Tumgik
#valigetta da pittore
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...si rimane rapiti da questo fiume di parole che fa navigare la mente verso situazioni a volte puramente astratte e altre volte terribilmente realistiche...c'è' più sostanza in questo libricino che in gran parte della letteratura contemporanea italiana...Cento piccoli romanzi fiume, recita il sottotitolo. Niente di più vero...ogni piccola storia è un mondo a sé...una lettura estremamente appagante. Manganelli, con la sua versatilità è un prestigiatore della scrittura. Ha il tratto magico del pittore che sa scorgere la luce nella penombra e sfumature vivaci nella monocromia. Ha la visione fantastica del poeta, la lungimiranza e il disincanto dello scienziato, la saggezza ironica del filosofo, la sensibilità innocente del bambino, la duttilità del musicista, che conosce i ritmi, calibra i timbri e modula silenziose pause, impeti fragorosi e malinconici lenti. Ha la curiosità e l’intelligenza di un viaggiatore della scrittura, uno scrittore itinerante che porta con sé una valigetta scrigno e la custodisce con cura...all’occorrenza vi attinge e ne trae tessuti preziosi e originali di parole mirabilmente ordite per offrire trame che incantano e coinvolgono. In "Centuria", dissigilla l’arcano costruendolo. I suoi “cento piccoli romanzi fiume” sono un crogiolo di personaggi e situazioni, tanto paradossali quanto illuminanti sulla fatica avventura del vivere. Questo racconto caleidoscopico, di primo acchito, un sofisticato, quasi barocco, artificio letterario, è, nella sostanza, una riflessione sull’umano, fragile, illusorio, desiderio che anima l’esistenza di ognuno...#ravenna #booklovers #instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #consiglidilettura #librerieaperte #narrativa #giorgiomanganelli (presso Libreria ScattiSparsi Ravenna) https://www.instagram.com/p/CpRpPK2oksG/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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L’uomo nel dipinto
Un freddo pomeriggio di Novembre un giovane pittore passeggiava per i mercati d’arte della città. Il vento portava con se una fredda brezza, che inumidiva tutto ciò che incontrava. Teneva le braccia conserte per stringere più a sé il cappotto che indossava. D’un tratto si fermò a fissare un quadro in vendita, rimasse colpito. Le pennellate erano talmente perfette che gli facevano dimenticare che ciò che stava osservando non fosse reale. Chiese di chi fosse e quando era stato fatto. Il negoziante spiegò che i quadri non erano suoi e che sapeva ben poco di quelli senza firma. “Di questo le so dire che apparteneva ad un anziano signore che non volle nulla in cambio Lo lasciò qui qualche settimana fa dicendoci che sapeva sarebbe finito in buone mani.”
Il giovane ragazzo affascinato dal mistero che avvolgeva quella meraviglia, decise di comprarlo. Lo appese davanti la sua scrivania, non riusciva a fare a meno di fissarlo. La semplicità e la grazia di quella donna dipinta con così estrema cura gli faceva pensare a quanto qualcuno aveva amato il reale soggetto del dipinto. Passava le ore a dipingere fissando il suo nuovo quadro. Lo ispirava e gli faceva dipingere scenari di pace e tranquillità, con un’armonia che mai era riuscito a dare ai suoi quadri.
Come poteva nessun’ altro averlo già comprato? Possibile nessuno si fosse accorto della sua incantevole e pura bellezza?
Cosa aveva portato il pittore a liberasene così, senza firmarlo, senza lasciargli un minimo della gloria che la sua opera meritava?
Una mattina si mise nella sua mansarda,  pronto per dipingere ancora, aprì le tende della sua piccola finestra, lasciando entrare abbastanza luce da illuminare l’intera stanza. Montò con cura il cavalletto e preparò i colori. Iniziò a fissare la meraviglia dipinta davanti a lui, gli mancò per un secondo il respiro. I secondi divennero ore, la luce che entrava dalla finestra faceva brillare il bianco vestito della donna dipinta che sembrava quasi muoversi. Si può amare così tanto da riuscire a dipingere in quel modo?
Preparando un bozzetto a matita con la testa rivolta verso la tela, girò lo sguardo verso la bella di bianco vestita, gettò la matita a terra ed uscì di corsa dalla stanza. Ammirare le sue grazie non era più abbastanza, doveva scoprire chi lo avesse dipinto e chi fosse tutta quella grazia raffigurata.
Tornò come prima cosa dal negoziante a chiedere più informazioni sul pittore. “Come era vestito? Ha detto qualcos’altro? Qualcuno può dirmi dove trovarlo?”
Non ottenne nulla dai negozianti, ma dal bar di fronte, seduto ad un tavolino fuori, un signore gli confessò di aver passato del tempo ad ammirare lo stesso quadro e che fosse quasi sicuro di aver già visto quelle pennellate e quello stile in altri quadri anonimi in una delle gallerie della città.
Così iniziò la ricerca. Girò per tutte le gallerie alla ricerca di un dipinto che lo riportasse a quello da lui acquistato. Cominciò dalle più importanti gallerie, dove però non trovò nulla se non grandi firme o famosissimi anonimi. Nessuno si chiedeva più chi fossero quegli anonimi. Il fatto stesso di trovarli in un importante museo o galleria dava già loro una certa riconoscenza. Era da tempo che non entrava in quei posti, si perse tra le mille sfumature e gli innumerevoli stili di pittura, senza trovare nulla di utile, nulla che lo avvicinasse a quello che stava cercando.
Perse giorni e giorni, smise di dipingere, non si dava pace, tale bellezza non poteva non essere riconosciuta a nessuno.
Sconsolato, rattristito dal fatto che qualcuno avesse fatto qualcosa di grande senza volersene prendere il merito, passeggiava per le piccole gallerie amatoriali con ancora viva la speranza di trovare qualche collegamento a quello che cercava.
La cosa che più lo tormentava era che, oltre a non aver desiderato alcuna riconoscenza per quel quadro, il pittore lo avesse addirittura abbandonato nella strada, dove un qualunque turista o uomo d’affari avrebbe potuto comprarlo per poi lasciarlo appeso ad una parete dove nessuno avrebbe potuto ammirarlo. Era proprio per questo che a tenerlo appeso in camera non gli bastava più.
Vide d’un tratto un quadro in cui lo stile era molto simile a quello appeso in casa sua. Iniziò ad osservarli: tramonti, navi in pieno mare, donne e uomini dipinti in diversi momenti della giornata.
