#un'altra sera che ne ho bisogno continuerò
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lilsadcactus · 6 years ago
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Non per farmi giudicare, non per farti pena, non per farmi perdonare ma per farmi conoscere. Un giorno ti dirò delle giornate passate a letto pensando che non potevo farcela e che da un momento all'altro avrei guardato le mie mani e le avrei viste scomparire come quando si spegne una candela coperta da un bicchiere. Ti dirò del suono che aveva la mia solitudine da bambina, del sapore che aveva la mia tristezza. Ti chiederò se anche tu te lo ricordi.
Forse a un certo punto ti racconterò anche di quella volta che litigai con le mie cugine e una di loro mi disse "tanto io lo dirò alla mia mamma. E tu non ce l'hai. Tu non hai nessuno a cui dirlo"; aveva ragione, i bambini hanno questa capacità che poi molti una volta cresciuti dimenticano: ti dicono la verità anche se fa male. Non avevo una mamma, non avevo un papà, non li ho mai avuti. Ho conosciuto mia madre ma è una donna come tante, una sconosciuta che per puro caso mi ha partorito una sera del 1999. A inizio dicembre, tra il 2 e il 5, neanche lei lo sa con certezza. Il mio compleanno ufficialmente è il 3 dicembre. Non poteva essere il 5, apparteneva già a mio fratello. Il 2 diceva "non me lo hanno concesso i medici" e il 4 era troppo vicino al 5. Così ha fatto scrivere sul certificato di nascita 3 dicembre 1999, niente orario. Meraviglioso il sud America.
Quando avevo 14 anni mi arrivò una richiesta di amicizia su Facebook: era mio padre. Accettai e con la spavalderia di una giovane incazzata col mondo gli scrissi qualcosa come "pezzo di merda non mi hai mai cercata o proclamata tua figlia e adesso con che faccia mi chiedi l'amicizia su Facebook?" Sono quasi sicura di avergli augurato la morte. Sono sicurissima di essermi messa a piangere. Non che mi mancasse in fondo non avevo mai conosciuto mio padre. Ma era lì adesso, l'altro genitore, lo sperma che aveva generato la ragazzina problematica che sono sempre stata era lì e mi chiamava "Mabellita". Con quale coraggio, con quale diritto si permetteva di ricordarmi che non avevo mai avuto una famiglia. Te lo racconterò così capirai perché non so mai come comportarmi con i genitori degli altri.
Quando mi chiederai perché non voglio bene a mio fratello ti racconterò delle mattine fredde in cui andavo ad aprirgli la porta di casa così da farlo entrare senza che gli zii o la nonna notasse che aveva passato la notte fuori a bere con i suoi amici. Avevo 6 anni e passavo le notti sveglia, in attesa che tornasse per mettermi una giacchetta, aprire la porta senza fare rumore, fare le scale, aprire la porta di metallo che faceva un rumore assordante se spinta in un certo modo. Poi dovevo prenderlo quasi in braccio e rifare tutto fino a metterlo a letto. Avevo 6 anni e sulle mie spalle gravava il peso di un fratello adolescente.
Lui non ha mai aperto una porta per me. Non ha mai coperto le mie cazzate adolescenziali. Non ha mai preso calci e pugni per difendermi. Io sì, sempre.
Ti dirò che l'unico ricordo felice che ho con lui sono le partite a calcio in mezzo alla strada quando avevamo 3 e 9anni. La terra che entrava nelle ferite delle ginocchia sbucciate e un pallone più spellato di noi. Ma avevamo degli amichetti con noi, quando stavamo con loro era tutto bello. Non c'entrava niente il sangue, era un amico anche lui.
Ma se ricorderò quei momenti inevitabilmente dovrò raccontarti la parte brutta di quelle partite. La parte brutta ha un nome: Marta, madre di mio padre. Ogni volta che tornavamo a casa sporchi sapevamo cosa ci aspettava. La parte brutta mi ha lasciato mille cicatrici nel corpo e nell'anima. Le mie posso anche fingere di non vederle, di averle dimenticate. Ma quando guardo mio fratello senza la maglietta e girato di schiena mi torna tutto in mente. Ricordo le cinghie della cintura e il rumore che fa la pelle che si apre e sanguina. Ricordo l'odore del sangue e il sapore di un pugno in faccia. Se non piango molto davanti alle persone è perché dai 2 ai 6 anni ho imparato che quando ti fanno del male è meglio starsene zitti, se ti sentono piangere tornano indietro e te ne fanno il triplo. La schiena di mio fratello mi urla "quella volta non mi hai difeso, stronza" e per quanto io mi dica che avevo solo 5 anni e non potevo sopraffare una donna che pareva un armadio a 3 ante la sua schiena continuerà a dirmi che sono colpevole, che dovevo difenderlo, che dovevo mettermi in mezzo prima e non dopo 6 colpi. Anche se avevo paura, anche se volevo morire per sfuggire a quei momenti: 6 colpi, 6 colpi, 6 colpi. Ho aspettato 6 colpi e la schiena di mio fratello me lo urlerà sempre. Ricordo di essere corsa a nascondermi sotto al lettone, poi c'è solo dolore. Poche lacrime. Marta che va in cucina e io che prendo il disinfettante per curare mio fratello. Lui mi tira un pugno. Col labbro rotto gli medico le ferite. Avevo 5 anni. Lui piange, Marta torna, mi urla addosso, io sto calma. Ingoio sangue per tutta la sera. Di notte vado in bagno e in silenzio prendo il rasoio, faccio brutti pensieri.
Alle elementari avevo questa amica di nome Rosa che diceva "non vado mai nei negozietti da sola" ed io non capivo perché, in fondo da noi in ogni strada ci sono tanti negozi sparsi tra le case. Nella via di mia nonna Maya ne contavo almeno 10. Avevo 6 anni e andavo da sola dove volevo quando volevo, senza paura.
Non avevo paura di niente. E in Ecuador c'era di che aver paura ad ogni angolo di strada. Eppure io con tutta la calma del mondo ero amica di un noto rapinatore che viveva dall'altra parte della città e lo andavo a trovare prendendo bus o taxi solo per giocare col suo cane. A 7 anni non avevo più paura di niente, mi dicevo che tanto ormai mi avevano fatto tanto male e di sicuro non potevano fare di peggio. Una volta nei bagni della scuola provai a tirare un pugno a un compagno che rideva di Rosa e passai le lezioni a stringere la mano che faceva male. Volevo sentire quel dolore, non avevo mai picchiato nessuno. Il giorno dopo tirai un pugno allo specchio del bagno e quando Rosa mi chiese perché rimasi in silenzio, lei andò a cercare la maestra ed io rimasta sola pensai "perché così mi esce sangue e sento qualcosa", prima che arrivasse la maestra presi un pezzo di vetro e mi tagliai il braccio per la prima volta.
Ti racconterò perché non credo nella scuola ricordando quella volta che mi aspettava il titolo di caposcuola con diploma per i voti perfetti e invece l'hanno dato a Rosa perché i suoi venivano sempre a prenderla a scuola e parlavano con le maestre mentre io mi picchiavo con tutti tranne che con lei e quando chiamavano a casa per parlare con i miei le zie dicevano che forse la settimana dopo sarebbero passate dal preside ma non passavano mai. Io le dissi che ero contenta per lei ed era vero, sapevo quanto studiava e sapevo che faceva sempre i compiti. Lo sapevo perché io non li facevo mai, chiamavo sua mamma per farmeli dire e la mattina a scuola li iniziavo di fretta. Non studiavo mai per le verifiche ma prendevo comunque ottimi voti. Lei aveva anche il padre a farle ripetizioni, già alle elementari conosceva il programma delle medie/superiori. Era intelligente e bellissima, una delle mie prime cotte era Rosa: capelli neri, occhi verdi, piena di parole gentili e timida. Le dissi che era meglio se quel titolo lo aveva lei perché io non ne sarei stata all'altezza. Era l'anno del mio ottavo compleanno.
A 9 anni mi fecero fare un'accademia militare. Odiavo mettere la divisa. Odiavo i professori. Odiavo studiare. Odiavo tutto perché non c'era più Rosa. Facevo a botte ogni giorno e tornavo a casa dallo zio che mi tirava uno schiaffo per aver fatto a botte. Ridendo andavo in camera e dormivo finché la nonna non mi diceva di mangiare qualcosa.
Mia nonna Maya cucinava per tutta la famiglia ovvero per la zia e lo zio e le due figlie, per lo zio scapolo, per me e mio fratello, per gli zii che a volte venivano a pranzo con i 3 figli, per mia cugina, per gli zii che passavano con le cugine e Alex. Quando sono andata a vivere da lei mi ha praticamente obbligato a fare colazione, quindi dai 6 ai 10 anni mi svegliavo, mi lavavo la faccia con acqua bollente perché lei la preparava così in una bacinella e poi andavo in cucina dove dovevo mangiare pane con formaggio, uovo sodo, latte o caffè nero a scelta: io prendevo sempre un caffè, ma lei ogni mattina mi diceva che ero troppo piccola, i bambini bevono latte Mabelle, non vedi le cugine? Io rispondevo caffè, per favore. Rigorosamente bollenti anche loro, tanto che metteva un'altra bacinella con acqua ghiacciata e poi ci immergeva la tazza di caffè. Mi piaceva bere il suo caffè caldo e riscaldarmi il pancino.
Ora non mangio mai al mattino perché mi da la nausea. E sono diventata allergica al caffè, almeno a quello italiano mi dico, sicuramente se torno in Ecuador mi passa. È sciocco ma ci credo veramente. Mi manca il caffè della nonna appena sveglia. Mi mancano i suoi capelli bianchi intrecciati e le sue mani rugose e il suo sorriso caldo. Mi manca tantissimo. Se c'è qualcuno che avrà sempre il mio affetto incondizionato è lei. Mi si spezza il cuore quando penso che non la vedo da 8 anni ormai e forse non la vedrò per molti altri anni dato che non ho i soldi per tornare da lei.
Adesso una paura c'è l'ho: ho paura di non fare in tempo. È una donna anziana e ha troppe preoccupazioni.
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intotheclash · 4 years ago
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La coppia era seduta ad un tavolo in disparte, nello spazio esterno di quel minuscolo ristorante. La cornice era da mozzare il fiato. Antichi palazzi signorili incastonavano quella piazzetta di Trastevere, facendola risplendere senza arroganza, come un diamante grezzo non ancora tagliato. A prima vista, i due, avrebbero potuto essere scambiati per una coppia felice in luna di miele, o, quanto meno, per due furtivi amanti in vena di sfidare la gabbia dell'anonimato. Ma un attento osservatore avrebbe sicuramente colto il procedere incerto di chi veleggia su una rotta sconosciuta. Mangiavano poco o niente, parlavano molto. In verità era soprattutto lui a parlare. Troppo e con troppa enfasi. Come un attore consumato che, dopo aver ripetuto la parte un'infinità di volte e limato ogni sbavatura, va in scena la sera della prima convinto di ammaliare e catturare il suo pubblico. Si sentiva in forma, bello ed irresistibile. E bello ed in forma lo era pure, ma di una bellezza stereotipata, da rotocalco rosa. Indossava un impeccabile vestito firmato, grigio scuro, abbronzatura perfetta, denti sfavillanti; proprio non vedeva alcun motivo che potesse impedirgli di fare colpo.
