del Partito comunista portoghese, temprato da quasi mezzo secolo di clandestinità, con ben tremila militanti sotto la dittatura e un forte radicamento nelle fabbriche e nelle campagne. Infine nella rivoluzione portoghese furono presenti una settantina di gruppi di estrema sinistra che coprivano tutto lo spettro delle posizioni eterodosse, dal guevarismo al trotskismo passando per varie sfumature di maoismo. Pur nella loro tipica frammentazione queste formazioni arrivarono a mettere insieme complessivamente una forza militante di tremila persone con impiantamenti maggioritari nelle università e seguiti non trascurabili in molte situazioni lavorative. A differenza del Partito comunista, filosovietico, che, in osservanza degli accordi di Yalta e Potsdam, spingeva per un compromesso tra capitale e lavoro all’interno di una cornice democratico-parlamentare, l’estrema sinistra si preparava a una seconda fase della rivoluzione. Questa avrebbe dovuto comportare lo scioglimento dell’Assemblea costituente votata il 25 aprile 1975, l’abolizione del capitalismo e il passaggio al potere popolare costituito da organismi autonomi di base quali erano le commissioni dei lavoratori, degli abitanti e dei soldati. Socialisti e comunisti si scagliarono contro l’ondata di scioperi “anarchici” che si svilupparono nel 1974-75 e un ministro del Pcp arrivò perfino a dirigere una manifestazione “contro lo sciopero per lo sciopero” alludendo alla presenza di elementi fascisti tra le fila dei lavoratori.
La forte effervescenza sociale e il dualismo di potere che attraversava la società portoghese fu alla base dell’instabilità dei sei governi provvisori che si succedettero alla guida del paese, delle spaccature tra socialisti e comunisti, e dei conflitti tra moderati e rivoluzionari all’interno del Movimento delle forze armate. Nonostante la forza, il radicamento e la pervasività degli organismi di contropotere che si ramificarono anche nello stesso esercito, non vi fu un sufficiente coordinamento nazionale capace di resistere al golpe controrivoluzionario del generale António Ramalho Eanes. I comunisti che con il V governo provvisorio di Vasco Gonçaves avevano accettato l’appoggio dell’estrema sinistra si rifiutarono di reagire, mentre i militari dell’ala rivoluzionaria dell’esercito, impersonata dalla figura istrionica di Otelo Saraiva de Carvalho, furono arrestati in massa. Secondo la storica Raquel Varela, «la relazione di forza tra classi sociali nella rivoluzione (connotata dalla potenza dei settori operai e dall’indebolimento politico e militare della borghesia portoghese) poneva le condizioni per uno sciopero generale… con carattere insurrezionale. Tuttavia le commissioni dei lavoratori che dirigevano questi scioperi non furono mai unificate in un organismo nazionale a differenza del Sindacato, in maggioranza diretto da elementi filo-Pcp e dunque contrari agli scioperi.»1 Oltre alla riluttanza a mettere in discussione gli assetti postbellici tra Occidente capitalista e Oriente realsocialista, la direzione del Pcp era infatti scettica rispetto alla possibilità di vittoria del potere popolare perché a suo giudizio in Portogallo era predominante il peso delle classi medie e della piccola proprietà.
La potenza della precedente spinta rivoluzionaria obbligò tuttavia la borghesia ad accettare molte nazionalizzazioni per contenere il conflitto sociale e salvare lo stato capitalista della critica congiuntura economica successiva allo shock petrolifero. Anche sul versante dei redditi il rapporto tra quelli provenienti dal lavoro (salari e prestazioni sociali) e quelli provenienti dal capitale (interessi, profitti e rendite) passò dal 50 per cento del pil per ognuna di queste voci nel 1973, a un rapporto del 70 e 30 per cento nel 1975.2 Vennero creati inoltre gli istituti di previdenza, assistenza, invalidità, maternità, abitazione sociale e sussidio di disoccupazione. Si realizzò in questo modo un “compromesso socialdemocratico” che sarà formalizzato nella Costituzione del 1976 nella quale si stabilì l’irrevocabilità delle nazionalizzazioni, la gratuità del servizio sanitario nazionale, l’obiettivo della socializzazione dei mezzi di produzione, il rifiuto del colonialismo e dell’imperialismo, il diritto di resistenza. Alcuni di questi elementi saranno modificati nel corso di successive revisioni costituzionali, ma ancora oggi nel preambolo della legge fondamentale portoghese si legge che è volontà del popolo «aprire il cammino verso una società socialista».
In un documentario girato a Lisbona nei giorni della rivoluzione, il regista brasiliano Glauber Rocha intervista un uomo in mezzo a una moltitudine di persone nella piazza del Rossio:
«Lei, Signore, è operaio di che tipo d’industria?» «Edilizia civile.» «Cosa pensa di ciò che sta accadendo in Portogallo?» «È stata una cosa meravigliosa!» «Lei sperava tutto questo o è stata una sorpresa?» «Speravo questo da molto tempo e solo ora è accaduto.»3
Se visitate Lisbona potete usare come guida per le vostre esplorazioni 25 de abril – Roteiro da revolução.4 È un volume ricco di foto, luoghi e testimonianze che vi immergeranno nel mare degli eventi e dei sentimenti di quei giorni. Poi andate su uno dei tipici belvedere che sorgono sulle colline della città. Al tramonto stringete gli occhi, sforzatevi d’ignorare i turisti, concentratevi solo sulle grida dei gabbiani e sul cielo infinito, striato dai colori caldi del giorno che finisce. Oggi, nel triste inferno neoliberista dell’Unione europea, noi siamo come l’operaio di Rossio prima del 25 aprile. Lo studio e l’azione quotidiana devono nutrire la nostra speranza.
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