Il pittore, era un signore di mezza età che se ne stava seduto su una sedia di fianco ai suoi quadri, con un cappello ed un quaderno per le bozze in mano.
Il giovane non chiese nulla sul suo dipinto ma fece domande generiche sullo stile e le sue ispirazioni. Il Pittore che non si alzò mai dalla sedia, confessò di essersi ispirato ad alcuni quadri che aveva visto nella casa di un anziano signore qualche anno prima, che lo avevano colpito a tal punto da fargli cambiare stile. Si fece raccontare il più possibile, capendo che non era quello l’artista che stava cercando, ma chiese molto a proposito della casa dove aveva visto quei quadri.
Riuscì a trovare la casa. Era una casa grande, su una strada che portava fuori città, non ce ne erano altre nelle vicinanze quindi non poteva aver sbagliato. Era tutta di legno, molto vecchia, tenuta piuttosto male. Bussò una, due, tre volte ma nessuno aprì la porta. Provò ancora ed ancora nei giorni seguenti, ma mai nessuno aprì la porta. Tornò anche a parlare con Il pittore che lo aveva indirizzato li, ma non lo trovò più. D’altronde gli amatori non espongono sempre negli stessi posti.
Erano ormai mesi che cercava, decise di abbandonare la sua ricerca.
Si rimise a dipingere sempre ispirato da quell’anonima bellezza. Passarono anni ed il giovane divenne un uomo adulto, riuscito ormai a diventare qualcuno nel mondo dell’arte. Espose in grandi mostre, conobbe i più grandi dell’epoca e con il tempo entrò a farne parte anche lui. Sapeva che tutto era dovuto a quell’acquisto fatto in giovinezza. Se non avesse comprato quel quadro, non avrebbe mai trovato così tanta ispirazione. Oltre le sue bellezze, erano la cura e l’amore che l’autore aveva dedicato a quel dipinto,a renderlo cosi unico.
Partecipava a tantissimi incontri in città e fuori, doveva i migliori pittori del momento si riunivano per discutere su come l’arte fosse cambiata e su come stesse cambiando. Secondo lui, questa era più un’occasione per alcuni  di parlare solo di loro stessi e bere vino, ma era convinto di avere sempre molto da imparare, anche da quegli artisti ubriaconi. Un pomeriggio si trovò per caso a passare davanti a quella porta alla quale anni prima aveva bussato invano e dove nessuno mai aveva risposto. Li dove, quel pittore amatoriale gli aveva confessato di aver preso ispirazione nei suoi dipinti, che tanto gli ricordavano la bella nella sua stanza.
Sorridendo, decise di tentare ancora, a distanza ormai di anni, tanti anni. Bussò due tre volte, ma di nuovo nessuna risposta. “La casa è abbandonata da anni ormai” Disse ad alta voce  un ragazzo dall’altra parte della strada. Gli chiese come facesse lui a saperlo, e scoprii che il giovane forse appena maggiorenne era il nipote della coppia che aveva vissuto li. Quando si presentò al ragazzo, quello riconobbe il suo nome e capì che stava parlando con uno dei pittori più in voga in quel momento.
Il pittore gli offrì da bere, incerto sulla sua età lo portò a prendere del tè.
Seduto col ragazzo al tavolo del bar iniziò a fare domande su chi abitasse li prima. Il ragazzo raccontò che quella era la casa dove i suoi nonni materni avevano abitato tanti anni prima. Lui non li aveva conosciuti, ma sapeva che il nonno non avesse abitato sempre li. La mamma gli aveva raccontato che in giovane età la nonna si era ammalata di un brutto malore, e che il marito gli era stato vicino fino al suo ultimo respiro. Pare non abbia fatto entrare nessuno in quella casa mentre lei era malata e che lui a malapena mangiava, per non lasciare mai la stanza dove la sua amata riposava. Dopo la morte della moglie chiuse la casa, ed andò a vivere in un piccolo appartamento dove dopo pochi mesi anche lui morì. Il pittore gli raccontò la sua storia e di come avesse cercato per anni chi aveva dipinto il quadro che tanto lo aveva ispirato. il ragazzo confessò di non sapere nulla a riguardo, anche se sapeva che il nonno era stato un pittore e gli spiegò di non sapere  nulla di un quadro messo in vendita.
“Vuoi vedere l’interno  della casa?” chiese il giovane. Il pittore accettò, con timore. Entrarono, i mobili della sala erano completamente  ricoperti di polvere, le poltrone mangiate e logorate dal tempo. “ Vieni “ il ragazzo lo portò in una stanza vuota con solo quadri appesi, ma tutti  ricoperti da teli. Tolsero insieme il telo al primo, poi al secondo, e così via a tutti e cinque i dipinti. Il pittore rimase pietrificato. In quella stanza c’ erano non uno, ma cinque dipinti che raffiguravano la stessa splendida donna in pose diverse. Poteva vedere e riconoscere lo stesso stile e la stessa cura del quadro che per anni aveva tenuto in casa. L’unica differenza era che questi quadri errano tutti rovinati dal tempo e dalla polvere, mentre lui il suo lo aveva tenuto in condizioni impeccabili, restaurandolo di tanto in tanto.
Su un comodino vide una foto con entrambi i coniugi, seduti allo stesso tavolo. La fissò, la fissò a lungo. “ Devo andare “ disse. Tornò a casa senza dare troppe spiegazioni.
Nessuno lo vide più per mesi. Chiunque lo conosceva si stava chiedendo cosa fosse successo. Non apriva a nessuno, né tantomeno rispondeva a chi bussava alla sua porta. Tra chi diceva fosse impazzito e chi pensava fosse scappato, nessuno sapeva realmente cosa stesse accadendo.
Dopo qualche mese uscì di casa di prima mattina con un grande telo tra le mani. Tutti potevano capire che stava portando con sé un quadro. Aveva con sé anche una valigetta.
Senza nemmeno rivolgere lo sguardo verso chi lo riconobbe, si avviò. Raggiunse di nuovo  la casa abbandonata. Si mise davanti la porta ed aspettò. Dopo qualche ora ora quando vide passare di nuovo quello stesso ragazzo che lo aveva portato dentro la prima volta.
“ Devo poter entrare da solo questa volta” Disse lui, il ragazzo aprì la porta e lo lasciò entrare.
Rimase chiuso dentro per ore. Qualche giorno dopo il ragazzo bussò alla porta, aveva portato con anche la mamma con sé sta volta, dopo averle raccontato tutto. Il pittore aprì la porta; indossava un camice da lavoro completamente sporco. Aperta la porta, fissò le due figure a lui, “Grazie” Disse sorridendo e se ne andò, avviandosi verso la strada principale.