Il problema era che le donne, una parte delle donne, almeno quella, lo vedeva benissimo. Fin troppo evidente. Lo sapeva ancor prima di accettare l'invito a pranzo. Lo sapeva, ma aveva tentato lo stesso. Voltando deliberatamente le spalle all'evidenza. Aveva paura della solitudine e aveva accettato.
Durante il pasto non aveva quasi aperto bocca, tranne che per poche frasi di cortesia e per assaggiare quel cibo, tanto ricercato quanto insipido. Non per mancanza di sale, ma di passione. Era bello, questo sapeva vederlo, ma quella bellezza che arrivava agli occhi era poi incapace di raggiungere la bocca dello stomaco. Niente da fare, la linea doveva essere interrotta. Come se non bastasse, aveva assunto l'atteggiamento del professionista della conquista, era evidente che si sentisse tale. Lei posò la forchetta sul piatto, sbuffò contrariata, si coprì gli occhi con una mano e chiese :"Di che colore sono i miei occhi?"
L'uomo fu colto alla sprovvista. Colpito ed affondato. Non era in grado di rispondere, così cercò, in maniera maldestra, di prendere tempo.
"Come dici Andrea?" Andrea era la donna.
"Ti ho chiesto: di che colore sono i miei occhi? Non è troppo difficile. Puoi farcela anche tu! Non si vince nulla, è tanto per giocare."
"Che razza di domanda è? Dove vorresti arrivare? Non capisco!" Aveva capito bene invece. Non era stupido. Non fino a quel punto, almeno.
"Lascia perdere, non importa. Chissà cosa succede se ti sforzi troppo. Ti faccio la domanda di riserva: quanti giorni sono che ci frequentiamo?"
L'uomo era in difficoltà. Sentiva il sudore iniziare ad imperlargli la fronte. E non era per il caldo. La situazione stava sfuggendogli di mano. E non riusciva neanche a trovare il tasto reset.
"Quattordici!" Quasi urlò. Cazzo, questa era facile!
"Bravo Umberto! Una l'hai presa! Quattordici giorni e non hai trovato un secondo di tempo per guardarmi negli occhi?"
"Non è vero! Nel modo più assoluto! I tuoi occhi sono bellissimi!" Rispose, ma con uno slancio eccessivo e un tono a metà strada tra l'offeso ed il piagnucoloso che la donna trovò infantile e disgustoso.
"Scommetto tutto quello che ho, anche se non è molto, che se ti chiedessi come sono le mie tette, che taglia porto di reggiseno e di che colore è, non esiteresti un istante a rispondere. Ti giocheresti pure il jolly. O sbaglio?"
Certo che non sbagliava! Aveva delle tette meravigliose. Che sfidavano sfrontatamente la legge di gravità. Sulla taglia del reggiseno, nutriva qualche perplessità. Se la giocavano alla pari la terza e la quarta. Non ne era sicuro. Il colore era facile, visto che ne sporgeva un pezzetto. Turchese. Probabilmente coordinato con le mutandine, che, ormai ne era sicuro, non avrebbe mai visto.
"Il tuo silenzio conferma che ho ragione. Eppure ancora avresti potuto salvare la faccia. Sarebbe bastato ammetterlo. Dirmi: è vero, non ho fatto altro che ammirare le tue tette! Non ci sarebbe stato niente di male. Anche se tu ti sei lasciato prendere un po' troppo la mano. D'altra parte a me non dispiace mostrarle. E fino a quando riusciranno a tenersi su da sole, continuerò a farlo. Anche in questo non c'è nulla di male. Solo una sana dose di civetteria. Ma, a rischio di sembrare banale, ti informo che c'è dell'altro."
"Eccome se c'è dell'altro!" Pensò l'uomo. E l'espressione trasognata e vagamente ebete lo tradì di nuovo.
Difatti non sfuggì alla donna. Evidentemente, oltre ad essere decisamente bella, doveva avere un cervello niente male. Non roba che si possa trovare ad ogni angolo di strada.
"Ascolta, Umberto," Era giunto il momento della disillusione, "Facciamola finita. Ho paura che, da adesso in avanti, tutto ciò che potresti dire, non farebbe che aggravare ulteriormente la situazione. Peccato, avrebbe potuto essere diverso. Ma non tra noi due. Questa è la mia parte, stammi bene e addio." Concluse sorridendo e lasciando trenta euro sul tavolo. Prese la sua borsetta, fece un mezzo giro sui tacchi e sparì per sempre dalla vista dell'uomo, accompagnata dallo sguardo di tutti i presenti. O, almeno, di quelli appartenenti al genere maschile.
Erano appena le tre e le si era liberata la giornata. Non aveva voglia di ritornare nel suo appartamento, in un anonimo palazzone della sterminata periferia romana. Aveva bisogno d'aria e di camminare per rammendare le idee. Puntò decisa verso Villa Borghese. Quel polmone verde, che dava respiro a tutto quel cemento che lo circondava, le ricordava vagamente la campagna dove era nata. Scelse con cura una panchina e si sedette a fumare e riflettere. Riavvolse il nastro della sua vita, con particolare attenzione a quell'ultimo anno. non le sembrava di avere davanti un bilancio troppo positivo. La linea spezzettata sul grafico, anche se non cadeva a picco, scendeva inesorabilmente verso il segno meno. Solo il lavoro faceva eccezione. Era un'agente immobiliare, vendere case le piaceva e con la gente ci sapeva fare. Aveva chiuso diversi contratti, alcuni molto travagliati e al limite del possibile; ciò le aveva permesso di guadagnare bene, oltre che in vile moneta, anche nella stima dei suoi colleghi. Ci sapeva davvero fare. Ma, tolto il lavoro, cosa le restava? Tolto il lavoro si poteva tranquillamente parlare di disastro. Disastroso il rapporto con i suoi genitori, disastroso il rapporto con gli amici, disastroso il rapporto con gli uomini. Già, gli uomini...ma che razza di bestie erano? Aveva trentaquattro anni, era una bella donna, lo sapeva e ne riceveva conferma ogni giorno. Ancora catturava occhi e sorrisi. Allora come mai si ritrovava da sola? Che fosse colpa sua? Certo, era finita da un pezzo l'epoca dei vent'anni. Col passare del tempo, era diventata molto più esigente ed insofferente. Non aveva voglia di accontentarsi, si rifiutava di accettare ciò che non riusciva a digerire. non voleva saperne degli altrui difetti, quelli che, come tutti dicono, poi impari ad amare. Se ne fotteva. E, soprattutto, non era disposta a cambiare, a cambiarsi. Non poteva condividere i sogni con chi, in ultima analisi, era incapace di sognare. O tutto, o niente. Forse davvero era colpa sua! Era diventata insofferente.
Anche gli uomini, però, ci mettevano del loro. E ne avevano da metterci! Anche quell'Umberto, per esempio, non era male...era un bell'uomo, elegante, curato, pulito, in sporadici casi, anche brillante, ma, come tipico della sua "razza", demandava troppo spesso il compito di ragionare al suo fratellino più piccolo. Quanto piccolo sarà stato poi? Tale riflessione la fece ridere come una scema, ma riprese subito il controllo, sbirciando in giro a sincerarsi che nessuno se ne fosse accorto. Le venne in mente un brano di Davide Van De Sfroos, La ballata del Genesio, dove cantava: ho dato retta al cuore e qualche volta all'uccello. Centro. Era ciò di cui aveva bisogno: qualcuno che sapesse dar retta al cuore e all'uccello contemporaneamente. Non le sembrava chiedere troppo!
Accese un'altra sigaretta, guardò l'orologio: le cinque e trenta del pomeriggio. Alzò il viso e, solo allora, si avvide dell'uomo che, non più distante di una quindicina di metri, stava puntando dritto verso di lei. Lo soppesò con lo sguardo e decise che non c'era da preoccuparsi. Era decisamente attraente, si muoveva con estrema leggerezza, sembrava scivolare sul terreno come l’acqua; certo che era vestito in maniera del tutto anonima e pensò che fosse un vero peccato. E peccato anche che l'avesse puntata. Voleva starsene da sola e in silenzio. Niente mosconi a ronzarle intorno. Non oggi.
"Mi perdoni, ma avrei bisogno di accendere." Disse l'uomo senza inflessioni dialettali nella sua voce, sbollando un pacchetto di Pall Mall.
La donna sbuffò infastidita e col tono del: con me non attacca, bello! Rispose:" E' un po' vecchiotta, forse ti conviene provare altrove."
"Non importa che sia vecchia, non a me, comunque. L'importante è che abbia ancora voglia di accendersi e di accendere. Mi creda, non desidero altro."
Lo fissò dritto negli occhi, occhi in moto perpetuo, non inebetiti sulle sue tette. Forse... ma no, l'approccio era stato di una banalità disarmante, così:"Mi dispiace, non ho da accendere" Soffiò fuori in fretta.
"Fa niente, andrò a cercare miglior fortuna altrove. Ma capita anche che le cose siano esattamente come sembrano. Mi perdoni l'intrusione. Le auguro che la sua giornata migliori." Le disse con un accenno di sorriso e guardandola, per la prima volta negli occhi.
Fu sinceramente colpita da quella sorta di congedo. Lo seguì con lo sguardo e lo vide avvicinarsi ad una coppia di anziani, ottenendo, ormai era evidente, quello che stava cercando. Si era comportata come un qualsiasi idiota. Si era dimostrata prevenuta e scortese, Non le piacque affatto il suo comportamento di poc'anzi e tentò di rimediare.
"Ehi!" Gridò, agitando la mano per richiamare l'attenzione dell'uomo. Lui si voltò, le mostrò la sigaretta accesa, sorrise apertamente e tornò a voltarsi per la sua strada.
"Aspettami!" Disse ad alta voce, alzandosi dalla panchina per raggiungerlo. Non lo avrebbe lasciato andare portandosi via un'immagine di lei così odiosa.
"Non serve che si giustifichi, una brutta giornata capita a tutti." La anticipò.
Fu di nuovo colta di sorpresa, le parole stentarono ad uscire, ma parlare era parte del suo mestiere, la parte che le riusciva meglio e se lo ricordò appena in tempo.
"Toccata! Mi sono comportata come una stupida. Ti avevo cucito addosso un bel giudizio precotto. Scusami di nuovo e, credimi, di solito non succede."
"Sono felice per te. Perché, al contrario, di solito è esattamente quel che succede. Affibbiare etichette sembra essere lo sport nazionale. Altro che il calcio. Forse è come con i cani, che hanno bisogno di marcare il territorio. Allo stesso modo, gli uomini devono orinare sui propri simili per avere l'illusione di saperli riconoscere."
"Posso farti una domanda?" Non capiva cosa le fosse preso, ma ormai era andata.
"Certo, basta che non implichi il dovere di una risposta."
"Ho smesso da un bel pezzo di pretendere."
"Allora puoi andare con la domanda."
"Di che colore sono i miei occhi?"
"Domanda a doppio taglio. Non è così facile come potrebbe sembrare..."
"Lo sapevo, peccato." Pensò la donna, ma, ancora una volta, era giunta a conclusioni affrettate.
"Oggi, con questo sole abbagliante, di un bel celeste trasparente, ma direi che il più delle volte potrebbero essere sul verde, con tendenze al grigio nelle giornate di pioggia." Sentenziò l'uomo, dopo una profonda boccata di sigaretta.
