#un suicidio di carriera incredibile
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gabri veiga dopo tutto sto bordello decide di andare in ARABIA a 21 ANNI, non ci posso pensare
#un suicidio di carriera incredibile#sti sceicchi hanno rotto le palle comunque#se continua così altro che premier league#i calciatori andranno tutti lì#complimenti alla uefa per la lungimiranza
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Durante i concerti dell’ultima parte della sua carriera, imbracciando la sua fedele Fender, partiva con il riff leggendario di Sweet Jane e spiegava, con molta autoironia, la sua teoria dei tre accordi con cui ha costruito la sua carriera. Lou Reed è stato una delle figure più grandi della storia della musica rock degli ultimi 40 anni. Lewis Allan Lou Reed nasce a Brooklyn nel 1942. Si trasferisce a Long Island e frequenta buone scuole. Durante il liceo inizia a conoscere la musica pop, ma un primo, decisivo, episodio gli segna la vita: per una diagnosi psicologica di bisessualità, Lou viene sottoposto a diverse sedute di elettroshock, segnandolo per sempre (ne racconta con struggente forza in Kill Your Sons, da Sally Can’t Dance, 1974). Si iscrive alla Syracuse University dove ha un primo incontro fondamentale: suo professore di scrittura creativa è Delmore Schwartz ( a cui dedicherà la leggendaria European Son nel primo album dei Velvet Underground del 1967) che lo incita a cercare forza e letteratura anche nei testi più immediati, come i testi delle canzoni. Reed si laurea nel 1964, dopo aver condotto per anni all’Università una trasmissione radiofonica, Excursions On A Wobbly Railm dal titolo di una composizione del jazzista Cecil Taylor. Della sua fondamentale esperienza con i Velvet Undeground si sa tantissimo, meno della sua esperienza da solista. Amareggiato e tossico, nel 1970 va a Londra, dove svogliato e triste registra un anonimo album omonimo, Lou Reed, che sembra il tramonto di un mito. Ma David Bowie e Mick Ronson, che fanno di tutto per lavorare per lui, sono gli artefici della rinascita, che ha il volto, sfocato e incredibile, di Transformer (1972), album leggenda che lo proietta a re del glam raccontando dei bizzarri personaggi che frequentavano la Factory di Andy Warhol. Nel 1973, il lato oscuro e nevrotico della questione: Berlin è un concept album suggestivo e immortale, una discesa agli inferi insieme ai fiati dei fratelli Brecker, Jack Bruce, Dick Wagner e tanti altri. Nel 1974 altra svolta: Rock’n’Roll Animal è uno dei più grandi live di ogni tempo. Reed prende le canzoni del periodo Velvet e le riveste della forza brutale dell’hard rock, con versioni definitive di Sweet Jane e Rock’n’Roll. Dopo il mezzo passo falso di Sally Can’t Dance, nel 1975 il suo disco più criticato: Metal Machine Music passa dall’essere il capostipite del noise rock, ad una pagliacciata fino ad una clamorosa scelta stilistica per finire il contratto con la RCA, Nel 1976 esce uno dei suoi album più intimi e belli, Coney Island Baby, dominato da una malinconia di fondo che culmina nel brano conclusivo, Coney Island Baby, dedicato a Rachel, il misterioso e affascinante transessuale con cui ha una relazione. Rock And Roll Heart (1976) e il bellissimo Street Hassle (1978) segnano il passaggio di casa discografica e la fine di un decennio irripetibile. Non così gli anni ‘80. con Reed bloccato su poche idee, qualche live buono, ma niente di significativo. Quando però unisce musicisti eccezionali (Fred Maher alla batteria, Mike Rathke alla chitarra e il grande Rob Wasserman al basso e contrabasso) decide di scrivere un disco sulla sua città. New York esce nel 1989 ed è puro stile Reed: musica semplice e travolgente e testi sopraffini, piccole storie per raccontare quel lato oscuro, indifeso ma così umano tanto caro a Reed. Romeo Had Juliette è una trasposizione contemporanea del tema shakespiriano tra un portoricano e una irlandese. Halloween Parade è la canzone della festa e rimanda alle filastrocche di Transformer, in Last Great American Whale e Dime Store Mystery, tenebrosa, alla batteria c’è Moe Tucker, la batterista dei Velvet Underground. There Is No Time è rock come se fosse stata in Rock’n’Roll Animal, come la bella Strawman e le classiche ballate come Beginning of a Great Adventure e Endless Circle. ma la canzone simbolo, una delle più belle mai scritte da Reed, è Dirty Blvd. una mini novella sulla vita dei bassifondi che dice più di certi studi sociologici al riguardo, e che va addirittura al numero 1 della classifica Billboard. È la rinascita di un mito: con John Cale scrive un capolavoro, Songs For Drella (1990) in omaggio a Andy Warhol; canterà collegato via satellite con Bono degli U2 durante lo Zoo Tv Tour Satellite Of Love; riunisce i Velvet Underground, e inizierà con nuovo slancio tutta una serie di esperimenti musicali, tra teatro, collaborazioni eccellenti (con i Metallica, The Raven come opera teatrale) e ha pure il tempo di scovare un cantante che sembra nato da una delle sue canzoni, Antony Hegarty, cantante transgender dalla voce portentosa. Se ne va per un cancro al fegato, ma avendo segnato la cultura musicale come pochissimi. Lester Bangs scrisse: Lou Reed è la persona che ha dato dignità, poesia e una sfumatura di rock'n'roll all'eroina, alle anfe, all'omosessualità, al sadomasochismo, all'omicidio, alla misoginia, all'imbranataggine e al suicidio.