Tentarono di richiamarlo, ma erano troppo intimoriti da cosa fosse accaduto all’interno. Nella sala dove  tutti i mobili erano sporchi e rovinati, su ogni parete c’ era uno dei vecchi quadri. Erano stati tutti rimessi a nuovo. Risplendevano di colori vivi ed armoniosi. Entrarono così nella stanza dove prima c’erano i cinque quadri. Ora ce ne erano solo due: quello che il Pittore da giovane aveva comprato, e quello che aveva appeso sul muro di fronte, un quadro raffigurante il  marito, il padre e il nonno. Aveva preso spunto dalla foto e lo aveva ridipinto, seduto ad una scrivania  con lo sguardo rivolto fisso davanti a lui. Aveva ricreato perfettamente l’immagine dell’uomo che continua a fissare la sua amata. Sotto la fotografia aveva lasciato una lettera.
“ Mi sono reso conto grazie a lui, di quanto fino a poco tempo fa non avessi compreso l’arte. L’arte non è un quadro ben fatto, non è dargli un significato, non è saperlo spiegare. Questa è l’arte. Amare tanto al punto da far trasudare dalle vernici l’amore senza limiti che chi dipinge prova per il suo soggetto. Io che dipingo e vengo riconosciuto per quello che faccio, vanto una gloria che forse non mi spetta. Dipingo perché amo l’arte, ma non ho mai amato tanto da poter dipingere i miei sentimenti. Vostro padre ha dipinto l’amore. In quella tela di fronte a lui non ha dipinto nessuno, se non il puro e semplice amore che ha provato per sua moglie fino la fine dei suoi giorni. Non ha chiesto il merito perché  nessuno, se non lui stesso, avrebbe potuto concepire  tanta passione e tanta sofferenza. Penso che solo lui meriti la possibilità di godere ancora di tutto l’amore che ha dato e ricevuto, ecco perché ho voluto dipingerlo ed appenderlo li davanti a lei. È questo il più grande riconoscimento che possa essere fatto a qualunque pittore,in vita o meno; continuare a gioire della bellezza dell’amore.”
Ps. Ho voluto firmare il mio quadro nel caso troviate inopportuno il mio gesto, in modo che possiate rendermelo, venderlo o buttarlo.
Da quel giorno non ci siamo mai più separati, siamo stati trovati insieme ed insieme siamo stati spostati in quella stanza dove giorno dopo giorno potevamo ammirarci. La nostra storia, me esclusa, non la conosce nessuno. Non è mai stata voluta raccontare per non crearne un mito. Siamo rimasti in quella vecchia casa per tantissimi anni. Da molto tempo ormai io mi sono risvegliata una notte, ed ho atteso il momento in cui anche tu lo avresti fatto. Finalmente è accaduto, dopo anni ed anni, dopo che qualcuno ci trovò e ci mise in esposizione in quell’edificio. Uno davanti l’altro ancora una volta. Dal giorno in cui mi hai lasciata in quel mercato ho sognato di rivederti, ma quando quel giovane pittore mi comprò, persi ogni speranza. Mai avrei pensato che la cura, la passione e l’amore con le quali mi avevi dipinta potessero scaturire in lui la voglia di trovarti. Ed io che giorno dopo giorno aspettavo che lui ti riportasse da me.
Maledetto sia il pittore che non ha dipinto un se stesso, ed appeso nella nostra stessa stanza. Noi due, uno davanti l’altro siamo la sua più grande opera, ma nessuno lo sa, nessuno rende gloria alla sua più brillante ed amorevole idea. Certo, siamo innegabilmente due bei quadri, ma uno senza l’altro è solo la metà di un’opera incompiuta. Ti ammirano, senza sapere chi tu sia, e ne riconoscono solo la sua firma. Lo stesso vale per me: vengo ammirata per la bellezza della tua arte, ma nessuno sa chi mi abbia dipinta, nessuno sa che il pittore, mio amante e marito è lì appeso davanti a me.
Ogni notte ti vedo risvegliarti, vedo che mi fissi con occhi pieni d’amore, capisco che tu non sai chi io sono, ma ami me, ami quello che rappresento, e che probabilmente dentro di te rappresento. Non sai di essere l’uomo che mi ha amata fino alla fine dei miei respiri, lo stesso al quale io ho ricambiato tanto amore, non so bene come tu non possa ricordarmi, forse perché sei opera di qualcun altro. Mi basta sapere che sei li, innamorato ed incantato nel guardarmi.
il giorno che mi portarono via, non solo distrussero la più bella opera di questo mondo, ma crearono di nuovo quel vuoto gelido che avevo già provato quando rimasi tra i vecchi quadri di quel mercato. Questa volta so che anche tu starai provando quella terribile sensazione di incompletezza, perché questo siamo se separati, incompleti.
Questa crepa sul mio vestito, impercettibile, ma tanto profonda è in realtà la crepa che nel cuore mi si è formata la notte in cui mi sono risvegliata e non ero più lì con te.
Ho sofferto ancora una volta, ma sempre con la speranza di rivederti, di ritrovarti. E così è: il destino questa notte si è mostrato ancora ed ha dato segno a noi di non volerci abbandonare. Così ti ha riportato qui da me, di nuovo. Ed è questo che siamo, la più grande opera d’arte di sempre, che solo il destino conosce e non può fare a meno di riunirci ogni volta per poterne godere la bellezza per l’eternità.