Partì anche la seconda domanda. Partì prima del pensiero, prima che la vergogna per averla fatta le incendiasse il viso:"E le mie tette come sono?"
Lui non si scompose e, senza distogliere lo sguardo da quello di lei rispose: "Dovresti fare più attenzione. Perché, a volte, potrebbe capitare che rubino il palcoscenico agli occhi."
"Posso offrirti un caffè? Per rimediare!"
L'uomo la trapassò con la vista come una freccia di balestra e trapassò anche tutto quello che c'era dietro di lei, per finire dove nessuno sapeva dove. "Rimediare è un verbo privo di significato." Disse "Non c'è possibilità di rimediare al passato; per quanto prossimo. Possiamo solo comportarci diversamente."
"Sarebbe un no?"
"Al contrario, sarebbe un si. Non so se tu ti aspettassi un'altra risposta, nell'eventualità, mi dispiace. Ma io non rifiuto mai un buon caffè." E sorrise.
"A proposito, non ci siamo ancora presentati. Io mi chiamo Andrea." Disse la donna.
"Avrei potuto usare le stesse parole."
"Cosa?"
"Se prometti di non scambiarlo per un segno del destino, sono pronto a farti una rivelazione: anch'io mi chiamo Andrea." Anche se quello non era il suo vero nome. Era quello che si trovava stampato sulla sua carta di identità, sotto alla sua vera foto. La carta non era la sua. Era stata rubata in un'altra città poco prima della sua comparsa nella capitale.
"L'uomo medio si cura se le cose siano vere o false, ma il guerriero no. L'uomo medio procede in modo specifico con le cose che sa essere vere e in modo diverso con le cose che sa essere non vere...Il guerriero agisce in entrambi i casi."
Il libro non concedeva tregue durature.
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venereinorbita · 4 years ago
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Vorrei raccontare il retro di una foto.
Una foto che cela felicità e tristezza insieme, orgoglio e codardia.
Da quando ho 9 anni il mio corpo ha iniziato a cambiare velocemente, senza rendermene conto diventavo grande, avevo bisogno di reggiseni, e poi usavo i jeans (come i grandi), e le prime mestruazioni, e l'altezza che inizia a fermarsi. Non comprendevo i miei cambiamenti e credevo fossero normali.
Poi sono arrivate le medie, e lì ho iniziato a comprendere. comprendere che ero più avanti, che erano tutte magre, piccole, bambine. E mi iniziavo a nascondere, a cercare di non far capire che ero diversa.
E ho trovato rifugio nel cibo. Il cibo mi capiva, o forse ero io a farmi capire.
Le mie compagne crescevano e cambiavano, ma io continuavo a vedermi diversa. A vedere tutte loro bellissime e a non capire che ero bella anche io.
Tutte avevano il fidanzatino, o lo avevano avuto. E questo mi portò a non capire i maschi, a non capire me, perché scelgono loro e non me, cosa ho di diverso?
Un solo ragazzo mi scrisse, era simpatico, ma non bello, e purtroppo non sono riuscita a farmelo piacere. E non capivo, era così tenero e dolce. E poi ho capito che, dentro di me, avevo sempre saputo il motivo, semplicemente non rientrava nei canoni. Non era bello, e nonostante io combattessi contro i pregiudizi ero la prima ad alimentarli.
Tu sai, e se mai leggessi questo sappi che ti volevo bene veramente, e che sono stata stupida a farmi tutti questi complessi.
E solo ora a 16 anni dopo 3 anni capisco i miei errori, e chiedo scusa qui.
Nel mio posto segreto, dove so di non essere giudicata. E forse è codardia. Probabilmente è paura, ma sto aprendo me stessa oggi e qui, e non sono pronta ad essere messa al rogo per come sono e per come sono stata.
Forse semplicemente vedevo brutta me, e questa visione si riversava sul mio modo di vedere gli altri.
Le medie finirono, e quegli amici li persi quasi tutti.
Solo uno rimase al mio fianco, e gliene sarò grata per sempre.
Iniziai il liceo, scuola nuova vita nuova no? Evidentemente si, ma cambiò in peggio.
L'ambiente scolastico era tossico, e le mie compagne erano quasi adulte in confronto a me, molte avevano già perso la verginità, o comunque dato il primo bacio. Io al massimo davo baci al mio gatto.
E ancora una volta mi sentii estraniata, diversa.
Cercai di recuperare, ebbi il primo ragazzo e diedi il primo bacio.
Ma fin�� subito, perché non ero pronta. Non ero pronta per cambiare ancora, non ero pronta per essere catapultata in una realt�� fatta di ragazzi e uscite la sera.
E riiniziarono i complessi, come faccio ad essere come loro? Cos'ho di diverso? Perché non capisco il loro mondo?
Ma non me ne feci una colpa. Non ancora.
Cambiai scuola, non volevo più vivere così.
Ma il peggio doveva ancora venire.
In tutto questo tempo mi sono abbandonata al cibo, ho buttato giù tutti i muri e ho lasciato che colmasse tutti i vuoti.
La seconda scuola è fantastica, i compagni sono stupendi e l'ambiente è stupendo.
Va tutto bene.
Ma poi inizia la quarantena, non ho più nessuno che mi sprona ad essere migliore. Nessuno che mi dice di calmarmi, nessuno che mi tiene occupata la mente.
Così il cibo riempie tutti i miei pensieri. Tanto nessuno mi vede, mi dico da sola. E aggiungi un grammo qua, e cucina questo, e mangiamo anche questo dai. Arrivo a pesare 73 kg.
E non ho paura di dirlo.
Perché lo ero diventata, ed ero fiera, finalmente non mi importava di essere diversa.
Si, avevo oltrepassato il limite, ma chi mi imponeva di rispettarlo?
Passò l'estate tranquilla, e quel vestito rosa, del compleanno precedente, non mi entrava.
Ma non mi importava.
Dicevo che prima o poi sarei cambiata, ma non era quello il momento.
Effettivamente il cambiamento arriva.
Arriva verso settembre, quando ritorno a casa con mia mamma stabilmente e lei inizia a farmi capire che dovevo rientrare nel limite. Che tutto quel peso non mi faceva bene, che non ero bella e che le gambe facevano fatica a portare tutto.
Non le do la colpa, lei lo faceva per me. perché lei per prima ci è passata e sa cosa vuol dire essere sovrappeso.
Iniziai a camminare tutti i giorni almeno un'ora, a tornare a casa e fare un'altra ora di esercizi, a mangiare solo 300kcal al giorno. E vidi i cambiamenti. il mio corpo stava dimagrendo e persi 3 kg in una settimana. E per quanto io sapessi che non fossero cose salutari da fare non riuscivo a smettere.
Ora sono qui. Dopo un mese. A indossare quel vestito rosa che ora mi entra.
Ma come sono arrivata a voler perdere peso così?
A voler mangiare un solo pasto di pochissime calorie, e a fare ginnastica per smaltirle tutte?
E perché non riesco a smettere?
Perché nonostante tutto continuo a pensare sia il metodo corretto?
Perché il giudizio delle persone è quello che mi manda avanti. E finché le persone che mi stanno accanto mi fanno i complimenti perché sono dimagrita e sono più bella.
Io continuerò a farlo.
Ma la colpa non è loro, è che proprio non riesco a trovare altro modo di arrivare dove voglio.
Non sto bene, ma non posso farlo capire agli altri.
Mi toglierebbero questo modo di fare, e a me piace questo modo.
Forse è sbagliato, non lo so, ma neanche mi interessa saperlo.
Non ho bisogno di aiuto perché non riuscirei a farmi aiutare.
Quella foto è felice, perché sto andando verso il mio obiettivo. Quella foto è triste, perché io non sono felice di come ci sto andando. Quella foto è orgoglio, perché sono rientrata nel mio vestito preferito. Quella foto è codardia, perché non riesco a capire che non è il modo giusto di farlo.
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ca-la-bi-yau · 4 years ago
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Mi ricordo tutto
Mi ricordo tutto, mi ricordo tutto di due anni che hanno segnato, in un modo o nell'altro, la mia vita. Mi ricordo la prima volta che sei entrata in aula VI e quando poi mi hai detto che quel giorno ti guardai male. Mi ha sempre fatto male quando dicevi così, che ti guardavo male e mi sono sempre chiesto se eri tu a vedermi così, se ero io ad avere uno sguardo così o se in viso sono scavato e scolpito da tristezza e rabbia. Non l'ho ancora capito. Mi ricordo la prima volta che mi hai chiamato, da san lollo, di notte e io mi sentivo per la prima volta impotente, lontano, incapace di aiutarti ma anche allora mi sarei fatto mezza Roma per venire da te. Mi ricordo quant'ero impacciato, quella notte di febbraio, in cui tu per la prima volta mi cercavi ed io ero spaventato, a morte, dallo scoprire una nuova intimità. Ricordo tutto il periodo successivo, fino a giugno, in cui ci siamo cercati, continuamente, fino a quel giorno, fino a quella piazza di quel lunedì e quella sera in cui finalmente ci incontravamo e accendevamo la prima miccia della prima bomba. Ricordo la bottiglia d'olio che spaccai, io, come al solito, il solito disastro. E poi ricordo tutto, ricordo tutte le volte che ho cucinato e tu lavavi i piatti, tutte le volte che hai cucinato tu e io, canticchando lavavo i piatti. Mi ricordo le pizze, le colazioni, i pranzi e le cene ad orari sempre continuamente sballati, tra una sessione d'amore e l'altra, tra il sesso e il dolce far niente. Mi ricordo la nostra prima estate, in cui abbandonavo per un po' le ansie e i progetti per la tesi per lasciarmi andare, con te, te... Un'estate in cui imparavo ad amarti, in tutti i sensi, mi ricordo Bari e Polignano e tutti tutti i posti che abbiamo girato, il mare e le canne e casa dei tuoi e tutte le giornate passate a scopare senza mai voglia di smettere, e le canne e Stalin e Milù e tutto, tutto quanto, le birre che tua madre mi offriva per il viaggio, la cena che preparó per noi e i panzerotti in giro, le peroni a 2 o 1 euro, le prese in giro, e ancora le canne e il lungomare di notte e l'imbarazzo ma anche tanto tanto amore. Mi ricordo tutto, anche le litigate, le volte che ci siamo feriti, attraversati, accarezzati, spinti via. Ricordo le mie crisi e le tue e come abbiamo a poco a poco imparato ad avvicinarsi un po' cercando di non ferirsi. Ricordo quando mi hai preso, raccolto, sostenuto mentre mi stavo buttando via e così tornavo a terapia, a farmi aiutare. Ricordo tutte le volte che mi hai accolto, abbracciato, fatto sentire al sicuro, nonostante quel che ero. Ricordo tutte le ore di studio perse perché qualcuno dei due aveva bisogno di piangere e il freddo delle panchine della sapienza e lo stringersi, starsi vicino, asciugarsi le lacrime. Ricordo i pranzi sul pratino, le battute, il giocare continuamente, prendersi in giro, i tuoi pasti da uccellino, la mia mela nello zaino. Se ci provo, ricordo ogni bacio che mi hai dato, da quelli più forti, dominanti, come a prendersi a morsi e quelli più dolci, quelli abbandonati, quelli arrabbiati, quelli bagnati dalle lacrime. Ricordo la prima volta che ti dissi Ti amo, ricordo tutte le volte che ti ho accompagnato a casa, i notturni, i tram, le feste, i gelati, le cene improvvisate, il ramen a termini, le brutte disavventure in stazione, tutte le volte che ti ho accompagnato in stazione con valigie più grandi di te e le volte che ti ho atteso dall'altra parte fremente, in attesa di abbracciarti e baciarti forte. Non ho voglia di ricordare le cose negative. Non ne ho voglia e non ne ho la forza. Mi ricordo quando ballavamo a piedi nudi in casa su Janis Joplin e come, dopo una giornataccia, lo stesso, su note immaginarie, su Patti smith, su quella spiaggia piena di conchiglie blu. Ricordi sparsi, ricordo casa a san giovanni e il davanzale e un qualsiasi mobile su cui mi sarei seduto a fumare, ricordo le altre case, ricordo ogni particolare delle case in cui sei stata, della tua stanza, qualsiasi cosa, le coperte, il telo, le lucine, i tuoi libri e il tuo disordine che assieme al mio creavano un caos niente male, tra lubrificanti, preservativi e frammenti sparsi di vita. Ricordo con precisione la tua voce al mio orecchio e i tuoi gemiti e i miei gemiti, le tue urla e il nostro supplicare, i tuoi e i miei orgasmi. Ricordo tutto, le città che abbiamo visto insieme e tutte quelle di cui abbiamo parlato, su qualche terrazzo con qualche canna in mano, ricordo tutti i giri per Roma che abbiamo fatto, dalle prime volte alle ultime, dal Colosseo al tufello, le mostre, i biscotti a trastevere. Mi ricordo tutte le manifestazioni, le proteste organizzate insieme, i cartelli, le foto, le tue foto e ancora oggi le uniche foto che ho di me, le uniche foto che non odio sono le tue e tutte quelle che abbiamo insieme. Ricordo tante tante cose, ricordo tutto anche se non tutto mi va di ricordare e potrei andare avanti per ore a elencare i momenti stupendi passati insieme ma il cuore mi si stringe, gli occhi si bagnano e sento di non aver molto altro da scrivere.