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Opera incredibile questa di Morselli, che non assomiglia a nessun'altra nè in Italia, nè altrove. Difficile da inserire in un ambito preciso (romanzo distopico-apocalittico, saggio filosofico, scavo psicologico/analitico...), così come l'autore in un'appartenenza ideologico-culturale. Cosa che ha pagato con l'emarginazione editoriale e il conseguente insuccesso in termini di carriera, fino al suicidio (credo non per colpa dei critici ma per la spiccata sensibilità che ha prodotto, tra gli altri, questo incredibile lavoro). Fu rifiutato da Calvino alla Einaudi e da Fruttero alla Mondadori, incapaci di comprenderne il talento e valutare la portata innovativa dei suoi testi. Per fortuna il tempo, almeno in parte, ha reso giustizia a Morselli facendolo emergere dall'oblio in cui era stato relegato dai vecchi baronati culturali, ottusi e retorici. Un plauso all'Adelphi che, almeno in parte, ha ridimensionato un torto storico senza precedenti.... #libridisecondamano #ravenna #bookstagram #booklovers #bookstore #instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #guidomorselli (presso Libreria Scattisparsi) https://www.instagram.com/p/B1xoM_mII8C/?igshid=343jvbr4ck4c
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Dopo Renzi, sul patibolo dei giustizialisti finirà anche Beppe Grillo
(...) Nel ’92-‘94, caso unico in Europa, ben cinque partiti e relativi leaders e una buona parte della classe politica circostante scomparirono di scena non per il voto degli elettori, ma per la “sentenza anticipata” espressa dagli avvisi di garanzia urlati dai TG e dai titoli dei famosi quattro quotidiani (Corriere della Sera, Repubblica, Stampa, Unità) consorziati fra di loro in una sorta di pool parallelo a quello costituito dai pm di Mani Pulite. In primo luogo Craxi, poi Forlani, quindi larga parte dei gruppi dirigenti della Dc e del PSI, furono additati al pubblico ludibrio: “il cinghialone” non poteva non essere colpevole e i fascio-comunisti celebrarono la loro piazzale Loreto a largo Febo davanti all’Hotel Raphael con il lancio delle monetine. Che poi un bel po’ di quei comunisti e di quei fascisti successivamente sono anch’essi finiti in guai giudiziari è un’evidente testimonianza della veridicità del motto “chi la fa l’aspetti”.
Non parliamo poi di quello che è avvenuto nei 20 anni successivi, dal 1994 al 2013. Il ventennio berlusconiano è stato scandito dalle operazioni delle procure che sono andate dalle ipotesi stragiste (secondo esse Berlusconi e Dell’Utri erano i registi o addirittura, secondo qualche versione più hard, gli esecutori della strategia della tensione del ’92-’93 che ha disseminato di bombe alcune città italiane), a “normali” reati di corruzione e di concussione, fino alle trasgressioni criminal-sessuali con le famose olgettine colte fior da fiore fra Casoria, la Puglia, Roma e Milano, anch’esse oggetto di travolgenti iniziative giudiziarie con tanto di perquisizioni, pedinamenti, intercettazioni, ovviamente tutti comunicati in diretta a gazzette e telegiornali in omaggio al segreto istruttorio.