                            Fine
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amaericama · 7 years
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l camice personalizzato è pronto ! I medici e il camice bianco Note storico-culturali e implicazioni per la formazione dello studente di medicina Simona Giardina*, Antonio G. Spagnolo** “Il medico … si prenda cura di mantenere pulito quanto lo circonda, di vestire abiti appropriati… capita infatti che questi particolari abbiano un effetto positivo sui pazienti”. (Ippocrate) Introduzione Nell’immaginario collettivo il medico è sempre raffigurato con un camice bianco. Bianco da sempre indica qualcosa di puro, di pulito, di candido. Bianco è simbolo dell’innocenza, della luce divina, della purezza. Nero è associato al male, alla morte. Nei riti di iniziazione il bianco è il colore della lotta contro la morte. Il bianco è stato fin dalle origini il colore investito dei simboli più forti, più universali che fanno riferimento all’essenziale: la vita, la morte.1 Bianco era, da un certo momento in poi, il colore dei sovrani. In realtà, prima del XIX secolo, il medico vestiva di nero. I medici e gli studenti che effettuavano le dissezioni anatomiche, inizialmente, vestivano di nero per rispetto nei confronti della morte. Il pittore Thomas Eakins Medicina e Morale 2014/2: 217-231 217 * Ricercatore in Bioetica; ** Professore Ordinario di Medicina Legale e delle Assicurazioni, Istituto di Bioetica, Facoltà di Medicina e chirurgia “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma (recapito per la corrispondenza: [email protected]). Il contributo è stata accettato per la pubblicazione in data: 02.05.2014. 1 PASTOUREAU M, SIMONNET D. Il piccolo libro dei colori. Milano: Ponte alle Grazie; 2006: 39. Sulla simbologia dei colori si veda anche PAGANI C. Le variazioni antropologicoculturali dei significati simbolici dei colori. Leitmotiv 2001; 1: 175-197 (accesso del 30.04.2014, a: http://www.ledonline.it/leitmotiv/Allegati/leitmotiv010114.pdf). 218 S. GIARDINA / A.G. SPAGNOLO Medicina e Morale 2014/2 nel 1875 dipinse una tela dal titolo “The Gross Clinic”. In essa viene rappresentato il dottor Samuel Gross (1805-1884) nell’anfiteatro del Jefferson Medical College (Philadelphia) contornato dai suoi assistenti – tutti vestiti di nero – mentre effettua un intervento chirurgico sulla gamba di un giovane paziente (fig. 1). Fig. 1 All’epoca si pensava che più l’abito del medico era imbrattato, più operazioni aveva eseguito, più era bravo, dunque. Sul finire dell’Ottocento erano ancora molti i chirurghi che operavano indossando gli stessi abiti borghesi con cui uscivano di casa (la redingote o il frac).2 Nello stesso periodo, Joseph Lister (1827-1912), a seguito delle importanti scoperte di Pasteur, conduceva una battaglia per combattere le sepsi chirurgiche negli ospedali, battaglia che ebbe tra i suoi oppositori proprio Samuel Gross. Lister inaugurava l’era dell’antisepsi (= difesa dai germi): la medicina stava lentamente avviandosi ad essere sempre più una bioscienza.3 E dunque, probabilmente l’adozione del colore bianco in medicina è stata anche una presa di distanza dal colore nero associato ad una medicina meno efficace ma probabilmente più umana, come testimoniato anche dall’arte (tipiche di tutto l’Ottocento sono le tele che raffigurano il medico mentre semplicemente assiste malati morenti senza poter somministrare alcun tipo di cura o terapia). Bianco era il colore del riscatto della classe medica che finalmente operava con mezzi efficaci. Questo importante progresso è documentato da un altro quadro di Eakins del 1889 intitolato “The Agnew Clinic” (Università della Pennsylvania). Il dottor Hayes Agnew, indossa un camice bianco, come anche tutti i suoi assistenti, facendoci intravedere le nuove possibilità della chirurgia. La paziente è avvolta da un lenzuolo bianco ed anche l’infermiera indossa un copricapo bianco (fig. 2). Nel 1889 una fotografia ripresa dagli archivi del Massachusetts General Hospital mostra i chirurghi con un camice bianco sopra i loro vestiti. Altri sostengono, invece, che l’adozione del camice bianco sia stata una presa di posizione dei medici nei confronti dell’omeopatia4 ed un voler sottolineare la loro identità di scienziati.5 Proprio sulla scia di questi rinnovamenti nel 1910, negli Stati Uniti, venne pubbliMEDICI E CAMICE BIANCO Medicina e Morale 2014/2 219 2 COSMACINI G. La vita nelle mani. Storia della chirurgia. Roma-Bari: Laterza; 2004: 183-184. 3 FLANNERY MC. The white coat: A symbol of science and medicine as a male pursuit. Thyroid 2001; 10 (11): 947-951. 4 L’omeopatia nacque verso la fine del XVIII secolo ad opera del medico tedesco Samuel Hahnemann. 5 JONES VA. The white coat: why not follow suit?. JAMA 1999; 281: 478. cato il Flexner Report ad opera di Abraham Flexner (1866-1959), il cui obiettivo era quello di rinnovare e migliorare l’educazione medica negli Stati Uniti e in Canada. Il Report sottolineò che la medicina doveva svilupparsi necessariamente intorno al laboratorio. Insieme al volume The Priciples and Practice of Medicine (1892) di William Osler (uno dei testi più utilizzati nei successivi 40 anni in tutto il mondo) ed alle osservazioni di Walter Reed (1851-1902) sulla diffusione della malaria a causa di alcune mosche, uno dei capisaldi della scienza medica diveniva la pulizia e l’antisepsi.6 Alla fine del XIX secolo ed all’inizio del XX, la purezza e il candore della medicina erano riflesse nell’abito di medici e infermieri, rigorosamente bianchi. L’ospedale divenne sempre più machine à guérir, simbolo di vita. Il camice bianco era in questo senso simbolo anche del rispetto del principio ippocratico del primum non nocere.7 Il laboratorio di220 S. GIARDINA / A.G. SPAGNOLO Medicina e Morale 2014/2 6 HOCHBERG MS. History of medicine. The doctor’s white coat. An historical perspective. Virtual Mentor 2007; 9 (4): 310-314. 