Ricordo quando ho sentito il mio cuore spezzarsi in più punti, più volte. E ricordo anche il momento in cui ho sentito e visto scricchiolare e poi cedere il tuo. E ora, che posso fare, ora che è andata così? Avrei potuto fare molto prima. Ora sto per andare a farmi una radiografia, l'ennesimo problema di questi mesi infiniti, che non finiscono mai, mesi in cui sembra che niente, niente, niente debba andare bene. E ripenso che hai ragione, avrei potuto fare tanto altro, avrei potuto non spezzarti il cuore in quel modo, avrei potuto presentarmi da te con dei fiori in mano e tanto altro, ma non l'ho fatto. Non l'ho fatto. Anche se con i metodi più sbagliati, ferendo la persona che amavo, avevo bisogno di quella distanza, di quella solitudine, dolorosa, pesante, insostenibile a volte ma necessaria. Mi sento morire ogni volta che leggo, che sento o che mi dici che stai male e so che quanto è responsabilità mia e mi sento morire ogni volta che penso che sarebbe bastato poco per evitare tanto dolore, dolore da entrambe le parti, dolore appunto evitabile. Mi sento male ogni volta che ti leggo e capisco come ti senti. E capisco quanto sia difficile, forse impossibile, farti cambiare idea, farti capire che tu per me non hai mai smesso di essere importante, di essere così importante... E ora sei diventata anche un enorme macigno che pesa sul mio cuore. Anche il mio cuore è spezzato, si è spezzato nel momento in cui ho capito, in quell'istante in cui ho realizzato che stare con la persona che amavo non mi faceva stare bene come volevo, come pensavo sarei dovuto stare, non mi faceva provare quel che pensavo avrei dovuto provare. Non ho voglia di tirare fuori ancora la paura, la rabbia, la tristezza, tutte quelle emozioni provate e di cui in questo momento sono saturo. Non scrivo quasi mai qualcosa così di getto, da pubblicare, senza rileggerla ma se non lo facessi mi perderei nelle mie solite masturbazioni mentali e cancellerei tutto di botto. Invece mi sento di scrivere qui, sul mio blog, sul mio diario dove sei tu l'unica che mi legge, l'unica che mi conosce. E anche, in senso lato, sei ancora la persona più vicina a capire il mio io, la persona che ha compreso di più la persona che io sono, la donna che mi ha amato e per questo ha dovuto soffrire tanto, per colpa del mio ego, del mio narcisismo, del mio dolore, del mio non stare bene con me e con gli altri. Tante cose sono cambiate in questo 2020. A volte mi sento solo un po' più vuoto ed invecchiato. Anche se so che non è così, anche se so che quel vuoto che mi ha sempre accompagnato non è più come prima, è ridotto, è combattuto, per una volta. A volte mi sento solo ancora un bambino sballotatto in una vita da adulto. Mi voglio un po' più bene, mi conosco un po' di più, forse questo è il mio grande traguardo di quest'anno.
Ti devo tante cose. Ti devo un mazzo di fiori e forse altre scuse. Ti devo tante cose. Vorrei tornare indietro, asciugare ogni tua lacrima, abbracciarti ogni volta che ne senti il bisogno, vorrei tornare ad essere la persona che ti faecva sentire bene, che ti faceva sentire i tuoi diciannove anni, vorrei non essere la persona di cui hai paura, la persona che ti fa soffrire, il carnefice, l'assassino, l'heartbreaker. Vorrei tornare indietro, forse o forse no. vorrei solo fare le cose diversamente. Non scambierei i traguardi raggiunti quest'anno con niente, però continui a mancarmi, continua a mancarmi il tuo amore, continua a mancarmi il mio amare. Non baratterei i cambiamenti che ho fatto, la persona che sono diventato, avrei voluto solo farli con te, cambiare con te, evolvere con te. Era possibile ma non l'ho creduto tale. E per questi e tanti altri motivi continuo a tormentarmi e continuerò ancora, non so per quanto. Quando ci siamo visti non ho saputo darti tutte le risposte che volevi, non ho saputo risponderti come forse avresti voluto ma ti ho ascoltata, ti ho ascoltata fino in fondo, ho visto la persona che sei diventata e ho capito molto, di te, di me, di noi. Avrei voluto sapere cosa dire, avrei voluto avere tutte le risposte, avrei voluto non provocare e vedere quelle lacrime, quell'ansia, quella paura. Vederti piangere mi ha colpito al cuore, come una coltellata, un'altra volta... ma ero sempre io ad avere in mano la lama e come un pazzo continuo ad agitarla e ad affondarla, un po' a turno, dentro te e dentro me.
Avrei tante cose da dirti ma non te le dico, non so perché. Anche quando ci siamo visti non sono riuscito a dirti tutto, le cose belle e le cose brutte che ho passato e vissuto, la persona che sono diventato e quella che sto diventando. Non sono riuscito a farti cogliere, penso, tutti i cambiamenti che ho fatto, forse perché non ne ero in grado, davanti al tuo sguardo, non ero in grado di reggerlo e forse ho fatto come al solito, mi sono rifugiato in una pantomima, in una sceneggiata, ho messo su una maschera e non mi sono comportato molto diversamente da come facevo prima e di questo mi dispiace. Ancora una volta ho nascosto il mio vero io, forse perché fragile, sì, perché il mio io e la mia identità sono ancora fragili, in fase di costruzione e ricostruzione. Come umano, come persona, continuo a farmi e a disfarmi, a rifarmi, scompormi e ricompormi. Sto cercando di diventare una persona migliore di quella che sono stata con te.
Avrei tante cose da dirti ma non te le dico, continuo a scrivere, fumo e scrivo, scrivo tanto, scrivo per te, scrivo di te.
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hessathaliaarcher-blog · 6 years ago
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.     –––––  𝐘𝐄𝐒𝐓𝐄𝐑𝐃𝐀𝐘 𝐀𝐅𝐓𝐄𝐑𝐍𝐎𝐎𝐍  –––––                𝘵𝘢𝘭𝘬𝘪𝘯𝘨 𝘸𝘪𝘵𝘩 𝘑𝘰𝘴𝘦𝘱𝘩, 𝘐𝘷𝘢𝘯 𝘢𝘯𝘥 𝘈𝘢𝘳𝘰𝘯   w/Joseph [...]   Quindi ho deciso una cosa.   Cosa...?   Parlerò con questo tipo.   No. Non ti ho mai vietato nulla ma questo te lo vieto.   Invece sì. È mio dovere, jo. Non starò a guardare.   Non te lo permetto.   È una mia decisione. Che ti comunico perché ti dico tutto, non era un chiedere il permesso.   Non puoi conoscere il tipo, potrebbe essere pericoloso. E credevo che le decisioni le prendessimo in due.   Joseph è il fratello di Benjamin. Non mi farà niente. Le prendiamo in due ma tu l’hai posto come “ti vieto”.   Non puoi saperlo!   Per favore sostienimi. Ti prego.   Non lo farò, non questa volta. Non ti permetterò di metterti in pericolo.   Va bene. Mi dispiace.    Se andrai a cercare quel tizio, allora avremo un problema anche tra noi due.    Non lo cercherò, lo farò venire.   Allora avremo un problema.   Joseph io non la posso perdere.   Non ti sto dicendo di abbandonarla, ma di non metterti in pericolo con quel cazzo di tizio. È uno psicopatico che fa morire la gente! E tu sei egoista.   Io sono egoista?!   Si, sei egoista.   Non mi aspetto che tu capisca ma ho già perso uno zio non ne perderò un altro! E lo so che sei preoccupato, lo sarei anche io.   Perché pensi di non puoi perdere tua sia ma non te ne fotte nulla se io potrei perdere te.   Ma non posso tirarmi indietro perché non ha nessun altro, nessun altro.    Se anche lei potrebbe perdere te. Dunque, sì, sei egoista.   Ma cosa dici ma come potrei morire?   Non puoi conoscere quel fottuto tizio! Non puoi sapere se gira armato, se in quel momento è fatto e potrebbe farti del male.   Sono a casa mia e ho zia esattamente accanto se dovesse succedere qualcosa!   Tu non capisci.   Io capisco. Lo so. Lo so cosa provi ma ti devi fidare di me.   Questa volta non hai il mio appoggio, non ti sosterrò.    Va bene.   Se fai venire quell'uomo in casa nostra o se ti metti in pericolo in qualsiasi altro modo, avremo un problema grande.   Come vuoi.    Bene.   Mi dispiace.    Farai ugualmente di testa tua.   Sì.   [...]   w/Ivan   ( incoming call ) « ... »   «P-pronto?»   « Avanti, spara. »   «Credo sia- un attacco di panico, o qualcosa del g-genere.»   « Va bene, parlami, allontaniamolo. che stavi facendo? »   «Ho scritto allo spacciatore di zia...»   « - cosa gli hai scritto? »     «Di venire a casa mia questo tardo pomeriggio.»   « Joseph è lì? »   «N-no ci ho... l-litigato in modo brutto. Non... non vuole tornare a casa per i prossimi giorni.»   « Cosa vuoi dirgli? »   «Di sparire o lo denuncerò?»    « Hessa, tesoro mio... »   «Cosa...?»   « Non è proprio il caso. »   «È il c-caso. Il senso è q-quello. Per quanto sembri... sbagliato.»    « Non lo è. Non sai con chi hai a che fare e non sai come potrebbe reagire, è una minaccia. Cosa credi che farà? Non penso ti chiederà scusa, chiuderà baracca e burattini e ti ripagherà in qualche modo i danni. Nemmeno è lui la vera causa dei problemi di tua zia, lui è solo un di più. »   «Se alza le mani su di me zia non lo vorrà più vedere.»   « Non sei stupida, Hessa. Non comportarti da tale. »   «Non lo sono. E ci ho riflettuto.»   « Evidentemente non abbastanza. Devi aver battuto la testa o non me lo spiego. Non esiste che tu faccia una cosa del genere. »   «Andrà bene... ho solo paura che... J-Jo non torni più da me. E un po' di questo tipo, un po' anche di lui...»   « Hessa, ascoltami bene. Prendi il telefono, scrivigli di nuovo, digli che non deve passare oggi, o domani, mai. Quando tornerò a New York ti aiuterò io a risolvere tutto ma oggi non devi vederlo. Lo facciamo insieme, te lo prometto. »   «Ti prego non... dirmi cosa devo fare. Ti scriverò subito dopo, te lo prometto.»    « HESSA! NON - non puoi dire ad uno spacciatore di venire a casa tua e minacciare di denunciarlo, ti rendi conto di quanto stupido sia? Potresti farti male e per quanto possa sembrarti una buona idea ora, è pessima. Non ti farai mettere le mani addosso di proposito. »   «Non urlarmi! Non credo lo farà davvero, non credo sia davvero COSI' stupido.»   « E puoi basarti su quello che credi farà o non farà? Se lo facesse? Hessa - io - »   «Invece posso, e andrà bene. E se non vorrà smettere di vederla, mi assicurerò che smetta di portare quella merda, almeno. Troverò un modo.»   « Chiama qualcuno, almeno. »   «In che senso?»   « In casa, con te. »    «Ti farò sapere come va. Volevo solo... sfogare con qualcuno.»   « Voglio che tu mi scriva appena arriva e che mi chiami appena andrà via. »   «Va bene, lo farò.»   « Joseph tornerà sicuramente a casa, comunque. Di questo sono sicuro. »   «E se non lo facesse?»   « Lo farà, non è stupido. »   «Se smettesse di amarmi per questa cosa?»   « Ho appena detto che non è stupido e tu gli dai del totale rincoglionito? »   «Non ha voluto trovare una soluzione insieme...»   « Andrà bene, tornerà a casa. Ma se vuoi fare questa cosa, devi preoccuparti di una questione alla volta. »   «Sì, va bene... scusami se ti ho disturbato.»   « Non mi hai disturbato, lo sai che puoi chiamare quando hai bisogno. Sono qui. »   «Non voglio perdere anche zia...»    « Non pensarlo neanche per sbaglio, non le succederà niente. Non succederà niente a nessun altro. »    «Nemmeno a te, o a zia Victoria, o a zio Felipe?»    « Nemmeno a me, a zia Victoria o a Felipe. »    «Siete la mia famiglia.»    « E tu la cosa più importante che abbiamo. Quindi non fare danni. »    «Non ne farò, sono abbastanza convinta che sarà inutile ma almeno dovevo provare.»    « Continuo a pensare non dovresti, ma so che farti cambiare idea è impossibile. »    «Già. Ti scriverò subito dopo, te lo prometto.»    « Va bene. Ma fa attenzione. »    «Sì... a più tardi.»    w/Aaron      «La nipote di Eva? Molto carina -- più carina di quello che avrei potuto immaginare.»    «Tanto carina quanto impegnata. Prego. Le offrirei un caffè ma non credo sia l'orario adatto.»    «Impegnata? Accidenti -- anche se ciò giustifica i rumori di ieri sera. Fingeva per non fare rimanere male il fidanzatino o è sempre così rumorosa?»    «Non credo debba essere suo interesse cosa faccio o non faccio con il mio uomo. Di certo non l'ho chiamata per discutere della mia relazione.»      «Per cosa, allora.»    «Per mia zia, ovviamente.»    «Mi dica pure.»    «Non voglio che vi vediate.»    «Sono le sue parole o quelle di sua zia?»    «Sono le mie parole.»    «Perdoni le mie parole ma la sua parola non vale nulla, per me.»    «Non mi aspettavo parole diverse. Ma la prossima volta che vedrò, sentirò o saprò che è con mia zia, non le manderò un messaggio con scritto "non lo faccia più".»    «Vedrò ancora sua zia, non mi fa paura.»    «Bene, poi chiediamo direttamente alla polizia di New York cosa ne pensa di quello che porta a casa di mia zia?»    «Non so di cosa lei stia parlando ma credo che per delle accuse del genere, la polizia di New York vorrà delle prove solide.»    «Che sarò tranquillamente in grado di fornire. Inoltre una denuncia comporta indagini. Quindi glielo dico un'altra volta. Non voglio che porti quella merda a casa di mia zia. Mai più. Non voglio che lei sia fatto quando è a casa sua, né che faccia entrare quello schifo. Il paradiso sarebbe non vederla mai più, ma se ci tiene così tanto lo faccia, ma quelle schifezze rimangono fuori dalla sua vita.»    «Quali prove è in grado di fornire? Perché non mi pare che lei abbia prove. E ieri sera non ho portato nulla di ciò che pensa a casa sua. Prima di accusare qualcuno, ci pensi e si informi meglio.»    «È un problema mio quali prove intendo fornire. E so di capodanno, quindi non voglio prese per il culo. Benjamin lo sa di avere un fratello drogato?»    «Benjamin non sa nulla di me come lei. Non mi conoscete e puntate immediatamente il dito. Mi denunci, signorina. Faccia aprire un'intera indagine su di me! Lei non è nessuno per intromettersi nella vita delle persone. Sua zia è venuta da lei a farle dei teatrini su chi vede? Sui suoi amici? Perché, sono sicuro che se si scava a fondo, chi la circonda non è tanto meglio di me. Se voglio vedere sua zia, continuerò a vedere sua zia. Lei abbia il buonsenso di stare al suo posto.»    «Puntare il dito? Io parlo solo di ciò che so, non mi sembra di aver dato alcun giudizio o parere su qualsiasi altro aspetto della sua vita. Non me ne frega niente di lei, di cosa vuole e cosa non vuole, tutto ciò che conta è che quella roba stia lontana da mia zia. E se non comprende questo semplice concetto è perché forse non sa cosa significa non voler perdere qualcuno. Non mi interessa nient'altro. Terrà quello schifo lontano, sì o no?»    «Parla senza sapere. E, giusto per specificare, ieri sera ero pulito quando sono venuto da sua zia. Non capisco perché insistere tanto.»    «Perché a capodanno non lo era. Le sembra tanto strano che mi preoccupi?»    «Ho sempre creduto che persone come me fossero destinate a restare sole. Ma, sa, questa sera mi ha fatto cambiare idea: ci sono anche persone come lei che non stanno al suo posto, e si buttano in situazioni che non sono per loro. Impari a stare al suo posto, o ogni persona che le è vicino, andrà via. A nessuno piace chi vuole controllare una vita.»    «Il problema è che lei non comprende la differenza tra voler controllare e preoccupazione. Il suo rispondere così mi dà una risposta più che ovvia, e cioè che intende tentarla, ancora una volta. Grazie per il suo tempo, sinceramente non credo di avere più nulla da dire ad un tossico. E non piagnucoli su quanto venga giudicato senza che la gente la conosca, è colpa sua, lei non trasmette altro.»    «Nemmeno lei comprende la differenza, A quanto pare. Buona giornata, signorina.»                   _ ₁₈|₀₁|₂₀₁₉ _
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primusliber-traduzioni · 8 years ago
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With Confidence - Better Weather
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C'è qualcuno?
Mi serve il tuo aiuto e sono da solo
E stavo pensando che non so dove andare
(da: Keeper)
1. Voldemort
Voldemort
   Mi ricordo la prima sera che mi ha detto
"Bah, magari ce la posso fare anche solo con le mie forze"
E nonostante tutte le rassicurazioni e le ricadute, non resterai da sola
   E lo so che sei in attesa che arrivi il bel tempo
E non ti posso promettere che ci sarò per sempre
Se c'è una cosa di cui sono sicuro è che stiamo bene insieme
Se c'è una cosa di cui sono sicuro è che stiamo bene insieme
   E cercherò di sostenerti nei periodi in cui non ce la farai
Anche se c'è brutto tempo, alla fine migliora
Da sola, da sola non ce la fai
   Mi ricordo la prima sera che è andata a cercarsi il suo posticino in questo mondo
Impossibile dimenticare come si è liberata delle catene
Ne aveva proprio bisogno
Si è lanciata di corsa
   E lo so che sei in attesa che arrivi il bel tempo
E non ti posso promettere che ci sarò per sempre
Se c'è una cosa di cui sono sicuro è che stiamo bene insieme
Se c'è una cosa di cui sono sicuro è che stiamo bene insieme
   E cercherò di sostenerti nei periodi in cui non ce la farai
Anche se c'è brutto tempo, alla fine migliora
Da sola, da sola non ce la fai
   Cercherò di sostenerti nei periodi in cui non ce la farai
Anche se c'è brutto tempo, alla fine migliora
Da sola, da sola non ce la fai
Cercherò di sostenerti nei periodi in cui non ce la farai
Anche se c'è brutto tempo, alla fine migliora
Da sola, da sola, da sola, da sola, da sola non ce la fai
       2. Keeper
Custode
   Mi serve il tuo aiuto per queste cose
Non posso continuare a fare gli stessi errori
C'è qualcosa che mi sono perso?
Non riesco a capirlo, a capirlo
Cerco di non pensare a casa per non affogare nella disperazione
Non posso andare ancora avanti da solo
Ho bisogno di qualcuno con cui fare un po' di conversazione
Ho bisogno di te
Non posso tornare a casa
   C'è qualcuno?
Mi serve il tuo aiuto e sono da solo
E stavo pensando che non so dove andare
Sprofondo lentamente tutto solo nei pensieri
   Non volevo farli soffrire
Non sono proprio riuscito a trovare una soluzione
E anche se è andato tutto a rotoli
Non riesco comunque a capirlo, a capirlo
E mi immergo a tal punto nel mio cervello che non riesco a dormire
Mi sa che sto perdendo tutti gli amici
Lo sai che il diavolo fa sul serio
   C'è qualcuno?
Mi serve il tuo aiuto e sono da solo
E stavo pensando che non so dove andare
Sprofondo lentamente tutto solo nei pensieri
   C'è qualcuno?
Mi serve il tuo aiuto
   C'è qualcuno?
Mi serve il tuo aiuto e sono da solo
E stavo pensando che non so dove andare
Sprofondo lentamente tutto solo nei pensieri
C'è qualcuno?
Mi serve il tuo aiuto
C'è qualcuno?