Poi da quando una legge incredibile, che prevede l’esclusione dal parlamento per una sentenza di primo grado e che fu per equità accompagnata addirittura da una interpretazione retroattiva, ha parzialmente messo fuori gioco Berlusconi, allora dopo una una breve fase sospensiva per carenza di soggetti, ecco che nel mirino è entrato il PD, anche per una sorta di nemesi storica: grazie all’occhio di riguardo usato a suo tempo da Mani Pulite, quello del PD è l’unico sistema di potere rimasto in campo. Di conseguenza nell’occhio del ciclone sono finiti il PD e i suoi alleati di governo. Anche in questo caso, però, fra la demonizzazione realizzata per via giudiziaria e mediatica e i risultati processuali c’è stato uno squilibrio che avrebbe dovuto mettere in imbarazzo quei magistrati e quei giornalisti che per giorni e giorni hanno lavorato a stretto gomito per mettere il mostro in prima pagina: prosciolta Federica Guidi, cancellato dalla Cassazione il rinvio a giudizio di Clemente Mastella, prosciolto Ettore Incalza, assolto Vincenzo De Luca: poi la stessa sorte ha riguardato Salvatore Margiotta, Vasco Errani, Ilaria Capua così come Antonio Penati e poi Ignazio Marino. L’apoteosi viene raggiunta con Stefano Graziano messo alla gogna da tutte le gazzette, che invece hanno taciuto, per ragioni di riserbo, quando le accuse per concorso esterno in associazione mafiosa sono state archiviate. Sul lato politico opposto dopo analoghi fuochi d’artificio di giornali e di televisioni le assoluzioni o i proscioglimenti hanno riguardato Luigi Cesaro, Antonio D’Alì, Maurizio Gasparri.
Adesso il grand guignol viene apprestato nei confronti di Matteo Renzi.
Nel passato sono state poste in essere due metodologie. Nel caso Craxi si è seguito quello dell’attacco frontale: uno che ha l’aspetto del “cinghialone” non solo non poteva non sapere ma era certamente “un grande criminale”. Come disse Francesco Rutelli “non vediamo l’ora che Craxi prenda il rancio a Regina Coeli”. L’altra metodologia è invece quella della manovra avvolgente: si comincia con i padri, i figli, le mogli, gli amici, per poi arrivare al bersaglio principale. A quanto sembra nei confronti di Matteo Renzi si sta seguendo questa seconda metodologia. Per ora il “cinghiale” è Tiziano Renzi. Allora nel suo caso tutto è buono. La lettera T scritta su un “pizzino” recuperato da una discarica è certamente riferita a Tiziano Renzi, le “bistecche” sono certamente le tangenti. Poi ovviamente viene preso per oro colato quello che dice un cavaliere senza macchia e senza paura come l’attuale amministratore delegato della Consip, Luigi Marroni, che adesso ricorda che tale Russo gli disse che Tiziano Renzi lo minacciava avendo in mano la sua carriera: ma perché Marroni non si è rivolto subito ai magistrati? Questo e molto altro ancora viene miscelato e poi rilanciato da un giornale ad un talk show con i direttori dei quotidiani e i conduttori televisivi che si rilanciano la palla. In questo modo il processo è fatto, le condanne sono già date, la Cassazione si è pronunciata nel terzo grado di giudizio. Matteo Renzi tramite suo padre, Luca Lotti e quanti altri è certamente colpevole: tutti quanti devono salire sulla carretta che li porti alla ghigliottina. Meccanismi di questo tipo sono inarrestabili. Così alla fine, dopo il taglio di tante teste finirà al patibolo anche Beppe Grillo, nel tripudio delle tricoteuses e di Di Maio, di Fico, di Di Battista e della Lombardi. No, grazie, non partecipiamo a questo suicidio in diretta televisiva dell’Italia.
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Marilyn Monroe
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Marilyn Monroe è stata la diva per eccellenza, l’icona assoluta della bellezza del ventesimo secolo.
Ha ammaliato il pianeta col suo fascino, alcune indimenticabili scene dei suoi film sono passate alla storia del cinema.
In soli trentasei anni di vita è stata la donna più fotografata, più amata, più criticata, più imitata, più invidiata e forse la più infelice di Hollywood.
Nacque con il nome di Norma Jeane Mortenson il 1° giugno del 1926 a Los Angeles. Non aveva mai conosciuto suo padre e la madre, Gladys Monroe, era affetta da gravi disturbi mentali, che la costrinsero a frequenti ricoveri in un ospedale psichiatrico.
Per buona parte della sua infanzia, ha alternato permanenze in orfanotrofi o affidi a famiglie temporanee a turbolenti ritorni a casa. Quando alla madre fu diagnosticata la schizofrenia, la piccola Norma Jeane venne presa in tutela dalla sua migliore amica, Grace McKee, archivista di pellicole alla Columbia Pictures, fu forse da lei che apprese l’amore per il cinema. Era una ragazzina con evidenti carenze di affetto e bisogno di sicurezza, mentre era al liceo conobbe il suo primo marito James Dougherty, che sposò a soli 16 anni, nel 1942 e da cui si separò dopo quattro anni.
Trovò un impiego presso un’industria aeronautica produttrice di paracaduti. Fu lì che il fotografo David Conover, impegnato a documentare il lavoro femminile nel periodo bellico, notò la sua incredibile bellezza e la convinse a intraprendere la carriera di modella. Da quel momento, sotto la guida di un altro fotografo, Andrè de Denes, cominciò a comparire sulle copertine delle riviste. A vent’anni, nel 1946, venne messa sotto contratto dalla Fox e le si aprirono le porte di Hollywood. Divorziata, si schiarì i capelli e cambiò il suo nome in Marilyn Monroe, il cognome era quello da nubile della madre.