7 SO ECT, FUNG FHF, YEUNG JKH ET AL. Patient perception of physician attire before and after disclosure of the risks of microbial contamination. The International Journal of Medical Students 2013; 1 (3): 109-114. Fig. 2 venne parte integrante dell’ospedale. Il camice bianco era allo stesso tempo simbolo di separazione e di inclusione: separava chi lo indossava dal resto del mondo e gli conferiva uno status di superiorità derivante dalla profonda conoscenza del reale; allo stesso tempo includeva in un’elite culturale il cui scopo era conoscere il mondo per migliorarlo. Tutto questo si intensificò nel XIX secolo con l’avvento del Romanticismo, epoca in cui la figura dello scienziato in particolare fu spesso associata a quella del genio.8 Nel XX secolo il camice bianco continuò ad essere il simbolo dell’autorità e della rispettabilità della medicina e sottolineava come l’incontro tra medico e paziente fosse improntato al bene di quest’ultimo. Il camice bianco nell’arte e nella letteratura Il camice bianco fin dal passato rappresentava una barriera professionale tra il medico e il malato; barriera che fu percepita dal malato non solo come responsabilità e competenza ma anche come distacco; ancora oggi, in alcuni casi, è percepito anche come fonte di ansia.9 Altri simboli in passato hanno concorso a definire l’abito del medico – la valigetta nera, lo stetoscopio, lo specchio frontale – ma nessuno è stato caricato di simboli come il camice bianco. A questo proposito l’arte e la letteratura possono essere un documento storico, MEDICI E CAMICE BIANCO Medicina e Morale 2014/2 221 8 FLANNERY. The white coat…, p. 950. 9 In letteratura è descritta la “White Coat Hypertension” con riferimento al fatto che in molti pazienti la pressione arteriosa risulta effettivamente aumentata di fronte al medico in camice bianco che la misura, mentre ha valori più bassi se l’esame avviene a casa, in un clima familiare. Viene anche definita la “sindrome del camice bianco”. Questo aspetto ha una rilevanza etica fondamentale perché sottolinea quanti sentimenti suscita nel paziente il medico ed il suo strumentario. (si veda KHAN TV, KHAN SS, AKHONDI A, KHAN TW. White coat hypertension: relevance to clinical and emergency medical services personnel. Med Gen Med. 2007; 9 (1): 52). Alcuni ambiti, come ad es. quello psichiatrico, preferiscono fare a meno del camice se questo comporta una barriera nella comunicazione col paziente. Storicamente anche lo stetoscopio (introdotto verso i primi dell’Ottocento da René Théophile Laënnec) non fu accolto benevolmente dai malati, proprio perché significava un cambiamento radicale nella visita effettuata dal medico: l’auscultazione del torace per rilevare i segni somatici della malattia non era più fatta direttamente con l’orecchio ma era mediata dallo strumento. L’allontanamento tra medico e paziente non era solo fisico ma antropologico (dal malato alla malattia). Si veda COSMACINI G. Stetoscopio in COSMACINI G, GAUDENZI G, SATOLLI R (a cura di). Dizionario di storia della salute. Torino: Einaudi; 1996: 586-587. sociale ed esistenziale importante perché in esse non troviamo solo la raffigurazione delle condizioni mediche ma anche le ripercussioni che l’evoluzione della scienza medica aveva sul piano antropologico, etico e sociale. Le opere che abbiamo selezionato presentano la reiterazione di alcuni nuclei tematici che sono chiavi di lettura importanti per capire l’impatto che la strumentazione tecnico-scientifica ha avuto nella società e le sue ripercussioni sull’individuo. Proprio a partire dai primi anni del Novecento, le raffigurazioni artistiche dei medici in camice bianco aumentarono, soprattutto nell’ambito della chirurgia. Si pensi per es. a L’operazione di E. Munch (1902) in cui domina un asettico e innaturale candore, a I chirurghi di E. Vuillard (1912-1913) in cui l’asetticità prevale sulla dimensione umana. Un altro quadro significativo è L’operazione di C. Schad (1929). In esso “l’artista nasconde tra i risvolti del lenzuolo lo sguardo del malato. Attorno alla sua fisicità inferma trafficano medici e suore avvolti da un candore assoluto ed esasperato. Dal bianco della sala operatoria è rimasto quasi espulso ogni altro valore cromatico che possa anche solo far immaginare la presenza umana. Persino il rosso del sangue appare quasi per errore sul grigio metallico dei bisturi (…). Il malato (…) ridotto a laboratorio umano dentro il laboratorio medico”.10 In molti dei quadri citati il bianco è simbolo di una fredda efficienza ma anche di assenza di calore umano, di spersonalizzazione, di una medicina meccanizzata. In alcuni casi il bianco dei camici è quasi esasperato come nel quadro di E. Vuillard, Il dottor Vaquez e il suo assistente dottor Parvu (1918-1921), in cui le vesti dei medici sembrano fondersi con quelle del paziente, sottoposto all’ellettrocardiografo. In questo quadro “il rapporto umano e la dimensione tecnologica della cura sono posti sullo stesso piano … anche grazie alla rasserenante presenza della luce solare e del giardino dipinto oltre la finestra”.11 Vuillard fece un altro quadro in cui ritrasse Il professor Vaquez all’Hospital de la Pitié (1921) in cui il colore bianco è dominante: i camici dei medici, la veste dell’ammalata, 222 S. GIARDINA / A.G. SPAGNOLO Medicina e Morale 2014/2 10 BOFFI E. Tutta la salus occhio per occhio, clinico e artistico. Il Domenicale. 4 febbraio 2006: 7. 11 BORDIN G, POLO D’AMBROSIO L. Immagine del medico in ID. La medicina. Milano: Electa; 2009: 259. le pareti. In questo caso il bianco trasmette un senso di pace e di serenità. Il professore pone una mano sulla spalla della paziente che ricambia il gesto con uno sguardo denso di riconoscenza e di speranza. Un dipinto unico nel suo genere è quello realizzato dal pittore scozzese John Bellany, che subì un trapianto di fegato ad opera del chirurgo Roy Calne, e che in modo riconoscente volle raffigurare in una tela dal titolo “Bonjour Professor Calne” (1988). L’artista è disteso sul letto, alle sue spalle è scritta la frase “Bonjour Professor Calne” e sotto la mano la frase “grazie di tutto”. Sullo sfondo, affacciati sulla porta, il Dottor Calne, una collega e un’infermiera, tutti rigorosamente in bianco. Qui l’accento non è tanto sulla professionalità ma sull’umanità del chirurgo di cui divenne grande amico. In primo piano non è raffigurata l’alterigia del medico, quanto la soddisfazione nel vedere il suo paziente in fase di recupero (il chirurgo sorride compiaciuto). Con questa tela Bellany volle dare un messaggio di speranza.12 Altrove l’assenza di un camice bianco è un segnale negativo. A questo proposito sono significative le parole che l’artista E. Munch scrisse a proposito del dottor Jacobsen che lo aveva in cura presso la clinica psichiatrica di Copenaghen: “Jacobsen è stato un bel medico. Si aggirava come un papa tra gli infermieri bianchi e pazienti pallidi. Il cibo era pure bianco, tutto era bianco, tranne Jacobsen. Avrei voluto dire qualcosa anch’io, così gli ho chiesto di posare per me. L’ho messo nella foto, grande e impettito in un fuoco di colore come l’inferno. Poi pregò con me, diventato mansueto come un piccione”.13 Tutto era bianco, tranne il medico. Jacobsen non è stato per Munch un medico empatico, umanamente attento. Per questo, evidentemente, decise di raffigurarlo vestito con abiti normali, immerso in colori accesi, scuri. A partire dal XX secolo il bianco diviene simbolo di una medicina che, sempre più preventiva, mira alla tutela della salute. Tipico esempio sono i posters che verso la metà MEDICI E CAMICE BIANCO Medicina e Morale 2014/2 223 12 PARK MP, PARK RHR. The fine art of patient-doctor relationships. BMJ. 2004, 329: 1476. 