Mi serve il tuo aiuto
       3. Archers
Arcieri
   Volevo abbastanza andarmene da questo posto in cui mi sono ritrovato
Perché è un casino, maledizione
Mi sa che mi sono perso tra una piega e l'altra
Volevo abbastanza vedere i posti in cui volevo andare
Per cui tutte queste cose se ne vadano affanculo
Sono troppo ordinarie
   Tu tienimi per mano anche solo per un secondo
Resterò qui per un intero minuto
   Siamo le spade e siamo gli arcieri che non si sono accontentati di una struttura normale
Quindi vediamo di godercela alla faccia di chi ci ha detto di fare una vita che non volevamo
   Per cui resta sempre col cuore in mano e tieni gli occhi sulla strada
Ché a tornare alla normalità di casa nostra il viaggio è lungo, maledizione
   Tu tienimi per mano anche solo per un secondo
Resterò qui per un intero minuto
Mi riscoprirò, e non ho mai voluto vedere altro
   Siamo le spade e siamo gli arcieri che non si sono accontentati di una struttura normale
Quindi vediamo di godercela alla faccia di chi ci ha detto di fare una vita che non volevamo
Ho visto la luce che brillava fredda
Diventeremo una fiamma e vi costringeremo ad ascoltare
Non ci siamo accontentati di una struttura normale
Siamo le spade e siamo gli arcieri
Siamo le spade e siamo gli arcieri
   Tu tienimi per mano anche solo per un secondo
Resterò qui per un intero minuto
Mi riscoprirò, e non ho mai voluto vedere altro
   Siamo le spade e siamo gli arcieri che non si sono accontentati di una struttura normale
Quindi vediamo di godercela alla faccia di chi ci ha detto di fare una vita che non volevamo
Ho visto la luce che brillava fredda
Diventeremo una fiamma e vi costringeremo ad ascoltare
Non ci siamo accontentati di una struttura normale
Siamo le spade e siamo gli arcieri
Siamo le spade e siamo gli arcieri
   Siamo le spade e siamo gli arcieri che non si sono accontentati di una struttura normale
Quindi vediamo di godercela alla faccia di chi ci ha detto
Siamo le spade e siamo gli arcieri
       4. We'll Be Okay
Andrà tutto bene
   E a guardare che si accende il fuoco
Potrei restare qui tutta notte
Non ho mai voluto la luna
Ho solo chiesto di volare
E potresti essere tu
Potresti essere tu
   Andando sulla 101 sento gli occhi che brillano
A guardare che cadiamo a pezzi
Sapendo che sarà tutto a posto
Potresti essere tu
Potresti essere tu
   E potrei essere fuoco
E potrei essere pioggia
E potrei essere preso da tutto quello che c'è in mezzo
   E hey, so che andrà tutto bene
Nonostante le ondate in arrivo
A dispetto dei giorni che sono contati
Perché anche se si cambia, so che non ci allontaneremmo mai
Cioè, guarda quanta strada che abbiamo fatto
So che andrà tutto bene
So che andrà tutto bene
   E sapendo che il fuoco è acceso
Vediamo di far partire anche noi la fiamma
Crescere facendo a turno
Sapendo che sarà tutto a posto
E potresti essere tu
Potresti essere tu
   E potrei essere fuoco
E potrei essere pioggia
E potrei essere preso da tutto quello che c'è in mezzo
   E hey, so che andrà tutto bene
Nonostante le ondate in arrivo
A dispetto dei giorni che sono contati
Perché anche se si cambia, so che non ci allontaneremmo mai
Cioè, guarda quanta strada che abbiamo fatto
So che andrà tutto bene
So che andrà tutto bene
   Lo sai che le tue parole non vogliono dire nulla
Fanno male quanto una puntura d'ape
E lo sai che le tue parole non vogliono dire nulla, non vogliono dire nulla
   E hey, so che andrà tutto bene
Nonostante le ondate in arrivo
A dispetto dei giorni che sono contati
Perché anche se si cambia, so che non ci allontaneremmo mai
Cioè, guarda quanta strada che abbiamo fatto
So che andrà tutto bene
So che andrà tutto bene
       5. Gravity
Gravità
   E anche una volta finito il tour continuerò a vederlo nel sonno
E anche una volta vinta la guerra continuerò a sentire le urla in lontananza
Non ho mai chiesto la luna
Quello che mi serve lo so benissimo
E anche una volta spenta la luce continuerò a conservarla
   Potevo fare l'operaio, lavorare dalle 6 alle 3
Seguire le orme di mio padre: lavorare, spendere e dormire
Ma non ce la potevo fare a non seguire la melodia
E la normalità la desidererei solo nei momenti più bui
   Lotto con tutte le mie forze per vedere il domani
Non mi stanco, non chiedo niente in regalo né in prestito
Lotto con tutte le mie forze per vedere il domani
Ho tenuto sempre duro, adesso vedi che mi rilasso
   E anche una volta finito il tour continuerò a vederlo nel sonno
E anche una volta vinta la guerra continuerò a sentire le urla in lontananza
Non ho mai chiesto la luna
Quello che mi serve lo so benissimo
E anche una volta spenta la luce continuerò a conservarla, a conservarla
   Lotto con tutte le mie forze per vedere il domani
Non mi stanco, non chiedo niente in regalo né in prestito
Lotto con tutte le mie forze per vedere il domani
Ho tenuto sempre duro, adesso vedi che mi rilasso
Lotto con tutte le mie forze per vedere il domani
Non mi stanco, non chiedo niente in regalo né in prestito
Lotto con tutte le mie forze per vedere il domani
Ho tenuto sempre duro, adesso vedi che mi rilasso
   Lotto con tutte le mie forze per vedere il domani
Non mi stanco, non chiedo niente in regalo né in prestito
Lotto con tutte le mie forze per vedere il domani
Ho tenuto sempre duro, adesso vedi che mi rilasso
   La gravità, la gravità, ti basta vedere quella, vedere quella
La gravità, la gravità, ti basta vedere quella, vedere quella
       6. Keys
Chiavi
   Quando ti rivedo non ti lascio più andare
Quando ti rivedo, dimmi quello che sai
Sto aspettando da mesi di sentire almeno un'altra volta la tua voce
Lo sa solo Dio per cosa ci hai lasciato, per cosa ci hai lasciato
   Sono rimasto preda dei nostri ricordi
Tutti i simboli della nostra fiducia
E le nostre parole intrise di polvere
E ho le pareti ricoperte dal tuo nome
Sento dolore a ogni respiro che faccio
E non ti sentirò mai più parlare, mai più parlare
   Dovevo farti da protezione, da protezione
Dovevo vedere la tua direzione, direzione
Non dovevi scomparire, so quanto fa star male
Con tutto quello che potevamo avere e tutto quello che vali
E io dovevo farti da protezione, da protezione
   Continuo a pensare a te
Senza di te sono nudo
È per te che sono ancora qui
E adesso che te ne sei andata non riesco a voltare pagina
Mi sembra tutto poco chiaro
Come mai ci hai lasciati così
Non dovevi scomparire, so quanto fa star male
Con tutto quello che potevamo avere e tutto quello che vali
   Dovevo farti da protezione, da protezione
Dovevo vedere la tua direzione, direzione
Non dovevi scomparire, so quanto fa star male
Con tutto quello che potevamo avere e tutto quello che vali
E io dovevo farti da protezione, da protezione
   Tu non sei solamente le foto appese al muro
Ti portiamo nel cuore per non farti cadere mai e poi mai
Siamo il vento che ti spinge verso casa
Prenditi un pezzo di noi per non restare mai sola
Tu non sei solamente le foto appese al muro
Ti portiamo nel cuore per non farti cadere mai e poi mai
Siamo il vento che ti spinge verso casa
Prenditi un pezzo di noi per non restare mai sola
Tu non sei solamente le foto appese al muro
Ti portiamo nel cuore per non farti cadere mai e poi mai
Siamo il vento che ti spinge verso casa
Prenditi un pezzo di noi per non restare mai sola
Non restare mai sola, non restare mai sola
Dovevo farti da protezione, da protezione
E dovevo vedere la tua direzione, direzione, direzione, direzione
   Dovevo farti da protezione, da protezione
Dovevo vedere la tua direzione, direzione
Non dovevi scomparire, so quanto fa star male
Con tutto quello che potevamo avere e tutto quello che vali
E io dovevo farti da protezione, da protezione
No, dovevo farti da protezione, da protezione
Dovevo farti da protezione
       7. Long Night
Lunga notte
   Ti prego, puoi girarti e guardarmi
Dopo tutto quello che c'è stato e che c'è ancora?
Ti prometto che farò il bravo se resti con me
Ma quello che c'era se n'è andato con un solo movimento della lingua
E un sapore amaro che non ricordo, che non so spiegare
   Ma mi ricordo le notti che venivi a letto con me
Che restavamo a parlare, a toccarci e ci addormentavamo
Mi risvegliavo tra le tue braccia e mi sentivo bene
Sarà una lunga notte
   Ho ancora la tua maglietta nel cassetto
Quella a righe che ti era piaciuta nel negozio
Ma è cambiato tutto, io ho voluto avere di più
Guarda quanto piove, guarda quanta acqua scende
E bagna le certezze che abbiamo provato a stabilire
Non posso trovare un'altra, non posso fuggire da te ormai
   Ma mi ricordo le notti che venivi a letto con me
Che restavamo a parlare, a toccarci e ci addormentavamo
Mi risvegliavo tra le tue braccia e mi sentivo bene
Ma adesso ci sono solo io e resto sveglio
E mi giro e mi rigiro e vedo la tua faccia
Quando mi risveglio dopo un sogno non se ne va più via
Sarà una lunga notte
   Ma mi ricordo le notti che venivi a letto con me
Che restavamo a parlare, a toccarci e ci addormentavamo
Mi risvegliavo tra le tue braccia e mi sentivo bene
Ma adesso ci sono solo io e resto sveglio
E mi giro e mi rigiro e vedo la tua faccia
Quando mi risveglio dopo un sogno non se ne va più via
Sarà una lunga notte
       8. Dinner Bell
Campanella della cena
   Smettila di vedere cose che non ci sono
Mi storti le dita, arrivi con l'inverno
Il tuo profumo non rimane nell'aria
Mi fai annegare in un mare di caramello
È dolcissimo, però così non respiro
Mi fai suonare come la campanella della cena
Rimani ma non te ne vai
   E io, io non vorrei dirtelo
Non vorrei dirtelo
Ma io, io non so dove andare
Non so dove andare
   Perdo sangue sulle tue lenzuola?
Coloro tutto di rosso?
Non è il mio cuore che batte?
Sei tu la voce che sento nella testa?
   E io, io non vorrei dirtelo
Non vorrei dirtelo
Ma io, io non so dove andare
Non so dove andare
   Mi sa che tornerò a nascondermi sottoterra
E brucerò per i peccati che mi hai trovato
Nell'angolo di camera mia dove c'è la rabbia
Con la mente annebbiata le anime si separano
Giunto a metà della mia vita
Sto lì a fissare le pareti del disprezzo completamente spoglie
In mezzo alle stelle siamo solo granelli di polvere
Che sono entrati portati dal vento e sono arrugginiti
Ci sono diciotto passi di distanza, dopodiché ti passo davanti
E i colori del cosmo ti faranno piangere
E ogni lacrima che versi mi darà da pensare
E le nostre mani toccandosi si stringeranno
   Mi sa che tornerò a nascondermi sottoterra
Mi sa che tornerò a nascondermi sottoterra
       9. Higher
Più in alto
   Mi è entrata in un orecchio strisciando
Come un verme solitario che mi diceva le cose che volevo sentirmi dire
Le sono sfuggite di bocca le parole
Assieme a tutto quello che non ho fatto
E un "sei lì da sola?"