Ha iniziato a fare la comparsa in vari film, per poi conquistare piccole parti che la lanciarono nel firmamento del cinema. Giungla d’asfalto, Eva contro Eva, Monkeys Business e altri ancora.
Nel 1952 ottenne il suo primo ruolo da protagonista in La tua bocca brucia. Il successo mondiale è arrivato nel ’53 con Niagara.
Con Come sposare un milionario e Gli uomini preferiscono le bionde, si è confermata una delle star più amate dal pubblico. Seguirono altri clamorosi successi.
Nel 1954 Marilyn Monroe ha sposato il famoso giocatore di baseball, Joe DiMaggio, da cui ha divorziato in meno di un anno e iniziato a collezionare una serie di profonde delusioni sentimentali che la trascinarono sempre più in un grande vuoto esistenziale.
Dopo la separazione si è trasferita a New York per studiare all’Actor’s Studio. In quel periodo ha conosciuto Arthur Miller, affermato commediografo, e affascinante intellettuale che vantava la rappresentazione delle sue commedie in tutto il mondo. I due si sposarono nel 1956. In quel periodo ottenne una nomination al Golden Globe per Fermata d’autobus.
Nel 1957 l’attrice ha fondato, con l’amico fotografo Milton Green, la sua casa di produzione cinematografica, la Marilyn Monroe Productions, con cui ha girato un unico sfortunato film Il principe e la ballerina al fianco di Laurence Olivier.
Due anni dopo si è ripresa con la sua partecipazione all’esilarante commedia di Billy Wilder A qualcuno piace caldo, personaggio stampato indelebilmente nella mente degli spettatori.
Marilyn aveva bisogno di continue conferme e attenzioni e iniziò varie relazioni con altri uomini, che infiammarono i tabloid di gossip e pettegolezzi.
Nel 1962 ha ricevuto il Golden Globe come migliore attrice. Veniva finalmente riconosciuto il suo talento e carisma. Ma fu comunque una magra soddisfazione. Aveva iniziato una relazione segreta con il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy che la trattava come un gradevole passatempo e nulla più.
La sua instabilità emotiva si aggravava, forse proprio a causa delle tormentate storie d’amore in cui si gettava. Ha cominciato a rifugiarsi nell’alcool e nei barbiturici e a entrare e uscire dalle cliniche.
Nel 1962 è uscito il suo ultimo film, Gli spostati scritto per lei da Arthur Miller, con cui nello stesso anno, ha divorziato.
Venne cacciata dal set di Something Gotta Give perché era diventata ingestibile, si presentava ubriaca, non rispettava gli orari, era fuori controllo. Poco confortata da una relazione con Robert Kennedy, più affettuoso del fratello, la diva è precipitata definitivamente nel gorgo della depressione.
Il 5 agosto del 1962 è stata ritrovata senza vita, senza vestiti e con la cornetta del telefono in mano nella sua camera da letto. Il referto fu di suicidio per un’overdose di barbiturici, ma molte cose non erano chiare nella ricostruzione degli eventi, tanto che ancora oggi la sua morte è uno dei misteri irrisolti di Hollywood.
Ciclicamente ritornano le ipotesi di omicidio, di servizi segreti, di vendetta a causa della sua relazione coi due uomini più importanti del tempo. Ma forse la verità non la sapremo mai.
Nel suo testamento si lesse che aveva lasciato il suo patrimonio (un paio di milioni di dollari) alla scuola di recitazione di Lee Strasberg, alla sua psicoanalista e alle cure per la madre malata. È stata sepolta al Westwood Memorial Park di Los Angeles.
Della bellissima bambina Marilyn Monroe, come l’aveva chiamata Truman Capote, ci restano migliaia di mostre, di sue immagini, i suoi film, i segreti che si è portata dietro.
È stata un’attrice e una cantante straordinaria. Unica a suo modo. Una donna bellissima e sensuale come poche, molto generosa ma con un mal de vivre che l’ha accompagnata per tutta la sua breve esistenza.
Su di lei si è detto e scritto di tutto. Che fosse impossibile lavorarci insieme. I ritardi. Le battute mai imparate. Gli infiniti ciak. La testa sempre altrove, persa nei suoi vortici. La sua sensazione di sconforto e di sostanziale solitudine. È stata ricordata in libri, film, retrospettive. Ancora si scrivono articoli su come viveva, cosa mangiava, come vestiva. I suoi abiti di scena sono stati battuti all’asta e rappresentano importanti cimeli. La sua vita è stata setacciata in migliaia di aneddoti, indiscrezioni, racconti. È stata donna più desiderata eppure la più infelice. Comunque, un mito intramontabile.
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