13 “Jacobsen was a fine physician. He walked around like a pope among white nurses and pale patients. The food was white too – everything was white except Jacobsen. I wanted to say something too, so I asked him to pose for me. I placed him in the picture, big and strutting in a fire of colour like all hell. Then he pleaded with me – became tame like a pigeon” (STENERSEN R. Edvard Munch: close-up of a genius. Oslo: Gyldendal Norsk Forlag; 1969). del 1800 si diffusero nelle campagne igienico-sanitarie in Europa centrale ed occidentale e nel Nord America e che si protrassero fino alla metà del Novecento. L’obiettivo era quello di sensibilizzare, educare ed allertare il pubblico, di incitarlo a modificare il proprio comportamento, se dannoso per la tutela della propria ed altrui salute, utilizzando i mezzi espressivi propri delle arti visive. In genere il medico viene raffigurato con il camice bianco di fronte ai nuovi strumenti diagnostici. Siamo in un’epoca in cui il medico, di fronte a malattie considerate veri e propri flagelli sociali (ad es. l’alcolismo, la tubercolosi, la sifilide…) diviene colui che deve vigilare sulla salute e responsabilizzare le persone anche nei confronti della discendenza. Il bianco in questo caso diviene sinonimo di efficienza, efficacia e rigore della medicina di laboratorio ma soprattutto dell’importanza della prevenzione. Non sempre, però, il bianco è stato un simbolo positivo, come testimoniato da alcuni passi letterari del Novecento. Nel racconto I sette piani (1958) di Dino Buzzati il bianco è sinonimo di una fredda efficienza e dell’annullamento della dimensione emotiva:14 “Disteso nel letto … egli guardava il verde degli alberi attraverso la finestra, con l’impressione di essere giunto in un mondo irreale, fatto di assurde pareti a piastrelle sterilizzate, di gelidi androni mortuari, di bianche figure umane vuote di anima”.15 Lo stesso bianco opprimente nel racconto Inverno di malato (1930) di Alberto Moravia: “Il corridoio oscuro era disseminato di lampade accese: altri letti candidi, coi loro pallidi malati supini e immobili sotto le coltri tanto piatte da parere vuote, erano manovrate in quell’ombra da certe robuste donne vestite di bianco …”.16 Nel libro di Gianni Montanaro il bianco è l’annullamento della vita: “In quel nostro mondo d’ospedale, dove il colore predominante è il bianco, è assai difficile ritrovare le sfumature, i profumi, le emozioni di cui è ricca la vita all’esterno: le parole, le idee, persino i sogni, sono slavati e assumono la debolezza dei nostri corpi, lo squallore delle nostre teste senza ca224 S. GIARDINA / A.G. SPAGNOLO Medicina e Morale 2014/2 14 GIARDINA S. Il recupero della letteratura nel pensiero bioetico. Roma: Aracne; 2006: 122. 15 BUZZATI D. I sette piani in ID. Sessanta racconti. Milano: Mondadori; 1958: 50. 16 MORAVIA A. Inverno di malato (1930) in ID. Racconti. Milano: Garzanti; 1952: 43. pelli”.17 In questo caso il bianco indica una mancanza, un’assenza, indica tutto ciò che il malato non possiede più. Il bianco è il simbolo del malato, dell’ospedale; la vita vera è fuori, appartiene ai sani, immersa nei colori. Altrove l’ordine e il pulito del camice stridono con il vuoto umano che vi si accompagna: “Ci si affida a gente sapiente con camici splendenti di bucato dietro scrivanie ordinate”.18 L’entrata in ospedale si accompagna spesso ad un senso di estraneità e di de-umanizzazione: “… la nostra clinica occupava l’ultimo piano; arrivando nella zona si aveva l’impressione di entrare in una città da fantascienza, di padiglioni e non di case, una città odorosa di etere e alcool, con abitanti in cappe bianche; un luogo fuori da dimensioni umane”.19 Per Tiziano Terzani il camice sbottonato diventa per alcuni medici, giunti ad una posizione di grande prestigio, “simbolo sacerdotale”:20 “se lo lasciano di proposito svolazzare, quando incedono per le corsie … ed hanno con tutti, compreso il malato, un rapporto padronale”.21 A questi medici si contrappongono quelli che non danno peso al ruolo raggiunto, all’immagine, che pensano ai malati e non alle malattie e che Terzani ha più volte incontrato sul suo lungo cammino di malattia. Sono i medici che sembrano “irradiare guarigione anche senza le macchine”.22 Altrove il malato sente di non avere più il controllo su se stesso: “tre donne biancovestite e incuffiettate, si impadronirono di me, mi maneggiarono come parve loro, sorde a ogni protesta, seccate a una mia aperta ribellione; tutte le mie inibizioni ebbero modo di farmi torcere d’impotente avvilimento fino alla completa disfatta”.23 “Il malato, scrive Lamberto Valli, è un disarmato”,24 perché sente di dipendere completamente dal medico cui affida la sua fragilità creaturale. Il corpo diventa oggetto dell’indagine clinica; il soggetto scompare MEDICI E CAMICE BIANCO Medicina e Morale 2014/2 225 17 MONTANARO G. La bella scommessa. Chieti: Tabula Fati; 2001: 41. 18 DE LUCA E. In alto a sinistra. Milano: Feltrinelli; 1994: 122. 19 LAGORIO G. Approssimato per difetto (1971). Bologna: Garzanti; 1998: 14. 20 TERZANI T. Un altro giro di giostra. Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo. Milano: Longanesi; 2004: 96. 21 Ibid., p. 96. 22 Ibid., p. 32. 23 Ibid., p. 20. 