   E potrei diventare una cicatrice
Portami al cuore, divoratelo tutto
Potrei diventare il tuo unico desiderio
E anche quando è finita dimmi che sono il sole
Tesoro, vedrai che ti faccio volare
Tesoro, vedrai che ti faccio volare
   Le sue labbra erano vicine alle mie
Dimmi che mi volevi
Abbiamo preso fiato insieme
Il profilo della tua pelle
Dimmi che mi prometti di non raccontare mai nulla
   E potrei diventare una cicatrice
Portami al cuore, divoratelo tutto
Potrei diventare il tuo unico desiderio
E anche quando è finita dimmi che sono il sole
Tesoro, vedrai che ti faccio volare
E potrei diventare una cicatrice
Portami al cuore, divoratelo tutto
Potrei diventare il tuo unico desiderio
E anche quando è finita dimmi che sono il sole
Tesoro, vedrai che ti faccio volare
   La polvere sul davanzale della tua finestra, mossa dal freddo della sera
Il rosso del vino che rovesci macchia come la tua strage della mezzanotte
Non viene via con la candeggina
La sensazione di avere questo piccolo dubbio è una cosa con cui ormai convivo
   E potrei diventare una cicatrice
Portami al cuore, divoratelo tutto
Potrei diventare il tuo unico desiderio
E anche quando è finita dimmi che sono il sole
Tesoro, vedrai che ti faccio volare
E potrei diventare una cicatrice
Portami al cuore, divoratelo tutto
Potrei diventare il tuo unico desiderio
E anche quando è finita dimmi che sono il sole
Tesoro, vedrai che ti faccio volare
Tesoro, vedrai che ti faccio volare
Tesoro, vedrai che ti faccio volare
Tesoro, vedrai che ti faccio volare
Tesoro, vedrai che ti faccio volare
       10. Waterfall
Cascata
   Questo è un grido d'aiuto dal blu profondo del Pacifico
Senti la mia voce che fa eco alle onde che spingono verso di te le onde sonore
Chissà se ce la farà ad arrivare fino alla tua stanza illuminata da un paio di candele
E nella tua dolce foschia di dicembre mi ero innamorato di nuovo
Mentre la sabbia scendeva dentro la triste clessidra della verità
Se ne andrà col passare dei giorni?
Conserverà la tua grazia?
Beh, comunque vada mi ricorderò di te
   Questa è una richiesta di verità anche quando la marea è crudele
Sento la tua voce, la sento benissimo
Sento la spinta delle tue correnti
Chissà se ce la farò ad arrivare fino alla tua stanza illuminata da un paio di candele
   Dicono che hanno visto che cadevamo a pezzi ma non sono riusciti a trovarci
Dicono che l'avevano previsto fin dall'inizio ma non sono riusciti a guidarci
Dicono che hanno visto che cadevamo a pezzi ma non sono riusciti a trovarci
Beh, comunque vada mi ricorderò di te
   Trovami in mare e dimmi perché non mi hai mai amato
Perché io ti ho dato tutto
Ho dovuto guardare che cadevi
E anche nel silenzio più oscuro riuscivo a sentire e vedere te che mi guidavi
Ma adesso abbiamo perso tutto quanto
Ho dovuto guardare che cadevi giù da questa cascata
   Questo è un grido d'aiuto verso la mancanza di tutto quello che avevamo
La voce mi si è addolcita davanti al tuo sguardo
Una piccola pausa di uno o due
Mi sentivo perso, seduto nella tua stanza illuminata da un paio di candele
   Dicono che hanno visto che cadevamo a pezzi ma non sono riusciti a trovarci
Dicono che l'avevano previsto fin dall'inizio ma non sono riusciti a guidarci
Dicono che hanno visto che cadevamo a pezzi ma non sono riusciti a trovarci
Beh, comunque vada mi ricorderò di te
   Trovami in mare e dimmi perché non mi hai mai amato
Perché io ti ho dato tutto
Ho dovuto guardare che cadevi
E anche nel silenzio più oscuro riuscivo a sentire e vedere te che mi guidavi
Ma adesso abbiamo perso tutto quanto
Ho dovuto guardare che cadevi giù da questa cascata
   Dicono che ci hanno trovati frastornati, non c'eravamo
Non pensavo che sarebbe cambiato qualcosa
Ma tu ora hai rovinato tutte le onde
E le onde non ci fanno più trovare
Non ci troveranno mai
   Trovami in mare e dimmi perché non mi hai mai amato
Perché io ti ho dato tutto
Ho dovuto guardare che cadevi
   "Ora puoi riagganciare per inviare il messaggio
Per ascoltare di nuovo il messaggio, premi 2
Per registrare un nuovo messaggio, premi 3
Per inviare il messaggio..."
       11. Poison
Veleno
   Cadi di nuovo in ginocchio
È sempre il solito andazzo trito e ritrito
Ma non sai fare altro?
Perché per ora hai fatto solo così
Ed è sempre la solita storia
Ma non ti annoi?
   Vedo che voli via da te stesso
Cadi come una foglia d'autunno
Non vuoi fare altro?
   È un veleno?
Sei arrivato dove volevi?
È un veleno?
Non hai bisogno d'altro?
È un veleno?
Sei arrivato dove volevi?
È un veleno?
   E adesso vedo una fiamma nei tuoi occhi
Ma solo una volta sì e una volta no
Sono le ore che stanno in mezzo
Sono quelle le ore in cui combatti
E vedo che cadi, ti hanno legato e ti metti a strisciare
   Vedo che voli via da te stesso
Cadi come una foglia d'autunno
Strappati i punti e vendi e riseminali per me
Cospargi di sabbia le impronte fino all'osso
Vedo che ti sanguinano le dita
Non vuoi fare altro?
   È un veleno?
Sei arrivato dove volevi?
È un veleno?
Non hai bisogno d'altro?
È un veleno?
Sei arrivato dove volevi?
È un veleno?
   Per cui vedi di ripigliarti e impara a stare da solo
Un morso che sa di veleno e la sensazione di essere a casa
Ma ormai è già un bel po' che non ci sei più
Cerca di ritrovarti e impara a lasciar perdere
   È un veleno?
Sei arrivato dove volevi?
È un veleno?
   È un veleno?
Sei arrivato dove volevi?
È un veleno?
Non hai bisogno d'altro?
È un veleno?
Sei arrivato dove volevi?
È un veleno?
   Ed è un veleno?
Ed è un veleno?
       12. Here for Nothing
Qui per niente
   Sono venuto qui per niente
Sono venuto qui per niente
Adesso te ne sei andata
Bah, sto meglio da solo
Stavo raccogliendo i cocci
Cercando di togliere le pieghe col ferro da stiro
Quando tu ti sei alzata e mi hai lasciato qui
Hai fatto di tutto per sparire
   E potevo anche dirti che non ho la forza di reggerne due
Ma porterò anche il tuo di peso
Sopporterò la tua compagnia e il tuo odio
Ti ricordi che ho cercato di ripigliarmi ma tu non hai capito il concetto?
Sei entrata con la forza di un oceano
   E mi hai lasciato a strisciare per terra in camera mia
Ho fatto di tutto, ma a te ancora non bastava
Non sono riuscito a farti annegare, per cui ti ho abbandonata alla corrente
Tenti di distruggermi perché non hai avuto il coraggio di restare con me, di restare con me
   Stavo lottando per non impazzire
Mentre tu lottavi per avere anche le mie briciole
Gran parte della mia mente non l'ho più trovata
Perché tu mi hai accartocciato il cervello, facendomi impazzire
Niente sembra più come prima
Cado come la pioggia
   E mi hai lasciato a strisciare per terra in camera mia
Ho fatto di tutto, ma a te ancora non bastava
Non sono riuscito a farti annegare, per cui ti ho abbandonata alla corrente
Tenti di distruggermi perché non hai avuto il coraggio di restare con me
   E mi hai lasciato a strisciare per terra in camera mia
Ho fatto di tutto, ma a te ancora non bastava
Non sono riuscito a farti annegare, per cui ti ho abbandonata alla corrente
Tenti di distruggermi perché non hai avuto il coraggio di restare con me
   Sono venuto qui per niente
Sono venuto qui per niente
Adesso te ne sei andata
Sono venuto qui per niente
Sono venuto qui per niente
Adesso te ne sei andata
Sono venuto qui per niente
Sono venuto qui per niente
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intotheclash · 7 years ago
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Seconda parte
La coppia era seduta ad un tavolo in disparte, nello spazio esterno di quel minuscolo ristorante. La cornice era da mozzare il fiato. Antichi palazzi signorili incastonavano quella piazzetta di Trastevere, facendola risplendere senza arroganza, come un diamante grezzo non ancora tagliato. A prima vista, i due, avrebbero potuto essere scambiati per una coppia felice in luna di miele, o, quanto meno, per due furtivi amanti in vena di sfidare la gabbia dell'anonimato. Ma un attento osservatore avrebbe sicuramente colto il procedere incerto di chi veleggia su una rotta sconosciuta. Mangiavano poco o niente, parlavano molto. In verità era soprattutto lui a parlare. Troppo e con troppa enfasi. Come un attore consumato che, dopo aver ripetuto la parte un'infinità di volte e limato ogni sbavatura, va in scena la sera della prima convinto di ammaliare e catturare il suo pubblico. Si sentiva in forma, bello ed irresistibile. E bello ed in forma lo era pure, ma di una bellezza stereotipata, da rotocalco rosa. Indossava un impeccabile vestito firmato, grigio scuro, abbronzatura perfetta, denti sfavillanti; proprio non vedeva alcun motivo che potesse impedirgli di fare colpo.
Il problema era che le donne, una parte delle donne, almeno quella, lo vedeva benissimo. Fin troppo evidente. Lo sapeva ancor prima di accettare l'invito a pranzo. Lo sapeva, ma aveva tentato lo stesso. Voltando deliberatamente le spalle all'evidenza. Aveva paura della solitudine e aveva accettato.
Durante il pasto non aveva quasi aperto bocca, tranne che per poche frasi di cortesia e per assaggiare quel cibo, tanto ricercato quanto insipido. Non per mancanza di sale, ma di passione. Era bello, questo sapeva vederlo, ma quella bellezza che arrivava agli occhi era poi incapace di raggiungere la bocca dello stomaco. Niente da fare, la linea doveva essere interrotta. Come se non bastasse, aveva assunto l'atteggiamento del professionista della conquista, era evidente che si sentisse tale. Lei posò la forchetta sul piatto, sbuffò contrariata, si coprì gli occhi con una mano e chiese:"Di che colore sono i miei occhi?"
L'uomo fu colto alla sprovvista. Colpito ed affondato. Non era in grado di rispondere, così cercò, in maniera maldestra, di prendere tempo.
"Come dici Andrea?" Andrea era la donna.
"Ti ho chiesto: di che colore sono i miei occhi? Non è troppo difficile. Puoi farcela anche tu! Non si vince nulla, è tanto per giocare."
"Che razza di domanda è? Dove vorresti arrivare? Non capisco!" Aveva capito bene invece. Non era stupido. Non fino a quel punto, almeno.
"Lascia perdere, non importa. Chissà cosa succede se ti sforzi troppo. Ti faccio la domanda di riserva: quanti giorni sono che ci frequentiamo?"
L'uomo era in difficoltà. Sentiva il sudore iniziare ad imperlargli la fronte. E non era per il caldo. La situazione stava sfuggendogli di mano. E non riusciva neanche a trovare il tasto reset.
"Quattordici!" Quasi urlò. Cazzo, questa era facile!
"Bravo Umberto! Una l'hai presa! Quattordici giorni e non hai trovato un secondo di tempo per guardarmi negli occhi?"
"Non è vero! Nel modo più assoluto! I tuoi occhi sono bellissimi!" Rispose, ma con uno slancio eccessivo e un tono a metà strada tra l'offeso ed il piagnucoloso che la donna trovò infantile e disgustoso.
"Scommetto tutto quello che ho, anche se non è molto, che se ti chiedessi come sono le mie tette, che taglia porto di reggiseno e di che colore è, non esiteresti un istante a rispondere. Ti giocheresti pure il jolly. O sbaglio?"
Certo che non sbagliava! Aveva delle tette meravigliose. Che sfidavano sfrontatamente la legge di gravità. Sulla taglia del reggiseno, nutriva qualche perplessità. Se la giocavano alla pari la terza e la quarta. Non ne era sicuro. Il colore era facile, visto che ne sporgeva un pezzetto. Turchese. Probabilmente coordinato con le mutandine, che, ormai ne era sicuro, non avrebbe mai visto.
"Il tuo silenzio conferma che ho ragione. Eppure ancora avresti potuto salvare la faccia. Sarebbe bastato ammetterlo. Dirmi: è vero, non ho fatto altro che ammirare le tue tette! Non ci sarebbe stato niente di male. Anche se tu ti sei lasciato prendere un po' troppo la mano. D'altra parte a me non dispiace mostrarle. E fino a quando riusciranno a tenersi su da sole, continuerò a farlo. Anche in questo non c'è nulla di male. Solo una sana dose di civetteria. Ma, a rischio di sembrare banale, ti informo che c'è dell'altro."
"Eccome se c'è dell'altro!" Pensò l'uomo. E l'espressione trasognata e vagamente ebete lo tradì di nuovo.
Difatti non sfuggì alla donna. Evidentemente, oltre ad essere decisamente bella, doveva avere un cervello niente male. Non roba che si possa trovare ad ogni angolo di strada.
"Ascolta, Umberto," Era giunto il momento della disillusione, "Facciamola finita. Ho paura che, da adesso in avanti, tutto ciò che potresti dire, non farebbe che aggravare ulteriormente la situazione. Peccato, avrebbe potuto essere diverso. Ma non tra noi due. Questa è la mia parte, stammi bene e addio." Concluse sorridendo e lasciando trenta euro sul tavolo. Prese la sua borsetta, fece un mezzo giro sui tacchi e sparì per sempre dalla vista dell'uomo, accompagnata dallo sguardo di tutti i presenti. O, almeno, di quelli appartenenti al genere maschile.
Erano appena le tre e le si era liberata la giornata. Non aveva voglia di ritornare nel suo appartamento, in un anonimo palazzone della sterminata periferia romana. Aveva bisogno d'aria e di camminare per rammendare le idee. Puntò decisa verso Villa Borghese. Quel polmone verde, che dava respiro a tutto quel cemento che lo circondava, le ricordava vagamente la campagna dove era nata. Scelse con cura una panchina e si sedette a fumare e riflettere. Riavvolse il nastro della sua vita, con particolare attenzione a quell'ultimo anno. non le sembrava di avere davanti un bilancio troppo positivo. La linea spezzettata sul grafico, anche se non cadeva a picco, scendeva inesorabilmente verso il segno meno. Solo il lavoro faceva eccezione. Era un'agente immobiliare, vendere case le piaceva e con la gente ci sapeva fare. Aveva chiuso diversi contratti, alcuni molto travagliati e al limite del possibile; ciò le aveva permesso di guadagnare bene, oltre che in vile moneta, anche nella stima dei suoi colleghi. Ci sapeva davvero fare. Ma, tolto il lavoro, cosa le restava? Tolto il lavoro si poteva tranquillamente parlare di disastro. Disastroso il  rapporto con i suoi genitori, disastroso il rapporto con gli amici, disastroso il rapporto con gli uomini. Già, gli uomini...ma che razza di bestie erano? Aveva trentaquattro anni, era una bella donna, lo sapeva e ne riceveva conferma ogni giorno. Ancora catturava occhi e sorrisi. Allora come mai si ritrovava da sola? Che fosse colpa sua? Certo, era finita da un pezzo l'epoca dei vent'anni. Col passare del tempo, era diventata molto più esigente ed insofferente. Non aveva voglia di accontentarsi, si rifiutava di accettare ciò che non riusciva a digerire. non voleva saperne degli altrui difetti, quelli che, come tutti dicono, poi impari ad amare. Se ne fotteva. E, soprattutto, non era disposta a cambiare, a cambiarsi. Non poteva condividere i sogni con chi, in ultima analisi, era incapace di sognare. O tutto, o niente. Forse davvero era colpa sua! Era diventata insofferente.
Anche gli uomini, però, ci mettevano del loro. E ne avevano da metterci! Anche quell'Umberto, per esempio, non era male...era un bell'uomo, elegante, curato, pulito, in sporadici casi, anche brillante, ma, come tipico della sua "razza", demandava troppo spesso il compito di ragionare al suo fratellino più piccolo. Quanto piccolo sarà stato poi? Tale riflessione la fece ridere come una scema, ma riprese subito il controllo, sbirciando in giro a sincerarsi che nessuno se ne fosse accorto. Le venne in mente un brano di Davide Van De Sfroos, La ballata del Genesio, dove cantava: ho dato retta al cuore e qualche volta all'uccello. Centro. Era ciò di cui aveva bisogno: qualcuno che sapesse dar retta al cuore e all'uccello contemporaneamente. Non le sembrava chiedere troppo!
Accese un'altra sigaretta, guardò l'orologio: le cinque e trenta del pomeriggio. Alzò il viso e, solo allora, si avvide dell'uomo che, non più distante di una quindicina di metri, stava puntando dritto verso di lei. Lo soppesò con lo sguardo e decise che non c'era da preoccuparsi. Era decisamente attraente, si muoveva con estrema leggerezza, sembrava scivolare sul terreno come l’acqua; certo che era vestito in maniera del tutto anonima e pensò che fosse un vero peccato. E peccato anche che l'avesse puntata. Voleva starsene da sola e in silenzio. Niente mosconi a ronzarle intorno. Non oggi.
"Mi perdoni, ma avrei bisogno di accendere." Disse l'uomo senza inflessioni dialettali nella sua voce, sbollando un pacchetto di Pall Mall.
La donna sbuffò infastidita e col tono del: con me non attacca, bello! Rispose:" E' un po' vecchiotta, forse ti conviene provare altrove."
"Non importa che sia vecchia, non a me, comunque. L'importante è che abbia ancora voglia di accendersi e di accendere. Mi creda, non desidero altro."
Lo fissò dritto negli occhi, occhi in moto perpetuo, non inebetiti sulle sue tette. Forse... ma no, l'approccio era stato di una banalità disarmante, così:"Mi dispiace, non ho da accendere" Soffiò fuori in fretta.
"Fa niente, andrò a cercare miglior fortuna altrove. Ma capita anche che le cose siano esattamente come sembrano. Mi perdoni l'intrusione. Le auguro che la sua giornata migliori." Le disse con un accenno di sorriso e guardandola, per la prima volta negli occhi.
Fu sinceramente colpita da quella sorta di congedo. Lo seguì con lo sguardo e lo vide avvicinarsi ad una coppia di anziani, ottenendo, ormai era evidente, quello che stava cercando. Si era comportata come un qualsiasi idiota. Si era dimostrata prevenuta e scortese, Non le piacque affatto il suo comportamento di poc'anzi e tentò di rimediare.
"Ehi!" Gridò, agitando la mano per richiamare l'attenzione dell'uomo. Lui si voltò, le mostrò la sigaretta accesa, sorrise apertamente e tornò a voltarsi per la sua strada.
"Aspettami!" Disse ad alta voce, alzandosi dalla panchina per raggiungerlo. Non lo avrebbe lasciato andare portandosi via un'immagine di lei così odiosa.
"Non serve che si giustifichi, una brutta giornata capita a tutti." La anticipò.
Fu di nuovo colta di sorpresa, le parole stentarono ad uscire, ma parlare era parte del suo mestiere, la parte che le riusciva meglio e se lo ricordò appena in tempo.
"Toccata! Mi sono comportata come una stupida. Ti avevo cucito addosso un bel giudizio precotto. Scusami di nuovo e, credimi, di solito non succede."
"Sono felice per te. Perché, al contrario, di solito, è esattamente quel che succede. Affibbiare etichette sembra essere lo sport nazionale. Altro che il calcio. Forse è come con i cani, che hanno bisogno di marcare il territorio. Allo stesso modo, gli uomini devono orinare sui propri simili per avere l'illusione di saperli riconoscere."
"Posso farti una domanda?" Non capiva cosa le fosse preso, ma ormai era andata.
"Certo, basta che non implichi il dovere di una risposta."
"Ho smesso da un bel pezzo di pretendere."
"Allora puoi andare con la domanda."
"Di che colore sono i miei occhi?"
"Domanda a doppio taglio. Non è così facile come potrebbe sembrare..."
"Lo sapevo, peccato." Pensò la donna, ma, ancora una volta, era giunta a conclusioni affrettate.
"Oggi, con questo sole abbagliante, di un bel celeste trasparente, ma direi che il più delle volte potrebbero essere sul verde, con tendenze al grigio nelle giornate di pioggia." Sentenziò l'uomo, dopo una profonda boccata di sigaretta.
Partì anche la seconda domanda. Partì prima del pensiero, prima che la vergogna per averla fatta le incendiasse il viso:"E le mie tette come sono?"
Lui non si scompose e, senza distogliere lo sguardo da quello di lei rispose: "Dovresti fare più attenzione. Perché, a volte, potrebbe capitare che rubino il palcoscenico agli occhi."
"Posso offrirti un caffè? Per rimediare!"
L'uomo la trapassò con la vista come una freccia di balestra e trapassò anche tutto quello che c'era dietro di lei, per finire dove nessuno sapeva dove. "Rimediare è un verbo privo di significato." Disse "Non c'è possibilità di rimediare al passato; per quanto prossimo. Possiamo solo comportarci diversamente."
"Sarebbe un no?"
"Al contrario, sarebbe un si. Non so se tu ti aspettassi un'altra risposta, nell'eventualità, mi dispiace. Ma io non rifiuto mai un buon caffè." E sorrise.
"A proposito, non ci siamo ancora presentati. Io mi chiamo Andrea." Disse la donna.
"Avrei potuto usare le stesse parole."
"Cosa?"
"Se prometti di non scambiarlo per un segno del destino, sono pronto a farti una rivelazione: anch'io mi chiamo Andrea." Anche se quello non era il suo vero nome. Era quello che si trovava stampato sulla sua carta di identità, sotto alla sua vera foto. La carta non era la sua. Era stata rubata in un'altra città poco prima della sua comparsa nella capitale.
"L'uomo medio si cura se le cose siano vere o false, ma il guerriero no. L'uomo medio procede in modo specifico con le cose che sa essere vere e in modo diverso con le cose che sa essere non vere...Il guerriero agisce in entrambi i casi."
Il libro non concedeva tregue durature.
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