24 VALLI L. Vincerà la vita. Torino: SEI; 1974: 24. dietro una serie impersonale di azioni mirate ad indagare la malattia. La letteratura rivendica la non-dualità del corpo nella malattia, perchè come ci ricorda Dino Buzzati, troppo spesso ci si dimentica “che non si tratta soltanto di globuli bianchi, di globuli rossi …”.25 La “White Coat Ceremony”: una contrapposizione tra umanesimo e professionalismo? Molti pazienti vedono oggi il camice bianco come una sorta di “mantello della compassione”26 ed un simbolo della cura e speranza che essi si aspettano dal loro medico. L’adozione del camice bianco in medicina ebbe origine, come si è detto, nei laboratori scientifici a partire dalla fine del XIX secolo quando i principi scientifici furono incorporati nella pratica medica. Da un punto di vista socio-antropologico la purezza cui rimanda il bianco segna l’incontro tra malato e medico all’insegna dell’autorità e dei poteri quasi “soprannaturali” del medico. Questo inevitabilmente ci rinvia ai tempi in cui il guaritore era una persona sacra che apparteneva al preternaturale, figura intermediatrice tra l’umano e il divino che esercitava un’arte sacra. Anche nel noto Giuramento di Ippocrate, medico che ha desacralizzato l’arte medica, persiste ancora una terminologia ieratica e solenne (“Preserverò pura e sacra la mia vita e la mia professione”). Tale retaggio culturale probabilmente persiste ancora oggi. Studi recenti – infatti – hanno dimostrato come il camice bianco abbia, nella maggior parte dei casi, un effetto positivo sui pazienti.27 Il camice bianco è stato investito di molti importanti significati a tal punto che negli Stati Uniti è stata creata una cerimonia, The White Coat Ceremony, ad opera del neurologo pediatra Arnold P. Gold e di sua moglie Sandra O. Gold.28 Questa cerimonia fu inaugurata il 226 S. GIARDINA / A.G. SPAGNOLO Medicina e Morale 2014/2 25 BUZZATI D. Dino Buzzati: un autoritratto. Dialoghi con Yves Panafieu (1971). Milano: Mondadori; 1973: 82. 26 HOCHBERG. History of medicine. The doctor’s white coat…, p. 314. 27 REHMAN SU, NIETERT PJ, COPE DW, KILPATRICK AO. What to wear today? Effect of doctor’s attire on the trust and confidence of patients. Am J Med. 2005; 118: 1279-1286. 28 KAVAN MG. The white coat ceremony: A tribute to the humanism of Arnold P. Gold. J Child Neurol. 2009; 000: 1-2. 20 agosto del 1993 presso il Columbia University College of Physicians & Surgeons. Nel 1994, la New Jersey Medical School inaugurò la sua prima White Coat Ceremony diventando la seconda università ad aderire a questo evento. Oggi la White Coat Ceremony, moderno rito di iniziazione,29 è presente nel 96% delle scuole di medicina negli Stati Uniti e si sta diffondendo anche in altri Paesi.30 La cerimonia segna il passaggio, significativo, dagli studi preclinici a quelli clinici: “Vi accingete ad attraversare un ponte, preparandovi per la professione, e in questo momento siete dallo stesso lato dei vostri pazienti. A metà del ponte vi ritroverete a cambiare e il linguaggio che avevate in comune con i pazienti sarà gradualmente sostituito da quest’altro linguaggio, il linguaggio della medicina. La storia personale dei malati sarà sostituita dalla storia medica. E infine giungerete dall’altro lato del ponte: farete parte della cultura medica. Quando arriverete di là, voglio che conserviate ogni singolo elemento del vostro vecchio io, di ciò che siete adesso”.31 Con queste parole, la decana nella Facoltà di Medicina dell’Università di Yale, Nancy Angoff, ha accolto le matricole, sottolineando la necessità che durante il percorso formativo gli studenti mantengano nel futuro quell’empatia che, all’inizio, li aveva spinti a studiare medicina. Questo rito di passaggio – reso ben evidente dalla metafora del ponte della decana di Yale – è sottolineato, durante la White Coat Ceremony, dalla lettura, da parte degli studenti, del Giuramento di Ippocrate a sottolineare che, da questo momento, comincia la fase più importante e impegnativa per il futuro medico, quella che chiama in causa la dimensione etico-antropologica della sua professione.32 È qui che comincia il percorso per essere un medico e non solo per fare il medico.33 D’ora MEDICI E CAMICE BIANCO Medicina e Morale 2014/2 227 29 HUBER SJ. The white coat ceremony: a contemporary medical ritual. J Med Ethics 2003; 29: 364-366; KARNATH BM. A symbol of our profession: white coat ceremony address to the class of 2014. J Gen Intern Med. 2011; 26 (6): 673-674. 30 Altri Paesi hanno adottato questa cerimonia: Iran, Israele, Canada, Gran Bretagna, Repubblica Dominicana, Brasile, Polonia, Pakistan, Germania, Romania, Austria, Jamaica. 31 La citazione è ripresa da SANDERS L. Ogni paziente racconta la sua storia. L’arte della diagnosi. Torino: Einaudi; 2009: 61-62. 32 GILLON R. A personal view: white coat ceremonies for new medical students (editorial). Journal of Medical Ethics 2000; 26: 83-84. 33 MAJANI G. Dentro il camice bianco. Equipaggiamento psicologico per giovani medici e aspiranti tali. Pavia: Medea; 2013: 28. in poi il futuro medico si confronterà con i pazienti oltre che con la malattia che li affligge. L’intento di Gold era quello di fare in modo che i futuri medici prendessero coscienza dell’importanza del loro ruolo agli inizi del loro percorso e non alla fine, che si rendessero conto che d’ora in poi il banco di prova sarebbe stato il malato e non solo la malattia come insegnava William Osler.34 Questi insegnava ai suoi studenti a modellare se stessi sulle vite esemplari dei grandi medici della storia che sapevano unire alla saggezza clinica i valori del coraggio, della dedizione e dell’empatia. Qui, a suo avviso, risiedeva la virtù della storia. In questo senso la cerimonia rinvia anche all’eredità dei medici del passato; eredità che va rispettata, protetta, aggiornata con le nuove acquisizioni. Il benvenuto che gli studenti ricevono dai loro presidi di facoltà, o dal direttore sanitario dell’ospedale o da altri autorevoli rappresentanti del mondo medico non è un atto puramente formale in quanto vuole sottolineare non ciò che un medico è capace di fare, ma che tipo di persona vuole diventare come sottolinea Jessica Israel, medico geriatra che si occupa di medicina palliativa (Monmouth Medical Center, New Jersey), con una bellissima metafora, il “camice virtuale”, quello che si indossa ogni giorno e che richiama alla dimensione interiore di ognuno. Questo camice è intriso di verità, di parole rassicuranti, di gesti che alleviano la sofferenza, di consapevolezza dei propri limiti, di capacità di ascolto dei malati. Questi possono insegnare molto al medico: “Prendete ciò che vi insegnano, sulla medicina e su voi stessi e intrecciatelo nel tessuto del vostro cappotto. Indossatelo correttamente fuori dall’ospedale, come pure nella vostra vita”.35 Ciò sta a significare che il medico è prima di tutto un essere umano che porta su di sé i segni della vita, o, usando un concetto caro allo psicanalista James Hillman, del carattere.36 Indossare un camice bianco vuol dire 228 S. GIARDINA / A.G. SPAGNOLO Medicina e Morale 2014/2 34 SILVERMAN BD. Physician behavior and bedside manners: the influence of William Osler and The Johns Hopkins School of Medicine. Proc (Bayl Univ Med Cent). 2012; 25 (1): 58- 61. 35 “Take what they teach you, about medicine and about yourself and weave it into the fabric of your coat. Wear it right out of the hospital and into your life, too” (ISRAEL J. The Virtual Coat. Relazione tenuta in occasione della White Coat Ceremony della Frank H. Netter MD School of Medicine, Quinnypiac University, Hamden (CT), 16 agosto 2013). 36 HILLMAN J. La forza del carattere. La vita che dura. Milano: Adelphi; 2000. prendersi cura dell’altro nei momenti più fragili e vulnerabili della sua vita. È qui che “il bene fruito dalle persone bisognose di cure si riverbera nel bello che è intrinseco alle cure prestate con dedizione da altre persone”.37 Si deve per correttezza segnalare che alcuni sono critici nei confronti della White Coat Ceremony ritenendo che tale “rito” segnerebbe una scissione tra lo spirito umanitario che spinge gli studenti a iscriversi a medicina e il professionalismo che dalla laurea in poi trasformerebbe l’atteggiamento dei neo-medici. Goldberg, ad es., sostiene che l’umanesimo e il professionalismo siano due sistemi di valori molto diversi, con differenti motivazioni, diversi obiettivi, diverse agende.38 La White Coat Ceremony, a suo dire, produrrebbe una tensione negli studenti di medicina i quali sperimenterebbero una tacita richiesta di lasciarsi dietro i loro valori umanistici “laici” e di abbracciare una nuova identità professionale che offuscherebbe il loro umanesimo originario. Ci sembra, invece, che umanesimo e professionalizzazione siano necessariamente aspetti complementari e di fatto, come richiama Jessica Israel, tra le personalità che partecipano alla cerimonia ci sono anche medici esperti in medical humanities a sottolineare l’importanza del lato umano della medicina, delle sue complesse implicazioni etiche e della necessità di integrare la preparazione tecnico-scientifica con quella umanistica. Il camice (più corto rispetto a quello dei medici già laureati) viene da queste personalità posto sulle spalle degli studenti a sottolineare la fiducia che essi ripongono nelle loro qualità umane e professionali; è un gesto di responsabilità e rispetto. Alcuni Autori39 affermano che sarebbe opportuno promuovere anche altri rituali che possano favorire l’empatia, la compassione e l’umiltà, quali ad es. la frequentazione di centri anti-violenza per le donne, centri di riabilitazione per le dipendenze da farmaci, droghe MEDICI E CAMICE BIANCO Medicina e Morale 2014/2 229 37 COSMACINI G. Il bene e il bello. I luoghi della cura. Firenze: Società Editrice Fiorentina; 2001: 9. 38 GOLDBERG JL. Humanism or professionalism? The white coat ceremony and medical education. Academic Medicine, 2008; 83 (8): 715-722. 39 WEAR D. On white coats and professional development: the formal and the hidden curricula. Annals of Internal Medicine 1998; 129 (9): 734-737. o alcol, i consultori, etc. Altri,40 invece, sottolineano l’importanza di creare, accanto alla White Ceremony, dei forum settimanali in cui lo studente possa riflettere insieme agli altri sui valori etici ed umanistici che ha incontrato durante il suo iter di studio. David G. De Marco, medico, gesuita della Loyola University di Chicago, concorda con le posizioni suddette ma afferma che accanto ai forum sarebbe necessario che studenti e medici riflettano regolarmente su se stessi, su che tipo di persone vogliono diventare anche attraverso la propria fede personale, rivolgendosi anche alla meditazione ed alla preghiera. Senza una profonda consapevolezza di se stessi, continua De Marco, la White Ceremony perderebbe di valore.41 In conclusione, ci sembra che il camice non rappresenti solo un elemento distintivo che sancisce l’appartenenza ad una categoria professionale, ma soprattutto rivendica uno specifico codice comportamentale che mira al recupero di quella che Cosmacini chiama la “religiosità” della medicina, da intendersi come “alto e sublime sentire”, come “elevata dignità dell’uomo” e come “estesa fraternità tra gli uomini”.42 Parole chiave: camice bianco, storia della medicina, medical humanities. Key words: white coat, medical history, medical humanities, white coat ceremony. RIASSUNTO L’articolo prende in esame il significato che il camice bianco indossato dai medici riveste nella nostra cultura a partire dalle radici storiche fino ai giorni nostri con riferimento alla White Coat Ceremony che negli Stati Uniti sancisce il passaggio degli studenti dagli studi preclinici a quelli clinici. Que230 S. GIARDINA / A.G. SPAGNOLO Medicina e Morale 2014/2 40 BRANCH WT. Deconstructing the white coat. Annals of Internal Medicine 1998; 129 (9): 740-741. 41 DE MARCO DG. Contemplating the white coat. Annals of Internal Medicine 1999; 131 (1): 73 42 COSMACINI G. La religiosità della medicina. Dall’antichità ad oggi. Roma-Bari: Laterza; 2007: VII. sta cerimonia – cui partecipano personaggi illustri del mondo accademico che hanno il compito di accogliere gli studenti in questa delicata fase del loro percorso di studi – rappresenta un moderno rito di passaggio ed ha un significato etico-antropologico rilevante in quanto segna l’incontro del futuro medico con il malato. SUMMARY The doctors and the white coat. Historical and cultural highlights and implications for the medical student training. This article examines the meaning that the white coat worn by physicians has in our culture, starting from its historical roots up to our time, with reference to the White Coat Ceremony, which in the USA marks the passage from internship to residency. This ceremony, in which important figures from the academic/medical world participate – that is, individuals whose duty it is to welcome the medical residents into this important phase of their studies – represents a modern rite of passage and has ethical-anthropological meaning, insofar as it represents the encounter of the future physician with the patient. cit. www.academia.edu
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